La tassazione dei redditi societari in ambito UE: il nuovo

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La tassazione dei redditi societari in ambito UE: il nuovo
Luiss
Libera Università
Internazionale
degli Studi Sociali
Guido Carli
CERADI
Centro di ricerca per il diritto d’impresa
La tassazione dei redditi societari in ambito
U.E.: il nuovo modello italiano a
confronto con i sistemi degli altri paesi
Federico Rasi
[giugno 2006]
© Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o
come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la
riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e
sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione
(*) SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il nuovo modello di tassazione dei redditi
derivanti da attività finanziarie – 2.1. La svolta nella tassazione dei dividendi:
l’abolizione del meccanismo del credito di imposta e l’introduzione del
meccanismo dell’esenzione – 2.2. I nuovi meccanismi di tassazione delle
plusvalenze – 2.2.1. Le plusvalenze/minusvalenze da valutazione di
partecipazioni – 3. La disciplina in materia di thin capitalization – 4. Il problema
della tassazione di gruppo – 4.1. Il consolidato nazionale – 4.2. Il consolidato
mondiale – 4.3. Le altre forme di tassazione consolidata (brevi cenni) – 5.
Considerazioni conclusive.
1. Premessa – Il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, recante
“Riforma dell’imposizione sul reddito delle società” ha condotto, come noto,
alla sostituzione dell’IRPEG con l’IRES. Al di là del semplice mutamento di
nome, si è introdotto in Italia un modello di tassazione delle persone giuridiche
profondamente diverso dal precedente. Le società, considerate ora portatrici di
autonoma capacità contributiva, sono divenute autonomi soggetti passivi di
imposta, non più solo in senso giuridico, ma anche in senso economico. Nella
vigenza del precedente regime, invece, attraverso il meccanismo del credito di
imposta, il prelievo dovuto dalle società era un mero “prelievo di acconto” del
successivo “prelievo definitivo” effettuato in capo ai soci - persone fisiche (1).
Questa differenziazione è stata ora superata: è definitiva tanto la tassazione
effettuata in capo alle società, quanto quella effettuata in capo alle persone
fisiche.
La rinnovata centralità delle società all’interno del sistema fiscale
nazionale, ha poi suggerito lo spostamento del pacchetto di regole per la
determinazione del reddito di impresa dall’IRPEF all’IRES e ha giustificato
l’introduzione di norme specifiche per le grandi imprese.
(*) Il presente contributo è stato pubblicato su “Rassegna Tributaria”, n. 5, 2004, pag.
1789.
(1) R. Schiavolin, Natura del tributo, funzioni e caratteri generali, in Giurisprudenza sistematica
di diritto tributario, Imposta sul reddito delle persone giuridiche e Imposta locale sui redditi, a cura di F.
Tesauro, Torino, 1996, pag. 30.
Nelle intenzioni del legislatore delegante, queste modifiche dovevano
permettere di raggiungere l’obiettivo di adottare un “modello fiscale omogeneo a
quelli più efficienti in essere nei Paesi membri dell'Unione Europea”(2): l’ordinamento
tributario italiano doveva essere armonizzato con quello degli altri ordinamenti
europei al fine rendere neutrale la variabile fiscale nelle decisioni degli operatori
economici e facilitare l’adozione di un sistema fiscale unico per l’Unione
Europea.
Poste tali premesse, l’analisi delle principali caratteristiche della recente
riforma del sistema fiscale statale (3) non potrà non tenere conto del contesto
europeo in cui va ad inserirsi e delle riforme fiscali che hanno interessato altri
Stati dell’Unione Europea (4). La Germania, ad esempio, ha mutato di recente il
proprio ordinamento tributario, mentre la Francia si appresta a farlo nei
prossimi mesi. Queste riforme, come quella italiana, si inseriscono nel più
ampio processo di armonizzazione e di integrazione europea in materia di
imposizione diretta in vista della cui attuazione - precisano le istituzioni
comunitarie - non sono più sufficienti interventi generici e frammentari.
In proposito, la Commissione ed il Comitato economico e sociale sono
intervenuti rispettivamente con la Comunicazione del 23 ottobre 2001, n.
(2) In questi termini si esprimeva la legge 7 aprile 2003, n. 80 recante “Delega per la
riforma del sistema fiscale statale. L’importanza di tale obiettivo è stata peraltro di recente
confermata dalla Circolare 16 giugno 2004, n. 25/E esplicativa dei principi della riforma IRES
(in Bollettino tributario d’informazioni, n. 12, pag. 929).
(3) Gli istituti caratterizzanti la recente riforma fiscale sono, come noto:
a)
l’applicazione di un meccanismo di esenzione da tassazione di dividendi,
plusvalenze da cessione e da valutazione di partecipazioni allo scopo di garantire un modello
uniforme di tassazione dei redditi derivanti dall’esercizio di attività finanziarie;
b)
l’introduzione di una normativa finalizzata al contrasto dell’utilizzo a fini
fiscali della sottocapitalizzazione (c.d. normativa anti - thin capitalization);
c)
mondiale.
la previsione di un modello di tassazione di gruppo su base nazionale e
Amplius I. Vacca, La nuova imposta sul reddito delle società: prime osservazioni, in
Giurisprudenza delle imposte, 2002, fasc. 4-5, pt. 5, pag. 1176.
(4) S. Giannini, La tassazione delle società nel contesto comunitario, Relazione al Convegno
“La riforma dell’imposta sulle società”, Firenze, 23 Gennaio 2004.
COM(2001)582 (5), e con l’opinione del 17 luglio 2002, n. 2002/C241/14 (6),
individuando nuovi meccanismi di armonizzazione, in particolare:
a)
l’Home state taxation, vale a dire la determinazione del reddito
imponibile di una società capogruppo e di quello delle sue branches e subsidiaries
esclusivamente attraverso le regole dello Stato di origine della prima;
b)
la European Union Corporate Income Tax, vale a dire un’imposta
unitaria fondata su una base imponibile e su una aliquota comuni;
c)
la Common Base Taxation, vale a dire una base imponibile
consolidata costruita secondo regole europee, sulla quale applicare aliquote
stabilite singolarmente da ciascuno Stato Membro.
Tale ultimo approccio è stato ritenuto, nel breve periodo, il più efficace
per risolvere i problemi di competizione fiscale tra Stati poiché lascerebbe loro
il margine di discrezionalità più limitato.
Indipendentemente da quale strada sarà scelta, tutte potranno essere
percorse soltanto a condizione di individuare “regole europee” in materia di
tassazione dei redditi societari. Per fare questo, occorre verificare l’esistenza di
linee di sviluppo comuni all’interno dei vari sistemi coinvolti. Così facendo, si
potrà anche accertare se il modello IRES (7) sia un modello fiscale omogeneo a
quelli più efficienti in essere nei Paesi Membri dell’Unione Europea.
(5) Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio,
al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale; verso un mercato interno senza ostacoli fiscali.
Strategia per l'introduzione di una base imponibile consolidata per le attività di dimensione UE delle società,
Bruxelles, 23 ottobre 2001, n. COM(2001)582.
(6) Comitato economico e sociale, Opinione del 17 luglio 2002, n. 2002/C241/14.
(7) F. Gallo, Riforma del diritto societario e imposta sul reddito, Relazione al Convegno “La
riforma dell’imposta sulle società”, Firenze, 23 Gennaio 2004.
2. Il nuovo modello di tassazione dei redditi derivanti da attività finanziarie – 2.1.
La svolta nella tassazione dei dividendi: l’abolizione del meccanismo del credito di imposta e
l’introduzione del meccanismo dell’esenzione – Il meccanismo del credito di imposta
sui dividendi permetteva non solo di posticipare il momento in cui il prelievo
diveniva definitivo, ma anche di eliminare la doppia tassazione degli utili
societari. Ponendo ora al centro del sistema tributario le società, tale modello è
risultato del tutto inadatto ed è stato quindi abolito. Ciò ha sollevato la
necessità di risolvere diversamente il problema della doppia tassazione ed è
stato pertanto introdotto il meccanismo dell’esenzione: i dividendi distribuiti da
una società sono ora esclusi dalla formazione del reddito imponibile del
percettore.
Ai fini dell’eliminazione della doppia imposizione, l’efficacia dei due
meccanismi è la medesima, differenti sono però le esigenze di natura più
generale alle quali essi rispondono (8): mentre il credito di imposta esclude la
convenienza a produrre reddito all’estero (c.d. Capital Export Neutrality) obiettivo che in un contesto europeo potrebbe essere ritenuto di ostacolo alla
libertà di movimento dei capitali -, l’esenzione, invece, offre uguali condizioni
di accesso a tutti i mercati (c.d. Capital Import Neutrality). Tali circostanze sono
peraltro sottolineate dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 344 del 2003, ove si
precisa che il meccanismo dell’imputazione è efficiente solo a condizione che la
società distributrice i dividendi e il socio percettore siano assoggettati al
medesimo sistema fiscale; un simile meccanismo disincentiva però
l’investimento in titoli esteri (9). Salve differenti disposizioni convenzionali,
infatti, di norma nessuno Stato riconosce ai dividendi di fonte estera un credito
per le imposte pagate dalla società distributrice nel proprio Stato di residenza.
