Il commento del presidente Cnai, Orazio Di Renzo, sui buoni lavoro

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Il commento del presidente Cnai, Orazio Di Renzo, sui buoni lavoro
Gruppo associazioni Cnai
Martedì 5 Luglio 2016
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Il commento del presidente Cnai, Orazio Di Renzo, sui buoni lavoro
Voucher, missione fallita
L’uso improprio fa segnare boom di vendite
di Manola Di Renzo
e Matteo Sciocchetti
A
ncora una volta i voucher al centro della
tempesta. Si è costretti
nuovamente ad accendere i riflettori su questo controverso strumento, nato sì in
sordina, ma che ha visto la sua
popolarità letteralmente esplodere negli ultimi anni, acquisendo un’eccezionale seguito
tra imprenditori e lavoratori.
Notorietà che, però, si è accompagnata a un mesto rovescio della medaglia: il buono
che, infatti, era stato concepito
come uno strumento finalizzato alla risoluzione della vexata quaestio del lavoro nero, in
particolare in quei settori colpiti dalla piaga del caporalato
(quindi, ovviamente, ci si riferisce all’agricoltura e alle grandi masse di lavoratori, spesso
extracomunitari, impiegati
nelle fasi agricole stagionali),
offrendo la possibilità di una
modalità di pagamento per
prestazioni di lavoro accessorie (svincolate, cioè, dalla condizione contrattuale, in quanto
sviluppate saltuariamente), ha
finito col mancare clamorosamente la sua missione.
«Un’eterogeneità dei fini a
dir poco clamorosa: anziché
far emergere le posizioni caratterizzate da cinica illegalità,
garantendo, così, al contempo
limitate entrate occasionali
esentasse per pensionati, studenti, inattivi, disoccupati e lavoratori part-time, il successo
fin troppo esteso ha palesato il
fatto che, forse, qualcuno abbia
sfruttato il voucher per perpetrare ulteriori profili illeciti,
abusando di un paracadute
legale per situazioni di iper
precariato», commenta il presidente Cnai Orazio Di Renzo.
Importati, da paesi in cui
riscuotono un costante favore,
nel lontano 2003, i voucher non
ebbero certo, inizialmente, un
impatto clamoroso, anzi. Rigi-
Orazio Di Renzo
damente disciplinati (sin troppo), avevano originariamente
una peculiarità determinante: quella della occasionalità
del lavoro. Tale caratteristica
ne delimitava grandemente i
confini di azione, unitamente
a una precisa definizione delle
categorie dei lavoratori e dei
settori lavorativi cui potessero
essere riferiti.
«I successivi correttivi, improvvidi col senno di poi, ne
hanno minato alle fondamenta la natura: furono interventi senz’altro indirizzati a una
maggiore convenienza, ma
ottennero il risultato opposto,
con l’esito di mancare la lotta
al lavoro nero. La liberalizzazione e l’estensione delle categorie del 2008 è stato solo
il primo passo nella direzione
di una mutazione silenziosa
che è culminata con la riforma
Fornero e il Jobs act, che hanno
concluso il lavoro rimuovendo
il requisito dell’occasionalità»,
ricorda il presidente Di Renzo.
«Il dubbio che i voucher siano
sottoposti a un abuso nel loro
utilizzo è una considerazione
più che legittima se pensiamo
che dai 500 mila lavoratori, remunerati con tale strumento,
del 2008 (non considerando i
miseri 24.500 del primo anno
di vita, ndr), l’anno scorso si è
arrivati a sfiorare la cifra record di un milione e 400 mila,
per la bellezza di 115 milioni di
voucher venduti; a quel punto
anche il presidente Mattarella è dovuto intervenire con un
severo monito contro gli usi
impropri. E i recenti interventi sulla tracciabilità appaiono
più come tardivi interventi di
maquillage che come definitivi
correttori».
