Seppur ritenuta infestata e perseguitata dalla cattiva sor

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Seppur ritenuta infestata e perseguitata dalla cattiva sor
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Quando ultimamente tentavo di muoverti a compassione
cosa ti rendeva alle mie preghiere un sordo tale?
Forse è stato giusto far del tuo amor finzione,
ma perché mi hai buttata giù dalle scale?
Isaac Bickerstaffe, An Expostulation
Estratto da
M.C. Beaton, La carriera di un libertino
Titolo originale dell’opera
Rake’s Progress
Traduzione dall’inglese
di Simona Garavelli
© 1987 by Marion Chesney
© 2015 astoria srl, corso C. Colombo 11 – 20144 Milano
Prima edizione: agosto 2015
ISBN 978-88-98713-16-5
In copertina:
Quadriglia, figura del trénis, “Le Bon Genre”, 1805, stampa
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
Seppur ritenuta infestata e perseguitata dalla cattiva sorte, quel mattino di primavera del 1810 la casa alta e stretta
di 67 Clarges Street nel quartiere londinese di Mayfair aveva tutta l’aria di essersi liberata dalla maledizione, dando
l’impressione che le sue sfortunate sorti si fossero alfine rovesciate.
Apparteneva al duca di Pelham, solo vagamente consapevole della sua esistenza. Il nobiluomo possedeva molte
altre proprietà. Le questioni inerenti l’affitto e l’assunzione del personale erano nelle mani di Jonas Palmer, il suo
agente, un imbroglione prepotente e bugiardo: pagava al
personale salari da fame, addebitava al padrone cifre molto
più alte e si intascava la differenza.
I domestici, vuoi perché si erano fatti – ingiustamente – una pessima reputazione, vuoi perché rimanevano al
numero 67 per lealtà l’uno nei confronti dell’altro, a ogni
Stagione cominciavano a pregare per l’arrivo di un nuovo
inquilino. Perché un inquilino significava ricevimenti, rout
e cene, tutti eventi che portavano una profusione di ottimo
cibo e mance. Mettevano tutte le mance nella cassetta dei
risparmi: quando il denaro fosse stato sufficiente avrebbero
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comprato un pub e si sarebbero resi indipendenti dal terribile Palmer.
I tempi duri e il risentimento nei confronti di Palmer
li avevano uniti in una sorta di bizzarra famiglia. Il capofamiglia era il maggiordomo, Rainbird. Dopo di lui veniva la governante, Mrs Middleton; poi il cuoco, Angus
MacGregor, e a seguire l’effeminato valletto, Joseph. C’erano poi la cameriera, Jenny; la domestica, Alice; e la piccola
Lizzie, sguattera di cucina. Dave, salvato da Rainbird da
una miserevole esistenza come spazzacamino, era lo sguattero.
In quella bella giornata primaverile di sole erano tutti riuniti nell’atrio: le donne scricchiolavano, tanto erano
inamidate; gli uomini con indosso la livrea più bella. Aspettavano l’arrivo del nuovo inquilino, un gentiluomo che mostrava tutti i segni di essere di manica larga.
Si trattava di lord Guy Carlton, figlio minore del conte
di Cramworth. Aveva combattuto nelle guerre contro Napoleone, ed era stato poi congedato dall’esercito per invalidità. In tono acido, Palmer aveva detto che, a giudicare
dalle sue lettere, milord sembrava avere ogni intenzione di
darsi alla bella vita e di voler dare parecchi ricevimenti.
L’ottimismo della servitù sembrava avere contagiato la
casa e scacciato i fantasmi. Lì dentro vi si era impiccato il
nono duca di Pelham, e un assassino era morto cadendo
dalle scale qualche tempo dopo aver ucciso la figlia di un
inquilino. Ora però la stretta dimora nera sembrava fresca e
rinnovata. Persino i due segugi di ferro incatenati alla soglia
erano stati tirati così a lustro da Dave che il sole ne faceva
scintillare i fianchi di metallo.
Mazzi di fiori primaverili decoravano le stanze, che odoravano piacevolmente di cera d’api e lavanda.
