CRISI FINANZIARIA
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CRISI FINANZIARIA
CRISI FINANZIARIA Ricostruire la fiducia e la solidarietà Riflessioni dei gesuiti sulla crisi finanziaria Frank Turner SJ Un gruppo internazionale di gesuiti si è riunito dal 6 all’8 aprile 2009 a Bruxelles, ospite dell’OCIPE, per riflettere sulle crisi interconnesse dei sistemi finanziari del mondo, delle economie e della governance: elementi che messi insieme potrebbero contenere, o almeno provocare, una profonda crisi sociale.1 Eravamo consapevoli della complessità e delle varie sfaccettature dell’argomento che affrontavamo, nonché del pluralismo delle nostre esperienze, competenze e analisi, e dei limiti derivanti da questo pluralismo. Sebbene molti tra noi avessero vissuto lontano dall’Europa, noi tutti eravamo europei, tutti gesuiti, per di più tutti uomini e con un elevato livello di istruzione, tutti (in una buona misura) piuttosto al sicuro da disoccupazione o forzata povertà. Così il nostro incontro non è stato altro che un primo passo di quella che speriamo sia una più ampia discussione. Le nostre riflessioni non hanno portato a “conclusioni”, ma solo a suggerimenti. In particolare, invitiamo i nostri confratelli gesuiti in Africa, in Asia e nelle Americhe ad apportare a questa discussione ciò che potrebbe essere una prospettiva profondamente differente. Istantanee della crisi Affermare che la crisi ha diverse sfaccettature significa che può essere vista attraverso una serie di polarità, in tensione l’una con l’altra senza essere mutuamente escludenti. Ne prendo in considerazione giusto un paio: 1. Crisi morale o crisi di sistema? Nei primi giorni della crisi, i banchieri e i dirigenti sono stati ferocemente criticati in quanto “ingordi” e “irresponsabili”. Il fallimento del sistema è stato imputato all’ingordigia e irresponsabilità che lo avevano costruito, al di là del potere o della volontà dei governi di controllarlo. Al World Economic Forum di Davos, in gennaio, il premier cinese Wen Jiabao ha accusato le banche per il loro “cieco perseguimento del profitto” e “la mancanza di autodisciplina”, ma ha anche parlato del “fallimento della vigilanza finanziaria e della regolamentazione”. Evidentemente si riferiva in primo luogo agli Stati Uniti, dal momento che si stima che la Cina abbia in questo momento 1.950 miliardi di dollari investiti in attività e azioni in dollari come i buoni del Tesoro statunitensi.2 1Giacomo Costa (ITA), Fernando Franco (GUJ), José Ignacio García (CAS), Raúl González Fabre (VEN), James Hanvey (BRI), Josep Mària (TAR), Rufino Meana (CAS), Henri Madelin (GAL), Johannes Müller (GER), Gerard O’Hanlon (HIB), e Frank Turner (BRI). 2BBC, 29 gennaio 2009. Pagina 7 Promotio Iustitiae 101 2009/1 Una variante di questo tipo di giudizio morale afferma che la crisi ha dimostrato una verità che abbiamo tenuto nascosta a noi stessi per troppo tempo. L’“economia reale” di beni e servizi realizza dei profitti quando soddisfa qualche bisogno o domanda del pubblico. Il nuovo mondo finanziario dei fondi speculativi (hedge funds), dei leveraged buyouts (che letteralmente significa acquisizione attraverso il debito), dei rischiosi prestiti subprime raggruppati e acquistati da società rispettabili come investimento speculativo, sradica il profitto da qualsiasi funzione sociale oltre se stesso. Il denaro, tradizionalmente “solo” un mezzo di scambio, diventa esso stesso un prodotto. In realtà, quantitativamente parlando l’“economia del denaro” supera di gran lunga l’“economia reale”, ma è così opaca che (come dimostra la stessa crisi) anche gli esperti del settore non hanno compreso i rischi che avevano assunto. Una bolla come questa non può che scoppiare. Non sorprende che i giudizi morali possano essere formulati da coloro che adottano l’“opzione per i poveri” della Chiesa, dato che l'eccesso di offerta di denaro ha fallito nel ridurre la povertà. Jon Sobrino ha osservato che la forza distruttiva dell’uragano Mitch è servita da esame ai raggi x per l’America centrale, scoperchiando i tetti di un’intera società e rivelando la profonda povertà nascosta all'interno. Anche nei paesi più ricchi, la rapida crescita ha causato ancora più grandi disuguaglianze di ricchezza e di reddito, accettate come costo del dinamismo economico. La crisi attuale rivela pertanto la fragilità di qualsiasi