Il tempo e il respiro del bosco

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Il tempo e il respiro del bosco
Il tempo e il "respiro" del bosco
Marco Travaglini - segnalato narrativa
Rigoni Stern viveva sull'altopiano d'Asiago in una casa ai margini del bosco.
In prossimità della sua abitazione sorgevano due larici: "Me li vedo davanti
agli occhi ogni mattina e con loro seguo le stagioni; i loro rami quando il vento
li muove, come ora, accarezzano il tetto”. Così raccontava in "Arboreto
salvatico", libro semplice e bello, pubblicato da Einaudi ventitré anni fa, nel
1991. Rigoni Stern di alberi, in quel testo, ne scelse venti, illustrandone
caratteristiche botaniche, ambiente naturale, l'uso che ne facevano montanari
e contadini, gli influssi sulla cultura popolare, i miti e le tradizioni. Prendeva
per mano il lettore, accompagnandolo sotto le piante per guardare la forma
delle foglie, degli strobili, dei fiori, mescolando alle informazioni ricordi
mitologici, letterari e familiari, come la quercia che il principe Andréj incontra
in una pagina di "Guerra e pace" o il verso che Boris Pasternak dedica al
tiglio: "Il cerchio d'oro del tiglio / è come un serto nuziale" . Ai tempi in cui
Mario era ragazzo si cercavano i rami di faggio "giusti", ben inclinati "per
costruire la 'slitakufa', la slittastorta" (dal tronco si ricavava lo scivolo, il ramo
serviva da stanga). Lo stesso faceva mio nonno, sulla montagna tra i due
laghi, il Mottarone. Dalle betulle, "praticando un piccolo foro al piede del
tronco ", si faceva colare una linfa che aveva virtù terapeutiche. Anche da noi
s'usava piantare il sorbo nei pressi delle case perché i suoi rossi frutti
attiravano gli uccelli e, come raccontava Mario "era facile così catturarli, o
con il fucile o con le trappole o con il vischio " (quando "pochi erano i denari,
rara la carne e arretrata la fame"). Del mondo degli alberi mi parlava spesso
lo zio Gùstin, montanaro che aveva imparato a leggere e far di conto. L'abete
era l'albero della nascita ed a lui era dedicato il primo giorno dell'anno,
mentre le querce (come la farnia, il rovere ed il leccio ) erano sacre. Tanto
sacre che Tacito raccontava come persino le legioni romane di Cesare, in
Gallia, avessero timore ad affrontarne il taglio: credevano che, usando le
scuri contro quei tronchi, ne sarebbero usciti lacrime e sangue e i colpi si
sarebbero, poi, riversati contro di loro sui campi di battaglia. Ed è dalle
querce che i druidi celti, con il loro falcetto d'oro, recidevano il vischio, "seme
degli Dei”. Questi "echi" di vita montanara spingevano ad
un'immedesimazione spontanea nella natura, come quando lo stesso Rigoni
Stern osservava, descrivendo un frassino : ". .da giovane la sua corteccia è
liscia, di colore olivastro, con gli anni diventa grigia, rugosa e fessurata. (con
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l'età gli umani assomigliano agli alberi!) ". Infatti, lo scorrere del tempo si può
leggere nel numero dei cerchi nel tronco degli alberi ed anche nella corteccia,
così come l'avvizzirsi della pelle e l'incedere degli anni "segnano" il nostro
invecchiare. Nei boschi sul versante del Mottarone che guarda verso il
Verbano dove, fin da piccolo , sono andato "a far legna" con mio padre,
s'imparava presto a conoscere virtù e difetti degli alberi. Dal nocciolo - lungo,
dritto, uniforme nel diametro - si ricavavano il manico del rastrello e altri
attrezzi. Lo stesso si faceva con il frassino, il faggio (per la "ranza", la falce da
fieno) e il duro corniolo, per i "denti" del rastrello. La casa era riscaldata dalla
stufa a legna, ma dal taglio dell'albero all'imboccatura della stufa, ci si
"scaldava" sei, sette volte. Dopo aver tagliato la pianta (faggio o robinia,
castagno o rovere) la si "sramava", portandola, poi, fuori dal bosco, in spalla.