In definitiva nei rapporti transazionali ed intracomunitari, il meccanismo
dell’esenzione pare quindi preferibile, nei rapporti interni, invece, tanto il
meccanismo del credito di imposta quanto quello dell’esenzione si equivalgono.
(8) P. Pistone, Il credito per le imposte estere ed il diritto comunitario: la Corte di giustizia non
convince, (Nota a CGCE 12 maggio 1998 (causa C-336/96); CGCE 14 settembre 1998 (causa C291/97)), in Rivista di diritto tributario, 2000, fasc. 4, pt. 3, pag. 76.
(9) G. Sozza, Dividendi esteri percepiti da persone fisiche. Novità dalla Riforma, in Il Fisco,
2003, n. 44, pag. 17553.
La necessità di eliminare discriminazioni nel trattamento dei dividendi
in funzione della residenza della società distributrice è stata affermata dalla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella sentenza del 6 giugno 2000,
Causa C-35/98, c.d. caso Verkooijen (10). I giudici del Lussemburgo, in tale
occasione, hanno affermato che “per l'attuazione dell'articolo 67 del Trattato, osta
una disposizione di legge di uno Stato membro che subordini la concessione di un'esenzione
dall'imposta sul reddito alla quale sono soggetti i dividendi versati a persone fisiche in
possesso di azioni, alla condizione che tali dividendi siano versati da società aventi sede nel
detto Stato membro. Infatti, una siffatta disposizione ha l'effetto di dissuadere i cittadini
comunitari residenti nello Stato membro interessato dall'investire i loro capitali nelle società
aventi sede in un altro Stato membro e produce anche un effetto restrittivo nei riguardi di tali
società in quanto costituisce, nei loro confronti, un ostacolo alla raccolta di capitali nello Stato
membro interessato, senza che la restrizione sia giustificata da un motivo imperativo di
interesse generale quale la necessità di garantire la coerenza del regime fiscale”.
Sulla necessità di eliminare discriminazioni nelle modalità di tassazione
di dividendi di fonte nazionale ed estera (11) insiste la Commissione nella
Comunicazione del 19 dicembre 2003, n. COM(2003)810 (12), ove esordisce
facendo propri i principi affermati nella sentenza Verkooijen. Il ragionamento
della Commissione si conclude non con la manifestazione di una preferenza
per uno dei due meccanismi, ma con l’accettazione del fatto che gli Stati
Membri possano indifferentemente ricorrere ad un modello piuttosto che ad
un altro, a condizione però che quello prescelto trovi applicazione indistinta
nei confronti tanto dei dividendi di fonte nazionale quanto di quelli di fonte
(10) Sentenza della Corte del 6 giugno 2000, Causa C-35/98, Caso Staatssecretaris van
Financiën c/ B.G.M. Verkooijen; M. Giorgi, La libera circolazione dei capitali nella Comunità europea ed
il regime impositivo dei dividendi nel diritto interno (Nota a CGCE 6 giugno 2000 (causa C-35/98)), in
Rassegna Tributaria, 2000, fasc. 4, pag. 1358; Monarca P., Dividendi esteri percepiti da persone fisiche
residenti, in Corriere Tributario, 2000, fasc. 36, pag. 2613.
(11) A. Di Pietro, Redditi dei soggetti non residenti e principi comunitari, Relazione al
Convegno “La riforma dell’imposta sulle società”, Firenze, 23 Gennaio 2004.
(12) Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio,
al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale; tassazione dei dividendi percepiti da individui nel
mercato interno, Bruxelles, 12 dicembre 2003, n. COM(2003)810.
comunitaria (13). La Commissione rimette così ai singoli Stati la scelta su quale
meccanismo adottare, purché questo sia adottato in maniera non
discriminatoria.
Tale sfida è stata affrontata di recente da vari Stati europei, tra i quali
l’Italia, la cui preferenza è caduta sul sistema dell’esenzione nella misura del
95% (14) nell’ipotesi in cui percettore di dividendi sia una società e nella misura
del 60% nell’ipotesi in cui il percettore sia una persona fisica (15).
Qualora il percettore sia una società (16), ha optato per il meccanismo
dell’esenzione pressoché integrale anche la Germania; nella stessa direzione
(13) L’analisi della Commissione si sofferma infatti sui vari meccanismi di tassazione
applicati ai dividendi di fonte nazionale (c.d. domestic dividends), di fonte comunitaria (c.d. inbound
dividends) e di fonte extra-UE (c.d. outbund dividends), e conclude insistendo sulla necessità di
rendere identico il prelievo fiscale su tali redditi.
(14) La tassazione di una quota di utile pari al 5% non risponde alla esigenza di voler
attribuire parziale rilevanza reddituale al dividendo, ma alla necessità di individuare, in maniera
forfetaria, una quota dei costi relativi alla gestione delle partecipazioni da assoggettare a
tassazione. Tale quota è stata fissata in via convenzionale nella misura del 5% degli utili
distribuiti.
(15) Nel caso in cui percettore di dividendi sia una persona fisica, può, in presenza di
determinate condizioni, trovare applicazione un meccanismo di imposizione sostitutiva.
(16)
Trattamento dei dividendi di fonte nazionale percepiti da società nei principali paesi
dell’Unione Europea:
Francia
Imponibili, salvo il riconoscimento di un credito di imposta del 10%. Se
derivanti da una partecipazione superiore al 5% sono deducibili dal reddito
imponibile per un ammontare pari al dividendo stesso meno il 5% del
dividendo al lordo del credito di imposta del 50%
Germania
Esenti
Gran Bretagna
Esenti*
Italia
Esenti nella misura del 95%
Paesi Bassi
Esenti se derivanti da una partecipazione superiore al 5%, altrimenti
imponibili
Spagna
Imponibili, salvo il riconoscimento di un credito di imposta totale se derivanti
da una partecipazione superiore al 5% detenuta da almeno un anno.
* L’ammontare del dividendo lordo (pari al dividendo netto più 1/9) è rilevante ai fini della
determinazione dell’aliquota applicabile.
sembra avviarsi la Francia, che solo apparentemente è in ritardo: essa utilizza
infatti un meccanismo per effetto del quale, indirettamente, i dividendi
percepiti da società risultano già esenti nella misura del 95% (17).
Un’ideale modello europeo di tassazione dovrebbe quindi, almeno nei
confronti delle società, applicare il meccanismo dell’esenzione. Occorrerà
verificare quale margine di discrezionalità lasciare ai singoli stati Membri
nell’individuazione del quantum di esenzione e se questa debba trovare
applicazione in modo generalizzato o debba essere subordinata al superamento
di determinate soglie di partecipazione combinate con periodi minimi di
possesso. Questi elementi, attorno ai quali residuano differenze tra i singoli
Stati Membri, permettono di dare risalto alle caratteristiche dei singoli mercati
nazionali di riferimento; da un lato sono quindi difficilmente eliminabili, è però
opportuno che, in chiave europea, gli spazi lasciati ai singoli stati siano il più
possibile ridotti.
Per quanto concerne, invece, le persone fisiche (18) non è possibile
ricostruire un preciso orientamento europeo. Pur essendovi una tendenziale
(17) Nel caso in cui i dividendi siano percepiti da una società c.d. madre, intendendo
per tali quelle società che detengono almeno il 5% del capitale sociale di una partecipata, sono
deducibili dal reddito imponibile per un ammontare pari al dividendo stesso meno il 5% del
dividendo al lordo del credito di imposta del 50%. Un esempio chiarirà meglio il meccanismo:
Dividendo
€ 30000
Credito di imposta
(50% del dividendo netto)
50% * 30000=
€ 15000
Quota non deducibile del dividendo
(5% del dividendo lordo)
5% * (30000 + 15000)
=
2250
Quota deducibile del dividendo
30000 - 2250=
27750
Quota imponibile
30000 – 27750=
2250
(18)
Trattamento dei dividendi di fonte nazionale percepiti da persone fisiche nei principali
paesi dell’Unione Europea:
Francia
Imponibili, salvo il riconoscimento di un credito di imposta del 50% del
dividendo netto
Germania
Esenti nella misura del 50%, imponibili per il restante 50%
preferenza per il meccanismo dell’esenzione (attuato attraverso meccanismi
alquanto differenti tra loro), si deve comunque far rilevare che il meccanismo
del credito di imposta gioca ancora un ruolo estremamente importante. Vi è
poi un “terzo incomodo”: il ricorso a meccanismi di imposizione sostitutiva.
Dovendo quindi abbandonare, almeno per ora, la possibilità di
individuare un modello europeo uniforme, può però utilmente attirarsi
l’attenzione sul fatto che le più recenti riforme fiscali (quella tedesca, quella
italiana e l’imminente riforma francese) si sono mosse nella stessa direzione.