Mentre si radunava nell’atrio per salutare il nuovo seppur temporaneo padrone, la servitù chiacchierava piacevolmente senza osservare il rigido sistema di suddivisione in
caste che vigeva ai piani bassi, sistema molto più rigido di
qualunque suddivisione sociale dei piani alti. Non appena
lord Guy fosse arrivato, ognuno si sarebbe immediatamente
ricordato della propria posizione gerarchica.
Mrs Middleton, figlia zitella di un curato imbattutasi in
tempi duri – il “Mrs” era un titolo di cortesia – con dita
nervose si lisciò il davanti del suo migliore vestito di seta.
“Chissà come sarà lord Guy,” disse per quella che sembrava la centesima volta.
“Dovrebbe essere un uomo con la testa sulle spalle malgrado non sia sposato,” rispose Rainbird, il maggiordomo,
mentre gli scintillanti occhi grigi nel viso da attore comico
sfrecciavano qua e là per assicurarsi che tutto fosse in ordine. “Ho consultato l’almanacco nobiliare. Ha trentacinque
anni, per cui dovrebbe aver smesso di correre la cavallina.”
“Chissà se è bello,” si chiese Alice, la domestica, con
aria sognante. Era una bella bionda, languida e lenta di
movenze.
“Preferivo che non si portava dietro il suo domestico,”
disse Joseph il valletto con il suo modo di parlare effeminato
e affettato. “I domestici che vengono da fuori possono portare guai, ecco come la penso.”
“Cosa pensi non ci interessa, pagliaccio,” rispose sgarbato Rainbird, che due anni prima si era infiammato di bruciante passione per una cameriera personale di passaggio e
non aveva ancora superato la delusione.
Joseph si tolse un frammento di filaccia dalla manica di
velluto e proseguì imperterrito: “E poi a me non mi pare
proprio consono farci trovare qua tutti quanti a salutarlo”.
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E scoccò un’occhiata sprezzante a Lizzie e a Dave, in attesa di mettersi in posizione in fondo al comitato di benvenuto.
“Mi dai la nausea, femminuccia,” brontolò Angus
MacGregor, il cuoco originario delle Highlands dal temperamento impetuoso, “Lizzie è più signora di quanto tu
potrai mai essere gentiluomo.”
Lizzie, la sguattera, inalberò un’espressione afflitta. Si
era innamorata del valletto fin dal suo arrivo a servizio, e
pur non essendo cieca ai difetti del ragazzo continuava ad
amarlo.
“Magari il suo domestico è un soldato grande e grosso,
e pure violento,” commentò Dave allegramente, “che gli
piace attaccar briga coi valletti.”
“Su,” intervenne Lizzie a disagio, “siamo riusciti a non
litigare per tutto l’inverno. Vediamo di non cominciare proprio ora.”
“Sciocchina di una Lizzie,” disse la mora e svelta Jenny,
la cameriera. “È che siamo tutti emozionati. E questo è
stato il primo inverno in cui abbiamo avuto abbastanza da
mangiare e abbastanza carbone per riscaldarci. Sento che
ci aspetta una Stagione meravigliosa. Che ti succede, Liz?”
domandò contrariata, vedendo un’ombra aleggiare negli
occhi della piccola sguattera. “Non avrai per caso un’altra
delle tue premoniscioni? ”
“Penso solo,” rispose cauta Lizzie, “che un gentiluomo
che ha passato tutta la gioventù a combattere non vorrà fare
vita tranquilla.”
“Non dovevano insegnarle a leggere e a scrivere,” la derise Joseph. “L’istruzione fa marcire il cervello.” Ultimamente aveva ripreso a tormentare Lizzie, una brutta abitudine a cui tutti credevano avesse rinunciato.
“Immagino sia meglio rimetterci in strada,” disse lord
Guy Carlton con rammarico nel posare il bicchiere vuoto.
Lui e l’amico, Mr Tommy Roger – soprannominato Jolly
Roger – avevano fatto una sosta per rifocillarsi.
“Che fretta c’è?” rispose Mr Roger. “Facciamoci un’altra
bottiglia. Sembri sano come un pesce, Guy. Se il colonnello
ti vedesse ora ti ordinerebbe di imbarcarti sulla prima nave
in partenza.”
“Tornerò quando sarò pronto,” rispose lord Guy in tono
pigro. “E vada per un’altra bottiglia. Quella febbre è stata
la cosa migliore che ci sia capitata da anni. Non so per te,
ma per me è stata decisiva.”
