Chi ama torna sempre indietro - 759662

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Chi ama torna sempre indietro - 759662
LIBRO
IN
ASSAGGIO
CHI AMA TORNA
SEMPRE INDIETRO
DI GUILLAUME MUSSO
CHI AMA TORNA SEMPRE INDIETRO
PRIMO INCONTRO
AEROPORTO DI MIAMI
SETTEMBRE 1976
ELLIOTT HA TRENT’ANNI
È una domenica pomeriggio di settembre, sotto il cielo della florida.
Al volante cli una Thunderbird decappottabile, una giovane donna percorre la strada che
conduce al terminai. Procede a velocità sostenuta, con i capelli al vento, e supera diverse auto
prima di fermarsi davanti alla sala partenze per far scendere l’uomo seduto sul sedile
passeggeri. Lui prende la borsa dal bagagliaio, si china sul finestrino e manda un bacio alla
guidatrice. Poi sbatte la portiera ed entra nell’edificio di vetro e acciaio.
L’uomo è Elliott Cooper, e ha un bel fisico longilineo. Fa il medico a San Francisco, ma
con quel giubbotto di pelle e quei capelli ribelli sembra quasi un adolescente.
Si dirige meccanicamente al check-in per prendere la carta di imbarco del volo Miami-San
Francisco.
“Scommetto che già ti manco...”
Stupito di sentire quella voce familiare, Elliott si gira di scatto.
La donna — la stessa di prima — lo guarda con occhi di smeraldo carichi di sfida e
insieme tenerezza. Porta un paio di jeans dalla vita bassa, una giacca di daino attillata su cui
spicca il distintivo “Peace and Love” e una T-shirt con i colori del Brasilè, suo Paese d’origine.
“Qual è stata l’ultima volta che ti ho baciata?” chiede lui posandole una mano sul collo.
“Ben un minuto fa.”
“Un’eternità”, mormora lui stringendola a sé.
La ragazza è Ilena, la donna della sua vita. La conosce da dieci anni e le deve tutto il
meglio di sé: è stata lei a spingerlo verso la professione di medico, lei a indurlo ad aprirsi agli
altri, lei a ispirargli un certo rigore nell’etica personale.
È stupito che lo abbia seguito al terminal: in genere preferiscono evitare i lunghi addii,
consci di come quei pochi minuti in più passati insieme procurino alla fine più sofferenza che
conforto.
Il fatto è che la loro è una storia complicata. Lei vive in Florida, lui a San Francisco.
Il loro amore a distanza deve fare i conti con i quattro fusi orari che li separano, e con i
quattromila chilometri che separano la costa est da quella ovest.
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Certo, dopo tanti anni avrebbero potuto decidere di convivere. Ma non l’hanno fatto.
All’inizio temevano il logorio indotto dall’abitudine; perché, se da un lato la quotidianità ti
rende la vita più tranquilla, dall’altro ti priva di quegli empiti del cuore che loro continuano a
provare ogni qualvolta si incontrano e da cui traggono ossigeno.
Inoltre, l’uno è ben integrato nel suo ambiente professionale sulla costa pacifica, l’altra lo è
altrettanto sulla costa atlantica. Dopo i lunghi studi di medicina, Elliott è stato assunto come
chirurgo in un ospedale di San Francisco. ilena, invece, è una veterinaria che si occupa di
orche e delfini presso l’Ocean World di Orlando, il più grande parco marino del mondo. Da
qualche mese si dedica attivamente anche a Greenpeace, un’organizzazione che comincia a
far parlare di sé. Fondata quattro anni prima da un gruppo di ecologisti e pacifisti militanti, la
lega dei «combattenti dell’arcobaleno” si è fatta conoscere grazie alla sua battaglia contro i
test nucleari. Ma Ilena è entrata nel gruppo soprattutto per partecipare alla campagna contro il
massacro delle foche e delle balene.
I due giovani hanno dunque una vita piena dove non c’è spazio per la noia. Tuttavia..,
ogni nuova separazione diventa più intollerabile della precedente.
“Imbarco immediato per tutti i passeggeri del volo 711 con destinazione San Francisco,
uscita numero 18...”
“È il tuo aereo?” domanda Ilena liberandosi dall’abbraccio.
Elliott annuisce. Poi, siccome la conosce bene, chiede: “Volevi dirmi qualcosa prima che
partissi?”
“Sì”, dice lei prendendolo per mano. “Ti accompagno al cancello di imbarco.”
Mentre gli cammina a fianco, inizia una filippica con quel lieve accento sudamericano che
a lui fa tanta tenerezza.
