Due episodi di conservazione e formazione. Introduzione

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Due episodi di conservazione e formazione. Introduzione
VIRGO GLORIOSA: PERCORSI DI CONOSCENZA, RESTAURO
E TUTELA DELLE MADONNE VESTITE
Atti del Convegno organizzato in occasione di Restauro 2005 - Salone dell’arte del Restauro e
della Conservazione dei beni culturali e Ambientali, Ferrara 9 aprile 2005
Le Madonne Vestite: Due episodi di conservazione e formazione
Marco Ciatti
Solo poche parole di introduzione al contributo dell’Opificio a questa interessante
giornata di lavoro, prima di tutto per ringraziare l’Istituto per i Beni Culturali della
Regione Emilia-Romagna che ci ospita del gentile invito e per formulare, da un punto
di vista personale, i complimenti per l’iniziativa assunta e per l’ottimo titolo scelto,
che ho molto apprezzato.
Tale apprezzamento deriva dalla sottolineatura del concetto di “conoscenza” quale
punto di partenza del restauro e della tutela, che è un po’ la chiave della nostra
migliore tradizione teorica: si conservano e si restaurano solo le cose alle quali si
assegna un certo valore. Non a caso Brandi affermava che il restauro nasce dal
riconoscimento dell’opera d’arte come tale, cioè dall’attribuire ad un manufatto
dell’attività umana un significato ed un valore. La considerazione che il restauro parte
da questa attribuzione di valore ad un oggetto da parte di un soggetto può servirci a
comprendere la variabilità storica della categoria dei manufatti dell’attività umana
che sono stati di volta in volta ritenuti degni di essere conservati. All’inizio, al tempo
del Vasari, si conservavano solo i capolavori dei grandi artisti; nell’Ottocento, il
secolo storico per eccellenza, si assiste all’equiparazione del concetto di opera d’arte
a quello di documento storico, allargando così notevolmente l’area del restauro. Il
Novecento idealista italiano ha sostenuto una impostazione gerarchica di importanza
tra i prodotti delle così dette “arti maggiori” rispetto a quelli delle “arti minori” o
applicate: se guardassimo ai programmi di restauro delle varie Soprintendenze
d’Italia nel secolo di attività trascorso, potremmo vedere che la quasi totalità degli
interventi hanno riguardato celebri dipinti, sculture ed architetture, operando cioè
selettivamente nel vasto mondo dei “beni culturali”, secondo la fortunata definizione
sorta nel 1966. Fortunatamente negli ultimi decenni si è assistito ad una rivalutazione
delle arti applicate, sia sotto il profilo dello studio sia, di conseguenza, sotto quello
della conservazione. Oggi il dibattito internazionale più avanzato ha posto addirittura
il problema della necessità di dotarsi di strumenti idonei per affrontare anche la
conservazione delle testimonianze immateriali di quelle culture che non si sono
espresse attraverso manufatti, ma in altre maniere. Di tutto ciò ancora in Italia non si
parla, ma potrebbe essere un ottimo argomento per qualche futuro Salone del
restauro, forse tra dieci anni.
Un’altra riflessione di cui volevo farvi partecipi riguarda proprio il mio Istituto,
l’Opificio delle Pietre Dure, il laboratorio di restauro pubblico fiorentino il quale è
organizzato attraverso una suddivisione interna di 12 settori diversi di restauro,
corrispondenti alle varie tipologie artistiche, di cui uno è quello dei tessili qui oggi
presente, secondo una concezione mirante a conseguire e rinforzare una unità di
metodologia, fortemente voluta da Umberto Baldini. Inoltre, all’interno di ciascuno
dei settori è presente anche la Scuola di Alta Formazione per restauratori. Viviamo
quindi in una realtà in cui l’operatività dei laboratori, la ricerca e la formazione si
intrecciano in continuazione. Secondo la nostra impostazione l’operatività, cioè il
realizzare concretamente interventi di restauro, deve avere una forte centralità nella
vita dell’Istituto perché è solo operando che si possono perfezionare i nostri
strumenti, trovare necessità di ricerche ben finalizzate ed aggiornare anche in
continuazione i contenuti stessi del nostro insegnamento. Gli allievi, vivendo nel
laboratorio a diretto contatto con i restauratori impegnati nei vari progetti, possono
trarre profitto anche da questa compresenza. D’altra parte, il laboratorio può ricevere
un beneficio dalla presenza degli allievi i quali possono, molto opportunamente,
collaborare a qualcuno di questi progetti, ampliando così notevolmente le nostre
possibilità operative, soprattutto in quei settori nei quali la dotazione organica è ormai
ridotta ai minimi termini. Una seconda positività si realizza quando i giovani
restauratori si inseriscono nel mondo del lavoro e, rimanendo sempre in contatto con
noi, diventano quasi degli ambasciatori delle nostre impostazioni metodologiche e
tecniche.
