Note XIV grado 1

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Note XIV grado 1
Silvano Danesi
Nulla dies sine linea
Considerazioni sull'attivazione del 14° grado
Fatta la necessaria premessa che il Rito Scozzese è la felice risultante di un assemblaggio di
riti avvenuto nella seconda metà del Settecento, avente come asse principale il Rito di
Perfezione o di Héredom e come autori principali Etienne Morin e Alexandre François
Auguste, marchese di Grasse e conte di Tilly, evitando così attribuzioni leggendarie e
storicamente inesistenti, è d'uopo ricordare che l''attivazione del 14° grado del Rito
Scozzese Antico ed Accettato, avvenuta nell'ambito della piramide scozzese che ha come
base simbolica la Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana degli A.L.A.M., ha assunto un
valore di restauro tradizionale che, consentendo una maggiore leggibilità del percorso dei
gradi scozzesi, ricolloca all'interno del Rito Scozzese l'intera valenza della tradizione
dell'Arco Reale, nei confronti della quale va esercitata la necessaria analisi critica, per non
incorrere in un fideismo religioso, dimentico della essenziale considerazione, che traggo da
Umberto Gorel Porciatti (Simbologia massonica, Atanor), che la "Tradizione ha un'anima
sua che è il simbolo; il simbolo, chiave dei misteri dell'antichità, che nulla ha perduto dei
suoi pregi, costituisce un soffio di vita che vive nella Tradizione, la quale muore se non si
custodisce il simbolo con la più appassionata cura".
Il riferimento all'Arco Reale, come vedremo, consente di intravvedere, oltre la camicia di
forza del protestantesimo hannoveriano, un possibile legame diretto con la tradizione
primordiale, che René Guenon identifica in quella iperborea, la cui congiunzione con quella
occidentale egli identifica nel druidimo.
L'attenzione che viene posta al 14° grado ci dà la possibilità, inoltre, di rileggere, nella loro
indubbia cripticità, le leggende relative alla chiave che consente, secondo la tradizione, di
pronunciare correttamente la "Parola Indicibile". Il 14° grado e il 13°, che ne è la necessaria
e inscindibile premessa, costituiscono un passaggio essenziale in quanto "formulano –
come afferma Porciatti – per la prima volta la pronuncia vera del Nome Ineffabile,
insegnando, sotto un velo molto denso, che essa non ha nulla a vedere con Jéhovah né con
Javeh, né con nessun'altra delle pronunce adottate dai vari culti esteriori, ma è quella che il
Profeta Enoc, Padre della cabbala, scoprì in fondo alla Volta Sacra – l'Anima umana – ed è
Hi-Ho, Lui – Lei, Deis-Deus". 1
Sia pure mantenendo il riferimento della lingua e della mitologia ebraiche, adottate in
quanto la lingua ebraica era considerata, come egli stesso asserisce, nel Settecento e
Ottocento la lingua sacra (non si conoscevano il sanscrito, l'egizio, il sumero, ecc. ecc. ) e
affidandosi alla Cabbala, Porciatti ci indica il passaggio fondamentale da un riferimento
giudaico cristiano ad un altro non sussumibile in alcuna religione.
L'attivazione del 14° grado, pertanto, assume il significato di un'indicazione di ricerca che
va ben oltre la riattivazione formale e rituale di un grado assopito.
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Le leggende e alcune simbologie sottostanti
La leggenda alla quale si riferisce il 14° grado narra della "Parola indicibile" e del modo con
il quale pronunciarla.
Rivelato a Mosè, tale modo fu custodito da Mosè nell'Arca e quando questa fu conquistata
dagli Assiri, un leone li mise in fuga. Quando il Gran Sacerdote si recò sul luogo dove
giaceva l'Arca, trovò un leone accovacciato che teneva nelle fauci la chiave. Così la
pronuncia della "Parola Indicibile" fu ritrovata.
La leggenda del 14° grado, per essere compresa, trova la sua necessaria premessa in quella
del 13° (Cavaliere del Real Arco) nella quale si narra che il profeta Enoch, illuminato da un
sogno divino, nascose sotto uno dei nove archi, portanti ognuno di essi una qualità del
G.A.D.U., un Delta o un triangolo equilatero in agata sul quale stava scolpito in oro il
"Nome Indicibile" dell'Essere Supremo. Con il Delta egli nascose pure due colonne: una di
marmo, sulla quale era incisa la chiave per pronunciare il "Nome Indicibile", l'altra in
bronzo sulla quale aveva scritti i principi della scienza.
La colonna di bronzo e il Delta vennero ritrovati in fondo alla nona volta.
La colonna di marmo non venne ritrovata. La chiave fu perduta, ma nel 14° grado viene
ritrovata.
La simbologia sottostante alla leggenda mette in evidenza alcuni elementi interessanti, tra i
quali uno di essi appare come centrale: il leone.
Nel 13° grado abbiamo nove archi, che portano 9 qualità del G.A.D.U. e la colonna di
bronzo viene ritrovata sotto la nona volta. Il 9 ha un'importanza fondamentale.
Enoch nasconde un triangolo equiangolo di agata sul quale è inciso in oro il "Nome
Indicibile" e due colonne: una di bronzo con i principi della scienza e una di marmo con la
chiave della pronuncia del nome.
Il triangolo e la colonna di bronzo sono ritrovati. E' così recuperata la cognizione della
geometria sacra, dei principi della scienza e del "Nome Indicibile", scritto in oro (aur=luce)
su un supporto di agata (dal greco agathé, dal significato di virtù e bene).
