Capitolo 1 Il diritto amministrativo: nozioni e fonti

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Capitolo 1 Il diritto amministrativo: nozioni e fonti
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Il diritto amministrativo: nozioni e fonti
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Sommario: 1. Concetto e caratteri. - 2. Classificazione delle fonti. - 3. Le fonti secondarie. - 4. I regolamenti.
- 5. La semplificazione della legislazione. - 6. Le ordinanze. - 7. Le norme interne della P.A. - 8. La potestà
regolamentare degli enti locali. - 9. La consuetudine. - 10. La prassi amministrativa.
1. Concetto e caratteri
Il diritto amministrativo è quella branca del diritto pubblico che disciplina sia l’organizzazione
delle pubbliche amministrazioni sia la loro attività di carattere autoritario ed i loro rapporti con
gli altri soggetti dell’ordinamento di natura non paritaria. Quanto all’organizzazione, il diritto
amministrativo detta le disposizioni per la creazione e per la struttura delle amministrazioni come
pubblico potere. Quanto, invece, alla attività, esso disciplina gli atti ed i rapporti delle pubbliche
amministrazioni caratterizzati dalla posizione non paritaria dell’amministrazione procedente nei
confronti dei soggetti destinatari della loro azione (MALINCONICO).
Il diritto amministrativo presenta i seguenti caratteri:
a) è diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui
uno dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (cioè la P.A.) nell’esercizio
di potestà amministrative;
b) autonomo: in quanto, si giova di propri principi e proprie regole, diversi da quelli delle altre
branche del diritto;
c) comune: in quanto si riferisce a tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento e non soltanto a determinate categorie (ciò ha rilievo ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione del
diritto);
d) ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti, inglobando
o escludendo alcuni settori dalla propria gestione.
2. Classificazione delle fonti
Si qualificano fonti del diritto tutti «gli atti e/o i fatti produttivi di diritto, ovvero gli atti che
contengono norme giuridiche e i mezzi attraverso i quali il diritto viene portato a conoscenza
dei cittadini appartenenti ad uno stesso ordinamento» (BELLOMO).
Sono fonti del diritto italiano:
— la Costituzione;
— le leggi ordinarie dello Stato e le norme dell’Unione europea;
— le leggi regionali;
— i regolamenti;
— gli usi.
Nella Costituzione, posta al primo gradino della gerarchia delle fonti, sono contenuti i principi
ai quali si ispira il nostro ordinamento sociale ed è definita la struttura organizzativa dello Stato
italiano; essa non può essere modificata da una legge ordinaria e tutte le norme di diritto devono
conformarsi ai principi ivi contenuti.
Nel secondo gradino delle fonti si collocano le cd. fonti primarie, sottoposte esclusivamente
alla Costituzione, costituite:
— dalle leggi ordinarie;
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Libro I: Diritto amministrativo e ordinamento delle autonomie locali
— dai decreti legislativi;
— dai decreti legge, emanati dal Governo in casi di necessità e di urgenza;
— dalle leggi regionali, emanate dalle Regioni in materie non specificatamente assegnate dalla
Costituzione alla potestà legislativa statale.
Infine, nel terzo gradino della scala gerarchica sono, poi, collocate le cd. fonti secondarie
(vedi infra). Rientrano in questa categoria i regolamenti, le ordinanze, le circolari.
Vanno, altresì, menzionati i testi unici, che non rappresentano, tuttavia, vere e proprie fonti
del diritto: si tratta di testi normativi finalizzati a raccogliere ed ordinare preesistenti norme
giuridiche disciplinanti una determinata materia, emanate in tempi successivi.
3. Le fonti secondarie
Le fonti secondarie sono atti o fatti normativi subordinati alle norme di grado primario; esse,
pertanto:
— non possono derogare né contrastare con le norme costituzionali;
— non possono derogare né contrastare con tutti gli atti legislativi ordinari (fonti primarie); perciò
si dice che non hanno forza né valore di legge, ma solo forza normativa: cioè, non possono
equipararsi alle leggi ma, nei limiti di esse, hanno una loro forza giuridica quali fonti di diritto;
— possono modificare le leggi (ordinarie), solo se una legge ordinaria abbia delegificato una
materia, autorizzando atti del potere esecutivo (di solito regolamenti) a disporre norme (in
quella materia) che hanno la stessa forza di quelle emanate con la legge.
Si tratta di atti (soggettivamente amministrativi) che, rappresentando lo strumento normativo tipico per orientare
l’azione della P.A., costituiscono le fonti specifiche del diritto amministrativo.
4. I regolamenti
A) Nozione e fondamento
L’art. 14 del D.P.R. 24-11-1971, n. 1199, in materia di ricorsi amministrativi, definisce i regolamenti come «atti amministrativi generali a contenuto normativo».
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da organi del potere
esecutivo (cioè Governo, enti locali territoriali, enti autarchici, ed in certi casi anche da organi
della P.A.), ed aventi forza normativa, in quanto contenenti norme idonee ad innovare l’ordinamento giuridico, con i caratteri di generalità ed astrattezza, quindi classificabili come fonti di
produzione del diritto; in questo risiede la differenza tra tali regolamenti e quelli adottabili dagli
enti di diritto privato, assimilabili ai regolamenti cd. interni.
Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi amministrativi possono emanare regolamenti solo quando una legge attribuisca loro tale potere.
Principale norma attributiva del potere regolamentare è data dall’art. 17 L. 400/1988 che,
per l’appunto, funge da clausola generale.
B) Limiti alla potestà regolamentare
I regolamenti non possono:
— derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti;
— derogare né contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere, in un determinato settore
e per un determinato caso, di innovare anche nell’ordine legislativo (delegificando la materia);
— regolamentare le materie riservate dalla Costituzione alla legge ordinaria o costituzionale (riserva assoluta di legge);
— derogare al principio di irretroattività della legge (la legge, invece, può derogarvi, in quanto tale principio è sancito dall’art.