“Credevo che non avresti mai lasciato il campo di battaglia, vecchio cavallo da guerra,” disse Roger in tono affezionato. “Avevi giurato che avresti continuato a combattere
fino a vedere la fine di quell’imperatorucolo. Non so come
tu abbia fatto a resistere per tutti questi anni.”
“Non lo so neanch’io,” convenne lord Guy amabile. Si
tirò sulle ginocchia una bella cameriera, la baciò sulla bocca e le disse di andare a prendere un’altra bottiglia del miglior vino. La ragazza si allontanò ridacchiando.
“Non sprecare le tue energie con le cameriere,” lo esor-
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“Ah, beh,” disse Angus MacGregor, “qui dentro tu sei
quello col cervello più marcio di tutti, eppure non sei in
grado di leggere un libro.”
“Ssst!” li ammonì Rainbird. “Sento arrivare una carrozza.”
Si misero tutti in fila.
Rainbird spalancò la porta. Ma la carrozza passò oltre.
“Non ancora,” commentò deluso. “Mi chiedo cosa stia
trattenendo sua signoria.”
tò Mr Roger. “Io ho intenzione di concedermi la migliore
cortigiana di Londra.”
“Una sola?” lo derise lord Guy. “Io ho intenzione di concedermene almeno una dozzina!”
I due uomini, che avevano pressappoco la stessa età,
creavano un bizzarro contrasto. Mr Roger era tarchiato e
scuro, con una chioma di capelli neri ispidi, indomabili.
Portava ancora l’uniforme scarlatta del reggimento e, avendo le gambe decisamente storte, senza il suo cavallo aveva
un’aria strana, come un marinaio con il mal di mare sbarcato sulla terraferma.
Lord Guy era alto, snello e biondo. Il viso snob da gaudente era leggermente abbronzato, e gli allegri occhi azzurri sotto le palpebre pesanti erano accesi da uno sguardo
temerario.
Vestiva abiti civili: giacca blu da mattino con alamari,
calzoni al ginocchio di pelle e stivali alti. La cravatta era
inamidata e annodata in modo complesso.
In contrasto con quell’eleganza noncurante, il panciotto era un tripudio di uccelli del paradiso ricamati in oro e
scarlatto.
Mentre stappavano la nuova bottiglia, tra i due amici
cadde un silenzio privo di imbarazzo.
Erano seduti nel giardino di una locanda a Croydon. Tra
l’erba facevano capolino i crochi, e i rami degli alberi, ancora
privi di foglie, si allungavano verso il cielo azzurro pallido.
Una grande nuvola soffice veleggiò sopra di loro, ricordando a lord Guy la nave che l’aveva portato a casa. Casa!
Che strano suono aveva quella parola. Casa, per lui, sarebbe stata un edificio in centro città affittato per qualche
mese. La coscienza gli diceva che, non appena la Stagione
fosse finita, sarebbe tornato sul fronte di battaglia.
Sarebbe anche potuto rimanere. La febbre, per quanto
violenta, si era abbassata nel giro di poco tempo, lasciandolo debole e svogliato. Il viaggio verso casa era stato tranquillo e riposante. La salute si era ristabilita quasi immediatamente.
Per il momento, tuttavia, era stanco di battaglie e spargimenti di sangue. Voleva circondarsi delle più belle donne di
Londra, e buttarsi anima e corpo in quelle stolte goliardate
cui si dedicavano i gentiluomini dal cuore libero. Si era ripromesso di non farsi penetrare da nessun pensiero serio
finché non fosse arrivato il momento di ripartire.
Non aveva intenzione di sposarsi. Le donne, come il
buon vino, dovevano essere assaporate e trattate con rispetto; inoltre, sempre come il vino, offrivano una varietà di
scelta carica di promesse tentatrici.
Un’ora e un’altra bottiglia più tardi, Mr Roger fece notare senza troppa convinzione che il sole stava calando e la
giornata si stava facendo fredda.
“Qualcuno mi ha riferito che la casa che ho preso in
affitto per noi,” osservò lord Guy alzandosi in piedi, “è iellata.”