Il "Nome Indicibile" è scolpito pertanto in "luce" su un supporto triangolare di virtù.
Il triangolo equilatero è simbolo della forma e il nominare è determinare, manifestare.
Un nome di luce inciso nella forma, che ha come supporto la virtù (la forza), è
simbolicamente l'uscire dell'Essere informale, e pertanto non conoscibile, nel campo della
forma, per essere nominato (nominarsi), determinato (determinarsi) e reso (rendendosi)
pertanto conoscibile.
Delta è la prima lettera del vocabolo greco Dynamis (υναμις) che sta per forza, potenza o,
meglio: possibilità di produrre un mutamento o di subirlo.
La chiave che ci dà la pronuncia è la chiave della manifestazione; è la potenza del verbo, del
Logos. Che sia il Logos la chiave è indicato simbolicamente dal leone.
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Il leone è simbolo di potenza, di sovranità, ma anche del sole, dell'oro, della forza
penetrante della luce e del verbo.
Krishna è il leone tra gli animali. Buddha è il leone degli Shakya. Cristo è il leone di Giuda.
Il leone è la potenza della shakti, dell'energia divina.
La chiave è nelle fauci del leone, ossia nel suo ruggito, che mette in moto l’energia divina.
La “Parola indicibile” è il Verbo, il Logos e poiché, come insegna Giovanni: “In Arché era
il Logos e il Logos era presso Theon e il Logos era Theos”, il Logos-Leone non è altro che
l'Arché che, pronunciandosi, si rende evidente, ossia conoscibile (vid-vedere) come ente. E
Giovanni ci guida alla Parola che diviene dicibile, pronunciabile, se noi diciamo di noi
stessi: “Io sono la via, la verità e la vita”.
La parola è, dunque, azione creatrice.
Questa affermazione, questa Parola, introduce il tema della salvezza.
La salvezza
La soteriologia (dal greco soteria= salvezza e logos=parola, ragionamento) è lo studio della
salvezza nel senso di liberazione da uno stato o da una condizione non desiderata.
Alcune soteriologie enfatizzano l'unione con Dio o con gli Dèi o la relazione con Dio o
con gli Dèi, mentre altre enfatizzano più fortemente il coltivare la conoscenza o la virtù.
Il primo approccio rimanda più propriamente al concetto di redenzione, laddove la
liberazione è connessa con il concetto di riscatto e presuppone l’intervento esterno di un
agente riscattante.
Nel secondo approccio riscontriamo un evidente collegamento con il percorso massonico.
Nel rituale, alla domanda: "A quale scopo ci riuniamo?", il Primo Sorvegliante risponde:
"Per edificare Templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio, lavorare al bene
e al progresso della Patria e dell'Umanità".
L'intero percorso massonico è volto alla conoscenza e in particolare alla conoscenza di se
stessi. Gli antichi Egizi dicevano che l'uomo è venuto al mondo per conoscere il proprio
nome segreto (Ren) e conseguentemente seguire la retta via che, detto con parole di un'altra
cultura, ottimizza il karma, ossia l'azione. Conoscere la retta via con la quale si manifesta il
karma è conoscere il proprio destino ed essere capaci di realizzarlo al meglio.
E' interessante notare come il concetto di karma, particolarmente sviluppato nelle culture
orientali (induismo, buddismo) possa, in ambito greco, essere fatto risalire al termine
carmé, l'ardore bellico (connesso con kairo, karmene e, appunto, karma). Termine, quello di
karmé, che in origine significava "gioia", la gioia del guerriero di dare libero sfogo alla sua
energia. In questo ambito semantico, possiamo attribuire al termine karma il significato di
liberazione delle proprie energie, di manifestazione concreta di ciò che è racchiuso in noi. Il
karma è pertanto la manifestazione del nostro nascosto progetto.
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Cos'è la virtù? Virtutem, accusativo di virtus, indica valentia, valore, forza (da vis). Al
concetto di virtù è accostato quello del vizio, che alcuni vogliono derivante da evitare,
schivare e altri da un tema viet, sanscrito vyath-ate dal significato di vacillare.
Ancora una volta il rituale non ci consegna una lezione moralisteggiante, ma ci indica un
metodo.
Si raggiunge la salvezza allorquando, con la conoscenza di se stessi, del proprio nome
segreto (Ren) e della Natura, frutto di valore, di valentia, di forza e di eccellente ricerca, si
percorre la retta via del karma, ossia dell'azione che noi stessi ci siamo dati come compito
da eseguire in questa vita per accrescere la Conoscenza complessiva nostra e dell'universo.
Il vizio è il vacillare, lo schivare gli ostacoli, l'evitare le prove, l'abbandonare la retta via per
perdersi per strade secondarie.
La verità
Il tema della salvezza è connesso con quello della verità.
Quando noi cerchiamo, attraverso la realizzazione delle nostre energie interne nascoste e
racchiuse nel nostro progetto di vita, seguendo la legge del karma, di conoscere la nostra
verità, imitiamo il processo (via cammino) attraverso il quale l'Essere Nascosto si svela
(a-letheia, verità) nella manifestazione.
L’Essere o, in altri termini, l’Arché nascosta, la Tenebra, da cui emana la luce, infatti si
svela, si presenta stando nascosta e nel Logos si dà, sottraendosi.
L’Essere, come suggerisce in molte sue opere Umberto Galimberti, si presenta (a-letheia
= verità), assentandosi (lantháno). Il Logos (tutto raccolto in ordine) abita nella verità.