11 disp. prel. al codice civile e, dunque, da una fonte di pari efficacia);
— contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.);
— i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i regolamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori;
— regolamentare istituti fondamentali dell’ordinamento.
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C) Classificazione
1)A seconda dei soggetti pubblici che li emanano, i regolamenti si distinguono in:
— statali, se vengono emanati da organi dello Stato; i regolamenti statali, a loro volta si
distinguono in:
— governativi, se deliberati dal Governo ai sensi della L. 400/1988. Una importante novità
è stata, in merito, introdotta dalla L. 69/2009 che ha aggiunto, all’art. 17 L. 400/1988, il
comma 4ter, introducendo la nuova figura dei regolamenti di riordino (v. amplius infra);
— ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo o dal suo Presidente;
— interministeriali, per materie di competenza di più Ministri, da adottarsi con decreti
interministeriali;
— non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori (Prefetto, comandante
di porto etc.). Tali regolamenti, a differenza di quelli governativi, hanno portata settoriale
e la loro efficacia è limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l’autorità che li
ha emanati;
— non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni, Province, Comuni e
Città metropolitane. Possono anche essere emanati da altri enti, quali Ordini e Collegi
professionali, Camere di commercio, industria e artigianato. La potestà regolamentare è
attribuita anche alle Autorità amministrative indipendenti, che sono enti od organi pubblici
dotati di sostanziale indipendenza dal Governo e caratterizzati da autonomia organizzativa,
finanziaria e contabile (v. amplius infra).
2)A seconda che siano destinati ad operare nell’ordinamento generale o in un ambito ristretto,
i regolamenti si distinguono in:
— regolamenti esterni: sono espressione del potere di supremazia di cui l’esecutivo dispone
verso tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel territorio dello Stato. Sono fonti del diritto,
e la loro violazione costituisce violazione di legge, ricorribile in Cassazione;
— regolamenti interni: regolano l’organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo coloro che fanno parte dell’ufficio, organo, od ente. Sono espressioni del potere
di autorganizzazione dell’ente o dell’organo stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro
violazione non costituisce vizio dell’atto emanato dall’organo o ente, salvo casi eccezionali.
3)A seconda del contenuto, i regolamenti si distinguono in (art. 17 L. 400/1988):
— regolamenti di esecuzione (art. 17, comma 1, lett. a), destinati a specificare una disciplina
di rango legislativo con norme di dettaglio. Sono gli unici ammessi ad operare nell’ambito
di una riserva assoluta di legge;
— regolamenti di attuazione e di integrazione (art. 17, comma 1, lett. b), volti a completare la trama di principi fissati da leggi e decreti legislativi. Tali regolamenti non possono,
tuttavia, regolare materie riservate alla competenza regionale (per le quali il compito di
specificare la legislazione statale di principio spetta, ex art. 117 Cost., alle leggi regionali);
— regolamenti indipendenti: la lett. c), comma 1, dell’art. 17 della L. 400/1988 autorizza
il Governo a disciplinare materie in cui l’intervento di norme primarie non si sia ancora
configurato, purché non si tratti di materie soggette a riserva assoluta o relativa di legge;
— regolamenti di organizzazione (art. 17, comma 1, lett. d), che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni secondo disposizioni dettate da
legge, cui l’art. 97 Cost. riserva la disciplina di queste materie. Tale tipologia di regolamenti
non gode di autonomia, in quanto può avere natura esecutiva o attuativo-integrativa a
seconda che la disciplina di rango legislativo abbia maggiore o minore estensione;
— regolamenti delegati o autorizzati, detti anche regolamenti di delegificazione (art.
17, comma 2), che sono emanati in base ad apposite leggi che autorizzano i regolamenti
ad introdurre una determinata disciplina di una specifica materia che andrà a sostituire
quella di rango legislativo che, pertanto, si ha per abrogata dal momento dell’entrata in
vigore di quella regolamentare.
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Tale procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie coperte da riserva
assoluta di legge.
Un caso importante di delegificazione riguarda l’organizzazione e la disciplina dei pubblici uffici. La L. 59/1997
(cd. legge Bassanini), infatti, ha introdotto all’art. 17 L. 400/1988, il comma 4bis, prevedendo che l’organizzazione
dei ministeri è disciplinata da regolamenti governativi che devono conformarsi ai principi sull’organizzazione della
P.A. di cui al D.Lgs. 29/1993 (ora confluito nel D.Lgs. 165/2001);
— regolamenti di riordino (art. 17, comma 4ter, introdotto dall’art. 5 L. 69/2009), con i quali
si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di
quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo
o sono comunque obsolete. Ciò ai fini di una migliore conoscenza delle fonti normative
secondarie.
L’art. 11 L. 11/2005 (legge comunitaria annuale) prevede i regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie. In
base a tale disposizione, la legge comunitaria annuale (con la quale si realizza il periodico adeguamento dell’ordinamento
nazionale a quello comunitario) può autorizzare il Governo ad attuare le direttive comunitarie mediante regolamento, purché
si versi in materie già disciplinate ma non riservate alla legge.
La potestà regolamentare degli enti locali
Tale potestà è stata definitivamente costituzionalizzata dalla L. cost. 3/2001. La legge ha, infatti, novellato
l’art. 117 Cost., il quale al comma 6 prevede che «I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno
potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro
attribuite».
La potestà regolamentare di Comuni e Province è regolata anche dall’art. 7 D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L.), ai
sensi del quale tali enti locali, nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto, adottano regolamenti nelle materie di propria competenza.