Germania ed Italia adottavano infatti fino a pochi mesi fa (la Francia adotterà
ancora per poco) il meccanismo del credito di imposta totale e le riforme di cui
sono (o saranno) teatro sono state caratterizzate dalla completa abolizione di
tale meccanismo e dall’introduzione dell’esenzione parziale. Si discostano da
questa tendenza i Paesi Bassi che hanno invece preferito introdurre un sistema
fiscale c.d. “tabellare” in base al quale i redditi prodotti dalle persone fisiche
sono raggruppati, a seconda della loro fonte, in tre differenti boxes (19) ai quali
Gran Bretagna
Imponibili salvo il riconoscimento di un credito di imposta pari ad 1/9 del
dividendo netto
Italia
Esenti nella misura del 60%; imponibili per il restante 40% se derivanti da una
partecipazione che attribuisce una percentuale di diritti di voto esercitabili
nell'assemblea ordinaria superiore al 2% o al 20% ovvero una partecipazione
al capitale od al patrimonio superiore al 5% o al 25%, secondo che si tratti di
titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni. Per
partecipazioni inferiori a tali soglie è prevista l’applicazione sul 100% della
plusvalenza di un’imposta sostitutiva del 12,50%
Paesi Bassi
Imponibili con un’aliquota del 25% se il percettore possiede almeno il 5% del
valore nominale del capitale sociale; altrimenti imponibili con un’aliquota del
30% un reddito figurativo pari al 4% del valore medio netto della differenza
dei componenti patrimoniali attivi e passivi di cui è titolare il percettore
Spagna
Imponibili, salvo il riconoscimento di un credito di imposta pari al 40% del
dividendo netto
(19) Il Box n. 1 contiene i redditi di lavoro, redditi d’impresa, pensioni, assegni
periodici, redditi dei fabbricati adibiti ad abitazione: l’ammontare totale di tali redditi, al netto
delle deduzioni fiscalmente ammesse, è assoggettato ad imposizione progressiva.
Il Box n. 2 riguarda invece redditi derivanti dal possesso di partecipazioni sostanziali
(pari cioè almeno al 5% del capitale di una società) ed è previsto che dividendi e capital gains
siano tassati con un’aliquota fissa del 25%.
corrispondono differenti modalità di tassazione: di tipo progressivo o di tipo
sostitutivo; per i dividendi sono previsti meccanismi di imposizione sostitutiva.
Anche l’Italia, pur avendo introdotto l’esenzione, ha previsto per determinate
fattispecie l’applicazione di un’imposta sostitutiva. In direzioni diametralmente
opposte si sono invece mosse Spagna e Gran Bretagna che continuano a
ricorrere al credito di imposta.
Le scelte effettuate dai vari legislatori nazionali in materia di dividendi
percepiti da società non condizionano quelle concernenti i dividendi percepiti
da persone fisiche. In Gran Bretagna convivono i meccanismi dell’esenzione e
dell’imputazione, il primo per le persone giuridiche, il secondo per le persone
fisiche. In Italia, convivono esenzione e forme di imposizione sostitutiva.
L’eventualità di prevedere meccanismi di tassazione differenziata tra persone
fisiche e giuridiche è peraltro implicitamente avallata dalla Commissione nella
comunicazione n. COM(2003)810: gli stessi Commissari europei riconoscono
che si tratta di due situazioni che meritano trattamenti fiscali differenziati.
L’unico dato tangibile è la progressiva abolizione del credito di imposta,
non la sua sostituzione con l’esenzione. La realizzazione delle libertà
fondamentali del Trattato CE potrebbe spingere in tale direzione; così
operando, si potrebbero, se non altro, rimuovere più facilmente le differenze
nel trattamento dei dividendi di fonte estera. Il rovescio della medaglia di
questa scelta è il possibile rischio dell’aumento della pressione fiscale sui
contribuenti (20), rischio che può comunque essere evitato attraverso
l’introduzione di opportuni correttivi (21).
Il Box n. 3, infine, comprende i redditi da risparmi ed investimenti. Per tali redditi la
tassazione ordinaria è sostituita dall’applicazione di un’imposta proporzionale sul capitale
investito; in particolare, per ogni anno si presume la realizzazione di un guadagno
dell’investitore pari al 4% del capitale medio investito (che si ottiene dividendo per due la
somma del valore del capitale all’inizio dell’anno e del valore alla fine); il suddetto guadagno
presunto viene assoggettato a tassazione con un’aliquota fissa del 30%, che comporta un onere
fiscale sul capitale medio investito dell’1,2%, indipendentemente dalla circostanza che il
contribuente abbia realizzato un guadagno o subito una perdita.
(20) S. Golino, La Riforma Fiscale: Permane alta l’incidenza della tassazione sui dividendi in Il
Fisco, 2003, n. 31, pag. 12740.
(21) È il caso, ad esempio, dell’Italia in cui il passaggio dal credito di imposta
all’esenzione ha comportato un aumento della pressione fiscale sui dividendi in capo alle
Saranno in definitiva le scelte dei singoli legislatori a determinare la
preferenza per un sistema piuttosto che per l’altro. Il legislatore italiano, per le
persone fisiche, dovendo adottare un “modello fiscale omogeneo a quelli più efficienti
in essere nei Paesi membri dell'Unione Europea” ha optato per l’esenzione,
assecondando così le esigenze del processo di armonizzazione ed integrazione
tra gli Stati europei.
2.2. I nuovi meccanismi di tassazione delle plusvalenze – Modificate le modalità
di tassazione dei dividendi, per garantire uniformità nell’ambito della tassazione
dei redditi derivanti da attività finanziarie, si è dovuto procedere a modificare
anche le modalità di tassazione delle plusvalenze (e minusvalenze) da cessioni
di partecipazioni.
Poiché per il percettore, il realizzo di plusvalenze a seguito di cessione
di partecipazioni altro non è se non il presente incasso dei futuri dividendi,
sarebbe incoerente assoggettare tali cespiti a regimi impositivi differenti. Il
dividendo e la plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione
rappresentano, in altre parole, redditi della stessa natura che devono essere
assoggettati al medesimo meccanismo di tassazione.
Pertanto, per le società è stato introdotto il meccanismo della c.d.
participation exemption per effetto del quale, soddisfatti determinati requisiti (22),
le plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni societarie sono
persone fisiche. Differentemente, in Germania, il medesimo passaggio non ha comportato le
stesse conseguenze. Ciò è dipeso non solo da una sensibile differenza nelle aliquote, ma anche
dal fatto che in Germania è stato previsto un meccanismo di rimborso delle aliquote applicate
sui dividendi estremamente favorevole: infatti mentre solo il 50% del dividendo percepito
concorre a tassazione progressiva, le ritenute applicate al momento dell’erogazione sul 100%
del dividendo vengono integralmente rimborsate.
(22) Il regime di esenzione si applica ai titoli ininterrottamente posseduti per
almeno un anno, iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie, rappresentativi di partecipazioni
in società residenti in stati diversi da quelli a regime fiscale privilegiato che, al momento
del realizzo da parte della partecipante della plusvalenza, esercitino un’attività
commerciale.
integralmente esenti. Tale scelta produce poi riflessi positivi in chiave europea
dal momento che agevola il processo di progressiva rimozione degli ostacoli
alla libertà di circolazione dei capitali.
L’analisi delle legislazioni europee in materia di tassazione di
plusvalenze mostra che l’uniformità perseguita dal legislatore italiano
contraddistingue la maggior parte degli ordinamenti fiscali degli altri Stati
Membri (23). Rompono questa simmetria il sistema francese che applica un
meccanismo di imposizione sostitutiva nonostante esenti da tassazione i
dividendi, seppur soltanto attraverso meccanismi di fatto, ed il sistema
spagnolo che, pur adottando il meccanismo del credito di imposta per i
dividendi, esenta integralmente da tassazione le plusvalenze da cessione di
partecipazioni societarie.
Un futuro modello europeo dovrà quindi assolutamente rispettare tale
esigenza di simmetria: adottato un meccanismo per dividendi, lo stesso dovrà
essere applicato anche per le plusvalenze.
Questo principio risulta valido non solo per le società, ma anche per le
persone fisiche. Infatti, spostando l’analisi su questi soggetti (24), si giunge
(23)
Trattamento delle plusvalenze di fonte nazionale realizzate da società nei principali paesi
dell’Unione Europea:
Francia
Imponibili attraverso l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 19% se
derivanti da una partecipazione superiore al 5% detenuta da almeno 2 anni
Germania
Esenti
Gran Bretagna
Esenti se derivanti da una partecipazione superiore al 10 %
Italia
Esenti se derivanti da partecipazioni ininterrottamente possedute per almeno
un anno, iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie e concernenti società
residenti in stati diversi da quelli a regime fiscale privilegiato che, al momento
del realizzo da parte della partecipante della plusvalenza, esercitino un’attività
commerciale
Paesi Bassi
Esenti se derivanti da una partecipazione superiore al 5%, altrimenti
imponibili
Spagna
Esenti, se derivanti da una partecipazione superiore al 5% detenuta da
almeno un anno.