“Dev’essere stato un giocatore d’azzardo,” replicò Mr
Roger con aria saggia annuendo e scoprendo stupito che
non riusciva più a smettere di annuire. “Sono una razza
suppertisc… suscertiz…
“Superstiziosa,” lo corresse lord Guy con un sorriso.
“Sei brillo, Tommy.”
“Altroché, per Dio! Delizioso.”
“Dov’è il mio uomo, Manuel?”
“Non hai che da alzare un sopracciglio. Sta sempre a
girarti intorno. Mi fa venire la pelle d’oca.”
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La sera era calata su 67 Clarges Street. Le lampade a
olio e le candele erano state accese. Mrs Middleton, stanca
per la lunga attesa, si era addormentata su una sedia nell’atrio; la grande cuffia inamidata e ornata di gale le metteva
in ombra il viso su cui, anche quando era a riposo, campeggiava la consueta espressione impaurita e ansiosa. Joseph si
stava pulendo le unghie. Scrocco, il gatto di cucina e unico
componente della famiglia con l’aria ancora vispa, era seduto davanti alla porta con l’aspettativa dipinta sul muso.
“Me ne torno giù,” grugnì Angus MacGregor in tono
stanco. “Mi sa tanto che non viene più, ormai.” Si tolse la
calotta bianca, mettendo in vista la chioma rossa e fiammeggiante, e ne estrasse un mozzicone di sigaro, che accese
servendosi di una candela.
“Allora porta via con te quel coso puzzolente, Angus,”
disse Rainbird di malumore. “Jenny ha spruzzato acqua di
rose in tutte le stanze, ma a che pro, se tanto poi tu le impesti?”
“Sta arrivando qualcuno,” disse Lizzie.
“Oggi avrò già aperto la porta almeno un centinaio di
volte,” commentò Rainbird. “È solo una carrozza di ritorno
da una rout.”
Angus stava per imboccare la scala di servizio quando
si udirono dei colpi decisi alla porta. A Londra bussare alla
porta era un’arte, proprio come suonare il tamburo. Il numero di colpi e la violenza e il ritmo con cui erano eseguiti
denotavano l’importanza del visitatore. Questo percuotere
era eseguito con tutto il vigore e la verve di un valletto reale.
Angus gettò il mozzicone di sigaro nel copricapo e se lo
schiaffò in testa. Mrs Middleton si svegliò con un sussulto.
Rainbird si raddrizzò il panciotto e si diresse alla porta,
mentre tutti i domestici si mettevano in fila dietro di lui.
Il maggiordomo spalancò la porta. Un domestico snello
e altezzoso lo squadrò dall’alto in basso. “Vedo che te la
prendi comoda, collega,” commentò con incredibile insolenza. Si fece da parte, e due gentiluomini salirono le scale.
“Beh, non è poi così male,” disse lord Guy facendo il suo
ingresso assieme a Mr Tommy Roger. “No, decisamente
niente male,” rincarò, mentre un malizioso occhio azzurro
si posava su Alice.
Rainbird cominciò a presentare i domestici. Da sotto la
calotta del cuoco il mozzicone acceso cominciava a mandare riccioli di fumo. Nella speranza di riuscire a spegnerlo, non appena si sentì inosservato Rainbird batté la mano
sulla testa di MacGregor. Quando arrivò alle donne, lord
Guy indirizzò un sorriso fascinoso a Mrs Middleton, sorrise
apertamente a Jenny, strizzò l’occhio a Lizzie e afferrò Alice
per la vita, la attirò a sé e le piantò un bacio pigro e carezzevole sulle labbra.
Alice sollevò su di lui uno sguardo sbalordito.
“Milord,” intervenne Rainbird autoritario, “vorrete vedere le vostre camere.”
Mrs Middleton strinse forte la mano di Alice, che era
rimasta a bocca aperta, e la trascinò al piano inferiore, facendo cenno alle altre donne di seguirla.
“Preparami un bagno, ti spiace?” disse lord Guy. “Rainbird, ti chiami così, giusto? Questo è il mio domestico, Manuel. Trattamelo bene. È un soggetto di prim’ordine.”
Si udì un sonoro tonfo: Mr Tommy Roger era caduto sul
pavimento piastrellato, e stava russando.