economia che non riesce a servire i bisogni umani. Come il teologo americano Joe Holland disse una volta: “L'economia sta facendo bene, sono solo le persone ad attraversare un periodo difficile”. D’altro canto, è più utile pensare alla crisi in termini di sistema macroeconomico cosicché il linguaggio morale diventi semplicemente irrilevante? Da questo punto di vista il problema è che il mercato globale manca di una regolamentazione globale, ostacolata dal continuo richiamo al concetto di sovranità nazionale. Questa impostazione non sarà facilmente rigettata: nessuno si aspetta che i governi della Cina o degli Stati Uniti si sottomettano ad un sistema esterno di governance economica (o di altro tipo). Anche nell'UE la sovranità nazionale prevale costantemente sul “metodo comunitario”. Tuttavia, la crisi dimostra che la “sovranità”, nel senso di potere di controllare gli eventi, è un'illusione. L'economia del Giappone, per esempio, soffre perché gli altri paesi non riescono ad assorbire la sua capacità di esportazione. Quindi, anche se la sovranità nazionale sembra ancora corrispondere al senso comune della politica – come una volta era per la schiavitù e la sottomissione sociale delle donne –, non è detto che il “senso comune” sia immutabile. La stessa considerazione si applica all’economia di mercato. Come ha dimostrato il classico libro di Karl Polányi, l’economia di mercato è così lontana dal senso comune che negli ultimi 200 anni l’egemonia del modello di mercato è pressoché invariata. Non sarà facile smuoverla, ma non è di fatto inevitabile. Pagina 8 FRANK TURNER SJ Crisi finanziaria 2. Fluttuazione a breve termine e ciclica? O collasso decisivo di un paradigma economico e sociale? La stampa mondiale comincia già ad interpretare i rialzi nei mercati azionari come un’indicazione che la crisi potrebbe aver toccato il fondo.3 Se questo non è un pio desiderio, allora questa crisi è solo una fase di un ciclo naturale, una reazione a due decenni di crescita forse troppo rapida? Non si tratta affatto, in realtà, di una crisi ma solo di una più grave occorrenza di un fenomeno ricorrente? La crescita si alimenta di se stessa attraverso un meccanismo di fiducia, che può facilmente diventare iper-fiducia, così da far sembrare normali profitti elevati e un forte aumento del prezzo di beni personali, come l'edilizia abitativa. Una casa può essere considerata non solo un posto in cui vivere, ma un investimento sicuro, tanto da spingere a indebitarsi fino al collo in attesa di un guadagno futuro. La correzione ciclica è dura, e sono in molti a soffrirne. Ma abbiamo sempre saputo che il capitalismo ha delle vittime; e chi si assume dei rischi, per definizione rischia di perdere denaro. Eppure sembra stia accadendo qualcosa di più basilare. I pilastri del sistema sono fragili come mai prima d’ora: la più grande compagnia di assicurazioni del mondo (AIG, che opera in un centinaio di paesi), nonché grandi banche negli Stati Uniti, nel Regno Unito e altrove, hanno avuto bisogno di aiuto. Queste istituzioni così grandi, così radicate nel sistema internazionale sembravano più essere garanti del sistema stesso che mere imprese. Impersonavano la struttura in atto della “fiducia”, se non addirittura il significato, che sosteneva il senso di normalità delle persone. Quella fiducia è ormai profondamente scossa: uno di noi, un economista, “non darebbe assolutamente fiducia” ad una delle più grandi banche del suo paese. Può quindi essere ricreata la fiducia come presupposto del recupero, oppure qualsiasi tentativo di questo tipo significherebbe solo la repressione in condizioni di panico della nostra ragionevole diffidenza? In ultima analisi, in che cosa o in chi è opportuno aver fiducia? Risposte alla crisi Una delle nostre stimolanti ma irrisolte differenze risiede nella percezione che abbiamo di quale impostazione noi, come gesuiti, dovremmo appropriatamente dare a questo tema. Il nostro discorso deve essere radicato nella teologia e nella antropologia cristiana? Perché dovremmo sentirci obbligati ad astrarci metodologicamente dalla fondamentale visione del mondo che ci forma e ci sostiene? Perché non usare l’unico contributo distintivo che possiamo portare? Non è proprio questa “sovversiva” visione cristiana che può meglio contrastare le riduzionistiche nozioni di libertà, economia, sovranità che sono alla base della crisi? Perché sembra un'illusione immaginare sistemi più competenti e completi come “soluzioni”. Tale aspettativa esemplifica la fallacia di un aggiustamento tecnico. Istituzioni e 3Per fare un esempio, il titolo di apertura della prima pagina di Le Monde, 10 aprile 2009, dice “Economies: les premiers signes encourageants” (Economie: i primi segni incoraggianti), [ N.d.E.]