La verità è, dunque, la manifestazione stessa dell'Arché, la Natura, il cosmo che esce dal
caos del nascondimento e che nel Logos trova il suo ordine.
La verità, in quanto manifestazione, implica il segreto, ossia la non presenza della verità,
il suo nascondimento e pertanto, avere consapevolezza del segreto è avere
consapevolezza dell’Essere.
Nel nostro procedere sulla via del karma, lo svelarsi del nostro progetto nelle nostre
azioni, ci rinvia al nostro segreto.
La verità è stata declinata in molti modi. Nel mondo induista, come dharma, è la
consapevolezza del percorso, della retta via, del compito che ogni essere si è dato per
fare esperienza di sé nel manifestato.
Nel mondo occidentale, come suggerisce ancora Galimberti, la verità ha abbandonato il
suo essere a-letheia, per affermarsi come orthótes, ossia come “esatta corrispondenza”
tra il vedere (ideîn) e ciò che è visto (eîdos).
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L’Occidente ha così perso il segreto, ossia la consapevolezza del Nascosto, della
Nascosta Arché, la Tenebra, che si svela e che nel Logos ha la sua dinamica
manifestativa.
In Occidente l'uomo ha contemporaneamente perso il senso del proprio segreto,
che nell'azione si svela e si manifesta, in quanto interpreta le proprie azioni, il proprio
karma, come a-letheia, verità, liberazione della propria energia nascosta. L'uomo
occidentale colloca le proprie azioni in ambiti valutativi esterni (efficienza, progresso,
richiesta di legittimazione, ecc.). La conoscenza di sé è alienata. Il karma è delegato.
Giovanni, nel suo Vangelo (14,6) alla domanda di Tommaso: “Chi sei?”, fa rispondere a
Gesù: “Io sono la via , la verità e la vita”.
Nel testo greco, ódòs è via, cammino e implica il camminare, il procedere, il muoversi
verso. Verità è a-letheia, ossia non-nascondimento. Infine, vita nel testo greco è zoé, vita
naturale universale, ossia Natura.
Gesù dice di sé di essere un cammino, ossia un procedere verso, di essere
manifestazione, non-nascondimento e Natura.
Siamo in presenza di una dinamis che manifesta il Nascosto nella Natura e questa
dinamizzazione del Nascosto è il Logos.
L'azione (Verbo, Parola, Relazione, Logos) svela l'Essere e ne manifesta l'energia
trattenuta.
La Parola perduta è la perdita del Logos come Parola che parla della relazione tra
il Nascosto e il Manifesto e che parlando del Nascosto, o meglio la Nascosta, la
Vergine (racchiusa in se stessa), ne manifesta l'energia trattenuta, ossia genera mondi.
"Tutto intorno a noi – scrive Maurice Cotterel (Cronache celtiche, Corbaccio) – è una
manifestazione di Dio, in forma fisica o energetica. Il fiore non è un fiore, ha solo
l'aspetto di un fiore, in realtà è Dio mascherato".
Lo spirito incarnandosi ha preso forma ed è divenuto materia.
Lo spirito non ha un corpo; è corpo. E' il nostro corpo animato che ogni giorno svela
nelle nostre azioni (pensieri, parole, opere)il nostro progetto di vita.
La salvezza, indagando se stessi (nella completezza del proprio essere e del proprio
esistere come corporeità animata) e la Natura, è ritrovare la Parola perduta: il Logos
nella sua potenzialità relazionale e generatrice, che rinvia al segreto della consapevolezza
del Nascosto e il nostro Logos, che ci parla di noi e ci realizza. Possiamo così anche noi
dire: "Io sono la via, la verità e la vita", usando non il termine greco zoé, ma bios, vita
particolare, individuale.
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Il "Nome Indicibile"
Nella leggenda del 13° grado, non è conservata la “Parola Indicibile”, ma il “Nome
Indicibile” dell’Essere supremo, del quale è smarrita la chiave della pronuncia, incisa su
una colonna di marmo.
In questo caso è il marmo a darci un indizio. Il marmo, carbonato di calcio, è pietra e
pertanto il “Nome indicibile” dell’Essere supremo è inciso nella pietra.
La pietra è simbolicamente la Natura (vedi il mio: Tu sei Pietra”) e il “Nome ” dell’essere
supremo, che nominandosi si fa ente ed evidente nella Natura, è la serie infinita delle
infinite determinazioni dell’Essere negli enti.
Come direbbe il taoista: “Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao, il nome che può
essere nominato non è l’eterno nome”. E ancora: “«Non-essere» è il nome che diamo
all’origine del cielo e della terra, «essere» è il nome che diamo alla madre di tutte le
creature…..Pur avendo nomi differenti, i due hanno origine comune. Ciò che hanno in
comune, lo chiamano «oscuro», oscuro e ancora più oscuro, la porta di tutti i portenti”.
Il 14° grado affronta la fondamentale questione della pronuncia della Parola, ossia del
logos, del verbo. Porciatti utilizza la Cabbala per arrivare a Hi-Ho (Lui-Lei, Yang-Yin) da
jod hé vau hé letti da sinistra a destra, ossia specularmente e ci ricorda che la disposizione
del Tempio del 33° grado costituisce una I e una O che, intrecciate danno origine a ,
numero aureo morfogeneticamente vincente in natura.
Non mi soffermo su questo aspetto, che andrebbe ovviamente approfondito in quanto
centrale per la conoscenza in generale e in particolare per l'attività del libero muratore, che
costruisce sulla terra il tempio del cielo riconoscendosi come collaboratore dell'Arché
Tecton, ossia del logos, della parola attivante la manifestazione.