“Il mondo corre verso la catastrofe, Elliott: la guerra fredda, la minaccia comunista, la
corsa agli armamenti nucleari...”
Ogni volta che si separano, lui la guarda come se non dovesse rivederla più. E bella come
una fiamma.
“... l’esaurimento delle risorse naturali; per non parlare dell’inquinamento, della distruzione
delle foreste tropicali e del...”
“Ilena.”
“Sì?”
“Dove vuoi arrivare, esattamente?”
“Vorrei che avessimo un figlio, Elliott.”
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“Così, su due piedi, all’aeroporto? Davanti a tutti?” Solo questo Elliott riesce a dire: una
battuta per mascherare la sorpresa. Ilena però non ha voglia di ridere.
“Non sto scherzando, anzi ti prego di rifletterci seriamente”, gli raccomanda prima cli
staccare la mano dalla sua e dirigersi all’uscita del terminal.
“Aspetta!” fa lui cercando di trattenerla.
“Questo è l’ultimo avviso per il signor Elliott Cooper, passeggero del volo 711 con
destinazione...”
Sta per salire a bordo, quando si gira per rivolgerle un ultimo cenno di saluto.
Il sole di settembre inonda la sala partenze.
Elliott agita la mano, ma Ilena è già scomparsa.
Era scesa la sera quando l’aereo atterrò a San Francisco. Dopo sei ore di volo, erano le
nove passate in California.
Elliott stava per uscire dal terminal e prendere un taxi, quando tornò sui suoi passi. Moriva
di fame. Turbato dalla proposta di Ilena, non aveva toccato il vassoio di spuntini che gli
avevano servito in aereo e sapeva di avere il frigorifero vuoto, a casa. Alzando gli occhi vide,
al secondo piano, il Golden Gate Café, dov’era già stato con il suo migliore amico, Matt, che
a volte lo accompagnava sulla costa est. Si sedette al banco ordinando un’insalata, due bagel
e un bicchiere di chardonnay. Stanco per il jet-lag, si strofinò gli occhi; poi chiese dei gettoni,
andò alla cabina telefonica in fondo alla sala e compose il numero di Ilena. Nessuna risposta.
In Florida era mezzanotte passata. Ilena era sicuramente a casa, ma era chiaro che non voleva
parlargli.
Non c’è da stupirsene.
Tuttavia non si pentiva di avere reagito in quel modo alla sua proposta. La verità era che
lui di figli non ne voleva. Ecco tutto.
Non era questione di sentimenti. Adorava Ilena e aveva amore da vendere; eppure
l’amore non bastava. Era convinto che nel clima politico degli anni Settanta l’umanità non
stesse andando nella direzione giusta e poi, per dire la verità fino in fondo, non aveva nessuna
voglia di assumersi la responsabilità di mettere al mondo un figlio.
Un discorso che lei non voleva intendere.
Tornato al banco, finì di mangiare e ordinò un caffè. Era nervoso e, quasi senza
accorgersene, fece crocchiare le dita. Nella tasca della giacca sentì il pacchetto di sigarette
che gli lanciava il suo richiamo e non resistette alla tentazione di accendersene una.
Certo, avrebbe fatto meglio a smettere di fumare. Nell’ambiente medico si parlava sempre
di più dei danni prodotti dal tabacco. Da una quindicina d’anni la ricerca scientifica
dimostrava che la nicotina produceva dipendenza e lui, come chirurgo, sapeva benissimo che i
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rischi di cancro al polmone e di malattie cardiovascolari erano più elevati nei fumatori. Come
molti medici, però, si occupava più della salute altrui che della propria. D’altronde viveva in
un’epoca in cui era ancora normale fumare in un ristorante o su un aereo; un’epoca in cui
l’atto di fumare conservava un suo fascino e denotava libertà culturale e sociale.
Smetterò presto, ma non stasera, pensò espirando una voluta di fumo. Si sentiva troppo
depresso per imporsi un simile sacrificio.
Con aria svagata contemplò il mondo di là dalla vetrata del caffè e scorse un uomo che,
vestito bizzarramente con un pigiama azzurro cielo, sembrava scrutarlo con estrema
attenzione. Strinse gli occhi per guardarlo meglio. L’uomo era sulla sessantina, un’aria ancora
atletica e una barba corta leggermente brizzolata che lo faceva somigliare al Sean Connery
della vecchiaia. Elliott aggrottò la fronte. Che cosa ci faceva, scalzo e in pigiama, a un’ora
così tarda nel terminal dell’aeroporto?
Certo, non erano affari suoi, ma una forza ignota lo indusse ad alzarsi e uscire dal locale.