. Pagina 9 Promotio Iustitiae 101 2009/1 sistemi incarnano sempre una certa coscienza sociale, una certa intenzionalità esplicita o implicita. Non possono essere riformati senza una motivazione (e quindi strutture di senso e di impegno) adeguata al compito.4 Da questo punto di vista, contribuire a questo livello è il primo compito della Chiesa. La posizione contraria argomenta che la Chiesa è percepita in larga parte come un soggetto che ha un giudizio a priori negativo su “il mondo”, cosicché una sfida diretta e onesta potrebbe semplicemente non essere ascoltata, rendendo in tal modo minima qualunque possibilità di dialogo. Se crediamo questo, dobbiamo cercare un terreno comune o minimizzando il linguaggio palesemente religioso, o introducendolo solo in un “secondo momento”, mentre cerchiamo di incontrare altre visioni del mondo sul loro terreno. Solo procedendo in questo modo, infatti, il discorso “religioso” può guadagnare presa sulle realtà economiche. A quanto pare, dobbiamo parlare due lingue, rischiare il linguaggio della fede, assicurandoci però che sia manifestamente ancorato nell’esperienza umana, in una condivisa riflessione etica. Per definizione non si può condurre un dialogo franco con coloro che sono totalmente chiusi. Ma si può – e noi dobbiamo farlo – cercare di rimuovere gli inutili ostacoli alla reciproca apertura. Mediazioni Proponiamo comunque in via provvisoria alcune prospettive per stimolare ulteriori discussioni. 1. Una prospettiva globale: la Chiesa è universale, anche se la sua autocomprensione ed espressione sembrano spesso troppo connesse in modo specifico con la cultura europea. La stessa Compagnia di Gesù proclama una missione universale. È questa universalità che può ispirarci a riflettere su questioni come la migrazione, l’ambiente e la presente crisi senza restringere intenzionalmente il nostro orizzonte (è per questo che la riflessione europea è chiamata a suscitare risposte da altri luoghi). 2. Sostenibilità: le risposte politiche alla crisi tendono a prescrivere un ritorno alla crescita economica. La Chiesa, così come il movimento ambientalista, risponde con apprensione a questa tendenza. Non c’è alcun limite ecologico alla crescita economica, dato che questa crescita consiste in beni non materiali. I materiali del mio portatile potrebbero costare 20 euro. Il resto del suo valore di mercato è dato dal design, dalla pubblicità, ecc. Ma la crescita nella fabbricazione e distribuzione di manufatti e nella estrazione di minerali ha seri costi ambientali. Non abbiamo bisogno della “decrescita” in quanto tale, ma di una coscienza della “ricchezza della sufficienza” che include la compassionevole e umana preoccupazione e il 4In teoria, per esempio, l’ONU è un’istituzione globale: ma non funziona come tale perché gli interessi nazionali, anche nel Consiglio di sicurezza, spesso prevalgono su altre considerazioni. Ogni “sistema migliore” incorporerà le sue venalità. Pagina 10 FRANK TURNER SJ Crisi finanziaria rispetto per la sostenibilità ambientale; ma che implica anche, e non da ultimo, il rifiuto dell’iper-consumo. 3. Rispetto del mercato come strumento: il mercato rimane una stanza di compensazione essenziale per beni e servizi. Paesi che di recente si sono sviluppati con successo l’hanno fatto soprattutto grazie ai mercati, piuttosto che attraverso l’aiuto dello Stato. Molti paesi in via di sviluppo non possono però esportare a causa del protezionismo dei paesi più ricchi. Se l’Africa subsahariana potesse esportare liberamente in Occidente, l’agricoltura europea e statunitense sarebbero a grave rischio; ma l’Africa avrebbe una via di uscita dalla povertà. I nostri liberi mercati sono ben lontani dall’essere liberi; e se accettiamo la globalizzazione economica, questa dovrebbe essere reciproca. 