La novità più importante è rappresentata dall’affermazione del principio per cui la potestà regolamentare
può esercitarsi su tutta l’attività tipica degli enti locali.
Il legislatore del T.U.E.L., infatti, affermando che «il Comune e la Provincia adottano regolamenti nelle
materie di propria competenza» evidenzia un margine di operatività dei regolamenti più ampio che in
passato, potendo essi disciplinare materie diverse da quelle tradizionali, oggetto di specifica elencazione
nello stesso art. 7, e materie del tutto innovative sprovviste di altra fonte disciplinare, purché specificamente
individuate e contenute nei rispettivi Statuti.
D)Impugnabilità dei regolamenti
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi e come tali possono essere impugnati
innanzi al T.A.R.
Ciò che, in concreto, ostacola la loro impugnabilità è il fatto che non ledono in via immediata
la sfera giuridica di un soggetto e, quindi, non sussiste (di solito) un concreto interesse a ricorrere
da parte del privato.
Pertanto, colui che ha interesse alla eliminazione di un regolamento o di una norma in esso
contenuta, non può impugnare di per sé il regolamento (atto presupposto), ma l’atto emanato
dalla P.A. in esecuzione del regolamento (atto presupponente) allorché tale atto venga a ledere
direttamente la sua sfera giuridica (cd. invalidità derivata). In occasione di tale impugnazione,
potrà impugnare congiuntamente anche il regolamento di cui l’atto lesivo è applicazione (cd.
doppia impugnativa).
In quei casi, invece, in cui il regolamento disponga anche in concreto e sia pertanto immediatamente lesivo di una
posizione soggettiva, la giurisprudenza amministrativa ha sempre ritenuto ammissibile l’impugnativa diretta ed immediata
del regolamento (SANDULLI).
In quanto fonte del diritto generale ed astratta, il regolamento annullato dal G.A. perderà la sua vigenza nei confronti
della generalità dei consociati.
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5. Le ordinanze
A) Concetto
Per «ordinanze» si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza,
quindi, impongono «ordini».
Le ordinanze, per essere fonti del diritto, devono avere carattere normativo, e cioè creare
delle statuizioni precettive generali ed astratte.
B) Classificazione
La dottrina prospetta la seguente classificazione:
1) ordinanze previste dalla legge per casi ordinari;
2) ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare gravità, in cui sarebbe
impossibile l’utilizzazione e l’osservanza delle norme ordinarie (bandi militari, ordinanze del
Prefetto, ordinanze eccezionali in caso di calamità pubbliche e catastrofi nazionali);
3) ordinanze di necessità o libere emanate per far fronte a situazioni di urgente necessità. La
legge attribuisce solo il potere, ma non prevede i casi concreti in cui esercitarlo né pone limiti
precisi (salvo quelli risultanti dalle leggi costituzionali e dai principi generali dell’ordinamento)
al contenuto di tali ordinanze.
C) Limiti
Le ordinanze non possono contrastare con la Costituzione e leggi ordinarie e non possono
mai contenere norme penali.
La Corte costituzionale (1) ha delimitato l’efficacia delle ordinanze di necessità ed urgenza; esse devono avere:
— efficacia nel tempo correlata al perdurare della necessità che ne ha legittimato l’adozione;
— efficacia territoriale limitata all’ambito di competenza dell’organo che le ha emanate;
— efficacia vincolata ai presupposti previsti dall’ordinamento per la loro emanazione (sussistenza della particolare necessità
o urgenza, del pericolo etc.);
— idonea pubblicazione;
— una motivazione dalla quale si evinca la ricorrenza dei presupposti menzionati.
D)Natura giuridica
In dottrina e giurisprudenza si è molto discusso in proposito. Da un lato c’è chi propende per la natura normativa delle
ordinanze, sottolineando il fatto che possono talvolta avere contenuto generale ed astratto e che possono derogare a norme
di legge sia pure per periodi circoscritti nel tempo.
Altri, invece (tesi oggi dominante), optano per la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa delle ordinanze,
proprio in virtù del fatto che essi presentano spesso il carattere della concretezza e per lo più disciplinano situazioni particolari, perdendo così il carattere della generalità.
La tesi prevalente è quella intermedia che attribuisce alle ordinanze carattere generalmente amministrativo (in quanto
sono previste per risolvere un problema circoscritto e non hanno carattere generale ed astratto) ed eccezionalmente normativo (allorquando dettano disposizioni che sebbene temporanee, hanno carattere generale ed astratto). In base a tale
tesi, pertanto, è necessario procedere caso per caso, per valutare se l’ordinanza fissi regole generali ed astratte, anche se
temporanee, assumendo la natura di atto normativo, oppure regoli casi specifici assumendo la natura di atto amministrativo.
E) Regime di impugnazione
I provvedimenti contingibili ed urgenti sono atti discrezionali della P.A.
In virtù dell’affievolimento del diritto soggettivo ad interesse legittimo, che si verifica in
presenza dell’esercizio di tale potere ampiamente discrezionale dell’autorità amministrativa, la
giurisdizione in materia di ordinanze extra-ordinem è, salva l’ipotesi eccezionale della carenza
di potere (in astratto o in concreto), demandata al G.A.
(1) C. cost. sent. n. 8 del 1956, n. 26 del 1961, n. 100 del 1987.
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6. Le norme interne della P.A.
A) Concetto
Tutte le pubbliche amministrazioni emanano norme relative al funzionamento dei loro uffici o
alle modalità di svolgimento della loro attività. Queste norme hanno come destinatari soltanto coloro
che fanno parte di una determinata amministrazione e sono qualificate dalla dottrina norme interne.
Trovano il loro fondamento:
— nel potere di autorganizzazione proprio di ogni P.A. (es.: i regolamenti interni);
— nel potere di supremazia speciale dell’organo o ufficio, nei confronti di altri organi o uffici
inferiori (es.: gli ordini interni).
