Azione - Settimanale di Migros Ticino Inferno bianco in Centro Italia

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Azione - Settimanale di Migros Ticino Inferno bianco in Centro Italia
Inferno bianco in Centro Italia
Catastrofe naturale – Una sequenza sismica senza precedenti e una nevicata mai
vista culminata con una valanga hanno distrutto un'intera regione
/ 30.01.2017
di Alfredo Venturi
Una sequenza sismica senza precedenti e una nevicata mai vista a memoria d’uomo: questi gli
ingredienti del dramma che ha sconvolto una vasta regione del Centro Italia, l’antica terra dei Sabini
fatta di montagne e di valli, costellata di centri abitati carichi d’arte e di storia. Un dramma
culminato nella valanga che ha travolto un albergo sulle pendici del Gran Sasso. Il paese si è stretto
attorno alle vittime, ha seguito col fiato sospeso le operazioni di ricerca dei superstiti (foto), ha
applaudito ogni volta che un sopravvissuto emergeva dalle macerie o dalla neve, e gli uomini del
Soccorso alpino stemperavano nell’entusiasmo l’ansia e la fatica. Ma poi è esplosa la polemica:
certo, i terremoti sono imprevedibili, ma la nevicata? I meteorologi non avevano forse avvertito che
nella seconda metà di gennaio una perturbazione vasta e prolungata avrebbe portato tanta neve sul
versante adriatico dell’Appennino?
E quell’albergo «incastonato fra le montagne della catena del Gran Sasso, circondato da pendii
boscosi», come recita la presentazione sulla rete e sui pieghevoli, non fu forse costruito sul
prevedibile percorso delle slavine, per di più su un terreno instabile, ghiaia e detriti, residui di una
valanga di ottant’anni or sono? Proprio attraverso quei pendii sono precipitate sulla struttura decine
di migliaia di tonnellate di neve. L’albergo è rimasto sepolto con il suo carico umano, addirittura
scivolando a valle per una decina di metri. E così si chiamano in causa non soltanto l’organizzazione
dei soccorsi e i tempi lentissimi di riattivazione delle linee elettriche, ma anche le modalità di rilascio
delle licenze edilizie e il controllo delle eventuali situazioni critiche. La polemica investe soprattutto i
ritardi burocratici, al punto che Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione,
si chiede se questi attacchi non nascondano l’inconfessato desiderio di avere mano libera negli
appalti per la ricostruzione.
Talvolta la polemica assume i caratteri dello sciacallaggio: la responsabilità dei ritardi, frutto di
normative accumulatesi nei decenni, viene scaricata direttamente sui governi in carica, e così prima
Matteo Renzi quindi Paolo Gentiloni che gli è succeduto lo scorso dicembre sono investiti da critiche
feroci. Il tema del terremoto viene inserito fra gli slogan politici: il capo leghista Matteo Salvini
accusa il governo di privilegiare i migranti rispetto alle vittime del sisma. L’ex capo della Protezione
civile Guido Bertolaso oltrepassa i limiti del buongusto attaccando chi è stato chiamato al suo posto.
Eppure Bertolaso era in carica nel 2009, quando un altro terremoto devastante colpì L’Aquila e
numerosi centri abitati della provincia, con esiti del tutto simili a quelli dell’emergenza attuale.
Gentiloni invita il paese all’unità e pone l’accento sullo straordinario lavoro delle squadre di
soccorso, che operano in condizioni così difficili.
Effettivamente è arduo immaginare un contesto meno favorevole all’intervento, dopo che metri di
neve hanno ricoperto le aree terremotate. Anche prima era difficile, fin dal 24 agosto, quando una
scossa di sei gradi Richter inaugurò la sequenza devastando Amatrice, Norcia e altri centri fra Lazio,
Umbria e Marche. Fu subito chiaro che l’assistenza alle frazioni più remote, collegate da strade
dissestate dal terremoto, avrebbe messo a dura prova i mezzi e gli uomini della Protezione civile.
Anche perché i misteriosi movimenti delle faglie, gli scontri sotterranei di materiali sospinti
dall’avanzamento verso nord della placca africana, continuavano a ripercuotersi in superficie con
una serie interminabile di scosse. Poi arrivarono i tremendi sobbalzi di fine ottobre, sei gradi e
mezzo il più forte, una scarica potentissima di energia che si accanì sulle case superstiti e sulla
macerie non ancora rimosse.
Intanto arrivavano i primi freddi, un problema supplementare per tutti coloro che non avevano
voluto allontanarsi, preferendo accamparsi nei container e nelle tende predisposti accanto ai paesi
distrutti. Ma soprattutto per gli abitanti delle frazioni isolate, molti dei quali privi di contatti
telefonici e di energia elettrica: le scosse avevano fatto cadere molti tralicci e molte case resteranno
al buio troppo a lungo. Tenuto sotto stretta osservazione dai sismologi, il continuo tremore indicava
che il fenomeno tellurico si andava lentamente spostando verso sud, culminando nelle quattro scosse
di oltre cinque gradi Richter che il 18 gennaio hanno colpito la zona in rapida successione. Intanto
su tutto questo cadeva copiosa la neve. Raggiungere i luoghi più lontani, riparare le linee elettriche,
diventava sempre più problematico.
