Quei bimbi finiti nel Limbo - Centre d`études francoprovençales

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Quei bimbi finiti nel Limbo - Centre d`études francoprovençales
Quei bimbi
finiti nel Limbo
Paolo Zolli
Qualche anno fa abbiamo avuto
occasione di parlare dell’iniziativa
dell’editore Piovan di Abano Terme,
che ha cominciato a pubblicare
un’indagine sulle tradizioni popolari
relative al Natale, fondata su inchieste
condotte tra insegnanti e ragazzi delle
scuole di tutt’Italia (finora ne sono
usciti due volumi, ma temiamo che
l’opera, utilissima, sia rimasta interrotta). Di un’indagine analoga, questa
volta relativa al battesimo, veniamo a
conoscenza in Val d’Aosta, dove l’editore Musumeci ha pubblicato, per conto del
Centre d’études francoprovençales René Willien di Saint-Nicolas, un volumetto
intitolato appunto Le baptême. L’area è necessariamente limitata, la Valle
d’Aosta appunto, e quindi i materiali raccolti, pur presentando alcune varietà da
paese a paese, da vallata a vallata, non possono offrire quelle differenziazioni che
ci darebbero ragioni ampie e più complesse da un punto di vista storico-geografico come il Veneto, la Toscana o la Sicilia.
Tuttavia il recupero di notizie relative a usi ormai in via di sparizione è sempre
utile, tanto più che lo sconvolgimento operato in materia di sacramenti dal Concilio Vaticano II (dal battesimo comunitario all’estrema unzione data a persone
arzille che vanno a prendersela in chiesa con le proprie gambe) ha dato il colpo di
grazia a tradizioni che la civiltà dei consumi aveva già gagliardamente aggredito.
Del resto non bisogna credere che certi usi fossero millenari, forse erano relativamente recenti e si erano sostituiti ad usi precedenti, e anche gli usi d’oggi finiranno per consolidarsi come tradizioni, a loro volta destinate a sparire nel volgere
d’un periodo più o meno lungo.
La consuetudine, recentemente introdotta, di battezzare i neonati a gruppi
nasce da quel gusto (per me cattivo gusto) dello spettacolo di massa che contraddistingue la chiesa d’oggi, ma è possibile anche perché i pericoli di morte per i
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bambini appena nati sono, a differenza d’un tempo, minimi. Quando la mortalità
infantile era altissima, il bambino andava battezzato il più presto possibile. Dai
registri d’un paese valdostano è emerso il caso limite d’un bambino che, nato alle
sette del mattino, era stato presentato per il battesimo alle dieci dello stesso giorno, ma spesso, almeno ad Aosta, la cerimonia aveva luogo la domenica successiva
alla nascita, dopo i vespri. La preoccupazione che il bambino potesse morire
senza battesimo doveva essere, giustamente, vivissima, e per quanto anche in
campi meglio definiti dalla dottrina della Chiesa si trovino spesso concezioni ai
margini dell’ortodossia, tanto più potevano sorgere credenze in questo settore che
la Chiesa non ha definito dogmaticamente. Alla scuola elementare di LillazCogne si è raccolta la notizia che il bambino era battezzato il giorno seguente la
nascita perchè si diceva che altrimenti il diavolo avrebbe potuto impossessarsene,
notizia confermata e arricchita a Vert-Donnas, dove si è appreso che il battesimo
doveva essere effettuato al massimo due o tre giorni dopo la nascita per non tenere il diavolo in casa, e soprattutto per il timore che il bambino morisse e andasse al
Limbo. Issogne, il paese il cui castello ha ispirato la Partita a scacchi di Giacosa,
il tempo massimo era di setto-otto giorni, perchè c’era sempre il pericolo che il
diavolo portasse via il neonato; ma sempre a Issogne emerge una notizia più interessante, e cioè che la madre, se usciva di casa prima che il figlio fosse battezzato,
doveva vestirsi da uomo. Non si tratta d’una bizzarria: lo scopo era quello di depistare il demonio. E non si tratta d’un fenomeno unico: basta leggere i manuali di
etnografia per sapere che in molte popolazioni primitive, quando la donna incomincia ad avere le doglie, il padre che si mette a letto grida. Lo scopo è sempre lo
stesso, sviare, disorientare lo spirito del male che è in agguato, quaerens quem
devoret. Il fatto che il bambino, anche nelle stagioni calde fosse portato al battesimo completamente coperto e non con abiti infantili aveva la stessa funzione di
sottrarlo alle attenzioni del maligno: la dottrina cattolica del peccato originale
veniva reinterpretata secondo concezioni precristiane.
