La continuità di cura: un nuovo modello

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La continuità di cura: un nuovo modello
Recenti Prog Med 200; 0: -9
La continuità di cura: un nuovo modello
Roberto Tarquini, david coletta, simona dei2, nedo Mennuti, gian Franco gensini
Riassunto. l’ospedale di continuità, che vede in Toscana la
sua attuazione nell’ospedale di santa verdiana di castelfiorentino, nasce dalla volontà/esigenza di colmare una frattura tra il momento ospedaliero specialistico e quello della
medicina generale. si presenta come strumento in grado di
dare risposte, in un preciso contesto territoriale, non solo a
esigenze assistenziali (garantendo la continuità di cura), ma
anche a nuove domande formative.
Summary. A new model of integrated care: Ospedale di
Continuità.
Parole chiave. assistenza sanitaria integrata, continuità
di cura, lettera di dimissione ospedaliera, medicina generale territoriale, medicina specialistica ospedaliera, ospedale di continuità.
Key words. continuity of care, hospitalist medicine, hospital discharge, integrated healthcare, primary care physician.
I cambiamenti dell’ultimo cinquantennio
malattia. È da sottolineare, inoltre, che le innovazioni tecnologiche affiancate alle maggiori promesse della medicina inducono una richiesta di interventi sanitari enormemente superiore rispetto
al passato, senza un equivalente grado di soddisfazione. I cittadini vengono a conoscenza di continui miglioramenti della potenzialità di diagnosi e
cura, ma non riescono a trovare risposte all’altezza delle attese. Si assiste quindi ad un progressivo
aumento della domanda di salute.
Accanto all’avanzamento tecnologico, si sono
sviluppati strumenti quali le linee-guida e la medicina basata sulle prove, che hanno lo scopo di diffondere le conoscenze, di rendere omogenee e appropriate le terapie mediche e quindi di facilitare
le decisioni mediche, nonostante tale strumenti
siano spesso caratterizzati da eccessiva schematizzazione. L’osservazione di Claude Bernard è sorprendentemente attuale: «La risposta del paziente
“medio” alla terapia non è necessariamente la risposta del singolo paziente che viene trattato». In
altri termini, il paziente che si ha davanti non è
quello descritto nei trial; età avanzata e comorbilità sono le più frequenti caratteristiche dei soggetti con cui, nella quotidianità, il medico si trova a
confrontarsi.
Tecnologizzazione e Medicina basaTa sull’evidenza
Negli ultimi anni, dal lontano miracolo economico fino ai giorni nostri, la professione medica è
stata “travolta” da due processi di trasformazione.
Da un lato, la socializzazione della medicina ha
portato la relazione privata tra medico e paziente
nell’ampio campo della dimensione pubblica ed è
approdata all’instaurazione del Servizio Sanitario
Nazionale; dall’altro lato, la tecnologizzazione della medicina, ispirata a criteri di scientificità o
quanto meno di applicazione rigorosa della scienza
alla tecnica e di questa alla pratica, ha reso più
complessa la struttura della medicina stessa, inserendo tra medico e paziente un complesso apparato tecnico-scientifico rappresentato da sofisticate strumentazioni, metodiche di laboratorio e tecniche di intervento in continua evoluzione. L’evoluzione tecnologica ha sì arricchito le specialità di
raffinati, e spesso costosi, strumenti diagnostici e/o
terapeutici, ma ha anche frammentato la medicina
e le specialità stesse in nicchie di avanzato tecnicismo, la cui efficacia clinica dipende da decisioni
maturate sul singolo paziente e non sulla singola
The “continuity of care Hospital”, which is now realized in
the santa verdiana Hospital, castelfiorentino (italy), is aimed
at solving the existing gap between hospitalists and primary care physicians. This new model of care could represent an effective tool for solving the emerging medical and
teaching needs of a population characterized by advanced
age and comorbidities.
dipartimento inter-aziendale di Formazione per la continuità, azienda ospedaliero-universitaria careggi, Firenze; 2direttore
del dipartimento Territorio, ausl empoli; direttore Rete Territoriale, ausl empoli; dipartimento cuore e vasi, azienda
ospedaliero-universitaria careggi, Firenze.
Pervenuto il 18 gennaio 2010.