“E del caffè forte,” aggiunse lord Guy. “Non ho nessuna
intenzione di festeggiare la mia prima serata a Londra da
solo. Quando mi hai preparato il bagno, fa’ tornare sobrio
Mr Roger, per favore.”
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“Sì, milord,” disse Rainbird impassibile.
“E mandami su quella bella bionda a strofinarmi la
schiena.”
“Certamente, milord,” rispose Rainbird, determinato ad
assecondarlo. Era certo che lord Guy fosse ubriaco tanto
quanto l’amico, e che in tutta probabilità si sarebbe addormentato nel bagno. Fece strada su per le scale.
Al piano terra c’erano un salotto anteriore e uno posteriore; al primo piano c’erano la sala da pranzo e una
camera da letto; al piano superiore due camere da letto, e
sopra ancora la soffitta.
A eccezione della piccola Lizzie, che si lavava regolarmente alla pompa dell’acqua, i domestici arricciavano il naso davanti all’igiene personale, che consideravano
una pratica dannosa. Faceva male alla salute, lo sapevano
tutti.
Così, ci volle un bel po’ di tempo per preparare il bagno
per milord, dato che la vasca da bagno era in cantina e
piena di legna.
Alla fine Joseph e Rainbird riuscirono a trasportare la
vasca a forma di bara al piano di sopra. Rainbird disse ad
Angus e a Dave di aiutarlo a portare i secchi d’acqua calda:
non voleva che nessuna delle domestiche restasse sola con
lord Guy che, Rainbird ne era sempre più certo, dava tutti
i segni di essere un libertino.
Nel frattempo, lord Guy aveva svuotato una bottiglia di
champagne. Ma questo non aveva sortito altro effetto che
accentuare lo sguardo birbantesco degli occhi azzurri, e
renderlo più vivace che mai.
Con l’aiuto di Manuel, il valletto spagnolo, si spogliò
e si immerse nell’acqua. “Ehi, Manuel,” disse, “vammi a
cercare quella divina creatura.”
Manuel si inchinò, avendo identificato immediatamente
la “divina creatura” nella persona di Alice.
Scese al piano di sotto e nei quartieri della servitù, dove
tutti stavano discutendo animatamente sul conto del nuovo inquilino. Le voci si spensero; la servitù lo osservò in
silenzio. Manuel era basso e indossava una livrea di velluto
nero decorata con passamanerie di seta rosa. La chioma
era liscia e nera come lucida pelle, la carnagione olivastra.
I liquidi occhi neri erano inespressivi, il naso breve e affilato, e i denti leggermente sporgenti conferivano alla bocca
piccola un che di conigliesco.
Fece un cenno ad Alice: “Il mio padrone ti vuole,” annunciò.
Alice arrossì e mosse verso di lui.
“No,” intervenne Rainbird. “Se milord desidera qualcosa, glielo porterò io, oppure Joseph.”
Il domestico spagnolo si strinse nelle spalle. Poi andò da
Alice, le afferrò la mano e cominciò a trascinarla fuori dalla stanza. Rainbird balzò in avanti, strappò la ragazza a
forza e diede a Manuel uno spintone che lo mandò gambe
all’aria.
Manuel infilò la mano in tasca e ne estrasse un lungo
stiletto, che puntò alla gola di Rainbird. “Tu,” disse rivolgendosi ad Alice da sopra la spalla del maggiordomo, “sali
di sopra o gli taglio la gola.”
Sui domestici calò un silenzio carico di tensione.
Allora Angus MacGregor si arrotolò la manica, cinse
Rainbird con un braccio peloso e prese il domestico spagnolo per la cravatta. Manuel tentò un affondo con il coltello diretto a Rainbird, ma Jenny la cameriera conficcò i
suoi bei denti nel polso del malintenzionato; l’arma cadde
con un tintinnio metallico. MacGregor la raccolse e prese a
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scrollare l’uomo mentre lo spagnolo strepitava per la paura
come un animale ferito.
Una voce gelida giunse loro dalla porta: “Cosa diavolo
sta succedendo?”.
Le donne cominciarono a strepitare non meno di Manuel, e si coprirono gli occhi con le mani; solo Mrs Middleton sbirciò tra le dita. Era una visione mai vista prima e che
probabilmente non avrebbe rivisto mai più.