Esemplare il caso dell’albergo Rigopiano, un resort a quattro stelle frequentato da personalità dello
spettacolo come il regista Giuseppe Tornatore e l’attore George Clooney. C’erano quaranta persone
fra ospiti e personale. Spaventati dalle continue scosse decidono di andarsene. Ma la strada che
scende tortuosa dai 1200 metri dell’albergo è impraticabile per la neve. Poco male: alle tre di quel
pomeriggio arriverà il mezzo per sgombrare il passo. Dovrebbe arrivare: in realtà si muoverà più
tardi, gli ospiti attendono nell’atrio con le valigie pronte, ma proprio durante l’attesa si scatena il
finimondo. Probabilmente destabilizzata da una scossa, un’enorme quantità di neve scivola tuonando
lungo i «pendii boscosi» che sovrastano l’albergo e lo seppellisce sospingendolo a valle. Due persone
che erano uscite a fumare assistono impotenti, uno di loro allerta la prefettura di Pescara: l’albergo
è sparito, c’è dentro la mia famiglia! Inizialmente non gli danno retta, per qualche arcana ragione si
ritiene che la notizia sia una bufala, insomma si perde tempo prezioso: altra fonte di rabbiose
polemiche.
Finalmente le squadre di soccorso raggiungono l’albergo e si mettono al lavoro. Scavano pozzi nella
neve per raggiungere il tetto dell’edificio o ciò che ne resta, poi praticano aperture per calarsi
all’interno. Lavorano in condizioni di pericolo: da un momento all’altro potrebbe muoversi un’altra
valanga. Si mettono in salvo nove persone, ogni volta un applauso liberatorio. Un profondo silenzio
accoglie invece i corpi senza vita. Non tutti hanno avuto la fortuna di trovarsi in una delle bolle
d’aria che hanno salvato i superstiti. Anche qui si aprono interrogativi che danno la stura alle
polemiche: il pericolo di valanghe era non solo evidente ma anche segnalato tre giorni prima del
disastro, perché non si è provveduto all’evacuazione? Perché non si è dato retta all’amministratore
dell’albergo, che poche ore prima aveva denunciato la «situazione preoccupante» chiedendo un
rapido intervento? Polemiche anche per una vignetta di «Charlie Hebdo» dal gusto quanto meno
discutibile: vi è raffigurata la morte in discesa libera sugli sci, con tanto di falci al posto dei
bastoncini.
Mentre gli uomini impegnati a Rigopiano continuano il loro lavoro, ben determinati a frugare in ogni
angolo alla ricerca di altri superstiti (trovano tre cani, cuccioli in ottima salute, buon segno…), si fa
strada un’altra preoccupazione. La temperatura sta salendo, questo significa che la neve diventa
instabile e si potrebbero staccare nuove slavine. Non solo: lo scioglimento potrebbe creare problemi
di eccessiva portata dei torrenti e dei fiumi, con pericolo di esondazioni. Certo ce ne vorrà di tempo
per smaltire le masse nevose che si sono accumulate su queste montagne: se un drastico
innalzamento della temperatura dovesse accelerare il processo saranno guai seri. Per tacere di
un’altra insidia: nell’area terremotata ci sono numerose dighe con i relativi invasi fra i quali il vasto
lago di Campotosto.
Si teme che le continue scosse abbiano reso instabili i declivi sovrastanti, con il rischio di frane che
riversando neve e terra nell’acqua potrebbero farle scavalcare la sommità dello sbarramento. È
quello che si chiama effetto Vajont, dal nome della diga al centro del disastro del 1963, quando
l’ondata provocata da una frana la superò precipitando a valle e andando a distruggere l’abitato di
Longarone con la morte di quasi duemila persone. Una riunione di tecnici esclude questa possibilità,
assicurando che la guardia è alta e la situazione sotto controllo.
Già oppresso dalle ben note difficoltà di bilancio e dal peso enorme del debito, il governo italiano
preme su Bruxelles perché l’Unione Europea collochi l’emergenza terremoto al di fuori dei vincoli
finanziari, liberando risorse per affrontarne il gravoso carico di spesa. Un segnale incoraggiante
giunge da Pierre Moscovici, commissario europeo per l’economia e la moneta. Il sisma che ha colpito
l’Italia, dice Moscovici, ha carattere sistemico e in questo modo va considerato. Proprio così, è una
maledizione che incombe da sempre su queste montagne ballerine. Fin dai tempi di Marco Terenzio
Varrone, l’intellettuale sabino che con il suo De re rustica inneggiò ai valori non solo economici
dell’agricoltura locale, oggi prostrata da una diabolica congiura della terra e del cielo.