(24)
ancora alla medesima conclusione. Pur non essendo possibile individuare un
orientamento comune a tutti gli Stati europei, si può confermare che le scelte
effettuate riguardo ai dividendi condizionano le scelte da effettuare riguardo
alle plusvalenze; tale principio trova affermazione anche in Francia e Spagna.
Le plusvalenze, anche nell’ipotesi in cui il percettore sia una persona fisica,
rappresentano una fonte di ricchezza del tutto analoga ai dividendi, in quanto si
ricollegano - come questi ultimi - agli utili generati dalla società partecipata.
Da ultimo merita precisare che le minusvalenze da partecipazioni
societarie, realizzate tanto da persone fisiche quanto da società, scontano in
tutti gli Stati europei il medesimo trattamento riservato alle corrispondenti
plusvalenze. Saranno, quindi, tendenzialmente indeducibili dal reddito di
impresa delle società, mentre saranno deducibili in tutto o in parte, dalle
corrispondenti plusvalenze realizzate da persone fisiche riducendo la somma da
assoggettare o a tassazione progressiva o a tassazione sostitutiva. Il legislatore
italiano non si è discostato da tale linea: le minusvalenze sono infatti
Trattamento delle plusvalenze di fonte nazionale realizzate da persone fisiche nei
principali paesi dell’Unione Europea:
Francia
Imponibili attraverso l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 16%
Germania
Esenti integralmente.
Imponibili nella misura del 50% (esenti per il restante) se derivanti da
partecipazioni superiori all’1% del capitale sociale della partecipata, detenute da
meno di 5 anni o se derivanti da partecipazioni inferiori all’1% detenute da
meno di 1 anno
Gran Bretagna
Imponibili
Italia
Esenti nella misura del 60% (imponibili per il restante 40%) per partecipazioni
che rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto
esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2% o al 20% ovvero una
partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5% o al 25%, secondo
che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.
Per partecipazioni inferiori a tali soglie è prevista l’applicazione sul 100% della
plusvalenza di un’imposta sostitutiva del 12,50%
Paesi Bassi
Imponibili con un’aliquota del 25% se il percettore possiede almeno il 5% del
valore nominale del capitale sociale, altrimenti imponibili con un’aliquota del
30% un reddito figurativo pari al 4% del valore medio netto della differenza
dei componenti patrimoniali attivi e passivi di cui è titolare il percettore
Spagna
Imponibili integralmente se i beni da cui derivano sono stati posseduti per un
tempo inferiore ad 1 anno; imponibili attraverso un aliquota del 15% se,
invece, i beni da cui derivano sono stati posseduti per un tempo superiore ad 1
anno
indeducibili dal reddito di impresa (25); sono deducibili nella misura del 40%
dalle corrispondenti plusvalenze imputabili a persone fisiche o riducono la
somma da assoggettare ad imposizione sostitutiva.
2.2.1. Le plusvalenze/minusvalenze da valutazione di partecipazioni – Disposta
l’esenzione dei dividendi ed introdotto il meccanismo della participation
exemption per le plusvalenze da cessione di partecipazione, non restava al
legislatore nazionale che modificare le disposizioni in tema di plusvalenze e
minusvalenze da valutazione di partecipazioni. Per le prime, nulla è cambiato: il
sistema fiscale attuale, come quello precedente, ne dispone l’irrilevanza. Le
minusvalenze, al contrario, mentre prima, in presenza di limitate condizioni,
potevano essere deducibili, ora, se relative a titoli per i quali si applica il regime
di esenzione, sono assolutamente indeducibili.
Queste scelte soddisfano le stesse esigenze di coerenza interna del
sistema che hanno orientato anche altri Stati Europei (26). L’adozione di un
(25) Più precisamente, sono indeducibili solo le minusvalenze derivanti dalla cessione
di titoli ininterrottamente posseduti per almeno un anno, iscritti nelle immobilizzazioni
finanziarie, rappresentativi di partecipazioni in società residenti in stati diversi da quelli a
regime fiscale privilegiato che, al momento del realizzo da parte della partecipante della
plusvalenza, esercitino un’attività commerciale, in altri termini, solo le minusvalenze relativi a
titoli soggetti al regime di participation exemption.
(26)
Trattamento delle plusvalenze/minusvalenze da valutazione di partecipazioni in capo
alle società nei principali paesi dell’Unione Europea:
Francia
Irrilevanti le plusvalenze
Deducibili le minusvalenze per opzione a condizione che la relativa perdita sia
contabilizzata in un fondo apposito
Germania
Irrilevanti a meno che non si tratti di un ripristino di valore dipendente da una
svalutazione eccezionalmente ammessa
Gran Bretagna
Irrilevanti
Italia
Irrilevanti
regime di esenzione delle plusvalenze da cessione porta a sancire l’irrilevanza
fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze da valutazione. Così accade in
Germania (27), Regno Unito, Olanda (28) ed Italia. La Francia, assume una
posizione differente: tassa le plusvalenze da cessione, ma dispone l’irrilevanza
di quelle da valutazione, salvo ammettere la deducibilità delle minusvalenze a
condizione che in bilancio sia stanziato un apposito fondo. La Spagna, infine,
pur esentando da tassazione le plusvalenze da cessione e da valutazioni di
partecipazioni, attribuisce rilevanza fiscale alle sole minusvalenze da
valutazione di partecipazioni azionarie.
I principali ordinamenti fiscali europei mostrano, quindi, di aver scelto
di non attribuire rilevanza fiscale alle plusvalenze ed alle minusvalenze da
valutazione, salvo ammettere la deducibilità delle seconde esclusivamente a fini
di incentivazione fiscale.
In definitiva, esiste una sostanziale simmetria nei meccanismi di
tassazione di dividendi, plusvalenze e minusvalenze da cessione e da
valutazione. Applicato ai primi il regime di esenzione, esigenze di coerenza
suggeriscono di estendere il medesimo meccanismo alle seconde ed alle terze;
Paesi Bassi
Esenti le plusvalenze da valutazione in caso di partecipazioni superiori al 5%
Esenti le minusvalenze da valutazione in caso di partecipazioni superiori al
5%, altrimenti deducibile se certe nel rispetto del principio della prudenza;
deducibili, nei primi 5 anni dall’acquisto, le minusvalenze relative a
partecipazioni pari ad almeno il 25% del capitale sociale della società
controllata
Spagna
Irrilevanti le plusvalenze
Deducibili le minusvalenze
(27) Non indebolisce tale affermazione il fatto che il legislatore tedesco riconosca
rilevanza fiscale alle rivalutazioni attraverso cui viene ripristinato l’originario valore di un
cespite svalutato nei precedenti periodi di imposta. È infatti prevista una cautela che riafferma
il principio generale: la rivalutazione non può condurre a iscrivere in bilancio il cespite
rivalutato per un valore superiore a quello di prima iscrizione.
(28) Il legislatore olandese persegue fini agevolativi ammettendo la deducibilità delle
minusvalenze da valutazione afferenti partecipazioni per le quali si applica il regime l’esenzione
nei primi 5 anni dall’acquisto. Decorso tale termine o nell’ipotesi in cui entro tale termine siano
cedute, sono previsti meccanismi di ripresa a tassazione che confermano il principio della
sostanziale irrilevanza fiscale di tali componenti del reddito.
applicato ai primi il regime dell’imputazione, le medesime esigenze
suggeriscono di attrarre a tassazione le seconde, ma non necessariamente anche
le terze. La delineata simmetria, che si giustifica alla luce di esigenze di cautela
fiscale, ammette questa eccezione nel vigente regime francese e la ammetteva in
quello italiano ante riforma.
In vista della costruzione di un modello europeo, caratterizzato
dall’ormai netta preferenza per l’applicazione del regime di esenzione dei
dividendi, non potranno che farsi derivare i conseguenti corollari: l’estensione
di tale meccanismo anche alle plusvalenze e minusvalenze da cessione e da
valutazione di partecipazioni.
3. La disciplina in materia di thin capitalization – L’introduzione di una
normativa in materia di contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione
(29) (c.d. thin capitalization) è una delle principali caratteristiche della riforma
fiscale italiana. Nelle intenzioni del legislatore, essa dovrebbe contrastare la
prassi ormai comune delle imprese di finanziarsi indebitandosi con i propri soci
piuttosto che ricorrendo ad apporti di capitale. Le disposizioni in esame
cercano di sfavorire quelle forme di indebitamento che in realtà celano
conferimenti di capitale di rischio. Tale risultato è ottenuto dal legislatore
italiano, come dagli altri legislatori europei, disponendo che gli interessi pagati
da una società a propri soci, se eccedenti una determinata soglia, siano
riqualificati come dividendi (30).