Concentro l'attenzione sulla questione posta dal 14° grado, ossia sulla pronuncia, che si
evidenzia come vocalizzazione.
Traggo alcune considerazioni in merito dal mio: La via druidica (ilmiolibro.it).
L’uso di vocali per chiamare un dio inconoscibile ed innominabile appare più che un nome
un’invocazione. Molte divinità hanno nomi composti da vocali: l'Essere dei Druidi è Oiv
(pronuncia Oiun); il dio sumero EA e la sua forma indoeuropea, l’urrita A’a; Iô è uno dei
nomi della Dea Madre; gli esseri divini alla testa di Shemsu-Hor o Anime divine (seguaci,
emanazioni, compagni di Horus) si chiamavano Wa e Aa, detti Signori dell’Isola della
Violazione; Yhwh o Yhwe (Yeoe); Vāyu, il vedico Signore delle energie vitali; Ioa, il
demiurgo gnostico. Iahu, divina colomba, era il nome della Dea sumerica, epiteto poi
passato a Geova. 2 L'orfico Fanete era Iao3. In Giappone la legge mistica del cosmo viene
chiamata Myō hō e “la legge mistica – scrive Daisaku Ikeda – in sostanza è analoga a ciò
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che in altre religioni viene chiamato Dio, ma è diversa da Dio in quanto è totalmente
immanente all’universo e alla vita umana”. 4
Per quale motivo le vocali sono spesso usate per definire o invocare la divinità?
“Nei «tempi storici» - scrive Guy Trévoux - pare che i Greci e gli Ebrei ellenizzati abbiano
considerato queste primitive articolazioni delle vocali immediatamente dettate all’uomo
dell’inconscio, ossia dalla Divinità, per cui ritennero di poter dedurre, partendo dalle sole
vocali, il nome della Divinità stessa o le acclamazioni più adatte ad invocarla. Essi
pensavano infatti che fosse inutile ricercare l’etimologia di parole quali Evohe (Evoe) o
Yahwe (Yaoe) che divennero, ancor più tardi, l’esclamazione Aeiou dei Compagnons du
Tour de France, pronunciato quando questi si trovavano all’aperto per evocare così,
inconsapevolmente, la Divinità nella sua forma primordiale” 5.
Tuttavia Trévoux non rinuncia ad una ricerca etimologica e propone una derivazione di
Yahwe ed Evohé da Iô, uno dei nomi della Dea Madre, e collega Iô a Vāyu. La Wau, spiega
Trévoux, deriva da un geroglifico egiziano che rappresenta un uomo in preghiera con le
braccia alzate, la sua sonorità è intermedia tra F,W,Ô, OU, U e ha assunto il significato di
ponte, di mediazione tra cielo e terra. Interessante anche constatare come una città sacra
come On (Eliopoli in Egitto), luogo primario del regno degli Shemsu Hor, fosse anche
chiamata Aunu, Ounu, Iwnw.
Non mancano, dunque, gli esempi, nel mondo antico, di vocalizzazioni di un nome della
divinità che rimane tuttavia sconosciuta o di luoghi sacri. Il riferimento etimologico più
interessante lo abbiamo nell’indoeuropeo e nel sanscrito.
Nella vocalizzazione dell’indoeuropeo troviamo le vocali a, i, u, r (sonora), essendo la e e il
dittongo ai incrementi di i e la o e il dittongo au incrementi di u.
Il significato della i è: moto continuo, andare, alzare. Il significato della u è: stasi,
permanenza, stabilità, forza.
Nel caso del druidico Oiun siamo di fronte con OIU (la grafia W è equivalente a U) ad una
stabilità e ad una forza enfatizzata (o), ad un alzarsi, andare, ad un moto continuo (i) e ad
una nuova stasi, ad una permanenza, ad una forza, in questo caso non enfatizzata. Parrebbe
un respiro trinitario, dinamico, la cui valenza non cambia se ne modifichiamo la grafia in
IOU, essendo i tre aspetti della stessa realtà un equilibrio dinamico.
OIU o IOU, considerata l’equivalenza di O e U, potrebbe anche essere letto UIU o IUU.
L’aspetto invocativo dell’esclamazione appare evidente. Le seguaci di Iô, ad esempio,
gridavano Iou-Iou.
In OIV o IOV troviamo il dittongo Io, la vacca di Giove, uno dei nomi della Dea Madre
mediterranea. Iô è vacca come Brighit, come la vedica Aditi, come l’egizia Hathor, ossia
donatrice di latte luce, energia vitale che dal cielo scende sulla terra, luce superiore. Iô
diventa la vacca di Giove solo dopo l’avvento degli dei patriarcali, ma prima di questa
inversione di valori è l’autonoma donatrice della vita.
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Anche in Giunone, Iuno, troviamo le stesse vocali e anagrammando troviamo lo stesso
suono della pronuncia di OIV, ossia, Oiun.
Juno si interessa alle calende, ovvero al calendario, come Jano ed è quindi possibile che
esistesse un’antica coppia divina di Juno e Jano, precedente a quella Juno Juppiter. Jano è
un dio degli inizi, dei primordi, un dio iniziatore, divinità di tutti gli ambiti. Jano, dalla
radice indoeuropea yā, significa andare, passare, agire, entrare, uscire. Jano è dunque dio del
“passo” o del “passaggio”, è mobile, come il dio del vento e dell’aere Vāyu. Jano è stato
concepito come aere o come guardiano dell’aria per due ragioni: perché l’aere è il passo
naturale tra terra e cielo e perché è “genitor vocis”, così come il Vāyu vedico, che è il
sostrato della Vāc, la parola che crea. Vāyu è concepito come le quattro direzioni dei venti,
Jano come due forze e due aspetti opposti riuniti.6
Vāyu è il dio che ha l’onore di essere invocato per primo.