R. Tarquini et al.: la continuità di cura: un nuovo modello
TRasFoRMazione ePideMiologica dei bisogni di saluTe
«La medicina, se vuole raggiungere
completamente i propri fini, deve entrare
nella più ampia vita politica e sociale del suo tempo»
Virchow
I dati epidemiologici evidenziano un progressivo aumento della durata della vita ed un elevato
invecchiamento della popolazione, sempre più colpita da patologie correlate con l’età. L’Italia presenta un indice di vecchiaia tra i più elevati del
mondo, cui si associa un aumento di malati cronici. Attualmente i 4/5 delle prestazioni sanitarie sono richiesti per il trattamento delle patologie croniche e ad esse sono attribuibili i 2/3 dei ricoveri. Si
stima che nel 2020 oltre il 60% degli ultrasessantacinquenni sarà affetto da almeno una patologia
cronica. La regione Toscana presenta l’indice di
vecchiaia tra i più elevati del mondo con 192 ultrasessantacinquenni ogni 100 giovani di età inferiore ai 15 anni. Questo fenomeno si associa ad un
aumento della prevalenza delle malattie croniche:
è stato infatti stimato che, in Toscana, i pazienti
con più di 65 anni affetti da BPCO siano circa
100.000 e quelli con scompenso cardiaco cronico
siano circa 55.000.
L’insieme di questi elementi si traduce in un aumento della complessità dei bisogni di salute. Una
popolazione sanitaria costituita prevalentemente
da anziani con comorbilità ha esigenze il cui carattere non è soltanto sanitario, ma è anche la somma
di esigenze sociali e ambientali, di fronte alle quali cresce la difficoltà di trovare adeguate modalità
di risposta da parte dei servizi.
La complessità di questo panorama sanitario
emergente è caratterizzato da: 1) la necessità di terapie complesse a lungo termine; 2) l’alternanza di
periodi di stabilità a episodi di instabilità, con conseguente ricovero ospedaliero; 3) la necessità di
una stretta integrazione tra ospedale e territorio
per la costruzione di un’efficace alleanza terapeutica tra medico ospedaliero, medico di medicina generale e paziente.
I due modelli assistenziali esistenti sono rappresentati dall’acuzie gestita in ambito ospedaliero e dalle post-acuzie e cronicità gestite a livello
territoriale. L’analisi dell’attuale stato dei rapporti tra questi due modelli assistenziali evidenzia che
ospedale e territorio lavorano sempre più in modo
separato, indipendente e spesso in contrasto. Questo si traduce in una mancata o incompleta risposta ai bisogni di salute che in termini assistenziali significherà aumento della incidenza degli accessi al Pronto Soccorso e/o delle riammissioni (con
conseguente aumento dei costi), unitamente alla
percezione da parte del paziente di “non sentirsi
curato”.
Le possibili risposte
la MeTaMoRFosi MeTodologica
«Lo spettro dei problemi di salute ormai cambiato,
la complessa interazione fra fattori biologici e non biologici,
l’invecchiamento della popolazione
e la variabilità interindividuale nelle priorità
rendono superata, se non addirittura dannosa,
la medicina incentrata sulla diagnosi
e il trattamento di malattie singole»
Tinetti e Fried, 2004
I modificati bisogni di salute, rendono necessaria una rivalutazione5 dell’approccio metodologico
da parte del medico il quale, spesso indipendentemente dalla specialità, si trova a dover gestire pazienti con più patologie, in fase di diversa attività.
Dal punto di vista concettuale (e per i conseguenti
risvolti clinici) è opportuno distinguere i due termini frequentemente utilizzati: “intensità di cura”
e “complessità”.
Con il termine “intensità di cura” si intende il
grado di compromissione (mono-organo o multi-organo) e quindi l’intensità dell’intervento clinicoassistenziale richiesto. “Complessità” indica la presenza di più patologie con grado di acuzie diverso.
In termini pratici, alcuni esempi: un paziente anziano diabetico, iperteso con insufficienza renale
cronica, BPCO e esiti di ictus con sindrome influenzale è un paziente complesso a bassa intensità. Un paziente con infarto miocardico acuto può
invece essere considerato un paziente ad alta intensità di cura, ma non un paziente complesso.