Il contrasto alle forme di sottocapitalizzazione delle imprese può essere
raggiunto colpendo non solo i rapporti di finanziamento sussistenti tra società
e propri soci qualificati (e loro parti correlate), ma anche colpendo il coacervo
11305.
(29) P. Bonarelli, La delega per la riforma del sistema tributario, in Il Fisco, 2003, n. 27, pag.
(30) Una società è però ammessa a dimostrare che l’ammontare dei finanziamenti
eccedenti la soglia consentita sia giustificata dalla propria esclusiva capacità di credito e che,
conseguentemente, gli stessi sarebbero stati erogati anche da terzi indipendenti con la sola
garanzia del patrimonio sociale. Ove sia data tale dimostrazione, non opera la suddetta
riqualificazione.
dei rapporti di finanziamento accesi a favore della società stessa (31). Mentre
nella prima ipotesi, il c.d. debt/equity ratio è costituito dal rapporto tra
l’ammontare dei rapporti di finanziamento riconducibili ad un socio ed il
patrimonio netto contabile a lui riferibile; nella seconda è rappresentato
dall’intero ammontare dei rapporti di finanziamento della società ed il suo
stesso patrimonio netto contabile. Il valore di tale rapporto, il superamento del
quale determina la riqualificazione in dividendi degli interessi eccedenti, è di
norma non molto elevato nella prima ipotesi, mentre raggiunge valori più alti
nella seconda (32).
A livello europeo, la preferenza è marcatamente a favore del primo dei
due modelli. Tutti gli ordinamenti tributari dei principali Paesi dell’Unione
Europea (33) contengono norme specifiche anti - thin capitalization che integrano
(31) È, ad esempio, il caso dell’Austria ove le norme sulla sottocapitalizzazione, di
origine giurisprudenziale ed amministrativa, prevedono la loro applicazione nei confronti del
complesso dei finanziamenti accesi da una società.
(32) Mentre nel primo modello, il debt/equity ratio è di media 2:1, nel secondo ruota
attorno al valore di 8:1.
(33)
Caratteristiche delle norme in tema di thin capitalization nei principali paesi europei
Soglia di
partecipazione per
l’applicazione delle
norme in tema di
thin capitalization
Nozione di
indebitamento
Nozione di
capitale
Rapporto
Indebitamento
- capitale
Francia
≥ 50 % dei diritti
di voto
Debiti direttamente
riconducibili a soci
qualificati diversi da
società che possiedono
almeno il 5% del capitale
sociale della società
controllata
Capitale
Sociale
1,5:1
Germania
≥25 % del capitale
sociale
Debiti direttamente ed
indirettamente
riconducibili a soci
qualificati
Patrimonio
Netto
3:1
(società holding)
1,5:1
(altre società)
le norme generali in tema di indeducibilità degli interessi passivi (34). Singolare
è il caso dei Paesi Bassi (35), nel quale le norme in tema di sottocapitalizzazione
si confondono con le stesse norme generali in tema di deducibilità degli
interessi passivi. Si tratta di una differenza di tecnica legislativa di scarso rilievo
destinata ad essere rimossa dall’intervento della Corte di Giustizia delle
Comunità Europee che nella sentenza del 18 settembre 2003, Causa C-168/01,
Gran
Bretagna
≥75 % del capitale
sociale
Debiti direttamente ed
indirettamente
riconducibili a soci
qualificati
Patrimonio
netto
1:1
Italia
≥25 % del capitale
sociale o controllo
ex art. 2359 c.c.
Debiti direttamente ed
indirettamente
riconducibili a soci
qualificati
Patrimonio
netto
4:1
Paesi
Bassi
------------------
-----------------------
-------------
-------------------
≥25 % del capitale
sociale
Debiti con imprese non
residenti
Patrimonio
netto
3:1
Spagna
(34) La disciplina inglese in materia di thin capitalization trova solo in minima parte la
propria fonte nel diritto positivo, assume piuttosto rilievo l’uniforme prassi applicativa
dell’Inland Revenue. Accade, a titolo di esempio, che mentre il primo si limita a disporre la
riqualificazione in dividendi degli interessi eccedenti l’ordinaria pratica commerciale, la seconda
precisa che il valore del debt/equity ratio coerente con l’ordinaria pratica commerciale è in linea
di massima 1:1.
(35) La legge fiscale olandese commina l’indeducibilità di tutti i pagamenti a parti
qualificate di interessi su prestiti attraverso cui si procede, direttamente o indirettamente, ad
una distribuzione di dividendi ovvero ad un conferimento o ad una restituzione di capitale.
Tale restrizione si applica sia alle relazioni dirette che indirette tra società madri e figlie.
Tuttavia, tali interessi divengono deducibili qualora la società debitrice dimostri che
l’assunzione del prestito è coerente con la “sana pratica commerciale” e trova la sua
giustificazione in valide ragioni economiche.
Tale disposizione, tuttavia, è prossima ad essere definitivamente abrogata poiché
ritenuta dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea (sentenza C-168/01, Bosal, del 18
Settembre 2003), in contrasto con il principio della libera circolazione dei capitali. Si prevede
per il futuro la completa deducibilità degli interessi passivi sui debiti connessi a partecipazioni
in società, residenti o non residenti. È ora all’esame del Governo olandese l’introduzione di
nuove norme in materia di thin capitalization, le quali precludano la deducibilità di interessi
pagati su debiti che eccedano un rapporto debiti/capitale di 3:1 (tale limite, seppur in modo
parziale, è comunque già stato introdotto ed è tuttora vigente). Tale disciplina troverà
applicazione solo nei confronti delle società appartenenti ad un’“unità fiscale” e salva la prova
del mancato superamento, a livello di gruppo, del predetto rapporto.
c.d. caso Bosal (36), ha riscontrato nella normativa olandese elementi di
contrasto con le norme del Trattato CE, in particolare con il principio di libera
circolazione dei capitali. Per ora solo in via interpretativa, in futuro in maniera
espressa, anche il sistema olandese è comunque riconducibile al primo modello
di disciplina contro la sottocapitalizzazione delle imprese.
Come anticipato, questo è il modello di disciplina anti - thin capitalization
prevalentemente utilizzato in Europa; la sua applicazione passa attraverso
l’individuazione di alcune nozioni: quelle di “parti correlate”, di “debito” e di
“capitale” e, da ultimo, attraverso la fissazione del “valore del debt/equity ratio”.
È su queste nozioni che, a livello europeo, si registrano divergenze e
convergenze.
Parti correlate sono di norma i soci il valore della cui partecipazione
supera una determinata soglia: non molto elevata in alcuni Stati (l’Italia), molto
alta in altri (la Gran Bretagna). Tale circostanza non muta l’approccio al
problema pur costituendo un elemento rilevante dal punto di vista operativo in
quanto potrà orientare le scelte degli operatori economici: questi preferiranno
certamente operare in Stati le cui norme in materia di thin capitalizazion abbiano
un più ristretto ambito soggettivo di applicazione.
Per debito, ossia il numeratore del rapporto debt/equity, si intendono in
modo pressoché uniforme i debiti erogati nonché quelli garantiti da un socio
qualificato o da sue parti correlate. È infatti ovunque avvertita l’esigenza di
estendere l’indagine non solo ai debiti direttamente riconducibili a un socio, ma
anche a quelli a lui riconducibili, in via indiretta, evitando così facili
aggiramenti della normativa.
Il capitale rilevante, ossia il denominatore del rapporto, è di norma il
patrimonio netto della società. Esso rappresenta il termine di paragone naturale
per mezzo del quale valutare la capacità di credito di una società. A tale valore
dovranno fare riferimento anche le stesse società che risulteranno interessate
ad ottenere la non applicazione delle norme in tema di contrasto al fenomeno
della sottocapitalizzazione. Tutti gli ordinamenti tributari europei attribuiscono
alle proprie imprese la possibilità di offrire prova che i debiti contratti con i
(36) Sentenza del 18 settembre 2003, Causa C-168/01, Caso Bosal Holding BV c/
Staatssecretaris van Financiën di cui si parlerà più diffusamente in seguito.
propri soci o da loro garantiti sarebbero stati contratti o garantiti alle medesime
condizioni anche con e da soggetti terzi indipendenti: centro di tale
dimostrazione sarà inevitabilmente la dimostrazione della consistenza del
patrimonio netto (37).
A livello europeo, il valore del debt/equity ratio è l’elemento attorno al
quale si registrano le più significative differenze. Non si rinviene un dato
univoco, anzi esso oscilla entro una forbice estremamente ampia, certamente
più ampia di quanto ci si sarebbe potuto attendere dal ricorso unanime al
modello più restrittivo di disciplina anti - thin capitalizazion.
Oltre che con le considerazioni che precedono, un modello
comunitario di disciplina di contrasto al fenomeno delle sottocapitalizzazione
delle imprese dovrà confrontarsi con la recente giurisprudenza della Corte di
Giustizia delle Comunità Europee in materia.