A pezzi lunghi fino a tre metri, trascinati per un paio di chilometri sul sentiero
fino a valle (grazie ad una corda legata all'anello fissato ad un cuneo di ferro
che si "piantava" nel tronco) gli alberi "scendevano" e, successivamente, con
il tronco di nuovo a spalla, percorrevamo un altro chilometro fino alla cascina
vicino casa dove c'erano la legnaia e la sega "circolare". Azionata con un
sistema di pulegge collegate ad un motore di Vespa V 98 "farobasso" del
1948, la sega serviva a tagliare il tronco a tocchi che poi, in ultimo, con un
colpo d'ascia ben assestato venivano spaccati a metà. Per il taglio ci si
regolava con la luna. L'influenza dell'astro d'argento apriva gli occhi su di
un'infinità di regole e di "buone pratiche".
Il legname del tetto andava tagliato ai primi di marzo così, in caso d'incendio,
le travi sarebbero rimaste sì scure, annerite, affumicate, ma sane e
riutilizzabili. Se non si voleva che il legno marcisse sotto le intemperie andava
tagliato, indipendentemente dalla luna, gli ultimi giorni di marzo, in modo da
risultare quasi impermeabile. La legna da ardere si tagliava d'inverno, da
novembre in poi, solo in luna calante. Se, poi, si voleva un bosco sano e
forte, il taglio andava organizzato per ottobre, in luna crescente. Questo lo
potevamo far noi, per le nostre necessità ma c'era anche chi seguiva un'altra
logica. Ricordo un racconto di Mauro Corona, lo scultore-alpinista-scrittore di
Erto, nella valle del Vajont. Scriveva che, tagliando in quel periodo il bosco,
questo si rigenerava, rapidamente, ma la legna tagliata in quel momento
pesava meno e, quindi, i boscaioli storcevano il naso ("minor peso, meno
guadagno"). La stessa linea di crescita di un albero era ed è importante.
Dipende da tante cose e non è uguale per tutti, anche se tutti crescono in
verticale. L'andatura può andar su dritta, ma anche girare a destra o a
sinistra. Se si vuol lavorare il legno per delle scandole o una grondaia,
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bisogna lasciar perdere quello dalla corteccia che si "avvita": prima o poi si
torcerà. Anche i fulmini "scelgono" gli alberi dove cadere. Mai su quelli ad
andatura diritta, sempre su quelli che "girano” tant'é che la "lésna", la saetta,
provoca uno squarciamento che va giù, dalla cima al piede, a spirale. Se un
albero soffre, non "butta" più, fa crescere poche foglie, occorre mozzargli
subito la cima, e farlo in luna piena. Se si è attenti e rapidi, se non è troppo
compromesso, si riprenderà, mentre con certe lune anche il solo taglio di un
ramo potrebbe essere esiziale e condurre la pianta a morte certa. Anche per
eliminare le erbacce, i nonni non usavano i diserbanti: estirpandole in luna
giusta, alla fine d'aprile, non ricrescevano più. Un cespuglio intralciava il
passaggio su di un sentiero? Per non averlo più tra i piedi bastava tagliarlo in
luna crescente, a febbraio.
La cura del bosco, le fasi lunari, le buone pratiche hanno fatto della montagna
uno straordinario contenitore di culture e di saperi. Ai tempi di mia nonna non
c'era il servizio meteo e se ci fosse stato non avrebbe saputo di che farsene.
Lei gettava lo sguardo al "bossolo" del sale grosso (quante volte mi e capitato
di sentirle dire "..Deve piovere, il sale è umido!") o alla Carlina spinosa nel
prato, le cui brattee interne sono sensibili all'umidità e quanto l'aria n'è satura
la "sentono" fino a chiudere il fiore. I tempi giusti per tagliare la legna, la
Carlina, l'impasto di colla e cloruro di cobalto per colorare il santino
segnatempo, le tavole della lunazione e lo sguardo che si perde alla sera nel
cielo, non sono lontani ricordi, impastati di nostalgia. Offrono la possibilità per
riflettere, seriamente, sul nostro tempo e sul bisogno di far "valere" i nostri
tempi. Ed avere un tempo per noi.
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