Dal punto di vista metodologico, la gestione del
paziente complesso richiede un approccio diverso
da quello riduzionista, prevalentemente utilizzato
negli anni precedenti. Nella letteratura medicoscientifica più recente si sono moltiplicati i riferimenti alla nozione di “systems medicine”1,2, che
promuove un punto di vista olistico sistemico nelle diverse aree della medicina.
Secondo l’approccio riduzionista, la via maestra per la conoscenza di un dato fenomeno consiste nell’individuazione delle parti o delle componenti più semplici che vi sono coinvolte e nello
studio delle loro proprietà e del loro comportamento in condizioni il più possibile controllate.
L’approccio riduzionista ha guidato l’acquisizione
della maggior parte delle attuali conoscenze in
medicina; tuttavia esso presenta intrinseche limitazioni, perché le patologie e la loro espressione nel singolo malato non sono soltanto la somma
delle singole componenti. Ad esempio, il trattamento del paziente diabetico non si traduce semplicemente nella riduzione del valori della glicemia, la terapia ottimale dello shock cardiogeno in
corso di infarto miocardico non consiste soltanto
nella rivascolarizzazione, la gestione del paziente
con scompenso cardiaco cronico non è rappresentata unicamenente dal trattamento con farmaci
inotropi.
Recenti Progressi in Medicina, 0 (7-8), luglio-agosto 200
Quando una parte di un sistema complesso si
modifica, la risultante non è rappresentata solamente dalla “modifica” stessa, ma dalla risposta
dell’intero sistema: nasce la “systems medicine”,
un approccio metodologico che consente di “prevedere” la risposta del sistema complesso.
L’approccio sistemico elabora analisi integrate
dei dati acquisiti dai sistemi biologici, insieme con
elementi ricavati dalla storia clinica e familiare, così come dall’assetto ambientale, economico e funzionale del singolo paziente. La systems medicine considera l’individuo, sia sano che malato, come un sistema complesso in cui singole parti e singoli aspetti interagiscono fra di loro in maniera sinergica, funzionale e dinamica (cioè modificabile nel tempo).
Nella pratica clinica, sia l’approccio riduzionista sia quello della complessità offrono al medico
potenziali di intervento, ed è compito del medico
quello di integrare ed utilizzare al meglio i due metodi. Di fronte ad un paziente con appendicite acuta, l’approccio riduzionista è sicuramente il più efficace; il paziente con malattia cronica e con multimorbilità potrà invece essere gestito al meglio
mediante una valutazione complessa, che preveda
l’integrazione degli elementi biologici, funzionali e
ambientali e la loro evoluzione nel tempo.
Le potenzialità di un approccio sistemico si
estendono anche alla complessità relativa all’organizzazione sanitaria3, che ha come obiettivo la efficace risposta ai bisogni di salute4 (figura 1).
tura. Strumento irrinunciabile per la continuità è
rappresentato da un’adeguata comunicazione tra
medico e pazienti, tra medici, tra medici e altri
operatori sanitari, tra medico/i e familiari.
L’Ospedale di Continuità
L’Ospedale di Continuità nasce dalla volontà/esigenza di colmare una frattura tra il momento ospedaliero specialistico e quello della medicina generale.
La medicina moderna non può più basarsi sul
lavoro del singolo professionista, quele unico responsabile della salute dell’assistito: sia in ospedale che sul territorio i problemi sanitari della
popolazione debbono essere affrontati e gestiti da
team che uniscano competenze professionali diverse.
La caratteristica prima dell’Ospedale di Continuità è infatti rappresentata dalla interprofessionalità come elemento fondamentale della continuità dell’assistenza: integrazione di vari profili
professionali nei percorsi diagnostici e terapeutici.
In particolare: implementare/instaurare un costruttivo dialogo tra il medico della struttura e il
MMG, il quale porterà all’interno della struttura
le sue competenze dando e ricevendo formazione.
L’Università degli Studi di Firenze coordina
questo nuovo modello formativo aprendosi, da un
lato, alla Medicina Generale e, dall’altro, riaffermando il ruolo centrale della Medicina Interna.
FinaliTà
approccio
riduzionistico
approccio
per sistemi complessi
Ospedale di continuità
Figura .