Il primo caso posto all’attenzione dei giudici di Lussemburgo, risolto
con la sentenza del 12 dicembre 2002, Causa C-324/00, è il c.d. caso LankhorstHohorst (38) concernente la conformità al diritto comunitario di una clausola di
salvaguardia prevista dalla normativa tedesca. Detta clausola disponeva la
disapplicazione della disciplina in tema di sottocapitalizzazione delle imprese a
condizione che gli interessi passivi pagati da una società residente confluissero
in un reddito imponibile in Germania. Per effetto di tale norma accadeva che
gli interessi passivi pagati da controllate residenti ad una capogruppo non
residente fossero sempre indeducibili; la residenza della società madre di un
gruppo diveniva così elemento di discriminazione. Per la Corte di Giustizia
delle Comunità Europee “una tale disparità di trattamento tra controllate residenti in
funzione della sede della loro società capogruppo costituisce una restrizione alla libertà di
stabilimento, in linea di massima vietata dall'art. 43 CE. La norma tributaria in questione
rende meno vantaggioso l'esercizio della libertà di stabilimento da parte delle società stabilite
(37) La disciplina francese è invece in controtendenza nel contesto europeo: pone al
numeratore del debt/equity ratio i soli debiti direttamente riconducibili ai soci, coerentemente
pone al denominatore il solo capitale sociale. Nel complesso, ciò determina un restringimento
della portata applicativa della normativa di contrasto alla sottocapitalizzazione delle imprese
(38) Sentenza del 12 dicembre 2002, Causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst GmbH c/
Finanzamt Steinfurt. G. Ferranti, La finalità della nuova disciplina della thin capitalization¸ in Corriere
Tributario, 2003, fasc. 40, pag. 3285-3289.
in altre Stati membri, le quali potrebbero di conseguenza rinunciare all'acquisizione, alla
creazione o al mantenimento di una controllata nello Stato membro che promulga questa
norma”.
Il principio così affermato ha trovato immediata conferma nella citata
sentenza del 18 settembre 2003, Causa C-168/01, c.d. caso Bosal con la quale si
è stabilita la non conformità al diritto comunitario di quella parte della
disciplina olandese che comminava l’indeducibilità dei costi sostenuti da una
società madre con sede nei Paesi Bassi per la partecipazione al capitale di
società figlie con sede in altri Stati membri (39), mentre i medesimi costi, se
fossero stato sostenuti a favore di società figlie residenti, sarebbero stati
integralmente deducibili. Operava, quindi, un’implicita clausola di salvaguardia:
gli interessi passivi su prestiti pagati a società di un gruppo erano deducibili a
condizione che fossero imponibili nelle mani del percettore in Olanda. Le parti
ricorrenti sostenevano che una simile normativa fosse restrittiva dell'esercizio
della libertà di stabilimento in quanto penalizzava la costituzione di società
figlie in Stati Membri differenti dai Paesi Bassi. La Corte di Giustizia,
concordando su tali posizioni, ravvisava nella normativa olandese una palese
violazione delle libertà fondamentali sancite dal Trattato CE, dal momento che
“una società madre potrebbe essere dissuasa dall'esercitare le proprie attività con
l'intermediazione di una società figlia stabilita in un altro Stato membro, in quanto simili
società figlie non realizzeranno, in linea di massima, utili imponibili nei Paesi Bassi”.
Condizionare l’applicazione delle norme anti - thin capitalization al fatto
che gli interessi dedotti siano tassati nello stesso Stato viola il diritto
comunitario (40); agli stati europei sono così lasciate aperte due strade: o
eliminare simili clausole o estendere la medesima esenzione al caso in cui gli
oneri finanziari pagati confluiscano in un reddito imponibile in uno dei Paesi
(39) Era questo uno dei contenuti della normativa olandese in materia di
sottocapitalizzazione delle imprese di cui si faceva menzione in precedenza.
(40) Ha dovuto fare i conti con tale orientamento giurisprudenziale della Corte di
Giustizia delle Comunità Europee la stessa Italia nella recente riforma fiscale. Si ricorda infatti
che il contenuto della norma italiana in materia di sottocapitalizzazione, ora art. 98 del
novellato t.u.i.r., prevedeva nel testo diffuso su internet prima della sua approvazione definitiva
una norma del tipo di quelle contenute nelle legislazioni olandese e tedesca.
dell’Unione Europea. Ciò garantirebbe la massima parità di trattamento tra
residenti e non.
Degli spunti sorti dal dibattito europeo, il modello italiano ne raccoglie
numerosi; peraltro nelle sue linee essenziali, tralasciando il merito di alcune
scelte legislative (il valore del debt/equity ratio, ad esempio) (41), risulta coerente
con il modello europeo appena delineato. Pregio delle disposizioni di cui all’art.
98 t.u.i.r. è sopratutto quello di non porsi in contrasto con i principi del diritto
comunitario e di non pregiudicare l’esercizio delle libertà fondamentali sancite
dal Trattato CE.
4. Il problema della tassazione di gruppo – 4.1. Il consolidato nazionale – L’art.
4, lettera a) della legge delega per la riforma fiscale (42) invitava il Governo ad
introdurre un meccanismo di “determinazione, in capo alla società o ente controllante,
di un'unica base imponibile per il gruppo d'imprese su opzione facoltativa delle singole società
che vi partecipano ed in misura corrispondente alla somma algebrica degli imponibili di
ciascuna rettificati”. Tale disposizione rappresenta, per l’ordinamento tributario
italiano, la prima formale presa d’atto della crescente rilevanza sulla scena
economica dei grandi gruppi di imprese (43) e della necessità di regolare tale
fenomeno attraverso norme specifiche, come accade nella maggioranza dei
Paesi dell’Unione Europea.
(41) Ci si riferisce in particolare al valore del debt/equity ratio scelto dal legislatore
italiano, che risulta essere il più elevato tra quelli scelti dai vari legislatori europei, i quali hanno
preferito approcci più restrittivi, forse più coerenti con quel modello di thin capitalization
finalizzato al contrasto dei soli fenomeni a carattere elusivo.
statale”.
(42) Legge 7 aprile 2003, n. 80 recante “Delega per la riforma del sistema fiscale
(43) G. Irnerio, In tema di tassazione dei gruppi di imprese ex D.Lgs. 12 dicembre 2003, n.
344, istitutivo dell'Ires, in Rassegna Tributaria, 2004, fasc. 2, pag. 97; D. Stevanato, Il consolidato fiscale
nella delega per la riforma tributaria: profili problematici e prospettive di attuazione, in Rassegna Tributaria,
2002, fasc. 4, pag. 1187.
Le varie normative nazionali (44) in materia, pur presentando numerose
similitudini, differiscono però per un aspetto rilevante: il riconoscimento o
meno di autonoma soggettività tributaria (45) al gruppo di imprese. È questa
una inevitabile conseguenza delle differenze esistenti tra i vari ordinamenti
riguardo al problema della soggettività giuridica, in generale, e di quella
tributaria in particolare degli enti associativi. Non è forse nemmeno auspicabile
l’individuazione di una soluzione europea al problema; esigenze di coerenza
interna dei vari ordinamenti potrebbero suggerire di lasciare alla discrezionalità
dei singoli legislatori nazionali la facoltà di riconoscere o meno soggettività
giuridica al gruppo di imprese, a condizione che ciò non produca
discriminazioni contrarie ai principi su cui si fonda l’Unione Europea.
Dal punto di vista operativo, i meccanismi teoricamente utilizzabili per
determinare un’unica imposta di gruppo sono (46):
a)
la redazione di un bilancio unico per le tutte le società del gruppo;
b)
la sommatoria delle basi imponibili delle singole società del gruppo;
c)
la sommatoria delle imposte dovute dalle singole società del gruppo.
(44)
Disciplina del consolidato domestico nei principali paesi dell’Unione Europea:
Riconoscimento di un’autonoma soggettività giuridica
Francia
No
Germania
No
Gran Bretagna
No
Italia
No
Paesi Bassi
Sì
Spagna
Sì
(45) A. Fantozzi, I rapporti di gruppo, Relazione al Convegno “La riforma dell’imposta sulle
società”, Firenze, 23 Gennaio 2004.
(46) G. M. Committeri e A. Sacrestano, Prime considerazioni in materia di consolidato fiscale,
in Il Fisco, 2003, n. 27, pag. 11403.
Gli ordinamenti tributari dei principali paesi dell’Unione Europea (47)
mostrano una preferenza incondizionata per il modello sub b) al quale si è
uniformata anche l’Italia. Tale impressione di uniformità risulta ulteriormente
rafforzata dall’analisi delle singole normative nazionali.
