Contratto per acquisto di bene mobile

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Contratto per acquisto di bene mobile
COMMISSIONE DI VERIFICA DELLE CLAUSOLE VESSATORIE
DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI VERONA
Pubblicazione della massima del parere reso dalla Commissione di
verifica delle clausole vessatorie nella riunione del 09 febbraio 2009, ai
sensi dell’art. 14, co. 16, del Regolamento della procedura camerale di
controllo delle clausole vessatorie
1. E' da presumere vessatoria, ai sensi delle lettere b) ed e) del primo comma dell'art. 33
Codice del Consumo (CdC) una clausola delle Condizioni generali di un contratto di acquisto di
beni di arredamento (nella specie, un divano), stipulato nei locali commerciali, che, nel
disciplinare il recesso senza giusta causa delle parti dal contratto, introduce una inammissibile
disparità di trattamento tra le stesse: mentre infatti l'acquirente recedente, oltre alla perdita del
corrispettivo già versato, è tenuto al risarcimento del danno, il venditore recedente è tenuto
soltanto al pagamento del doppio del corrispettivo introitato fino alla data del recesso (caparra
penitenziale ex art. 1386 c.c.).
2. Una clausola delle Condizioni generali di un Contratto predisposto, del seguente
tenore: «La consegna della merce ordinata avverrà entro il termine di 60 giorni lavorativi
decorrenti dalla data di sottoscrizione del presente contratto da parte dell'Acquirente.
L'Acquirente potrà domandare la risoluzione del presente contratto per ritardo nella consegna
dei beni una volta decorsi inutilmente 3 mesi dal termine di consegna di cui sopra; in tal caso il
venditore sarà tenuto alla restituzione degli importi già incassati. Nel caso in cui l'Acquirente
ritardasse a prendere in consegna i beni oggetto del presente contratto, sarà tenuto a
corrispondere al Venditore, oltre al prezzo pattuito per la compravendita e gli eventuali
interessi di cui all'art. 7), le spese di deposito che vengono convenute in € 5,00 per ogni giorno
di ritardo. Qualora l'Acquirente ritardasse di oltre 30 giorni la presa in consegna dei beni
senza provvedere al loro pagamento, sarà facoltà del venditore ritenere risolto di diritto il
presente contratto dandone comunicazione scritta all'Acquirente; in tal caso l'Acquirente sarà
tenuto al pagamento,a titolo di penale, di un importo pari al 30% dell'importo pattuito per la
compravendita, oltre all'eventuale maggior dannoۛ», è da ritenere vessatoria sotto molteplici
profili:
a) Il divieto per l'acquirente di esercitare l'azione di risoluzione del contratto prima
dell'inutile decorso di tre mesi dalla scadenza del termine di consegna del bene (60 gg.
lavorativi decorrenti dalla sottoscrizione), oltreché violare il principio-guida
dell'equilibrio contrattuale dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di cui al primo
comma dell'art. 33 CdC, si presume vessatorio ai sensi delle lettere r) e t) del comma 2
dell'art. 33 CdC ed evoca la nullità di protezione di cui alla lettera b) dell'art. 36 CdC, in
quanto manifestamente limitativo del diritto del consumatore di eccepire l'inadempimento
o il ritardo dell'adempimento di controparte; l'adempimento della consegna di prodotti
seriali di arredamento deve ritenersi possibile, nella normalità dei casi, ben prima del
decorso di oltre 5 mesi dalla sottoscrizione del contratto.
b) In base alle lettere r) e t) del comma 2 dell'art. 33 CdC deve presumersi vessatoria la
previsione che il venditore, qualora, decorsi i tre mesi di cui al capoverso che precede,
l'acquirente esperisca la risoluzione del contratto «sarà tenuto alla restituzione degli
importi incassati», senza alcuna menzione del doveroso maggior risarcimento del danno
da inadempimento;
c) anche volendo ritenere la locuzione riferita sub b) come ellittica e non necessariamente
preclusiva dell'azione di danno, essa contrasta con il precetto di chiara e comprensibile
redazione della clausole contrattuali di cui all'art. 35, comma 1, CdC, perché, proprio per
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tale sua incompletezza, può indurre il consumatore a ritenere che l'unico ristoro
contrattualmente concessogli sia la restituzione degli importi già pagati. Va quindi
interpretata, ex art. 1370 c.c., in senso favorevole al consumatore, ossia come vessatoria ai
sensi della lettera b) dell'art. 33 CdC.
d) Quella parte della clausola ove si prevede che «qualora l'acquirente ritardi di oltre 30
giorni la presa in consegna del bene senza provvedere al suo pagamento il venditore ha
diritto di ritenere risolto di diritto il contratto» (art. 1454 c.c.) si presume vessatoria in
quanto non riconosce all'acquirente alcuna corrispettiva facoltà di risoluzione di diritto per
l'ipotesi di analogo ritardo del venditore rispetto al termine pattuito (60 gg. lavorativi) di
consegna del bene pur dopo aver ricevuto gli acconti pattuiti.
e) Anche la penale del 30% dell'importo pattuito per la compravendita posta a carico
dell'acquirente che incorra nel ritardo di cui al punto che precede non trova alcun
bilanciamento in una corrispettiva penale a carico del venditore per analogo ritardo nella
consegna del bene.