La continuità assistenziale
Per continuità assistenziale si intende la possibilità concreta offerta al paziente di essere trattato dall’acuzie allo stato cronico come un continuum, con un programma diagnostico-terapeutico
il più possibile personalizzato e organico nel tempo. È la risposta ai nuovi bisogni di salute di una
popolazione caratterizzata da età avanzata, patologie croniche e multimorbilità, cui l’ospedale per
acuti (dotato di elevata tecnologia e specialità all’avanguardia) può offrire solo parte della risposta.
La continuità assistenziale è una caratteristica di
sistema, che non può essere attuata né garantita
da un singolo operatore, né da una singola strut-
Creare un’unica struttura in cui i due modelli di
medicina (quello della Medicina Generale e quello
della Medicina Specialistica-Ospedaliera) si fondono in modo da utilizzare gli elementi più funzionali di ambedue.
Costituirsi come centro formativo per i vari profili professionali (medici e infermieri, studenti per
le lauree di I e II livello di area socio-sanitaria, medici specializzandi e tirocinanti per la Medicina
Generale).
Facilitare la comunicazione tra ospedale e territorio (soprattutto nei momenti critici dell’ammissione e della dimissione).
Condividere e organizzare i percorsi diagnostico-assistenziali (con la possibilità di ricovero diretto dal territorio).
oRganizzazione assisTenziale
L’attività assistenziale è organizzata nelle seguenti forme.
Degenza ordinaria: afferiscono pazienti caratterizzati da elevata complessità clinico-assistenziale
ma da bassa criticità (MEWS ≤ 3); i pazienti, affetti da patologie croniche riacutizzate o da quadri
complessi in cui la diagnosi deve essere ancora formulata, provengono dal proprio domicilio (inviati
dal medico curante), dal pronto soccorso di pertinenza oppure da reparti di alta intensità.
R. Tarquini et al.: la continuità di cura: un nuovo modello
Day service: consente la presa in carico di pazienti con problemi diagnostici complessi che non richiedano un ricovero ospedaliero (sospetto di patologia neoplastica, ittero di ndd, ecc.) , ma necessitino di consulenze specialistiche e di una diagnostica
complessa, difficili da gestire a domicilio (ad esempio, per la difficoltà a organizzare appuntamenti in
una sequenza appropriata per problemi), oppure necessitino di terapie realizzabili difficilmente a domicilio (infusione di liquidi, trasfusioni).
Attività ambulatoriale: valuta pazienti di pertinenza internistica inviati dal MMG per il followup se precedentemente ricoverati, o comunque per
una valutazione specialistica, anche nell’ottica di
una funzione di filtro per eventuale ricovero.
i PRoTagonisTi
I protagonisti dell’Ospedale di Continuità sono
il medico ospedaliero, il medico di medicina generale e un team multiprofessionale (infermieri, fisioterapisti, dietiste).
L’interazione tra medico di medicina generale e
medico ospedaliero si esplica, in modo dinamico, a
più livelli. All’interno dell’Ospedale di Continuità,
queste due figure professionali lavorano insieme al
letto del malato, condividendo le proprie esperienze personali con conseguente arricchimento reciproco e, soprattutto, creando le concrete premesse
per una ripresa in carico da parte del medico di
medicina generale del paziente al momento della
dimissione. Il medico di medicina generale, a sua
volta, avrà la possibilità di ricoverare direttamente i propri pazienti nell’Ospedale di Continuità.
la leTTeRa di diMissione
Lo strumento operativo della “Continuità di Cura” è rappresentato dalla lettera di dimissione. In
questa dovrebbero essere riassunti: i dati rilevanti emersi nel ricovero, gli esami effettuati di cui
non è ancora pervenuta la risposta, il follow-up
consigliato, la terapia5-7.
Il Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizations (JCAHO) ha stabilito che la
lettera di dimissione deve essere completata entro
30 giorni dalla dimissione e deve comprendere «la
causa del ricovero, gli elementi significativi emersi durante la degenza, le procedure e i test diagnostici effettuati, la terapia somministrata, la descrizione delle condizioni del paziente alla dimissione, la successiva terapia consigliata e le informazioni fornite al paziente e alla famiglia»8.