4. Critica etica del mercato: il rispetto per il mercato deve essere tuttavia critico. La teoria del libero mercato si basa su una ristretta nozione di libertà. È ben nota la tesi del neoliberista Friedrich Hayek, secondo cui mentre l’azione dello Stato tende inevitabilmente verso la tirannia, il mercato è “neutrale” e “autoregolante”. La politica distrugge la libertà, il mercato “in qualche modo” la promuove. In realtà Hayek sostiene che la giustizia sociale non è niente di più che la libertà e che il “libero mercato” è il cuore della libertà umana.5 Nella Centesimus Annus, tuttavia, papa Giovanni Paolo II distingue una “economia di libero mercato” da una “economia libera” (§. 15), proprio perché giustizia e libertà sono mutuamente dipendenti. Dove un sistema economico diviene un assoluto a spese di altre dimensioni della vita umana, “la libertà economica” in realtà aliena e opprime l’uomo (§. 39). 5. Responsabilità condivise ma distinte: se “l’economia” non è reificata, ma è considerata per rispecchiare le finalità umane, allora diviene anche l’oggetto della responsabilità umana. Questa richiesta ha una serie di implicazioni: 5Nel a. Così come noi siamo modellati dalla nostra società ma, al contempo, modelliamo ciò che la società è, lo stesso avviene con l’economia. I bisogni umani basilari sono relativamente stabili. I desideri sono indefinitamente flessibili e ricadono entro la sfera della nostra libertà spirituale. Le persone cambiano per desideri irresistibili ma anche per convinzione. Molti movimenti sociali operano dentro il mercato, ma ne modificano le modalità: investimenti socialmente responsabili, responsabilità sociale d’impresa, microcredito a favore dei poveri, ecc. b. I negoziati globali devono essere realmente globali. Come papa Benedetto ha scritto in marzo al primo ministro britannico Gordon Brown, osservando che il vertice del G20 di Londra era comprensibilmente ristretto agli Stati che rappresentano il 90% della popolazione mondiale e l’80% del commercio mondiale: suo famoso saggio del 1960 Perché non sono un conservatore. Pagina 11 Promotio Iustitiae 101 2009/1 In questo contesto, l’Africa subsahariana è presente con un unico Stato e qualche Organismo regionale. Tale situazione deve indurre i partecipanti al Vertice a una profonda riflessione, perché appunto coloro la cui voce ha meno forza nello scenario politico sono quelli che soffrono di più i danni di una crisi di cui non portano la responsabilità. Essi poi, a lungo termine, sono quelli che hanno più potenzialità per contribuire al progresso di tutti.6 c. “Responsabilità” implica “prudenza”. Il nostro problema non è solo di “ingordigia” o di “cieca ingordigia”, perdita di consapevolezza dei costi e dei rischi del profitto. A memoria d’uomo le banche, ad esempio, sono tipicamente tanto “prudenti” quanto profondamente conservatrici. Recentemente, una cultura degli affari che remunera in modo singolare chi si assume rischi finanziari (consentendo che le perdite siano trasferite al pubblico) ha incoraggiato la negazione di questa saggezza pratica. 6. Solidarietà, radicata nella “koinonia”: la solidarietà potrebbe essere definita come “il fondamentale imperativo morale che nasce dal carattere comune della vita umana”. Nel nostro incontro, tuttavia, la solidarietà è stata a sua volta collegata con l’ancora più universale concetto di koinonia, che include una nozione escatologica di prendersi cura e di riconciliazione delle nazioni. La koinonia genera solidarietà, cercando il bene comune, il benessere dell’intera persona e di tutte le persone. In questa connessione, apprezziamo il rinnovato impegno del Vertice del G20 per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. 7. Gratuità: comprendere la nostra vita come un dono (o una “grazia”) e vivere in questo spirito è la più profonda reazione esistenziale a qualsiasi visione del mondo che riduca le persone allo stato di homo economicus e alla associata ideologia dell’“economismo”. Siamo una società con un mercato, ma non una società di mercato. Questo concetto di gratuità non è intrinsecamente religioso, in quanto le spiegazioni possono essere date in termini antropologici e sociologici. Ma la coscienza cristiana considera esplicitamente la gratuità come proprio fondamento e realizzazione. Frank Turner SJ Jesuit European Office (OCIPE) 51 rue du Cornet 1040 Brussels – BELGIO [email protected] Originale in inglese Traduzione di Giuseppe Riggio SJ 6http://212.77.1.245/news_services/bulletin/news/23644.php?index=23644&po_date=31.03.2009&lang=it Pagina 12