Le norme interne:
— non sono fonti del diritto;
— non possono essere in contrasto con norme di legge, né con regolamenti o ordinanze;
— la loro violazione da parte di un organo amministrativo può dar luogo al vizio di «eccesso di potere»: in tal caso le «norme
interne» violate assumono indirettamente rilevanza esterna (per i terzi);
— la loro inosservanza da parte di funzionari o impiegati della P.A. può dar luogo a seconda dei casi, a responsabilità civili,
amministrative (disciplinari), contabili, o anche penali, nonché a forme di controllo repressivo-sostitutivo.
B) Le fonti delle norme interne
Le norme interne delle P.A. possono essere emanate attraverso diversi atti amministrativi:
— regolamenti: molte norme interne consistono in regolamenti interni, disciplinanti il funzionamento interno dell’ufficio;
— ordini: si tratta di atti amministrativi emanati da una autorità gerarchicamente superiore, nei
confronti di una inferiore, e contenenti un comando ad agire in un dato modo;
— istruzioni: sono atti contenenti regole di comportamento di carattere tecnico, a chiarimento
di altre norme (di legge) generali o (amministrative) particolari, ed inviati da uffici superiori
ad uffici inferiori, o talvolta da uffici tecnici ad uffici amministrativi;
— circolari: secondo parte della dottrina (Giannini) la circolare non è una figura autonoma
di atto amministrativo, bensì un mezzo di notificazione o di comunicazione di un atto amministrativo avente la più disparata natura e contenuto.
La dottrina ha individuato i seguenti tipi di circolare:
1) circolare organizzativa, contenente disposizioni sull’organizzazione degli uffici;
2) circolare interpretativa, recante l’interpretazione di leggi e regolamenti al fine di assicurarne l’uniforme interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo;
3) circolare normativa, recante precetti (norme di azione) vincolanti per le azioni successive dell’amministrazione.
Si tratta di norme interne, come tali non vincolanti all’esterno e quindi prive di efficacia lesiva all’esterno;
4) circolare di cortesia, contenente voti augurali, saluti, attestati di stima;
5) circolare informativa, tesa a informare su determinati atti o problemi, come la situazione normativa o l’orientamento della giurisprudenza.
L’efficacia delle circolari
La giurisprudenza amministrativa ha più volte avuto modo di evidenziare che le circolari amministrative
non possono essere ascritte alla categoria delle fonti normative (in tal senso, cfr. C.d.S., sez. VI, 131-2011, n. 177). Esse infatti, sono atti diretti ad organi ed uffici periferici, ovvero sottordinati, privi di
valenza normativa o provvedimentale, nonché privi di efficacia vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione (per i destinatari, invece, le circolari sono vincolanti ma solo se legittime, potendo essere
disapplicate nel caso siano (contra legem) (C.d.S., sez. V, 15-10-2010, n. 7521).
7. Gli Statuti degli enti pubblici
A) Nozione di Statuto
Per Statuto si intende un atto normativo avente come oggetto l’organizzazione dell’ente e le linee fondamentali
della sua attività. Lo Statuto è, quindi, espressione di una potestà organizzatoria a carattere normativo, che può essere
Capitolo 1: Il diritto amministrativo: nozioni e fonti
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attribuita o allo stesso ente sulla cui organizzazione si statuisce (in questo caso si parla di autonomia statutaria), oppure
ad un organo o ente diverso (cd. etero-Statuti). Per la disamina degli Statuti regionali si veda Cap. 4, Sezione Seconda,
par. 1 di questo Libro; per la disamina degli Statuti comunali, provinciali e delle Città metropolitane si veda Cap. 5, par. 1,
lett. B) di questo Libro.
B) Statuti degli altri enti pubblici
Hanno potestà statutaria molti enti pubblici. Di regola, gli Statuti di tali enti minori — che possono avere carattere di
norme interne — sono adottati dagli enti stessi ed approvati da un ente superiore (Stato o Regione): tale approvazione ha la
funzione di atto di controllo e condiziona l’efficacia dello Statuto stesso.
Per quel che riguarda l’impugnazione degli Statuti, si applica, trattandosi di fonti formalmente amministrative e
sostanzialmente normative, il regime della doppia impugnativa (dello Statuto e dell’atto esecutivo), illustrato relativamente
ai regolamenti.
Parimenti, come rilevato per i regolamenti, l’atto amministrativo violativo della previsione statutaria, attesa la forza
normativa di quest’ultima, andrà considerato viziato per violazione di legge.
