Il commento del presidente Cnai, Orazio Di Renzo, sui buoni lavoro
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Il commento del presidente Cnai, Orazio Di Renzo, sui buoni lavoro
Gruppo associazioni Cnai Martedì 5 Luglio 2016 37 Il commento del presidente Cnai, Orazio Di Renzo, sui buoni lavoro Voucher, missione fallita L’uso improprio fa segnare boom di vendite di Manola Di Renzo e Matteo Sciocchetti A ncora una volta i voucher al centro della tempesta. Si è costretti nuovamente ad accendere i riflettori su questo controverso strumento, nato sì in sordina, ma che ha visto la sua popolarità letteralmente esplodere negli ultimi anni, acquisendo un’eccezionale seguito tra imprenditori e lavoratori. Notorietà che, però, si è accompagnata a un mesto rovescio della medaglia: il buono che, infatti, era stato concepito come uno strumento finalizzato alla risoluzione della vexata quaestio del lavoro nero, in particolare in quei settori colpiti dalla piaga del caporalato (quindi, ovviamente, ci si riferisce all’agricoltura e alle grandi masse di lavoratori, spesso extracomunitari, impiegati nelle fasi agricole stagionali), offrendo la possibilità di una modalità di pagamento per prestazioni di lavoro accessorie (svincolate, cioè, dalla condizione contrattuale, in quanto sviluppate saltuariamente), ha finito col mancare clamorosamente la sua missione. «Un’eterogeneità dei fini a dir poco clamorosa: anziché far emergere le posizioni caratterizzate da cinica illegalità, garantendo, così, al contempo limitate entrate occasionali esentasse per pensionati, studenti, inattivi, disoccupati e lavoratori part-time, il successo fin troppo esteso ha palesato il fatto che, forse, qualcuno abbia sfruttato il voucher per perpetrare ulteriori profili illeciti, abusando di un paracadute legale per situazioni di iper precariato», commenta il presidente Cnai Orazio Di Renzo. Importati, da paesi in cui riscuotono un costante favore, nel lontano 2003, i voucher non ebbero certo, inizialmente, un impatto clamoroso, anzi. Rigi- Orazio Di Renzo damente disciplinati (sin troppo), avevano originariamente una peculiarità determinante: quella della occasionalità del lavoro. Tale caratteristica ne delimitava grandemente i confini di azione, unitamente a una precisa definizione delle categorie dei lavoratori e dei settori lavorativi cui potessero essere riferiti. «I successivi correttivi, improvvidi col senno di poi, ne hanno minato alle fondamenta la natura: furono interventi senz’altro indirizzati a una maggiore convenienza, ma ottennero il risultato opposto, con l’esito di mancare la lotta al lavoro nero. La liberalizzazione e l’estensione delle categorie del 2008 è stato solo il primo passo nella direzione di una mutazione silenziosa che è culminata con la riforma Fornero e il Jobs act, che hanno concluso il lavoro rimuovendo il requisito dell’occasionalità», ricorda il presidente Di Renzo. «Il dubbio che i voucher siano sottoposti a un abuso nel loro utilizzo è una considerazione più che legittima se pensiamo che dai 500 mila lavoratori, remunerati con tale strumento, del 2008 (non considerando i miseri 24.500 del primo anno di vita, ndr), l’anno scorso si è arrivati a sfiorare la cifra record di un milione e 400 mila, per la bellezza di 115 milioni di voucher venduti; a quel punto anche il presidente Mattarella è dovuto intervenire con un severo monito contro gli usi impropri. E i recenti interventi sulla tracciabilità appaiono più come tardivi interventi di maquillage che come definitivi correttori». La natura spuria degli attuali voucher potrebbe dare adito a controverse interpretazioni dei buoni, indicati come favorenti la regolarizzazione di forme di lavoro senza contratti, quindi del tutto privi di qualsiasi forma di tutela. «I buoni dovevano essere sicuramente istituiti in una maniera maggiormente studiata, che garantisse loro l’elasticità necessaria per imporsi come strumento valido sul mercato del lavoro, ma che salvaguardasse gli stessi dalle disdicevoli degenerazioni. Ora ci troviamo tra le mani uno strumento che necessita costantemente di correttivi. Peccato però che le modifiche non abbiano risolto le criticità, anzi possiamo dire che il voucher non ha proprio risolto alcun problema, gene- randone, semmai, di nuovi. Il fitto sottobosco di attività occasionali, in particolare quelle tra privati, ha infatti attenzionato solo limitatamente i buoni; si è semplicemente continuato a gestire i rapporti saltuari come si è sempre fatto. Infatti l’eccessiva burocratizzazione di tale strumento, sicuramente, non ne agevola l’uso, per esempio, da parte di quella famiglia che voglia affidare a un pensionato la potatura delle proprie piante da giardino. Il fatto, poi, che se ne stia facendo un uso snaturato è tuttavia evidente in quanto, dai rilievi statistici, vi sono committenti capaci di spendere in voucher più di un milione di euro: siamo lontanissimi dalla mission di favorire le Pmi vessate da una discontinua attività o problemi di commesse», ancora il presidente Di Renzo, «è possibile, quindi, fare un chiarissimo parallelo tra l’abuso dei voucher e quello di un altro strumento arcinoto, come è stato quello dei co.co.pro.: analoga, difatti, la scarsa lungimiranza di quei legislatori che hanno concretizzato in legge le idee dei giuslavoristi. Pochezza che ha creato delle chimere contro cui si sono stagliate fronde di oppositori, che ne rilevavano agevolmente l’illiceità». Proprio le aziende, infatti, sono le maggiori indiziate di aver travisato l’obiettivo dei voucher: moltissimi sono stati i casi in cui i genuini sono serviti a scongiurare l’emissione della cosiddetta maxi sanzione del lavoro nero, che non può essere comminata se ci si trova in presenza di una qualsiasi forma di regolarizzazione, come sono appunto i voucher. Ecco così spiegata un’ulteriore condizione per il loro successo. «Gli errori o la malafede dei vuoti normativi hanno creato la situazione ideale per il proliferare di zone grigie e di comfort. Ormai è divenuta un triste consuetudine constatare che nella stanza dei bottoni manchi una chiara visione di insieme che permetta di intervenire in maniera coerente e organica sul mondo del lavoro; non possiamo far altro che sottolineare la costante attività a «camere stagne», in cui ogni settore di governo agisce in maniera indipendente. In aggiunta, possiamo ipotizzare che lo stato, con i voucher, sperasse di spremere fino all’ultimo cent anche le prestazioni accessorie non regolamentate, ovvero i lavori non contrattualizzabili, ma si è trovato in mano il più classico dei cerini. Le degenerazioni hanno, così, offerto la sponda ai sindacati che potrebbero avere gioco facile nel richiedere anche per i buoni l’equo compenso, paventando il fatto che questi attualizzino una legalizzazione di un salario minimo senza contratto, cercando di limitare, di conseguenza, il costo delle assunzioni fisse di dipendenti. Tremiamo alla sola idea, infine, che i voucher siano stati introdotti, più che altro, per garantire ulteriore liquidità alle disastrate casse Inps. Ente che pur avendo oltre il 40% del bilancio che grava sulla collettività, non riuscendo a coprire le sue erogazioni, necessita costantemente di ulteriore, pubblico, ossigeno», commenta il presidente Di Renzo. 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