Lord Guy se ne stava lì, gocciolando acqua, nudo come
un verme.
“Beh,” disse, “si può sapere cosa state facendo al mio
valletto?”
“Ha cercato di trascinare Alice al piano di sopra,” disse
Rainbird, “poi ha tirato fuori il coltello.”
“Oh,” esclamò lord Guy con voce incolore, “non ti va di
lavarmi la schiena, Alice?”
“No,” mormorò la ragazza.
L’uomo si strinse nelle spalle nude. “Bene, niente di grave,” disse bonario. “Manuel, vieni con me. Quel coltello
deve sparire una volta per tutte. Oh, Rainbird, vedi di far
buttar giù a Mr Roger quel caffè. La notte è giovane, e io
ho intenzione di divertirmi.”
E con la sua ombra spagnola alle calcagna si diresse fuori dalla stanza, presentando alla servitù imbarazzata lo spettacolo di due natiche impertinenti e muscolose.
“Dio mio,” gemette Rainbird. “Che razza di Stagione
sarà mai questa? Joseph, sarà meglio che tu venga ad aiutarmi con Mr Roger. Angus, prepara un bel po’ di caffè.”
A furia di far camminare Mr Roger avanti indietro per
circa un’ora e di versargli caffè nero bollente giù per la gola
a intervalli regolari, riuscirono a fargli salire le scale e raggiungere la sua stanza. Lord Guy aveva preso possesso della
grande camera da letto a fianco della sala da pranzo, per
cui dovettero spingerlo fin nella stanza anteriore al piano
di sopra.
Rainbird fece cenno a Joseph di togliergli gli stivali.
“Cosa stai facendo?” chiese Mr Roger in malo modo.
“Vi aiutiamo a vestirvi,” spiegò Rainbird.
“Non ne ho bisogno. Sono già vestito. Dio, che mal di
testa.” Mr Roger attraversò la stanza barcollando e vomitò
nel caminetto. Joseph diventò verde e si premette lo stomaco che era sul punto di rovesciarsi.
“Sei pronto, Jolly Roger?” chiese la voce allegra di lord
Guy.
Mr Roger si rianimò in modo stupefacente. “Arrivo,”
ruggì.
“Va meglio?” chiese sua signoria.
“Decisamente. Mi sono appena liberato lo stomaco nel
caminetto.”
“Era quello che ci voleva. Vieni.”
Rainbird e Joseph, muti, seguirono Mr Roger fuori dalla
stanza. Lì, sul pianerottolo, lord Guy lo aspettava con un
sorriso divertito sul viso dissoluto. Ostentava un impeccabile abbigliamento da sera: giacca nera, calzoni al ginocchio
fulvi di seta e scarpini; sotto il braccio aveva un cappello
bicorno appiattito.
Si portò il monocolo all’occhio e studiò Mr Roger.
“Diavolo,” disse, “ecco il rottame del reggimento.”
“Desiderate cenare tardi, milord?” chiese Rainbird.
“Credo che ceneremo fuori da qualche parte,” rispose
lord Guy.
Lord Guy infilò il braccio sotto quello di Mr Roger, e la
coppia scese le scale e uscì nella via.
Jenny impiegò un’ora, con l’aiuto di Alice, per rassettare
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la stanza da bagno di lord Guy, una baraonda di indumenti
buttati a terra, asciugamani bagnati e bicchieri vuoti, mentre Rainbird e Joseph portavano via l’acqua con i secchi
e riportavano la vasca giù da basso. Rainbird fece notare
incupito che l’acqua era pulita esattamente come quando
l’avevano riempita: questo dimostrava che milord avrebbe
rivelato gusti eccentrici in fatto di pulizia personale.
“I giornali dicono che il suo comandante in capo fa un
bagno freddo ogni mattina,” disse.
Joseph lanciò un grido allarmato. “Cosa?! Mica ci toccherà portar su per le scale ’sta vasca tutti i santi giorni!”
“Forse andrà all’hammam,” buttò lì Rainbird, riferendosi ai bagni turchi di Jermyn Street.
“Spero che ci cade dentro e finisce annegato,” rispose
Joseph stizzito. “Dove si è cacciato il suo valletto? Anche a
lui gli toccava pulire un po’ di ’sto disastro.”