Voglio cogliere anche questa occasione per ringraziare la docente del settore tessili,
la restauratrice Susanna Conti che è tra gli autori del contributo presente, ma che non
parlerà per la sua naturale modestia: nonostante questo apprezzabile understatement
che cerca di portare alla ribalta le allieve che si sono occupate del tema specifico,
Susanna è l’anima del settore tessili, praticamente da lei fondato e arricchito nel
tempo di nuove metodiche e dal suo naturale rigore metodologico.
La prima relazione presentata dalla Conti e dalle allieve, oggi titolari di una avviata
attività professionale, e cioè Simona Laurini, che parlerà, e Guia Rossignoli, riguarda
un intervento di conservazione su di una statua femminile vestita appartenente al
Museo del Tessuto di Prato, eseguito nel 2001. Il rapporto con il Museo del Tessuto
di Prato, questa splendida e relativamente nuova realtà nel panorama nazionale, è per
noi molto importante e non solo per la contiguità geografica. Si tratta infatti di uno
dei pochi musei italiani interamente dedicati ai tessili ed è gestito da intelligenti e
bravi colleghi che condividono la nostra stessa impostazione sui delicati temi della
conservazione e dell’esposizione, in rapporto alle pur necessarie fasi della
valorizzazione e della fruizione.
La seconda relazione è il frutto del lavoro della classe di allieve che si sta per
diplomare al termine di questo stesso anno e testimonia dell’intervento compiuto
dalle allieve, sempre sotto l’attenta guida di Susanna Conti, su di una serie di
simulacri in ceroplastica che ci sono pervenuti dalla lontana Sicilia, da Caltanissetta
in particolare, al centro di un progetto di restauro intersettoriale (settori di restauro
del legno, della terracotta e glittica e dei tessili) per affrontare la caratteristica
compresenza di vari materiali. Il complesso progetto di intervento, realizzato dai vari
settori dell’Opificio è giunto al termine e in accordo con la Regione Sicilia è stato
oggetto di una pubblicazione specifica. Per quanto riguarda i tessili, cioè gli abiti
delle figure in cera e non solo, lo studio e la conservazione sono state affidate alle
allieve Ramona Bellina, Marina Zingarelli, Mariella Stragapede ed Elisa Zonta e sarà
proprio quest’ultima a presentarlo.
In conclusione, rinnovo il saluto dell’Opificio ed i complimenti per l’iniziativa,
quanto mai necessaria per valorizzare i beni appartenenti alla categorie dei tessili, in
entrambi i casi contrassegnati da valenze di tipo etnoantropologico. La nuova dizione
delle Soprintendenza ci assicura l’impegno del Ministero per la conservazione anche
di questa categoria di manufatti: cerchiamo tutti di far sì che non si tratti solo di
parole.
Si ringraziano i colleghi dell’Opificio:
A. Aldovrandi, A. Keller, F. Cinotti, M. Lorenzini, M. Dell’Aitante, I. Tosini, M.
Rizzi, S. Francolini, F. Kumar, A. Andreina, D. Mazzoni.
Segue:
Le Madonne Vestite: Due episodi di conservazione e formazione.
Contributi di: Ciatti M., Conti S., Laurini S., Rossignoli G., Zonta E., Bellina R.,
Zingarelli M., Stragapede M.