In un mito dei Brāhmanas si narra che quando Indra combattè contro Vritra, non convinto
di averlo ucciso con la sua lancia, pensò, con gli altri dei, che sarebbe stato opportuno
andare a controllare. Venne chiesto a Vāyu di eseguire questo compito e Vāyu chiese cosa
gli dei gli avrebbero dato in cambio. “La prima invocazione rituale, vasat, nel sacrificio del
Re Soma”, risposero. Vāyu andò, constatò la morte di Vrtra e si guadagnò così il primo
posto tra gli dei.
Data la sua totale flessibilità e la sua reversibilità e il suo essere primo, Vāyu corrisponde
adeguatamente al mistero e all’ambiguità del “Nascosto”, ovvero del dio inconoscibile e
originario.
Oiun è, come s’è detto, un suono molto simile a quello di Vāyu, dio vedico del vento,
“ovvero del soffio vitale dell’energia di vita (prana) che rende possibile ogni esistenza
manifesta. In Rg Veda, X,90.13, esso viene indicato come «respiro del Purusa»”, 7 il Purusa
divino, il Toro quadricorno, le cui corna sono: Esistenza, Coscienza, Beatitudine e Verità
infinite. 8
Vāyu, in quanto soffio vitale dell’universo, respiro del Brahman, è il Signore della Vita.
Vāyu nel mondo vedico, quando si tratta dell’azione divina delle forze della vita nell’uomo,
viene sostituito da Agni, nella forma di cavallo vedico. 9
Va notato come l’assonanza Oiun Vāyu e la concordanza delle funzioni (respiro
dell’Essere) possono indicare la comune origine.
Interessante anche il riferimento a Yhwh (Yahve o Ieue), divinità del mondo ebraico. Il dio
inconoscibile è l’En sof, che trascende completamente la creazione. Quando l’En sof si
concentra (Sim) e poi emana (Sum) abbiamo un processo dinamico composto da Yod –
emanazione, he – creazione, waw – formazione, he – realizzazione. Yawe (Ieue), è la
rappresentazione di tutti i mondi e di tutti i livelli della realtà.
Il fatto che dei dittonghi o dei complessi vocalici costituiscano il nome degli dei o
definiscano la dinamica della manifestazione di un unico dio sconosciuto e inconoscibile o,
infine, rappresentino una invocazione a Dio in lingue tra loro diversissime come
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l’indoeuropeo e gli idiomi derivati, gli idiomi di ceppo semitico o il giapponese, ci induce a
pensare che questi complessi vocalici appartengano ad una modalità espressiva universale,
che risale alle prime espressioni dell’uomo.
Siamo di fronte a complessi vocalici usciti spontaneamente dall’inconscio ed esprimenti,
come avviene ancora oggi, insieme stupore, meraviglia, gioia, successivamente accostati ad
azioni o a modalità comportamentali, come lo stare, l’andare, per poi complessificarsi in
parole e frasi.
Se così fosse potremmo ben dire che il pensiero dell’uomo era rivolto a Dio sin dalle sue
lontane origini e che sin da quei tempi remoti l’uomo lo ha invocato con forme come
OIUN, YEVE, IÔ, AA, EA, WA, EVOE, UAIU, che nella sostanza sono la medesima
invocazione.
Un’attenzione particolare, dopo quanto s’è detto, va posta a Iô. Se, infatti, OIU (n) è
assonante con il vedico Vāyu, Iô, la vacca divina, forma della Potnia, è anche Iao (‘Ιω ‘Ιωό )
assonante con IOU (n), altra forma di Oiw. Iô è la divinità principale degli Ioni (Ιωνες) così
chiamati da uno Iων, nipote di Ellen, padre di Aiolos, eroe supremo degli Indoeuropei. Jon
fa dunque il paio con Ellenes, essendo entrambi indoeuropei ed essendo gli Ioni
provenienti dagli altipiani della Frigia. Indoeuropei, del resto, erano anche gli Achei. Gli
Iones erano figlio di Iô – Iao.
Un interessante riferimento riguarda En-Ki, divinità dell’acqua dolce che si trova nel
sottosuolo e che da questo affiora (sorgenti), assimilato ad EA sumero, divinità del getto
d’acqua e della residenza nell’acqua, dimorante nell’Apsu (l’abisso, come l’Annwn delle
Triadi bardiche), dio civilizzatore grazie, appunto, all’acqua dolce, che favorì l’allevamento
del bestiame e l’agricoltura.
Maria Teresa Camillani, nel suo interessante saggio sulle antichità adriatiche e tirreniche10,
propone un collegamento tra Iô e l’acqua. “Iô – scrive- è l’acqua; a mio avviso la forma
greca è la trascrizione del dio sumerico EA (È-A), che cerca di rendere il nome AIA o forse
IA, Ia’U (in testi neobabilonesi e neoassiri si trovano E-A e A-E), di un personaggio divino
proprio dei Semiti e da loro sincretizzato in EN-KI, «Residenza dell’acqua o nell’acqua»”.