Recentemente, Kripalani et al.5 hanno effettuato una revisione della letteratura allo scopo di
individuare quali fossero gli errori più frequenti
nella comunicazione, al momento della dimissione
ospedaliera, e di individuare i possibili interventi
per ovviare a tali deficit. È emerso che la comunicazione diretta tra medico ospedaliero e medico di
famiglia si verifica poco frequentemente (3%-20%).
Al momento della dimissione, la lettera relativa
viene consegnata al paziente in una modesta percentuale di casi (12-34%) e questa documentazione
è raramente completata entro un mese (51-77%).
Il medico di famiglia si trova quindi a proseguire le
cure senza aver ricevuto tutte le necessarie indicazioni. Inoltre, le lettere di dimissione spesso sono prive di informazioni importanti ai fini clinici,
quali i risultati di test diagnostici (che mancano
dal 33 al 63% dei casi), il dettaglio della terapia
somministrata (dal 2 al 40% dei casi) e le note sul
decorso ospedaliero (dal 7 al 22%). Il follow-up consigliato è omesso in una elevata percentuale di casi (dal 2 al 43%). Moore et al.9 hanno documentato
che errori nel “trasferimento delle informazioni” al
momento della dimissione si verificano in una elevata percentuale di pazienti (fino al 50% dei casi)
e si associano ad una aumentata incidenza di riammissioni. Van Walraven et al.10 hanno dimostrato
che il rischio di riammissione era molto più elevato per quei pazienti che venivano seguiti da medici ai quali non era stata consegnata una lettera di
dimissione. Al contrario, in uno studio di coorte effettuato in Canada, i pazienti seguiti dagli stessi
medici avevano una riduzione (5%) del rischio di
morte o di riammissione11. Roy et al.12 hanno osservato come il 40% dei pazienti, al momento della dimissione, deve ancora ricevere i risultati di
esami effettuati durante il ricovero, risultato che
spesso non viene comunicato e che nel 10% dei casi richiederebbe un provvedimento successivo.
Dall’analisi di questi dati emerge che grande attenzione deve essere riservata al momento della dimissione e alla preparazione della documentazione
da consegnare al paziente. Kripalani et al.5 suggeriscono una serie di provvedimenti. A loro parere,
la lettera di dimissione deve contenere: diagnosi di
ingresso e di dimissione; note anamnestiche e reperti obiettivi; dati relativi alla degenza con particolare riguardo alla terapia somministrata, note
del decorso; risultati delle procedure a cui è stato
sottoposto e dei principali esami di laboratorio; indicazioni fornite da consulenti eventualmente interpellati; informazioni date al paziente e alla famiglia; le condizioni del paziente al momento della dimissione; la terapia consigliata alla dimissione; follow-up consigliato; il nome del medico responsabile deve essere indicato in modo chiaro, così come le modalità con cui può essere contattato.
Al momento della dimissione, la corretta comprensione della terapia consigliata rappresenta un
elemento chiave non solo per la aderenza al trattamento, ma anche e soprattutto per la sicurezza del
paziente13. Recentemente (dati non pubblicati) abbiamo valutato se una modifica nella organizzazione della terapia di dimissione (suddivisione ai pasti
principali) e della presentazione grafica (caratteri
di stampa grandi vs caratteri piccoli) avesse un impatto sull’aderenza valutata a 2 mesi mediante un
questionario in 62 pazienti consecutivi (23 femmine e 39 maschi) ricoverati tra l’ottobre e il dicembre
del 2008 presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi nel Dipartimento di Medicina Interna.
7
8
Recenti Progressi in Medicina, 0 (7-8), luglio-agosto 200
Con metodo consecutivo e randomizzato abbiamo distribuito loro, al momento della dimissione,
due schemi differenti di lettera di dimissione: modello 1 e modello 2. Il modello 1 consisteva nell’utilizzo di una tabella distinta in tre grandi gruppi di
terapia: terapia da assumere alla mattina, terapia
da assumere a pranzo e terapia da assumere a cena,
con relative annotazioni. La tabella era scritta con
caratteri molto grandi e ben evidenziati (corpo tipografico 20). Il modello 2 della lettera di dimissione
consisteva invece in una tabella nella quale veniva
scritta, con lo stesso corpo del resto della lettera
(corpo tipografico 12), la lista dei farmaci da assumere, la dose e l’orario al quale dovevano essere assunti, senza relazione temporale con i pasti principali. Al follow-up effettuato a 2 mesi nell’intera popolazione di pazienti inclusi nello studio, circa un
terzo aveva effettuato un cambio di terapia. Nel sottogruppo cui era stato distribuito il modello 1, il 22%
dei pazienti ha presentato scarsa aderenza alla terapia, mentre in quello al quale era stato fornito il
modello 2, la percentuale è stata del 36,7%.
