I confini mai definiti della psichiatria
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I confini mai definiti della psichiatria
Nel mio lavoro di psicologo, parte della pratica professionale la svolgo nel I° Servizio di Psichiatria della città diretto dal Prof. Nicola Garzotto. Uno degli argomenti della riunione di équipe di questa mattina riguardava il disordine causato dall’ingresso in Reparto per il ricovero di un alcolista in stato di “agitazione psicomotoria” e la difficoltà ad arginare il disagio causato da questo agli altri pazienti. Per iniziare a comprendere il complesso mondo attuale della Psichiatria è necessario fare un passo in dietro, al momento in cui la malattia mentale è stata istituzionalizzata. Nel 1600 il problema psichiatrico si inseriva in un importante fenomeno storico- politico destinato a modificare radicalmente il panorama sociale dell’intera Europa: la segregazione della non Ragione. Per “non ragione” si intendeva un insieme di soggetti, normalmente appartenenti alle fasce sociali meno abbienti, che pur non essendo veri e propri criminali, in un modo o nell’altro turbavano l’ordine costituito e la tranquillità sociale. Dorner nel libro “Il borghese e il folle, storia sociale della psichiatria” scrive: “Mendicanti e vagabondi, nullatenenti, disoccupati, sfaccendati, delinquenti, individui politicamente sospetti ed eretici, donne di facili costumi, libertini, venivano in tal modo resi inoffensivi, e, per così dire, invisibili insieme con sifilitici e alcolisti, pazzi, idioti, e stravaganti, nonché mogli odiate, figlie disonorate e figli che sperperavano il loro patrimonio”. In questo periodo quindi a lato dei Lazzaretti per i malati fisici, che con le loro malattie potevano contagiare i sani, nacquero i “Lazzaretti” per contenere, o meglio isolare le persone socialmente inaccettabili. La vastità di queste strutture, sempre maggiori per l’ingresso crescente di persone, le faceva assomigliare a delle vere e proprie città nella città; talmente grandi che il medico (chiamato generalmente per i problemi di natura fisica) si spostava al loro interno con un calesse. Questo stile permase nel XVIII e XIX Sec., e nonostante tali strutture incominciassero a chiamarsi Ospedali Generali o, in seguito, Manicomi rimasero Istituti che in parte assomigliavano al Carcere, in parte all’Ospizio. A distanza di un secolo, il Dott. Fiorio, attualmente Responsabile del Centro Diurno di Salute Mentale “Lessinia” dove lavoro, che è all’interno dell’Ospedale di Marzana, ricorda la popolazione dei pazienti ricoverati negli Ospedali Psichiatrici italiani all’orlo dell’approvazione della Legge 180 (che prevedeva la chiusura dei Manicomi) era composta da persone per il 50% affetti da Disturbi Alcol Correlati, e in essa erano grandemente rappresentati i pazienti con patologie come: Ritardi Mentali, le Cerebropatie, le sociopatie e le persone che nel tempo erano state inserite per diversi motivi sociali, e che come i primi, non avevano nulla a che fare con la sofferenza mentale. In questi ultimi decenni, fortunatamente, i progressi in ambito farmacologico, uniti a dei programmi riabilitativi volti al reinserimento dei pazienti sul territorio (come quelli che portiamo avanti nel nostro Centro di Salute Mentale), hanno dato una svolta decisiva alla cura della sofferenza mentale. Dal punto di vista dell’immagine che le persone hanno delle patologie psichiatriche, però, si è rimasti ad una concezione aderente a canoni ottocenteschi. Ciò che produce o che comunque aggrava questo è una non sufficiente cultura delle malattie mentali in generale e della possibilità di distinguere ciò che è psichiatrico da quello che non lo è. Forse, una concausa può essere individuata nei media, che effettivamente potrebbero essere uno strumento potentissimo per una buona informazione, ma in realtà negli ultimi anni hanno fatto grande propaganda di un certo tipo di “psicologia da salotto”, e che poi in pratica creano confusione, utilizzando ad esempio la parola Psicotico (malato grave) invece di Fobico (pauroso). Così la tendenza attuale è quella di far passare tutto come comportamento deviante, e anche quelli che potrebbero essere considerati aspetti delinquenziali o malvagi vengono interpretati come conseguenze di aspetti psicopatologici. Facciamo degli esempi: se una persona è arrabbiata col vicino di casa e gli urla dalla finestra parolacce è un maleducato o è in uno stato di agitazione psicomotoria? Se un alcolista alle tre di notte con una spranga spacca finestrini delle auto e vetrine ha bisogno della psichiatria o di un servizio di alcologia? Se un migrante riferisce che sente gli spiriti vicino a sé è malato o quello che dice deve essere compreso negli aspetti riferibili alla sua cultura di appartenenza? Attualmente in un Reparto di Psichiatria che per legge ha un numero limitato di posti letto (14 ad esempio per il I° Servizio Psichiatrico) e che serve un’area geografica con una popolazione di circa 100˙000 persone, vengono ricoverati oltre i pazienti effettivamente psichiatrici anche tossicodipendenti, alcolisti, dementi senili e insufficienti mentali. Chiaramente a livello sanitario ciò non deriva solo da una confusione e una poca chiarezza dei limiti di ciò che è più o meno psichiatrico, ma anche dalla mancanza di strutture predisposte all’accoglienza delle differenti patologie. Ad esempio mancano assolutamente (e questo a livello nazionale) servizi per la ricezione di acuzie alcoliche. Questa confusione e disorganizzazione poi si riflette sulla cura ed assistenza di quanti avrebbero diritto alle cure psichiatriche: Disturbi alimentari, Psicotici e gravi Disturbi del tono dell’umore. La conseguenza per un paziente ricoverato per Depressione che viene svegliato nel cuore della notte da un alcolista in crisi di agitazione psicomotoria è che non si fa più ricoverare, e forse il medico perderà il contatto con lui una volta dimesso dall’ospedale perché si rivolgerà a strutture private. Siamo distanti quindi dall’intravedere una possibile soluzione a questi problemi, però già un passo avanti potrebbe essere quello di non considerare in modo univoco i differenti comportamenti devianti, nella speranza che si possa avere nel futuro, a livello nazionale risorse che garantiscano servizi operativi differenziati per le diverse situazioni. Naturalmente quanto detto, pur facendo riferimento a fatti e situazioni realistiche, appartiene ad una visione soggettiva delle cose e pertanto non chiede di essere necessariamente condivisa da tutti coloro che operano nel settore.