“Sin dai poemi omerici – scrive ancora la Camillani – troviamo usati aia e aion. Questi due
nomi sono probabilmente due formazioni derivate dal dio semitico AIA sopra ricordato,
che si sono diversificate a livello morfologico e semantico: il primo significa “terra”, il
secondo “riva”. Se teniamo presente l’equivalenza di EA e EN-KI («Residenza dell’acqua o
nell’acqua») arriviamo a capire αια, terra, i cui contorni si sono realizzati dalle acque, terra
circondata o lambita dalle acque, e di αιων (aion, ndr), riva, che è appunto delimitato
dall’acqua. …. Il dio accadico EA, immigrato nell’Argolide «assetata», povera d’acqua, è
divenuto col tempo una sacerdotessa: a questa si è assegnato il padre, che è un dio delle
acque dolci (Inaco,ndr)”. 11
EIA, inoltre, è un’antica divinità illirica, femminile di EUS, buono. 12
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Iô, secondo Uberto Pestalozza, è caucasica Mater illustre e Ιων (Ion) eponimo degli Iones
era figlio di Iô e paredro della Dea. 13
Iô e Iôn costituiscono una coppia divina antichissima, di origini indoeuropee e potrebbe
avere qualche parentela con quella di Juno e Jano.
Iô, a contatto con la cultura pelasgica mediterranea si fonderà con Hera e, successivamente
sarà sottoposta, per inversione patrilineare, al volere di Giove.
La Parola ci ha portati lontano nel tempo e nello spazio, ma, forse, vicini al cuore del
percorso massonico.
Non è pertanto secondario il fatto che in Francia il nono grado sia conferito "per
comunicazione", essendo praticato al suo posto il quattordicesimo (Grande Scozzese della
Volta Sacra), così come non è casuale la scelta, fatta dal Supremo Consiglio del Rito
Scozzese della Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana degli A.L.A.M.,
Tradizione di Piazza del Gesù, di conferire il 14° grado a chi ha conseguito il 9°,
identificando un possibile ponte ideale tra l'illuministico Maestro Eletto, che va
oltre lo sfondo della leggenda hiramitica, e il Grande Eletto, che va oltre lo sfondo
giudaico-cristiano.
Questo ideale ponte ha una precisa valenza anche nel valutare la non secondaria questione
dell'Arco Reale.
L'Arco Reale
Interessante infatti è anche la similitudine dei luoghi dove sono custoditi la “Parola
indicibile” e il “Nome indicibile”: la prima nell’Arca e la seconda sotto un arco.
L’Arca, radicale di Arc-Alc ha il significato di riposo, protezione (sanscrito Raksami) è
indicativo di una linea curva, di un gomito.
Arco e Arca ci introducono ai misteri dell'Arco Reale.
La prima chiara menzione dell'Arco Reale è del 1744 (Massimo Graziani, Il rito di York,
Bastogi) e, come scrive ancora Graziani, il "primo rituale che può essere ricondotto
all'Arco Reale fino ad ora scoperto risale al 1760 circa ed è incluso in un manoscritto
francese della collezione di Heaton-Card che si trova nella biblioteca della Freemasons'
Hall ed è scritto in francese. Nella parte relativa ad un originario cerimoniale, si parla di
una camera sotterranea sostenuta da nove archi, che si raggiunge scendendo nove gradini
e che viene aperta e chiusa bussando nove volte. Una luce indica il cammino verso la
camera sotterranea. Nella spiegazione della tavola di tracciamento si dice che il sole è la
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vera luce che serviva a guidare i nove Fratelli che avevano scoperto grandi segreti; sulla
tavola sono dipinti nove archi, la volta di una camera sotterranea e i nove gradini "che
servivano a scendervi dentro", una pietra con un anello che chiude la camera, una torcia
spenta dal sole del simbolismo dell'A.R., un vassoio triangolare d'oro che reca il Nome
Sacro". 14
"Nei documenti anora rimasti anteriori al 1723 – scrive in proposito Laurence Gardner –
anno dell'uscita della Costituzione massonica di Anderson, si precisa non meno di 23
volte che il Capitolo dell'Arco Reale altro non fa che perseguire l'Arte Reale, parole che
sempre vengono scritte in evidenza, in carattere maiuscolo o corsivo. Sin dall'inizio,
d'altra parte, si pone la domanda: «Da dove deriva la linea dell'arco?». Cui segue la
risposta dell'affiliando: «Dall'arcobaleno». Vale a dire una risposta perfettamente allineata
con il concetto di «luce ricurva»". 15
Abbiamo dunque in evidenza il concetto di luce ricurva dell'arcobaleno, ponte tra il cielo
e la terra.
Qui giunti si rendono necessarie alcune precisazioni.
La massoneria del Real Arco è confusa con il Rito di York, è "pervasa dal più
intransigente puritanesimo" (Porciatti) e alla sua fortuna hanno "contribuito
probabilmente i Gesuiti" (Porciatti).
Il Rito dell'Arco Reale si è sviluppato in ambiente Antient, che ha rivendicato anche la
paternità del Rito di York, ma il Rito di York originario evoca radici ben più antiche
connesse con la presenza in Scozia dei Culdei.
"I Culdei di York – scrive Leadbeater – erano fra i guardiani della tradizione massonica
del Decimo secolo e gli Antichi Doveri ricordano un'assemblea di massoni che si tenne a
York durante il regno di Athelstan in cui l'arte fu riorganizzata". 16
"Una linea di tradizione degna di essere menzionata – aggiunge Leadbeater – connessa in
certo modo con la massoneria di mestiere, ma ancor più con l'Ordine Reale di Scozia e il
18° grado si trovava tra i Culdei d'Irlanda, di Scozia e di York". 17
I Culdei eraqno monaci cristiani di ascendenza druidica e tra gli iniziati dei riti culdei
Iona, uno dei centri antichi del druidismo, era chiamata Heredom (denominazione alla
quale si riferisce il Rito di Perfezione nato in Francia in ambito giacobita). L'isola di Iona,
infatti, uno dei cuori della chiesa cristiano celtica, era chiamata dagli isolani Inis nan
Druidhneah (l'isola dei Druidi), intendendo che prima della venuta di San Columba nel
563 d.C. eran un centro dell'antica devozione druidica.