La natura spuria degli attuali voucher potrebbe dare adito a
controverse interpretazioni dei
buoni, indicati come favorenti
la regolarizzazione di forme di
lavoro senza contratti, quindi
del tutto privi di qualsiasi forma di tutela.
«I buoni dovevano essere sicuramente istituiti in una maniera maggiormente studiata,
che garantisse loro l’elasticità
necessaria per imporsi come
strumento valido sul mercato
del lavoro, ma che salvaguardasse gli stessi dalle disdicevoli
degenerazioni. Ora ci troviamo
tra le mani uno strumento che
necessita costantemente di
correttivi. Peccato però che le
modifiche non abbiano risolto
le criticità, anzi possiamo dire
che il voucher non ha proprio
risolto alcun problema, gene-
randone, semmai, di nuovi. Il
fitto sottobosco di attività occasionali, in particolare quelle tra
privati, ha infatti attenzionato
solo limitatamente i buoni; si
è semplicemente continuato a
gestire i rapporti saltuari come
si è sempre fatto. Infatti l’eccessiva burocratizzazione di tale
strumento, sicuramente, non
ne agevola l’uso, per esempio,
da parte di quella famiglia che
voglia affidare a un pensionato
la potatura delle proprie piante
da giardino. Il fatto, poi, che se
ne stia facendo un uso snaturato è tuttavia evidente in quanto, dai rilievi statistici, vi sono
committenti capaci di spendere
in voucher più di un milione di
euro: siamo lontanissimi dalla
mission di favorire le Pmi vessate da una discontinua attività o problemi di commesse», ancora il presidente Di Renzo, «è
possibile, quindi, fare un chiarissimo parallelo tra l’abuso
dei voucher e quello di un altro
strumento arcinoto, come è stato quello dei co.co.pro.: analoga,
difatti, la scarsa lungimiranza
di quei legislatori che hanno
concretizzato in legge le idee
dei giuslavoristi. Pochezza che
ha creato delle chimere contro
cui si sono stagliate fronde di
oppositori, che ne rilevavano
agevolmente l’illiceità».
Proprio le aziende, infatti,
sono le maggiori indiziate di
aver travisato l’obiettivo dei
voucher: moltissimi sono stati
i casi in cui i genuini sono serviti a scongiurare l’emissione
della cosiddetta maxi sanzione
del lavoro nero, che non può essere comminata se ci si trova in
presenza di una qualsiasi forma di regolarizzazione, come
sono appunto i voucher. Ecco
così spiegata un’ulteriore condizione per il loro successo.
«Gli errori o la malafede dei
vuoti normativi hanno creato
la situazione ideale per il proliferare di zone grigie e di comfort. Ormai è divenuta un triste
consuetudine constatare che
nella stanza dei bottoni manchi
una chiara visione di insieme
che permetta di intervenire in
maniera coerente e organica
sul mondo del lavoro; non possiamo far altro che sottolineare
la costante attività a «camere
stagne», in cui ogni settore di
governo agisce in maniera indipendente. In aggiunta, possiamo ipotizzare che lo stato, con
i voucher, sperasse di spremere fino all’ultimo cent anche
le prestazioni accessorie non
regolamentate, ovvero i lavori
non contrattualizzabili, ma si
è trovato in mano il più classico dei cerini. Le degenerazioni
hanno, così, offerto la sponda
ai sindacati che potrebbero
avere gioco facile nel richiedere anche per i buoni l’equo
compenso, paventando il fatto
che questi attualizzino una legalizzazione di un salario minimo senza contratto, cercando
di limitare, di conseguenza, il
costo delle assunzioni fisse di
dipendenti. Tremiamo alla sola
idea, infine, che i voucher siano
stati introdotti, più che altro,
per garantire ulteriore liquidità alle disastrate casse Inps.
Ente che pur avendo oltre il
40% del bilancio che grava sulla collettività, non riuscendo a
coprire le sue erogazioni, necessita costantemente di ulteriore,
pubblico, ossigeno», commenta
il presidente Di Renzo.
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