8. Le fonti secondarie dubbie
Principali fonti secondarie sono, come visto, regolamenti, ordinanze e Statuti degli enti pubblici. Non mancano, tuttavia,
provvedimenti la cui rilevanza, quali fonti secondarie, è estremamente discussa. Si tratta, in particolare:
— dei bandi militari, emanati dal Comandante Supremo delle Forze Armate o dai Comandanti di grandi unità terrestri,
navali o aeree, che contrastino con le norme giuridiche vigenti in caso di guerra o di emergenza internazionale, dichiarata ai sensi dell’art. 76 Cost. Tali provvedimenti, provvisti di forza derogatoria, hanno indotto parte della dottrina a
qualificarli come atti di normazione primaria; secondo altri autori, invece, essi possono essere ricondotti alle ordinanze
di necessità, o, ancora, configurati come categoria autonoma;
— dei provvedimenti prezzo e dei tariffari, nei casi in cui sia la pubblica amministrazione a determinare unilateralmente
il prezzo o la tariffa di beni e servizi offerti. Secondo un primo orientamento, ormai risalente, tali provvedimenti sono
atti con cui vengono effettuate scelte di carattere politico sulla rilevanza sociale di beni e servizi. Per un’altra opzione, i
provvedimenti prezzo e i tariffari sarebbero veri e propri atti normativi, contenenti statuizioni generali ed astratte, applicabili, cioè, ad un numero indeterminato di casi e di destinatari. Tuttavia, poiché non è sufficiente parlare di generalità e
di astrattezza per qualificare un atto come normativo, soprattutto alla luce della considerazione che tali provvedimenti
sono connotati dalla concretezza e dalla attualità dell’interesse pubblico sotteso ad una certa determinazione di prezzi
e tariffe da parte del competente organo, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie considerano i provvedimenti in
esame come atti amministrativi generali;
— dei piani regolatori generali, che sono gli strumenti di organizzazione e pianificazione del territorio dei Comuni. Secondo
un primo orientamento, essi sarebbero regolamenti, sulla base della considerazione della generalità e della astrattezza delle
previsioni in essi contenute, che si svilupperanno solo in seguito, attraverso i successivi piani attuativi. Per una seconda
tesi, il piano avrebbe invece natura di atto amministrativo generale perché esso contiene norme concrete e subito efficaci
e anche perché i destinatari sono individuabili solo a posteriori. Una tesi intermedia, infine, accolta anche dal Consiglio
di Stato, ricostruisce tali provvedimenti come figure miste, contenenti sia prescrizioni generali che concrete;
— della Carta dei Servizi Pubblici, strumento preventivo che tutela gli utenti e che deve obbligatoriamente essere redatta
dai gestori di servizi pubblici, contenente una serie di prescrizioni dirette a misurare la qualità della prestazione erogata
agli utenti. Nei casi in cui tale Carta venga redatta da un ente pubblico, si tratta di un provvedimento amministrativo
vero e proprio; viceversa, nel caso la Carta debba essere redatta da un gestore privato, allora si ritiene che essa assuma
carattere negoziale.
9. La consuetudine
La consuetudine è la tipica fonte del diritto non scritta: consiste nella ripetizione di un comportamento da parte di
una generalità di persone, con la convinzione della giuridica necessità di esso.
Essa consta di due elementi essenziali:
— un elemento oggettivo, consistente nel ripetersi di un comportamento costante ed uniforme per un certo periodo di tempo;
— un elemento soggettivo, consistente nella convinzione della giuridica necessità del comportamento.
10. La prassi amministrativa
Si concreta in un comportamento costantemente tenuto, ma in difetto della convinzione della sua obbligatorietà. Non
è fonte del diritto, ma viene utilizzata per l’interpretazione dell’atto amministrativo al fine di chiarire l’effettivo contenuto
di una regola ambigua.
L’inosservanza della prassi non dà luogo a violazione di legge, ma può essere sintomo, se non sorretta da adeguata
motivazione, di eccesso di potere (Casetta).
 Capitolo Secondo 
Le situazioni soggettive del diritto amministrativo
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Sommario: 1. Concetto e principali distinzioni. - 2. Il diritto soggettivo. - 3. Gli interessi legittimi. - 4. Altre
situazioni soggettive: interessi semplici e interessi di fatto. - 5. Gli interessi collettivi.
1. Concetto e principali distinzioni
Con l’espressione situazioni soggettive o posizioni giuridiche soggettive si suole indicare
il complesso di diritti, poteri, obblighi di cui un soggetto può essere titolare nell’ambito dell’ordinamento giuridico.
Dette posizioni si distinguono in attive o di vantaggio (in quanto costituiscono esercizio di
libertà o discrezionalità), e passive o di svantaggio (in quanto strumentali e funzionali alla restrizione della sfera giuridica del titolare). Tra le posizioni attive particolare rilievo assumono le
figure del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo.
Dalle posizioni giuridiche soggettive vanno tenuti distinti gli status ovvero la posizione complessiva di un soggetto
nell’ambito della collettività generale o di un corpo sociale minore, caratterizzata da una particolare sfera di capacità, diritti,
doveri etc. Si parla, così, di status di cittadino o di straniero riguardo alla collettività statale, di figlio naturale o legittimo,
di celibe, vedovo o coniugato, con riguardo alla posizione nell’ambito della famiglia. Gli status non rappresentano, quindi,
determinate posizioni soggettive, ma le implicano, sono cioè, presupposti di una sfera di capacità.
2. Il diritto soggettivo
Il diritto soggettivo è quella posizione giuridica suppletiva di vantaggio che l’ordinamento
giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene,
nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso in modo pieno ed immediato.
La figura del diritto soggettivo è oggetto di particolare attenzione, al fine di distinguerla da quella dell’interesse legittimo, in quanto la ripartizione della giurisdizione fra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, nelle controversie
coinvolgenti la Pubblica Amministrazione, è stabilita dalla legge (L. 2248/1865), in base alla natura della posizione giuridica
soggettiva lesa; infatti:
— se chi agisce è titolare di un diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione, è tenuto ad adire il giudice ordinario, salvi i casi in cui il diritto soggettivo si è costituito in una materia devoluta dalla legge alla competenza
giurisdizionale esclusiva del G.A.;
— se chi agisce, invece, è titolare di un interesse legittimo nei confronti della P.A., può ricorrere soltanto innanzi al giudice
amministrativo.
Tipica del diritto amministrativo è la distinzione tra:
— diritti soggettivi perfetti: sono quelli attribuiti in maniera diretta ed incondizionata al soggetto; il loro esercizio è libero, non condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della P.A.
la quale non può neppure incidere sfavorevolmente su di essi, comprimendoli o estinguendoli
con un proprio provvedimento;
— diritti soggettivi condizionati: sono quelli il cui esercizio è subordinato ad un provvedimento
amministrativo permissivo (o autorizzatorio) ovvero sui quali la P.A. può incidere sfavorevolmente comprimendoli o estinguendoli con un proprio provvedimento. In relazione a tali due
ipotesi avremo dunque, rispettivamente, diritti in attesa di espansione e diritti suscettibili
di affievolimento.