Il regno celtico di Dalriada è durato fino al tempo di Giacomo VI, erede di un Giacomo,
Lord Stuart di Scozia, che fu Gran Maestro di una Loggia costituita a Kilwinning nel
1286 subito dopo la morte di Alessandro III (Leadbeater).
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Nulla dies sine linea
Silvano Danesi
E' del tutto evidente che il Rito Scozzese è maturato nell'ambiente della corte stuardista
in esilio in Francia e la linea stuardista conduce a York, alla tradizione culdea e al
druidismo.
Il riferimento all'Arco reale, confuso con il Rito di York in versione Antient, va pertanto
rivisitato in un'altra chiave e questa può essere rinvenuta, come afferma Porciatti,
"nell'austera veste" del Rito Scozzese.
Fatte queste necessarie considerazioni, credo si possa andare oltre l'orizzonte giudaicocristiano, non solo nella direzione culdeo druidica, ma anche, com'è giusto che sia, in quella
di altre grandi tradizioni iniziatiche, come l'egizia.
Ci si riferisce spesso all'Arco Reale del Tempio di Salomone, ma nella Bibbia non c'è traccia
di questo arco, anche se Ezechiele nella sua visione del secondo tempio cita spesso gli archi
che abbracciavano le colonne intorno ai vari cortili.
"Invece di riferirsi alla loggia del Tempio salomonico di Hiram Abiff (come è nel
conseguimento del terzo grado massonico), il rituale dell'Arco Reale – scrive Gardner - si
focalizza su un evento ancora precedente; si collega a quella che è considerata la prima
autentica loggia, la loggia «del Monte Horeb nel deserto del Sinai», presieduta da Mosè in
persona, Abihu (uno dei figli di Aronne) e Bezaleel, l'artefice". Gardner ipotizza che
l'Arca dell'Alleanza fosse uno strumento che producendo un Arco Reale fosse in grado
di creare la sacra pietra (manna) ricavata dalla polvere bianca ottenuta dall'oro. Una
polvere superconduttiva denominata Ormus o Mfkzt. E Ormus è nome che è
strettamente connesso con il Priorato di Sion e con i Templari (vedi in proposito il mio:
Tu sei Pietra).
A 800 metri di altezza, nella piana sabbiosa di Paran, c’è il monte Horeb, il monte di Mosè.
Oggi la località è chiamata Serâbit el Khâdim. L’archeologo Petrie scoprì su una
piattaforma di circa settanta metri, partendo da una vecchia grotta artificiale, le rovine di un
vecchio tempio della IV dinastia attivo già al tempo del faraone Snefru, nel 2600 a.C. e
rimasto attivo fino al XII secolo a.C. I reperti partono dalla IV dinastia e arrivano alla
XVIII e ai Ramessidi della XIX. Il tempio era quindi ancora attivo al tempo di Akhenaton,
da molti studiosi ormai messo in relazione diretta con il Faraone di Tel Amarna,
propugnatore del monoteismo. Il tempio era dedicato ad Hator.
La polvere MFKZT, trovata dall'archeologo Flinders Petrie sul monte Horeb, attualmente
Serabit El Khadim, nel tempio di Hator, è stata fortunosamente ricavata recentemente.
David Hudson, un coltivatore americano che voleva ammorbidire il suo terreno con dei
componenti chimici, prima di effettuare l'operazione decise di far analizzare dei campioni.
Durante le analisi si verificò uno strano fenomeno: il residuo secco esposto alla luce del
sole e al calore generava un lampo di luce bianca, accecante e svaniva. Nel crogiolo, dove il
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Nulla dies sine linea
Silvano Danesi
campione era stato miscelato con del piombo, rimaneva un amalgama pesante, ma fragile,
che si sbriciolava al colpo del martello. Analisi più specifiche, condotte presso l'Accademia
sovietica delle scienze, evidenziarono la presenza di palladio, platino, rutenio, iridio: tutti
elementi del gruppo del platino. Era la polvere MFKZT. Quando mutava il suo aspetto da
scura a bianca sfolgorante, la sostanza si tramutava in polvere e il suo peso scendeva fino
al 56% di quello iniziale. Dove finiva il 44%? Si comprese in seguito che levitava e
trasferiva la sua leggerezza agli oggetti con cui veniva a contatto, che, in alcuni casi,
levitavano anch'essi. La polvere si comportava come un superconduttore. Il campo
magnetico terrestre è in grado di fornire energia a un superconduttore facendolo levitare e
questo, quando levita, si comporta come un riflettore di luce. Inoltre, nel caso di due
superconduttori attivi in collegamento, si verifica un altro fenomeno, detto "coerenza
quantica", durante il quale avviene il trasferimento di luce fra i due. E' stata studiata la
possibilità che con un superconduttore mono atomico, proprio come la polvere MFKZT,
si possa costruire una batteria energetica che una volta attivata dura all'infinito. Altri studi
hanno portato a prevedere la possibilità, con l'utilizzo della polvere monoatomica, di
distorcere lo spazio tempo. La MFKZT risuona in una dimensione differente e in
determinate circostanze diventa invisibile. Quando il peso del campione analizzato toccava
lo zero, il campione svaniva materialmente per riapparire applicando il processo inverso.