3. Una clausola s del tenore «Alla consegna compilare modulo di conformità. Per
anomalie riscontrate successivamente costo chiamata tecnico € 55», rafforzata da altra clausola
del tenore «L'acquirente è tenuto a denunziare eventuali difetti dei prodotti compravenduti
mediante specifica indicazione degli stessi nel verbale di presa di consegna. Ulteriori eventuali
difetti non rilevabili all'atto della consegna dovranno essere denunziati, nei termini di legge,
esclusivamente in forma scritta», è giuridicamente censurabile nella parte in cui impone
all'acquirente un obbligo di immediata conferma di conformità all'atto della consegna del bene,
sono in contrasto con i diritti che gli artt. 128 e segg. CdC riconoscono all’acquirente. L'art. 132,
comma 2, stabilisce infatti che il termine per la denuncia del difetto di conformità da parte
dell'acquirente è di due mesi dalla data della scoperta del fatto, purché il difetto si sia
manifestato entro due anni dalla consegna del bene. L'unica circostanza atta ad esimere il
venditore da responsabilità è quella prevista dal terzo comma dell'art. 129 («Non vi è difetto di
conformità se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del
difetto, non poteva ignorarlo con l'ordinaria diligenza o se il difetto di conformità deriva da
istruzioni o materiali forniti dal consumatore»). Chiaro è il riferimento in questa norma ad un
difetto espressamente accettato dall'acquirente al momento della stipulazione del contratto. Ed
anche l'onere di riconoscere il difetto con l'ordinaria diligenza si riferisce al momento di
stipulazione e presuppone che in tale sede all'acquirente sia stata fatta una descrizione e
rappresentazione del bene tali da consentirgli il riconoscimento del difetto. In queste ben
circoscritte ipotesi i beni forniti sono da ritenersi conformi al contratto. In ogni altra ipotesi,
come, ad es., quando i difetti vengono riscontrati solo al momento della consegna del bene o
successivamente, la conformità o meno del bene dipende dalla coesistenza delle varie
circostanze elencate nel secondo comma dell'art. 129 CdC, tra le quali il fatto che i beni
acquistati (b) siano sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del
bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello, e il fatto che (c)
presentino la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può
ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni
pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore o dal
produttore. Orbene, è assai difficile stabilire quali difformità siano palesi oppure rilevabili solo
successivamente alla consegna (distinzione rimarcata nelle Condizioni generali), dal momento
che esse tutte, compresa quella di cui alla lettera b) dell'art. 129 CdC, implicano una valutazione
circostanziata, non esigibile nell'istantaneo atto della consegna, normalmente contraddistinto da
una debole capacità percettiva e reattiva del consumatore. La clausola contrattuale, invece,
imponendo all'accipiens un'immediata verifica in ordine alla conformità esteriore di un bene di
consumo rispetto al campione o modello presentatogli dal fornitore al momento della
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stipulazione viene a ridurre la garanzia apprestata a suo favore dalla legge, privandolo del diritto
di dolersi entro due mesi dalla scoperta di quelle difformità esteriori che per qualsivoglia motivo
gli fossero sfuggite all'atto della consegna.
4. Ne consegue che clausole limitative del diritto di denuncia della difformità da parte
dell'acquirente di un bene di un consumo entro un dato termine dalla scoperta non solo si
presumono vessatorie ma, violando la norma imperativa di cui all’art. 134, comma 1, CdC, che
vieta ogni patto volto ad escludere o limitare i diritti riconosciuti in tale materia al consumatore,
incorrono in una nullità di protezione.
5. Per la medesima ragione, nulla ai sensi del combinato disposto dell'art. 130, commi 29, e 134, comma 1, CdC, e non solo presuntivamente vessatoria, è una clausola che preveda un
costo di € 55 per la chiamata di un tecnico al fine di constatare un difetto non rilevabile all'atto
della consegna e provvedere alla sua riparazione o alla sua sostituzione (art. 130, comma 2 CdC
che «In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della
conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi 3. 4, 5 e 6, ovvero
ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi
7, 8 e 9»).
6. Quando le condizioni generali di contratto risultano specificamente approvate per
iscritto dall'acquirente, tale doppia sottoscrizione deve ritenersi improduttiva di effetti. Il
metodo del cd. «controllo formale» non è stato ritenuto adeguato dalla legislazione
consumeristica perché di fatto si traduce in un «non controllo». Inoltre le fattispecie di squilibrio
di cui all’art. 1341 c.c. sono molto meno dettagliate (formulate per categorie generali e non in
termini di esauriente casistica) di quelle variamente contemplate nelle 20 lettere del 2° comma
dell’art. 33 CdC: non vi rientrano le lettere h) i) l) m), n), p) s). Il che significa che la clausola
generale dello squilibrio contrattuale è molto più ampia della clausola di vessatorietà di cui al
secondo comma dell’art. 1341 c.c. Essendo inoltre espressione di esigenze di ordine pubblico
economico di protezione, essa si impone su altre norme o principi dell’ordinamento
ogniqualvolta ricorrano queste esigenze di protezione. Per tutto ciò la specifica approvazione
scritta delle condizioni generali da parte del consumatore equivale, in sostanza, ad una clausola
di rinuncia ai diritti del consumatore, sanzionata con la nullità dall’art. 143, comma 1, CdC (1. I
diritti attribuiti al consumatore dal codice sono irrinunciabili. È nulla ogni pattuizione in
contrasto con le disposizioni del codice).
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