Cinemecum - Approfondimenti

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Cinemecum - Approfondimenti
di Alessandro Matta
Farrah Fawcett nei panni di Beate Klarsfeld in lotta contro i criminali
nazisti in fuga. Si è spenta giovedì scorso, stroncata da un tumore. Accanto a sè, il compagno
di una vita, Ryan O Neal, che aveva sposato appena 48 ore prima.
Chissà quanti giovani come me la ricordano, in quanti avranno collegato il suo nome,
pronunciato per lo più di sfuggita durante i telegiornali di giovedì e venerdì ai suoi successi degli
anni '70 e '80. Chissà se qualcuno l’ha immaginata nei panni di Jill Munroe nella prima storica
serie di “Charlie's Angels”. Eppure, Farrah Fawcett, icona sexy del cinema e dei telefilm inglesi
e americani degli anni '70 e '80, è un’ attrice, ancora oggi, da ricordare. Non tutti però sanno
che, tra i suoi vari ruoli, la Fawcett recitò anche in un film sulla Shoah. Nel 1986, infatti, ebbe il
ruolo di protagonista nel film “Il coraggio di non dimenticare” di Michael Lindsay Hogg. In
questo film, Farrah Fawcett offre una delle sue interpretazioni migliori, anche se con un curioso
accento austriaco, nei panni di Beate Klarsfeld. Il film inizia, nel 1960, quando Beate Kunzel,
giovane ragazza tedesca, parte per Parigi in cerca di lavoro. Beate non ha idea di che cosa sia
accaduto appena vent'anni prima nei campi di sterminio, fino a quando incontra e si innamora di
Serge Karsfeld, un ebreo francese la cui famiglia è superstite della Shoah e il cui padre è stato
ucciso a Auschwitz.
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Grazie
all'amore
di
alla sempre crescente sensibilizzazione per la memoria dello sterminio, quest'ultima, una volta
sposatasi con Serge, diventa un’ instancabile cacciatrice di nazisti in fuga. Con grande rischio
personale, si attiva dapprima in Europa poi in Sud America, per portare alla giustizia Klaus
Barbie, il "Macellaio di Lione", riuscendo, dopo tanti rischi, attentati e peripezie, a far si che la
giustizia faccia il suo corso. Il film è girato in tempi record, nei primi mesi in cui in Francia, a
Lione, stava aprendosi il processo contro il “Vero” Klaus Barbie, è basato su fatti realmente
accaduti. Beate Klarsfeld esiste davvero, è una giornalista e attivista tedesca,
internazionalmente nota per le sue campagne informative sulle persecuzioni e i crimini
perpetrati dal regime nazista; insieme a suo marito Serge Klarsfeld ha portato a conoscenza del
pubblico i particolari e le responsabilità di quei delitti i cui autori, quali Kurt Lischka, Alois
Brunner, Klaus Barbie, Ernst Ehlers e Kurt Asche, rimasero impuniti. Nel periodo in cui il film fu
prodotto, Beate era impegnata in una campagna, che ha rivelato l’importanza di Kurt Waldheim
nel tempo nazista e lo ha portato all’isolamento internazionale durante il suo tempo come
presidente federale dell’Austria.
Beate e Serge Klarsfeld hanno
pubblicato un libro commemorativo con i nome delle 80.000 vittime ebree francesi. Si sono presi
cura delle foto di più di 11.400 bambini ebrei deportati, durante gli anni 1942-44, per definire un
volto alle vittime. La ferrovia francese SNCF ha con un’esposizione itinerante(Enfants juifs
déportés de France) per la durata di tre anni. La ferrovia tedesca DB - successore del Deutsche
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Be
Reichsbahn nella cui rete sono stati deportati questi bambini - ha respinto l’esposizione nelle
sue stazioni e per “misure precauzionali” l’ha esposto nel museo di DB a Norimberga. Il
principale di DB Hartmut Mehdorn ha argomentato, che questo tema è troppo serio per una
stazione. Il ministro del traffico Wolfgang Tiefensee si è impegnato per sostenere il punto di
vista dei Klarfeld. Alla fine del 2006 Tiefensee e Mehdorn si sono
messi d’accordo di fare una nuova esposizione di DB sull’importanza del Deutsche
Reichsbahn durante la seconda guerra mondiale.
Alcuni documenti si possono vedere dal 23 gennaio 2008, anche nelle stazioni tedesche, come
parte di un’esposizione itinerante, fatta da DB, Sonderzüge in den Tod”. Beate e Serge vivono
a Parigi e continuano a lavorare per la memoria della Shoah sia nel Memorial de la Shoah –
centre de documentation juive di Parigi sia nella fondazione da loro creata, che porta il loro
stesso nome.
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