Distorcere lo spazio tempo vuol dire, ad esempio, che se ad un'astronave si espande lo
spazio tempo nella sua parte posteriore e lo si contrae nella parte anteriore, questa può
compiere enormi quantità di spazio in pochissimi millesimi di secondo. La distorsione dello
spazio tempo veniva chiamata dagli antichi Egizi piano di Shar On o Campo di MFKZT. Si
tratta del campo delle super stringhe, dove la materia entra e esce dal mondo che
conosciamo. Non vediamo più la luce dell'oggetto, che diviene invisibile.
Si è anche scoperto che i metalli del gruppo del platino monoatomico entrano in
risonanza con il DNA e possono avere effetti curativi sul cancro, rettificando le cellule
malate. Infine, quando la polvere ricavata dall'oro o dal gruppo del platino viene
sottoposta a temperature particolari, si trasforma in vetro, colorato a seconda del metallo
usato. Un vetro limpido trasparente senza la perdita di luce.
Siamo di fronte alla Pietra filosofale degli alchimisti?
"Una delle parole chiave simboliche trattate nell'Arco Reale – scrive Gardner – una
parola che la tradizione dice essere stata scoperta nella grande cripta che stava sotto al
primo Tempio, emersa nell'atto dell'erezione del secondo, quello voluto dal principe
Zorobabale, è Jah-Bul-On. Trovata incisa su una placca dorata, la parola è una
contrazione sintetica di una combinazione di parole che vogliono dire: «Io sono il
Signore, il Padre di ogni cosa». Nella Massoneria questa definizione si riferisce al Grande
Architetto dell'Universo. Scomponendola, scopriamo che Jah lo ritroviamo nel Salmo
68:4 ("Io sono"), Bul era un vocabolo canaanita ("Signore") e On sta per "Casa del Sole",
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che in traduzione suona come: «Io sono il Signore On». Ma, come sappiamo, il termine
On (così come menzionato in Genesi 41:45 in riferimento alla città sacra di Heliopolis)
aveva uno specifico legame con il concetto di Luce. Una versione completa e più
accurata del nome è senz'altro: «Io sono il Signore della Luce»".
Heliopolis ci riporta alla IV e alla V dinastia e ai Testi delle Piramidi, che si vorrebbero
trascritti dal faraone Unas sulla base di testi antichissimi.
L'Arco Reale, se andiamo oltre il ristretto orizzonte giudaico cristiano nel quale è stato
costretto da una cultura protestante hannoveriana, ci conduce, pertanto, nel più profondo
dei misteri d'Egitto e di quell'Arca che Manetone, sacerdote egizio, diceva essere strumento
sacro sottratto dagli Ebrei in fuga (o meglio da Akhenaton, alias Mosè, mandato in esilio
dal sacerdote Ay, retauratore del culto di Amon).
"Nella più moderna Massoneria – scrive Andrew Sinclair - pochi alti gradi erano ambiti
come quello del Santo Arco Reale di Gerusalemme, i cui misteri furono trasmessi dal Rito
Scozzese Antico, portato in Francia dai Giacobiti all'inizio del XVIII secolo….". 18
Siamo in presenza di indicazioni che invitano ad approfondimenti relativi ad una catena
iniziatica e sapienziale che nell'Egitto del grande Thoth ha avuto uno dei suoi periodi di
massimo splendore e che i Templari hanno con tutta probabilità recuperato in parte.
Che può dire, infine, Seshen? Sia reso onore a Mn (Amon), il Tre Volte Nascosto
Nascosto.
"O Ammone che si nasconde nella tua pupilla,
o Ammone che brilli nella tua ug'at,
miracoloso di manifestazioni, santo che non si conosce,
lode a te fino al ventre di Nuanet.
Ti lodano i tuoi figli, gli dei.
Si unisce Maat alla tua cappella misteriosa,
ti celebrano le tue sorelle, le due Meret". 19
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Silvano Danesi
Umberto Gorel Porciatti, Simbologia massonica, Atanor.
Robert Graves, I miti greci, Longanesi
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Robert Graves, I miti greci, Longanesi
4
Daisaku Ikeda, La vita, mistero prezioso, Sonzogno
5
Guy Trévoux, Lettere, cifre e dei, Ecig
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Vedi in proposito Uberto Pestalozza, Nuovi saggi di religione mediterranea - Sansoni
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Sri Aurobindo, Il segreto dei Veda, Aria nuova edizioni
8
Vedi Sri Aurobindo, Il segreto dei Veda, Aria nuova edizioni
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Vedi Sri Aurobindo, Il segreto dei Veda, Aria nuova edizioni
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Maria Teresa Camillani, Antichità adriatiche – Antichità tirreniche - Ellemme
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Maria Teresa Camillani, Antichità adriatiche – Antichità tirreniche - Ellemme
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Vedi Maria Teresa Camillani, Antichità adriatiche – Antichità tirreniche - Ellemme
13
Vedi in proposito Uberto Pestalozza, Nuovi saggi di religione mediterranea - Sansoni
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Marino Graziani, Il Rito di York, Bastogi
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Laurence Gardner, I segreti della Massoneria, Newton Compton
16
Charles W Leadbeater, La massoneria e gli antichi misteri, Atanor
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Charles W Leadbeater, La massoneria e gli antichi misteri, Atanor
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Andrew Synclair, Rosslyn, la cappella del Graal, Ed. Età dell'Acquario
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Testi religiosi egizi, Tea edizioni
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