Tre volte all`inferno
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Tre volte all`inferno
Recensione Cristian Borghetti Tre volte all’inferno di Laura Platamone Tre volte all’inferno non è un romanzo. Non è nemmeno una raccolta di racconti. Le tre storie che lo compongono non hanno nulla a che fare l’una con l’altra eppure, in questo “esperimento” fuori da ogni schema, il filo conduttore c’è e sta tutto nella penna dell’autore. Nella sua voce. Pomposo, ridondante, ripetitivo. La prima impressione che si ha nel leggere quest’opera è che Cristian Borghetti abbia deciso di sfidare tutte le regole della narrativa. Il suo modo di appellare cose e persone ricorre in maniera ossessiva. Il suo rivolgersi al lettore come se dovesse di continuo stimolare la sua attenzione ha, a volte, dell’irritante. Ma non siamo di fronte all’ennesimo tentativo di uno sprovveduto emergente di darsi un tono che in verità non ha. Perché in Tre volte all’inferno tutto questo è gestito con magistrale perizia. Borghetti scrive e ogni sua parola è una spira che si stringe intorno al lettore, lo soffoca in un vortice ipnotico trascinandolo dentro l’orrore puro delle sue storie. Un orrore senza tempo perché, nonostante i riferimenti a epoche, luoghi e personaggi, in questi tre racconti c’è tutto il male che, dalla notte dei tempi a oggi, in forme sempre diverse e perverse, ha corrotto l’uomo guidandone le più malvagie imprese. In Borghetti troviamo lo stupro, l’omicidio e l’incesto, la corruzione più vile, la violenza perpetrata in nome di Dio, della scienza, dell’arte e del demonio, l’amore che si nutre di morte. Tre racconti d’orrore ma anche tre gialli, tutti infatti prendono il via da delitti inspiegabili, morti efferate che nascondono nella pieghe più profonde della loro essenza una ragion d’essere che va ben oltre la realtà. Una causa sovrannaturale, un male che sgorga direttamente dalle profondità dell’inferno e viene a muovere le azioni dei personaggi di Borghetti. Figure imprigionate in intricate ragnatele costruite da intelligenze più lontane e oscure, maschere che non fanno Tre volte all’Inferno di Cristian Borghetti PerdisaPop Edizioni 320 pagine € 18,50 56 altro che eseguire i dettami più truci di questo orrore perverso che arriva da lontano e si manifesta in amori blasfemi e sogni di sangue così reali da essere forse la realtà stessa. In un gioco di cerchi concentrici che si chiudono e si aprono continuamente straniando il lettore. Uno straniamento che non è frutto solo di trama e intrecci ma che è accompagnato, e acuito, dalla musicalità dissonante della prosa di Borghetti. Dissonante perché va oltre quello che siamo abituati a leggere e considerare narrativa. In Tre volte all’inferno troviamo tutta la forza dirompente e corrotta del decadentismo ma anche la ricca pomposità del barocco, le oscure atmosfere del gotico, immagini e personaggi legati al mito e alla cultura classica. Un gioco continuo di riferimenti che fa di questo libro un’opera veramente ricca che va ben oltre il semplice intrattenimento. D’altronde “semplice” è un aggettivo del tutto inadeguato se vogliamo accostarlo all’opera di Borghetti che serba in sé un’estrema complessità sia dal punto di vista formale sia che sotto il profilo sostanziale. Tre volte all’inferno è un libro che non va solo letto ma va “espugnato” perché alcuni passi sono così crudi da colpire dritto al cuore e allo stomaco, altri così ostici e complessi da rendere necessarie pause e riletture. È un libro che va metabolizzato, che non può essere relegato con fretta e superficialità alle letture fatte per puro diletto o piacere, ma di certo richiede uno sforzo da parte di chi legge. Sforzo che rientra, ne sono certa, tra le intenzioni che hanno mosso Borghetti nella stesura di queste storie. Lui non vuole regalare al suo pubblico l’ennesimo volume di racconti del terrore ma un qualcosa di più profondo, ragionato, un libro che sia croce e delizia, che faccia storcere il naso ma renda impossibile staccarsene. Un libro insomma che non si dimentica. Anche dopo essere arrivati all’ultima pagina, all’ultima parola. Un volume che anche dopo essere stato riposto nello scaffale continua a lasciare in bocca quell’amaro tipico di certe storie crude e oscure, che sa di bile e metallo. Il sapore del sangue che scorre copioso tra le pagine.