(47)
Disciplina del consolidato domestico nei principali paesi dell’Unione Europea:
Francia
Germania
Soglia di
partecipazione
per l’accesso al
consolidamento
Percentuale
dei redditi
attribuita
alla
controllante
Responsabilità
≥95%
Integrale
Durata
minima
Trasferimenti
infragruppo
Dividendi
infragruppo
In capo alla
controllante
5 anni
Fiscalmente
Fiscalmente
Irrilevanti
Irrilevanti1
In capo alla
controllante
e in via
sussidiaria
in capo alle
controllate
5 anni
Si applica il
regime
ordinario
Fiscalmente
In capo alla
controllante
Nessuna
Fiscalmente
Fiscalmente
Irrilevanti
irrilevanti
per le
obbligazioni
di gruppo
>50% + voto
favorevole, a
maggioranza
del 75%,
dell’assemblea
delle società
interessate
Integrale
Gran
Bretagna
≥75%2
Integrale3
Italia
>50%
Integrale
In capo alla
controllante
3 anni
Fiscalmente
irrilevanti
Fiscalmente
irrilevanti
Paesi
Bassi
≥95%
Integrale
In capo a
tutte le
società del
gruppo
Nessuna
Fiscalmente
Fiscalmente
irrilevanti
irrilevanti
In capo a
tutte le
società del
gruppo
3 anni
Fiscalmente
irrilevanti
Fiscalmente
Spagna
1 Non
>75% + voto
favorevole
della
maggioranza
dell’assemblea
delle società
interessate
Integrale
irrilevanti
irrilevanti
comportano l’attribuzione di credito di imposta.
2
Oltre a questa particolare nozione di gruppo, il sistema tributario inglese conosce ed
attribuisce rilevanza a quella di consorzio. Si è in presenza di un consorzio laddove due o
più società possiedono ognuna, singolarmente, almeno il 5% e, collettivamente, almeno il
75% del capitale sociale di un’altra compagnia.
3
In caso di consorzio, il consolidamento è soltanto parziale.
L’applicazione di un regime di consolidamento è di norma la
conseguenza di un’opzione esercitata dalle società del gruppo i cui effetti,
mentre in alcuni Stati, hanno durata illimitata nel tempo, salvo l’esercizio del
diritto di revoca, in altri valgono per un limitato arco temporale, salvo il
rinnovo dell’opzione stessa.
La nozione di gruppo in senso economico e di gruppo in senso fiscale
spesso differiscono tra loro. La circostanza che il principio del c.d. all in all out
non trovi applicazione per il consolidato nazionale e che quindi non esista
alcun obbligo di consolidare i redditi di tutte le società di un gruppo in senso
economico rappresenta una prima spiegazione del fenomeno, ma le ragioni
della distanza tra queste due nozioni meglio si apprezzano procedendo
nell’analisi degli elementi utilizzati dai vari legislatori nazionali per individuare
quando tra due società sussista un rapporto di controllo. Normalmente tale
rapporto sussiste quando una società, la controllante, detiene una data soglia di
partecipazione agli utili o al capitale sociale della controllata. Essendo il
presupposto per l’esistenza di un gruppo l’esistenza di una coesione
economica tra più società, tale soglia di partecipazione viene di norma fissata in
un valore molto elevato (48): attraverso tale accorgimento, la forma giuridica
del fenomeno e la sua sostanza economica combaciano.
Questa soluzione produce l’ulteriore conseguenza di garantire una
migliore tutela delle minoranze delle singole controllate. L’opzione per una
tassazione su base consolidata, infatti, potrebbe permettere alla maggioranza di
una società di ottenere per sé vantaggi di ordine fiscale, frustrando le
aspettative della minoranza (49).
La tutela di tali soggetti è risolta a livello europeo attraverso due
meccanismi alternativi. Il primo è quello applicato dalla maggior parte degli
Stati Europei e consiste proprio nell’individuazione di una soglia di
(48) Di norma, tale soglia viene fissata in un valore non inferiore al 75% del capitale
sociale della controllata.
(49) Si ipotizzi il caso che il perseguimento di un risultato di gruppo fiscalmente
accettabile sia raggiungibile solo attraverso il sacrificio degli interessi di una delle società del
gruppo. Ciò causerà uno svantaggio per i soci di minoranza di questa, che non necessariamente
troverà compensazione nel successivo, ed eventuale, scambio tra le società interessate di
somme a titolo di contropartita dei vantaggi fiscali attribuiti o ricevuti.
partecipazione la più elevata possibile. Richiedendo una partecipazione
pressoché totalitaria della controllante nella controllata, (di norma nell’ordine di
grandezza del 95% del capitale della seconda), il problema viene risolto sul
piano concreto. L’altro meccanismo applicabile è quello tedesco (50). La
Germania condiziona l’accesso ad un perimetro di consolidamento al fatto che
tra le società del gruppo venga stipulato un c.d. “contratto di gruppo” recante
la regolamentazione dei rapporti tra le società. Tale contratto può essere
efficace solo se approvato con il voto favorevole di una maggioranza del 75%
dell’assemblea di ogni società coinvolta. L’ordinamento tedesco coinvolge così
direttamente i soci nell’esercizio dell’opzione; gli altri ordinamenti, invece,
affidano tale potere agli amministratori delle singole società. Il coinvolgimento
diretto dei soci rappresenta un’efficace soluzione al problema della tutela delle
minoranze.
La posizione italiana non è riconducibile ad alcuno dei due modelli.
Non è infatti stata fissata una soglia di partecipazione elevata, ma neppure è
stato previsto alcun meccanismo correttivo. Si tratta di un’anomalia nel
panorama europeo: si è così ampliata la platea di soggetti che possono ricorre a
tale istituto, ma si sono sacrificati, forse in modo eccessivo, gli interessi delle
minoranze delle società del gruppo (51).
Quanto agli effetti di una tassazione su base consolidata, il principale
vantaggio che questa offre, in Italia, come negli altri Paesi Europei, è la
possibilità di impiegare liberamente le perdite (52) delle singole società
all’interno del gruppo e minimizzare così il carico fiscale complessivo
compensando le perdite di una con l’utile di altre. Per effetto di questa regola,
società che dovrebbero pagare imposte riescono a non pagarne affatto o
comunque a pagarne in misura ridotta.
(50) L’opzione per la tassazione su base consolidata deve ricevere il consenso della
maggioranza delle assemblee delle società partecipanti anche in Spagna.
(51) G. Melis, Consolidato, rischi per le minoranze, in Il Sole 24 ore, 16 novembre 2003.
(52) Il consolidamento delle basi imponibili, in Gran Bretagna, opera esclusivamente
nell’ipotesi in cui una società produca un utile ed un’altra società del gruppo realizzi una
perdita. Nell’ipotesi in cui entrambe dette società siano in utile (o entrambe in perdita), il
regime di gruppo, il c.d. group relief, non è applicabile.
Il trasferimento di perdite dalla società che le ha prodotte ad un’altra,
risulta per la prima una penalizzazione, alla quale si può ovviare attraverso
movimenti di cassa tra le società del gruppo a titolo di corrispettivo dei
vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti. I singoli legislatori nazionali si limitano di
norma a disporre l’irrilevanza fiscale di tali somme, ma nessun ordinamento
individua i parametri in funzione dei quali determinare l’an e del quantum di tali
somme. Si tratta di una questione lasciata all’autonomia delle parti che,
presumibilmente, come in Germania, la renderanno oggetto di uno specifico
accordo.
La libera trasferibilità delle perdite non è l’unica ragione che rende il
ricorso a tale istituto conveniente. Le società di un gruppo, sfruttando il
principio riconosciuto da tutti gli ordinamenti dell’irrilevanza fiscale dei
trasferimenti di beni tra società del gruppo (53), potranno ottenere una più
efficiente allocazione delle risorse senza condizionamenti di tipo fiscale. La
cessione di beni tra le società consolidate, in altri termini, non determina il
realizzo di plusvalenze tassabili; la permanenza del bene all’interno del gruppo,
non determina la realizzazione di una plusvalenza tassabile. Simili trasferimenti
avvengono, quindi, in regime di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti e
determinano ipotesi di integrale successione nel possesso. Ciò si verifica, in
particolare, in Gran Bretagna dove è pacificamente ammesso che il soggetto a
cui il bene è trasferito possa beneficiare delle stesse agevolazioni che sarebbero
state riconosciute al precedente titolare anche ove esse fossero dipese dalla
durata del possesso del bene (54).
L’altra principale opportunità offerta dal consolidamento è la possibilità
di beneficiare dell’irrilevanza fiscale della distribuzione di dividendi tra società
del gruppo. Tutti gli Stati esentano da tassazione la distribuzione dei dividendi
infragruppo, indipendentemente dal meccanismo di tassazione ordinariamente
previsto per tali cespiti. Si tratta di un vantaggio fiscale particolarmente
(53) F. Dezzani e L. Dezzani, La riforma del t.u.i.r.: il consolidato fiscale mondiale, in Il Fisco,
2003, n. 24, pag. 10107.