L’uomo sembrava smarrito, come fosse piombato lì da chissà dove.
Avvicinandosi, Elliott fu colto da un senso di malessere che non osò confessarsi. Chi era
quell’individuo? Forse un paziente fuggito da un ospedale o da un altro istituto? E se così fosse
stato, lui, come medico, non avrebbe avuto il dovere di aiutarlo?
Quando fu a meno di tre metri di distanza, comprese finalmente che cosa lo avesse
turbato: l’uomo gli ricordava stranamente suo padre, morto cinque anni prima per un cancro al
pancreas.
Sconcertato, fece ancora qualche passo verso di lui. Da vicino la somiglianza era davvero
incredibile: la stessa forma del viso, la stessa fossetta sulla guancia che lui aveva ereditato.
E se fosse davvero lui?
No, che cosa andava a pensare? Il padre era morto e sepolto e lui aveva assistito al suo
funerale e alla sua cremazione.
“Posso aiutarla, signore?” disse.
L’uomo indietreggiò. Dava l’impressione di una persona insieme forte e vulnerabile, e
sembrava altrettanto turbato di lui.
“lssa aiutarla?” ripeté il giovane medico.
“Elliott...” mormorò l’altro.
Come faceva a conoscere il suo nome? E quella voce! Dire che tra Elliott e suo padre non
c’era mai stata intesa era un autentico eufemismo, ma, ora che il padre era morto, il figlio a
volte rimpiangeva di non aver cercato di comprenderlo di più.
Si sentiva inebetito. Pur rendendosi perfettamente conto dell’assurdità della domanda, non
poté fare a meno di chiedergli, con voce rotta dall’emozione: “Sei tu, papà?”
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“No, Elliott, non sono tuo padre.”
Curiosamente, quella risposta razionale non lo rassicurò affatto; anzi, ebbe quasi
l’impressione che la notizia più incredibile dovesse ancora arrivare.
“Allora chi è, lei?”
L’uomo gli posò una mano sulla spalla. Con gli occhi che brillavano di una luce famffiare,
esitò qualche secondo, poi rispose: “Io sono te, Elliott”.
Elliott fece un passo indietro, poi si irrigidì come se fosse stato fulminato.
“Sono te fra trent’anni”, specificò l’uomo.
Io fra trent’anni?
Elliott allargò le braccia, senza capire. “Che cosa intende dire?”
L’uomo aprì la bocca, ma non ebbe il tempo di proferire verbo, perché un frotto di sangue
gli colò dal naso, cadendo a grosse gocce sul bavero del pigiama.
“Butti indietro la testa”, gli ordinò Elliott tirando fuori di tasca una salvietta di carta che
aveva preso meccanicamente al Golden Gate Café. La incollò al naso dell’uomo che adesso
considerava suo paziente e con tono rassicurante aggiunse: “Stia tranquillo, non è niente”.
Per un istante rimpianse di non avere dietro la valigetta da medico, comunque l’emorragia
si arrestò presto.
“Venga con me. Bisogna che le sciacqui il viso con acqua fresca.”
L’uomo lo seguì senza obiettare; appena arrivarono davanti alla toilette, fu colto
all’improvviso da un piccolo tremito che pareva l’inizio di un attacco epilettico.
Elliott fece per aiutarlo, ma l’altro lo respinse con forza, gridando: “Lasciami!” e aprendo
da solo la porta del bagno.
Frenato nello slancio, il giovane medico decise di aspettare fuori. Non voleva
abbandonare lo sconosciuto, che non sembrava affatto in buona salute.
Che strana storia. All’inizio la singolare somiglianza fisica con il padre, poi quella frase
assurda — io sono te fra trent’anni — e adesso l’epistassi e i tremiti.
Cazzo, che giornata!
La permanenza alla toilette cominciò a essere eccessiva. Elliott entrò e ispezionò prima di
tutto la fila di lavandini. Non c’era nessuno. La toilette non aveva né finestre né uscite di
sicurezza: l’uomo quindi doveva essere in una delle cabine.
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“È lì, signore?”
Silenzio. Temendo che fosse svenuto, Elliott corse ad aprire la prima porta, poi la seconda,
la terza, la quarta, fino alla decima, e non trovò nessuno.
Come ultima risorsa, alzò gli occhi al soffitto: nessun pannello spostato.
Pareva impossibile, eppure bisognava arrendersi all’evidenza: l’uomo era scomparso.
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© 2007, RCS Libri S.p.A.
Titolo originale: Seras-tu là?
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
su licenza RCS Libri S.p.A.
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