Capitolo 2: Le situazioni soggettive del diritto amministrativo
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3. Gli interessi legittimi
A) Nozione
L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva individuale che ha trovato riconoscimento nel nostro ordinamento con la L. 5992/1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di
Stato, quale giudice di quegli interessi sostanziali diversi dai diritti soggettivi che fino ad allora
erano rimasti del tutto sforniti di tutela.
Di interesse legittimo si occupano espressamente anche tre norme della Costituzione, gli artt.
24, 103 e 113, tese appunto a riconoscere a tali interessi piena dignità e tutela, ma in realtà nessuna di esse, né altra norma positiva, si occupa di fornire una definizione di interesse legittimo.
Tale espressione si deve alla dottrina, la quale si è subito preoccupata di individuarne la portata, al fine di riconoscere agli interessi legittimi piena autonomia rispetto ai diritti soggettivi.
In particolare, l’interesse legittimo viene definito come la posizione giuridica soggettiva
riconosciuta ai privati grazie alle quale essi incidono sull’attività amministrativa condizionandola, anche attraverso la partecipazione al procedimento per tutelare un bene
pertinente alla loro sfera di interessi (NIGRO).
Mentre il diritto soggettivo è una posizione autonoma, perché compiutamente configurata dalla stessa previsione di
legge, e dunque spettante ad una persona sulla base di un titolo che può avere la natura più varia, ma che non dipende da una
pubblica amministrazione (sono proprietario di una casa perché l’ho comprata o ereditata), l’interesse legittimo si esprime
in termini di posizione inautonoma in quanto l’utilità sperata cui tende l’interesse del privato dipende dalla intermediazione
provvedimentale dell’Amministrazione pubblica (PALMA). L’interesse legittimo è necessariamente correlato all’esercizio
del potere amministrativo, come disciplinato dalla norma cd. di azione: il provvedimento amministrativo subentra
comunque, o come oggetto di un’aspirazione (domanda di concessione di suolo pubblico per installarvi un’edicola) o
come oggetto di una ripulsa (impugnazione del decreto di espropriazione).
L’interesse legittimo è interesse differenziato e qualificato: differenziato in quanto il suo titolare
si trova, rispetto all’esercizio di un potere pubblico, in una posizione differenziata rispetto a quello
della generalità dei consociati; qualificato, perché la norma giuridica lo riconosce come meritevole di tutela e ne impone la considerazione all’amministrazione procedente (Malinconico).
L’interesse legittimo concreta, in quanto tale (v. art. 113, comma 1, Cost.) una posizione:
—
—
—
—
giuridica in quanto si sostanzia in un potere giuridico avente la struttura della pretesa;
soggettiva, in quanto riconosciuta al singolo soggetto a tutela di un suo interesse materiale;
sostanziale, in quanto preesiste alla eventuale lesione di essa;
autonoma rispetto all’azione giurisdizionale derivante dall’eventuale lesione.
Alla luce della riforma introdotta dalla L. 15/2005 e, in particolare, con l’inserimento dell’art. 21octies nella L. 241/1990,
è stata ulteriormente riconfermata la natura sostanziale dell’interesse legittimo, nel senso che esso si correla ad un interesse
materiale del titolare ad un bene della vita. Dalla lettura del precitato articolo si evince, infatti, che la lesione dell’interesse
legittimo intanto può dirsi esistente, in quanto la violazione delle regole, nella quale la P.A. è incorsa, abbia pregiudicato la
possibilità di realizzazione dell’interesse materiale.
Tale concezione sostanzialistica dell’interesse legittimo, collegata alla conservazione o acquisizione di un bene della vita
e che va oltre la mera pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa, ha ricevuto definitiva consacrazione anche nella
legislazione successiva, soprattutto in ordine alle sue modalità di tutela.
L’effetto più importante prodotto dalla nuova impostazione dell’interesse legittimo si è avuto, infatti, proprio con riferimento alla tutela processualistica: il giudizio amministrativo è gradualmente divenuto sempre più un giudizio sul rapporto più
che sull’atto in sé, nel senso che la sua finalità è quella di fornire una tutela adeguata alla pretesa fatta valere, andando oltre
il solo sindacato sulla legittimità dell’atto. Questa trasformazione è oggi tangibile nel Codice del processo amministrativo,
approvato con il D.Lgs. 2-7-2010, n. 104, che sancisce il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
B) Distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi
Dottrina e giurisprudenza hanno proposto vari criteri distintivi fra diritti soggettivi ed interessi legittimi.
La differenza tra le due posizioni, secondo GUICCIARDI, va riferita alla natura della norma;
l’Autore, infatti, divide le norme in due categorie:
a) norme giuridiche di relazione: regolano i rapporti tra la P.A. ed i cittadini, attribuendo diritti
ed obblighi reciproci; esse tracciano la linea di demarcazione tra la sfera della P.A. e quella del
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Libro I: Diritto amministrativo e ordinamento delle autonomie locali
cittadino e la loro violazione da parte della P.A. comporta la lesione di un diritto soggettivo del
cittadino;
b) norme di azione: regolano l’esercizio dei poteri della P.A., imponendole un determinato comportamento. Se la P.A. viene meno a tale comportamento essa lede un interesse (legittimo o
semplice) del cittadino.
Un altro criterio di distinzione si fonda sulla natura vincolata o discrezionale dell’attività
esercitata: nei confronti di un atto vincolato il privato può vantare un diritto soggettivo perfetto;
nei confronti di un atto discrezionale può vantare solo un interesse legittimo.