“È andato col padrone.”
“Allora buon viaggio a lui.”
Nel frattempo i due amici, seguiti passo passo da Manuel, si accinsero a fare baldoria in tutti i locali famosi della
città, da quelli malfamati di Jermyn Street al Royal Saloon
di Piccadilly, facendo incetta di donne nella loro avanzata.
Ogni qualvolta lord Guy o Mr Roger vedevano una femmina particolarmente attraente tra le signore dissolute, le
porgevano un invito e la convocavano in tono solenne a
un ricevimento che si sarebbe tenuto a 67 Clarges Street
la sera successiva. Dopo avere fatto un assaggio della loro
merce, si predisposero a una serata di grandi bevute e di
gioco d’azzardo, ritrovandosi ad attraversare barcollando
Berkeley Square mentre un sole rosso sorgeva su una gelida
Londra. Il tempo era tornato freddo.
Mr Roger crollò su un fianco nell’erba al centro di Ber-
keley Square e si addormentò. Lord Guy, stufo e stanco,
chiamò Manuel da sopra la spalla affinché andasse alle scuderie per prendere la carrozza con cui portare a casa Mr
Roger.
Lord Guy stava superando a piedi le case sul lato occidentale della piazza quando, attraverso una porta aperta,
vide all’interno di una casa una donna in cima alle scale.
Era in déshabillé. Indossava una fluente camicia da notte e
un grazioso négligé. Aveva una meravigliosa massa di capelli
rossi che le cadevano sciolti sulle spalle. Sul pianerottolo
c’era un tavolo su cui era posata una lampada a olio, che le
illuminava il viso tranquillo e la splendida figura giunonica.
Il maggiordomo, che aveva lasciato la porta aperta mentre
prendeva una boccata d’aria fresca, si trovava sull’altro lato
della piazza, e non fece caso a lord Guy.
Lord Guy si infilò dritto in casa e salì le scale. “Voi, signora,” esordì in tono riverente, “siete la più bella cosa che
io abbia mai visto.”
Il colore dei suoi occhi, notò l’uomo con aria sognante,
era una strana mescolanza di azzurro, verde e oro. Non
aveva mai visto occhi come quelli, prima di allora. Decisamente ubriaco e totalmente immerso nel suo mondo immaginario, lord Guy avanzò a braccia tese verso quella dea.
Lei non proferì parola. Sollevò un piede deliziosamente
arcuato calzato dalla pantofola ornata di perline e calciò
con tutta la sua forza. Lord Guy ricevette il colpo all’altezza della vita. Capitombolò all’indietro, rotolando giù dalle
scale.
Essendo parecchio ubriaco, non aveva contratto i muscoli, così, quando si ritrovò seduto sul gradino più basso,
era illeso.
In lontananza udiva il suono di campanelli e uno scal-
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piccio di piedi in corsa. Prima che i domestici della donna
lo afferrassero per buttarlo fuori, scorse una fugace apparizione di sé nel lungo specchio dell’atrio.
Inizialmente non riconobbe l’ubriaco dissoluto che gli
restituiva lo sguardo. Ma, quando lo fece, lo choc fu tale
che si lasciò sospingere fuori di casa dai domestici senza un
mormorio di protesta.
Barcollando, si diresse a casa e si buttò sul letto senza
neppure spogliarsi.
Rainbird, sentendo che Mr Roger era tornato, svegliò
Joseph e con voce esausta gli disse che dovevano andare
a vedere se servisse il loro aiuto. Si vestirono lentamente,
nessuno dei due ansioso di ritrovarsi al cospetto del padrone
così presto. Quando si affacciarono nella stanza di Mr Roger, questi stava già dormendo con aria pacifica; a svestirlo
ci aveva pensato Manuel.
Scesero al piano di sotto, diretti alla stanza di lord Guy,
ma si bloccarono sulla soglia. La porta era rimasta aperta,
perciò lo spagnolo non li sentì arrivare. Stava presso il letto,
e osservava il padrone; il suo viso era una maschera di odio.
“Avete bisogno di noi?” chiese Rainbird.
La faccia di Manuel riprese la consueta espressione calma e altezzosa.
“No, grazie,” rispose sdegnoso. “Chiudete la porta
quando uscite.”
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