G ua rdate i gigli del campo

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G ua rdate i gigli del campo
(
Editoriale
di
Donato Sciannameo
direttore responsabile
Guardate
i gigli del campo
T
«Non datevi
pensiero per la
vostra vita,
di quello
che mangerete;
né per il vostro
corpo, come
lo vestirete.
La vita vale più
del cibo e il corpo
più del vestito»
(Lc 12, 22-23).
ra le parole del Vangelo
che maggiormente colpiscono vi è senza dubbio quella che invita ad abbandonarsi fiduciosi alla Provvidenza. Anzi, per essere ancor più franchi, dobbiamo ammettere che questa esortazione, agli occhi dell’uomo contemporaneo, suona come un vero e proprio oltraggio, un’intimazione irragionevole quanto sfrontata. E questo per una serie di motivi.
Tanto per cominciare, siamo riluttanti a credere in un qualche Dio-Provvidenza che
sovrasti, anche di un solo centimetro, la nostra elevata statura, professionale e non.
Pervicacemente vogliamo considerarci creatori, padroni, pianificatori della nostra vita e del nostro destino e non di rado anche della vita e del destino degli altri. Storicismi e provvidenzialismi di ogni genere, con la concezione di un Dio che guida la storia, la nostra e dell’umanità intera, oltre e nonostante il nostro affannoso agire, gestire, pianificare con programmi e organigrammi, decisioni e puntualizzazioni, sono
semplicemente carta straccia, ridicolo residuo di una mentalità gretta e involuta.
In secondo luogo, abbiamo difficoltà anche soltanto a concepire la gratuità: siamo abituati a prevedere e a ottenere i risultati sulla base di sottili e sofisticati calcoli
costi-benefici. Quello che conseguiamo in termini di successo e prestigio, lo dobbiamo soltanto ed esclusivamente alle nostre capacità manageriali, al nostro intuito e alla nostra abilità. Desolante illusione!
Se vogliamo arrivare fino in fondo, dobbiamo avere il coraggio di ammettere quello che non vorremmo neanche ipotizzare: per quanto ci trastulliamo nelle nostre sicurezze, queste alla fine si svelano per quello che sono, miserabili scudi all’angoscia
esistenziale che ci affianca e tartassa ogni istante, schermo per rimuovere lo sconcerto che proviamo quando, ad esempio, dobbiamo fare i conti con la morte, con la malattia, la guerra, l’avanzare dell’età che ci rende fragili e vulnerabili, le rughe che umiliano il desiderio di una eterna giovinezza… E come se non bastasse, nel nostro corre re tra programmazioni e progetti, non di rado ci ritroviamo incattiviti, esausti e con
un pugno di mosche in mano. Forse è proprio questo il momento giusto per ferm a rsi e riflettere. Dio non fa ramanzine e non ama pontificare: si mostra a noi come Padre amorevole, che si preoccupa della vera salute dei suoi figli. È addolorato per il nostro corre re forsennato verso il baratro e vuole semplicemente sollevarci dai macigni
inutili, dalle preoccupazioni velenose dicendo con la freschezza di un bambino che
noi, suoi figli, non dobbiamo preoccuparci di che mangiare e di che vestire, perché a
queste cose provvede lui, nostro Padre .
Che fare dunque? «Cercate piuttosto il regno di Dio e queste cose vi saranno date in aggiunta» (cf Lc 12, 31).
Cercare il regno di Dio: l’occupazione che non preoccupa, l’impegno che rafforza
senza sfiancare, la fatica che non appesantisce, l’attività che dona letizia.
Se ci guardiamo dentro senza distorsione, riconosceremo che è questo il desiderio riposto nella profondità del nostro cuore: vivere come gli uccelli del cielo, come i
gigli del campo… vivere sapendo che il nostro Padre non ci farà mancare nulla e in
questa certezza, gustare la gioia e la pace che questo mondo non può dare.
RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO N. 1/2 - 2011
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