Un terzo criterio, largamente utilizzato in giurisprudenza, si fonda sulla distinzione tra carenza assoluta e cattivo esercizio del potere; in particolare:
— nel caso di cattivo uso, da parte della P.A., del proprio potere discrezionale, sussistendo
una norma di legge che attribuisce alla P.A. il potere di emanare l’atto, si avrà solo la lesione
di un interesse legittimo, rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’emanare
l’atto, osservi i limiti, le forme ed il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere
(interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa);
— nell’ipotesi di carenza assoluta di potere, quando cioè manchi in radice il potere discrezionale
della P.A. di interferire nella sfera giuridica del privato, ovvero non sussistano i presupposti di
fatto che consentano l’esercizio di tale potere, l’atto amministrativo è considerato inidoneo
ad incidere legittimamente sul diritto soggettivo del privato, che quindi sussiste nella sua
integrità e può essere fatto valere davanti al giudice ordinario.
Pertanto, tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’amministrazione, si fa valere un
interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e la giurisdizione è del G.O. quando si contesta la stessa esistenza del potere. In tal modo si è posto il collegamento seguente: carenza di potere-diritto soggettivo, cattivo uso del potere-interesse legittimo.
Tipologie di interessi
Nell’ambito della categoria degli interessi legittimi, in base al tipo di interesse materiale protetto (NIGRO),
si distingue tra:
— interessi legittimi pretensivi: si sostanziano in una pretesa del privato a che l’amministrazione adotti
un determinato provvedimento o ponga in essere un dato comportamento;
— interessi oppositivi: legittimano il privato ad opporsi all’adozione di atti e comportamenti da parte
della pubblica amministrazione, che sarebbero pregiudizievoli per la propria sfera giuridica.
Una diversa dottrina (GIANNINI), seguita dalla giurisprudenza, distingue tra:
— interesse sostanziale: considera il momento in cui l’interesse del privato ad ottenere o a conservare
un bene della vita viene a confronto con il potere della P.A. di soddisfare l’interesse o di sacrificarlo;
— interesse procedimentale: è l’interesse del privato che emerge nel corso di un procedimento amministrativo. Tali interessi possono essere fatti valere in giudizio al fine di eliminare quegli atti e quei
comportamenti preclusivi della prosecuzione del procedimento.
Vanno, poi, menzionati gli interessi discrezionalmente protetti, ossia quegli interessi protetti non a
livello di ordinamento generale, bensì al livello di ordinamento particolare dell’amministrazione. Questi interessi non sono tutelabili davanti al giudice, ma esclusivamente davanti all’amministrazione (ad
esempio, tramite i ricorsi amministrativi). Tra essi è possibile inserire quelli relativi al merito dell’azione
amministrativa, cioè alla opportunità (o meno) della scelta operata dall’amministrazione. Scelta che, di
regola, non è direttamente sindacabile o sostituibile dal giudice, ma che può trovare riesame nell’ambito
dell’amministrazione e con una revisione della scelta da parte della stessa autorità o di altra in genere
gerarchicamente sopraordinata (così Malinconico).
C) Tutela dell’interesse legittimo alla luce del diritto dell’Unione europea
L’avvento del diritto dell’UE e la sua sempre più profonda penetrazione nel tessuto normativo
nazionale pongono delicati problemi sia in relazione ai confini che alla stessa sopravvivenza della
nozione, tipicamente nazionale, di interesse legittimo.
Capitolo 2: Le situazioni soggettive del diritto amministrativo
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Segnatamente, occorre, nell’indagine in esame, prendere le mosse da due presupposti:
1) il diritto dell’UE non conosce la categoria, prettamente nostrana, di interesse legittimo;
2) il principio di supremazia e di effettività del diritto dell’UE impongono che le situazioni soggettive di rilievo europeo, ossia le posizioni create e protette dalle fonti europee, non possano
subire un vuoto o una minorazione di tutela sotto il profilo qualitativo una volta immesse
nell’ordinamento giuridico nazionale.
Il punto 1) riporta ad una sentenza della Corte di Giustizia (sentenza 5-3-1980, in causa n. 265/78)
che esclude per il diritto comunitario la possibilità di spingersi fino al punto di sindacare la scelta
nazionale in punto di qualificazione della posizione soggettiva e di designazione del giudice naturale.
La scelta del giudice naturale è pertanto rimessa all’ordinamento interno — ossia alla Costituzione attraverso l’interpretazione delle fonti primarie — che può insindacabilmente sancire la
giurisdizione del giudice amministrativo.
Circa il punto 2), si è osservato che il giudice nazionale deve disapplicare tutte le norme processuali che possano recare pregiudizio all’obiettivo dell’effettività della tutela del diritto dell’UE.
D)La risarcibilità degli interessi legittimi
In materia di lesione di interessi legittimi e risarcibilità di questi ultimi si veda il Cap. 11,
par. 5 di questo Libro.
4. Altre situazioni soggettive: interessi semplici e interessi di fatto
A) Interessi semplici
Sono quegli interessi vantati dal cittadino nei confronti della P.A. a che questa, nell’esercizio
del suo potere discrezionale, si attenga a criteri di opportunità e convenienza (cd. merito amministrativo). Essi sono tutelabili solo amministrativamente attraverso lo strumento del ricorso
gerarchico (si parla, dunque, di interessi amministrativamente protetti), salvi i casi tassativamente
indicati dalla legge in cui il privato può adire il G.A. per vizi di merito.
B) Interessi di fatto
Sono gli interessi, non qualificati né differenziati a che la P.A. osservi i doveri giuridici posti a
suo carico ed a vantaggio della collettività non soggettivizzata:. si pensi, ad esempio, all’interesse
a che le strade siano ben mantenute, ben illuminate etc.