I pazienti ai quali era stato distribuito il modello 2 hanno presentato un numero significativamente più alto di ricoveri per lo stesso motivo del precedente ricovero, rispetto ai pazienti ai quali era stato assegnato il modello 1.
Sulla base dei nostri risultati, per quanto ricavati da un numero limitato di pazienti, possiamo
affermare che la lettera di dimissione rappresenta
un momento essenziale in grado di modulare l’aderenza alla terapia e quindi uno dei determinanti
dell’efficacia delle cure, in grado di influenzare
l’outcome a breve e a lungo termine e il numero di
nuovi ricoveri per lo stesso motivo del precedente.
La preparazione di una lettera di dimissione
in grado di garantire i migliori e più efficaci strumenti comunicativi sarà parte integrante del progetto dell’Ospedale di Continuità, lo strumento
essenziale della continuità stessa. Questo documento, se redatto in maniera completa secondo le
indicazioni sopra esposte, consente una reale condivisione dell’intero percorso clinico del paziente
tra il medico di medicina generale e quello ospedaliero, dal momento domiciliare a quello del ricovero; la descrizione del decorso durante la degenza, delle terapie praticate e del ragionamento
clinico che ha guidato il percorso diagnostico-terapeutico può permettere di evitare esami superflui, di proseguire i trattamenti iniziati adeguando le titolazioni dei farmaci secondo schemi definiti, e anche, in caso di opinioni non condivise, di
adottare nuove strategie alla luce di informazioni
comprovate. Risulta evidente che il documento
rappresenta uno strumento essenziale nella continuità delle cure anche per medici di altre strutture, cui il paziente può afferire sia in regime di
ricovero che ambulatoriale; a questo proposito,
preme sottolineare come sarebbe importante che,
almeno all’interno di una stessa struttura ospedaliera, venisse adottato un modello uniforme di
lettera di dimissione, anche se con ovvie specifi-
cità per i diversi reparti. La verifica dell’efficacia
“sul campo” di questo strumento, può rappresentare uno degli elementi essenziale per l’eventuale esportazione del modello “Ospedale di Continuità” in altre realtà sanitarie.
Gli obiettivi dell’Ospedale di Continuità possono quindi essere così riassunti: continuità assistenziale; ottimizzazione delle risorse; aderenza alla terapia; riduzione delle giornate di degenze e dei
nuovi ricoveri.
coRsi di FoRMazione sulla conTinuiTà di cuRa
Oltre al Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia, l’insegnamento della Continuità dell’Assistenza riguarda anche studenti degli altri Corsi di Laurea della Facoltà di Medicina, specie quello
in Scienze Infermieristiche; riguarda gli iscritti alle
Scuole di Specializzazione, in particolare quelle di
Medicina Interna e Igiene e Medicina di Comunità;
e gli iscritti al Tirocinio teorico pratico per la Medicina Generale che, in accordo con la struttura organizzativa e didattica, eseguono presso la struttura il
loro tirocinio ospedaliero; infine, riguarda gli assistenti sociali.
La struttura potrà organizzare Corsi (Corsi Master, Corsi di Perfezionamento) nell’ambito della
Formazione Continua sull’argomento: continuità
dell’assistenza. L’obiettivo è quello di creare un
nuovo modello assistenziale esportabile in altre realtà. A questo scopo verranno organizzati anche
Corsi di Formazione sulla Continuità di Cura rivolti a figure sanitarie già operative nelle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali, al fine di diffondere la cultura ed i metodi della Medicina di
Continuità. Inoltre, l’Ospedale di Continuità si deve aprire ai medici di Medicina Generale che potranno effettuare periodi di training, lavorando a
contatto con i medici ospedalieri in un reciproco
scambio di competenze.