Più complesso il problema dei nati morti, anche per la difficoltà di accertare la
reale situazione dal punto di vista medico-biologico. Le notizie sugli usi in materia sono discordanti, ma non sarei in grado di dire, né i materiali raccolti ci offrono più precise informazioni, se le discordanze nascano da un’effettiva varietà di
usi da luogo a luogo o dal riferirsi a epoche diverse. Alla scuola elementare di
Vert-Donnas si è raccolta la notizia che i nati morti non erano portati in chiesa, ma
direttamente al cimitero, in una zona apposita detta “angolo del Limbo” (coin des
Limbes). Questa notizia della zona speciale è confermata un po’ dappertutto, mentre sono contrastanti quelle relative al fatto che il bambino fosse portato o no in
chiesa; per esempio a Saint-Rhémy-Bosses risulta che i nati-morti si portavano in
chiesa, ma la mattina presto, quasi di nascosto, e ci si limitava a dire per loro una
preghiera. A Verrès si trova traccia d’una tradizione più complessa: ai nati-morti
si impartiva il battesimo sotto condizione, e sin qui siamo all’interno d’una norma
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giuridica perfettamente ortodossa, oppure, questa è invece usanza ben più singolare, per la quale non dispongo di plausibili spiegazioni, si recava ai bambino un
pomo – offerto dalla madrina –, che aveva la funzione di sostituire il battesimo.
Una leggenda racconta che una madrina avesse portato un solo pomo per due
gemelli nati-morti, e che uno dei due bambini le fosse poi apparso in sogno per
dirle che il fratello, il quale aveva mangiato il pomo, era andato in Paradiso, mentre lui era all’inferno. L’angoscia del Limbo, ma, come s’è visto da questa leggenda, addirittura dell’inferno, aveva fatto nascere una tradizione, quella di portare i
nati-morti al santuario di Saint-Préjet nella speranza che il bambino potesse dare
un segno di vita ed essere quindi battezzato.
Casi come questo dovevano essere un tempo frequentissimi, ma molte altre
volte le cose andavano bene, e allora la cerimonia del battesimo si effettuava con
le dovute note di festosità. Un tempo a Cogne, quando il bambino arrivava in
chiesa si suonavano tre volte le campane se il battezzando era un maschio, due se
era una femmina, ma l’uso è scomparso da solo senza aspettare che le leggi sulla
parità dei sessi lo condannassero. La festa era contrassegnata da doni, non certo
preziosi come quelli di adesso, e soprattutto da doni, da parte del padrino e della
madrina, ai genitori, non al neonato.
Ad Ayas la madrina portava alla madre quattro dozzine d’uova, un chilo di
zucchero, mezzo chilo di caffé, cento grammi di cannella e una tavoletta di cioccolato. Per la colazione e il pranzo di battesimo il padrino portava un chilo di grissini e tre chili di metcha (pane bianco): i grissini potevano servire anche a far la
panada (cioè una zuppa di pane, brodo, fontina, burro), che doveva aiutar la
madre ad aver latte.
Altri doni acquistavano un valore quasi rituale. A Champorcher ritornando
dalla chiesa si teneva in casa una piccola festa, alla fine della quale il padrino e la
madrina donavano al piccolo una moneta (una soltanto) d’oro o d’argento, o di
rame, a seconda delle possibilità. Questa moneta era conservata dai genitori e consegnata al figlio quando aveva vent’anni, perchè servisse per acquistare il dono
del fidanzamento per il fidanzato o la fidanzata: insomma era un po’ il simbolo
della continuità della vita.
Come spesso avviene nei momenti rilevanti della vita, si traevano auspici da
certi segni. Per esempio a Cogne se la candela che il padre teneva in mano durante la cerimonia dava una bella fiamma, si arguiva che il bambino avrebbe avuto
vita lunga e fortunata, se la fiamma era piccola il bambino sarebbe morto giovane.
A Morgex era ritenuto di cattivo auspicio il fatto che la candela fumigasse. Altrove il bambino era portato in chiesa in processione preceduto dal cero battesimale:
era di cattivo auspicio il fatto che il cero si spegnesse per strada, mentre si pronosticava vita lunga se il prete, all’entrata della chiesa, non riusciva a spegnerlo al
primo colpo. La simbologia era evidente, dato che la fiamma è sempre stata consi68
derata immagine della vita, ma anche dal pianto o non pianto del bambino si traevano auspici. Ad Ayas il bambino che non piangeva quando era asperso
dall’acqua non era ritenuto normale, mentre quanto più uno piangeva, tanto più
sarebbe stato vivace. A Champorcher più scherzosamente si dice che se piange
diventerà un buon cantore, e se non piange che farà un buon matrimonio perchè è
già capace di tacere. A Saint-Rhemy il piangere durante il battesimo era interpretato come segno di vita lunga e la stessa opinione era diffusa altrove.
C’era insomma, e in fondo c’è ancora, un’esigenza d’interpretare la realtà e di
trarre auspici, possibilmente buoni, nel momento in cui si iniziava una vita che
non sempre sarebbe stata facile.
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