Gli interessi di fatto sono del tutto irrilevanti per il diritto e non ricevono alcuna tutela; essi
non sono interessi giuridici e come tali non possono neanche legittimare la partecipazione al
procedimento o la richiesta agli atti della P.A. (la legge 241/1990 richiede per entrambi gli istituti
la titolarità di interessi giuridicamente rilevanti). L’unica garanzia riconosciuta a tutela di tali
interessi sta nell’obbligo di buona amministrazione che grava sulla P.A. I privati possono, con reclami, far rilevare tali mancanze: trattasi, però, di mere denunce, di cui la P.A. può non tenerne
conto. Solo in casi eccezionali (e segnatamente nelle ipotesi in cui l’ordinamento accorda azioni
popolari), i cittadini possono esperire azioni a tutela di interessi di fatto.
5. Gli interessi collettivi
Sono quegli interessi (es. interesse alla salute, alla tutela dell’ambiente) che fanno capo ad una
ben determinata collettività di individui quali associazioni culturali, partiti, comitati di cittadini etc.
Si distingue tra interesse collettivo e interesse diffuso:
a) interessi diffusi (o adespoti) sono quelli comuni a tutti gli individui di una formazione sociale
non organizzata e non individuabile autonomamente;
b) interessi collettivi (o di categoria) sono, invece, quelli che hanno come portatore un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (es. ordini professionali,
associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile.
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Libro I: Diritto amministrativo e ordinamento delle autonomie locali
A) Caratteristiche e figure principali
L’interesse collettivo è:
— differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè ad una organizzazione di
tipo associativo che si distingue tanto dalla collettività che dai singoli partecipanti; da ciò
consegue che la lesione dell’interesse collettivo legittima al ricorso solo l’organizzazione e
non i singoli che di essa fanno parte;
— qualificato, nel senso che è previsto e considerato sia pure indirettamente, dal diritto oggettivo.
La proliferazione sempre maggiore di nuovi gruppi organizzati e di associazioni di tipo internazionale ha notevolmente
contribuito alla graduale trasformazione in interessi collettivi di alcuni diritti. Tra di essi si annoverano:
a) l’interesse alla tutela dell’ambiente (art. 2 Cost.);
b) il diritto alla salute (art. 32 Cost.);
c) l’interesse del consumatore alla genuinità dei prodotti ed a un equo costo degli stessi.
B) Tutela degli interessi collettivi
Discusso è il problema della tutelabilità davanti al giudice degli interessi collettivi.
Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, in tema di tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi, ha elaborato il criterio procedimentale. Trattasi di un criterio in forza del
quale la legittimazione processuale va ricollegata alla partecipazione procedimentale: quando, per
legge, l’organizzazione è ammessa a partecipare alla fase della formazione del provvedimento
amministrativo, si deve ritenere configurabile in capo alla medesima un interesse differenziato
e qualificato, con conseguente sua legittimazione ad impugnare il provvedimento, ove questo si
riveli lesivo di un suo interesse.
Il suddetto criterio assume un particolare rilievo pratico alla luce dell’intervento della L. 241/1990, la quale, all’art. 9, ha
sancito la legittimazione procedimentale dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati. Si può, quindi,
ritenere che tale norma costituisca una fonte normativa generale della legittimazione processuale dei portatori di interessi
diffusi, con la conseguenza che la legittimazione processuale stessa va ascritta a tutte quelle organizzazioni siano abilitate a
partecipare al procedimento amministrativo successivamente sfociato nell’atto da impugnare.
C) Le azioni collettive (class action)
La L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), attraverso l’inserimento dell’art. 140bis nel D.Lgs.
205/2006, come successivamente sostituito dall’art. 49 L. 99/2009, ha introdotto nel nostro
ordinamento l’azione di classe (cd. class action). Si tratta di un’azione collettiva condotta da
uno o più soggetti che richiedono il risarcimento del danno non solo a loro nome, ma per tutta
la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subito il medesimo illecito.
L’attuale disciplina, in vigore dal 1° gennaio 2010 (ex D.L. 78/2009, conv. in L. 102/2009), dispone che attraverso la
class action sono tutelabili:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione
identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche
a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o
da comportamenti anticoncorrenziali.
Nelle ipotesi sopra delineate, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni
cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per
la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
Una diversa ipotesi di azione collettiva è quella prevista dal D.Lgs. 20 dicembre 2009, n.
198, in attuazione dell’art. 4 L. 15/2009 (cd. Riforma Brunetta).
Tale azione collettiva funge da strumento di controllo giudiziale, quindi esterno all’apparato amministrativo, sulla qualità, tempestività ed economicità dei servizi pubblici resi alla
collettività dei cittadini.
Secondo l’impostazione del D.Lgs. 198/2009, l’azione de qua è esperibile, dinanzi al G.A. — in sede di giurisdizione
esclusiva — sia da singoli cittadini che da associazioni, in caso di lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità
Capitolo 2: Le situazioni soggettive del diritto amministrativo
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di utenti (interessi omogenei), derivante da inefficienze del servizio pubblico, come il mancato rispetto dei tempi previsti o
degli standard di qualità o la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori non aventi contenuto normativo.
Sotto il profilo soggettivo, la class action è esercitabile nei confronti sia delle P.A. (eccetto autorità amministrative indipendenti,
Presidenza del Consiglio, organi costituzionali) che dei concessionari dei servizi pubblici (ad es., Trenitalia, Autostrade, Rai).
La più importante differenza tra l’azione contro la P.A. e quella civilistica ex art. 140bis del Codice del consumo è data
dalla impossibilità, in merito alla prima, di avanzare pretese risarcitorie, essendo lo strumento volto esclusivamente ad
ottenere il ripristino del «corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio».
La sentenza di accoglimento contiene l’ordine alla P.A. di adempiere entro un congruo termine. Laddove la P.A. non
adempia all’ordine giudiziale, sarà possibile ricorrere al giudice amministrativo per l’ottemperanza dello stesso.