L’innovatività del modello formativo dell’Ospedale di Continuità è rappresentata dal fatto che esso pone al centro del pensiero medico il malato e
non la malattia (come invece accade nella medicina specialistica). L’elemento caratterizzante il programma formativo per la “Continuità di Cure” è
rappresentato dalla comunicazione (medico-paziente, medico-famiglia, tra medici).
La comunicazione guida il rapporto medicopaziente, dalla stesura dell’anamnesi a quella
della lettera di dimissione, così come quello con la
famiglia, che, soprattutto nel caso di patologie
croniche e di multimorbilità, svolge un ruolo essenziale nel follow-up del paziente. Dovrà essere
prestata particolare cura nella scelta del “registro”, tenendo conto di elementi quali l’età del paziente, il suo grado di scolarizzazione e il vissuto
di malattia. Nella gestione dei pazienti con patologie croniche e con multimorbilità, l’importanza
della comunicazione deriva essenzialmente da
due aspetti.
R. Tarquini et al.: la continuità di cura: un nuovo modello
La comunicazione deve essere soprattutto formativa e informativa. Il paziente e i suoi familiari devono essere sensibilizzati sui sintomi-guida
per eventuali aggravamenti (ad es. la comparsa di
edemi declivi nello scompenso cardiaco), sulle
principali caratteristiche (ed eventuali effetti collaterali) della terapia prescritta, sulla necessità
dei controlli periodici, sulla importanze delle norme di vita.
Una comunicazione parziale o non efficace si
traduce in errori, ovvero in mancata aderenza alla terapia, in aumento dei ricoveri e quindi dei costi e molto spesso nella percezione da parte del
paziente (e dei suoi familiari) di “non sentirsi” curato.
L’omogeneità del bacino di utenza e lo stretto
rapporto con il medico di Medicina Generale costituiscono elementi peculiari favorenti lo sviluppo di
una “Ricerca clinica sulla Continuità”, anche grazie alla creazione di un database che consenta non
solo la verifica dei risultati, ma anche le concrete
premesse per una esportazione del modello.
L’Ospedale Santa Verdiana di Castelfiorentino
In Toscana, l’Ospedale di Continuità troverà la
sua attuazione nell’Ospedale di Santa Verdiana di
Castelfiorentino, nel quale è prevista la stretta integrazione tra assistenza in regime di ricovero e
assistenza territoriale, con il contributo dell’Università di Firenze.
L’“Ospedale di formazione per la continuità” nasce come collaborazione tra la Facoltà di Medicina
dell’Università di Firenze e la Medicina Generale
(Centro di Facoltà per la Ricerca Traslazionale e
l’Alta Formazione in Medicina Generale), il Laboratorio per la Formazione della Regione Toscana e
l’Azienda Sanitaria Locale 11 di Empoli, sulla base dei seguenti principi.
Creare un’unica struttura in cui i due modelli di
Medicina (quello della Medicina Generale e quello
della Medicina Specialistico-Ospedaliera) si fondano in modo da utilizzare gli elementi più utili di
ambedue ai fini di una miglior gestione dei problemi del paziente;
garantire nella struttura ospedaliera il governo
assistenziale e clinico di medici specialisti internisti
e di MMG di comprovata esperienza e competenza;
allargare la partecipazione dei MMG del territorio alla gestione del percorso diagnostico-terapeutico
ospedaliero per favorire la continuità dell’assistenza;
portare nell’ambito del percorso ospedaliero le
conoscenze acquisite grazie al rapporto continuativo che il MMG ha con il paziente.
indirizzo per la corrispondenza:
dott. Roberto Tarquini
azienda ospedaliero-universitaria careggi
dipartimento inter-aziendale di Formazione per la continuità
viale Morgagni, 8
08 Firenze
e-mail: rtarquini@unifi.it
In base a questi principi, l’“Ospedale di formazione per la continuità” avrà un governo unitario
costituito da un Medico Internista (in questo caso
universitario) e da un Medico di Medicina Generale, che guideranno una équipe composta da medici
internisti ed auspicabilmente da alcuni MMG di
comprovata esperienza e competenza.
L’Ospedale di Santa Verdiana quale primo modello di Ospedale di Continuità si presenta come
strumento in grado di dare risposte non solo ad esigenze assistenziali, ma anche a nuove domande formative, assumendo valore strategico e un ruolo significativo in un preciso contesto territoriale.
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