(54) Essendo il nuovo proprietario del bene considerato possessore del bene dalla
data in cui il vecchio proprietario era tale, potrà beneficiare, ad esempio, di forme di
meccanismi di rateizzazione delle plusvalenze o di altri meccanismi attraverso cui viene
posticipato l’onere del tributo.
significativo in quegli Stati che adottano il meccanismo dell’imputazione, ma
non attribuiscono un credito di imposta totale o in quelli che, pur adottando il
sistema dell’esenzione, prevedono una parziale concorrenza al reddito dei
dividendi. In entrambe le ipotesi, l’accesso al gruppo rende pari a zero il
prelievo sui dividendi.
L’accesso ad un perimetro di consolidamento, oltre ad attribuire tali
vantaggi, comporta però anche taluni obblighi: in particolare, rende le società
coinvolte responsabili per le obbligazioni tributarie del gruppo. Al riguardo, i
vari legislatori nazionali hanno previsto regimi di responsabilità differenziati a
seconda del ruolo ricoperto da una società all’interno del gruppo. È stato
quindi scelto di porre a carico della sola società controllante la responsabilità
per le obbligazioni del gruppo in quanto tale e di residuare in capo alle singole
controllate una responsabilità nei limiti delle maggiori imposte, sanzioni ed
interessi a loro esclusivamente riconducibili. Questa soluzione è coerente con
la scelta di addossare in capo alle sole società controllanti gli obblighi connessi
alla determinazione dell’imposta di gruppo, mentre le controllate, di norma,
sono tenute esclusivamente a procedere alla determinazione del proprio
reddito imponibile ed alla sua comunicazione alla società capogruppo. È
principio riconosciuto dai vari ordinamenti che vi debba essere una simmetria
tra le responsabilità a carico delle singole società e le competenze loro attribuite
(55).
L’introduzione dell’istituto del consolidato in Italia ha permesso di
accantonare definitivamente quelle forme palliative di consolidamento, quali la
(55) Tale assunto è smentito negli ordinamenti tedesco e olandese.
Il primo fa ricadere, per l’adempimento degli obblighi connessi alla determinazione
del reddito imponibile di gruppo, una forma di responsabilità, in via sussidiaria, anche sulle
società controllate. Ciò può risultare giustificato alla luce del particolare meccanismo attraverso
cui viene esercitata l’opzione per una tassazione di gruppo. Le minoranze, in sede di voto
nell’assemblea delle società, essendo piuttosto elevato il quorum da raggiungere, sono chiamate a
svolgere un ruolo di primo piano, può così considerarsi coerente far ricadere anche su di loro
la responsabilità per gli obblighi derivanti dal ricorso al consolidamento.
L’ordinamento olandese stabilisce invece che la responsabilità per le obbligazioni
derivanti dal consolidamento ricada su tutte le società incluse nel gruppo. Tale situazione trova
comunque giustificazione nell’elevata soglia di partecipazione (il 95%) richiesta per l’accesso ad
un perimetro di consolidamento, tale da determinare addirittura la nascita di un autonomo
soggetto di imposta. Queste circostanze e, in concreto, l’assenza di una reale minoranza da
tutelare, possono giustificare un regime di responsabilità così restrittivo.
compensazione o la cessione dei crediti di imposta già esistenti, ma che
risultavano del tutto inadeguate al contesto economico. È una scelta che
avvicina l’Italia all’Europa dal cui teorico modello di tassazione dei gruppi si
discosta per un punto significativo. In Italia, per accedere a tale istituto, è
sufficiente che una società controlli poco più del 50% di un’altra società
mentre, come anticipato, negli altri Stati Membri occorre detenere una
partecipazione più significativa o sono comunque previsti dei correttivi. La
“stranezza” del modello italiano è di non scarso rilievo: da un lato amplia la
platea di soggetti che possono ricorre a tale istituto, dall’altro penalizza le
minoranze delle società che vi fanno parte. Viene così tradita l’impostazione
europea dell’istituto in esame quale meccanismo attraverso cui attribuire veste
giuridica ad un fenomeno avente una precisa sostanza economica.
4.2. Il consolidato mondiale – Il d.lgs n. 344 del 2003 non si è limitato ad
introdurre nell’ordinamento nazionale il consolidato nazionale, ma ha anche
consentito alle società italiane, salvo il rispetto di determinate condizioni, di
consolidare i propri redditi con quelli delle controllate estere.
Si tratta di un’innovazione di straordinaria rilevanza tenuto conto del
fatto che pochi Stati dell’Unione Europea (56) prevedono norme simili: oltre
all’Italia, per ora solo Francia e Gran Bretagna (57).
(56)
Esistenza di una disciplina del consolidato mondiale nei principali paesi dell’Unione
Europea:
Francia
Sì
Germania
No
Gran Bretagna
Sì
Italia
Sì
Paesi Bassi
No
Spagna
No
(57) E Danimarca come sottolineato dalla Relazione Illustrativa al decreto legislativo
12 dicembre 2003, n. 344.
La normativa italiana è direttamente comparabile con quella francese,
ma non con quella inglese che presenta invece connotati specifici. I primi due
Stati hanno infatti considerato il consolidato domestico e quello mondiale
come due istituti separati e distinti (58) per meglio sottolineare le caratteristiche
peculiari dell’uno rispetto all’altro. In Gran Bretagna esiste, invece, un unico
modello di tassazione su base consolidata (59), in origine destinato solo alle
società residenti, ma il cui ambito di applicazione è stato esteso anche a quelle
non residenti a seguito di alcuni interventi della Corte di Giustizia delle
Comunità Europee. I giudici del Lussemburgo sono infatti intervenuti con la
sentenza del 16 luglio 1998, Causa C-264/96, c.d. caso ICI (60) dichiarando la
(58) C. Perrone, Elementi di specificità del “consolidato estero” rispetto al “consolidato nazionale”,
in Il Fisco, 2003, n. 15, pag. 6685.
(59) L’ordinamento inglese prevede l’applicazione della norme in materia di tassazione
consolidata (e quindi la possibilità di procedere alla compensazione tra utili e perdite di società
differenti) quando tra due o più società esiste o un rapporto di gruppo o un rapporto di
consorzio.
Per aversi gruppo occorre che una società (la controllante) sia l’effettiva detentrice, in
maniera diretta o indiretta, di una percentuale del capitale sociale di un’altra società (la
controllata) almeno pari al 75% del capitale di quest’ultima. Ciò permette alla controllante di
consolidare integralmente il reddito delle controllate. Oltre a questa nozione, il sistema
tributario inglese conosce quella di consorzio. Si è in presenza di un consorzio laddove due o
più società possiedono ognuna, singolarmente, almeno il 5% e, collettivamente, almeno il 75%
del capitale sociale di un’holding residente. In tale ipotesi, le società “a monte” potranno
consolidare solo in misura parziale, differentemente dall’ipotesi precedente, i redditi delle
società “a valle”.
Rappresenta un modello di gruppo il caso in cui la società A controlla almeno il 75%
della società B. In questo modo, la società A può compensare i propri utili con le perdite della
società B.
Rappresenta un esempio di consorzio l’ipotesi in cui le società A e B controllano
ciascuna non meno del 5% ed insieme almeno il 75% della società H il cui oggetto sociale è il
controllo di partecipazioni in altre società. Si ipotizzi che H controlli almeno il 90% della
società C e D, mentre solo il 50% della società E. Tra le società A, B, H, C e D esisterà un
rapporto di consorzio per effetto del quale le società A e B potranno compensare i propri utili
con le perdite prodotte da C e D. La società E, in quanto controllata solo al 50% sarà esclusa
dal perimetro di consolidamento; sono infatti incluse solo le società controllate almeno al 90%
dalla holding residente.
(60) La questione all’esame dei giudici del Lussemburgo riguardava la parte della
modello inglese di consolidato specifica per i consorzi. Alcune società residenti che
controllavano l’holding di gruppo di società non residenti, chiedevano di essere ammesse a
portare in compensazione dei propri utili le perdite delle società non residenti da loro
indirettamente controllate attraverso l’holding residente. Al riguardo, nella Sentenza del 16 luglio
non conformità al diritto comunitario delle normativa inglese in materia di
consorzio tra società in quanto lesiva delle libertà fondamentali del trattato:
essa subordinava la deducibilità delle perdite maturate dalle controllate estere di
una holding residente alla condizione che l’attività della holding consistesse nel
detenere, esclusivamente o principalmente, azioni di consociate residenti (61).
Per effetto di tale sentenza l’Amministrazione Finanziaria inglese (l’Inland
Revenue), è dovuta intervenire in merito ed estendere il campo di applicazione
del consolidato domestico non solo alle filiali inglesi di società non residenti,
ma anche alle filiali straniere di società residenti, a condizione che esercitino
un’attività in Gran Bretagna e siano ivi soggetti di imposta.
All’attenzione dei giudici della Corte del Lussemburgo pende ora la
Causa C-446/03, c.d. caso Marks & Spencer (62); essa interessa quella parte della
normativa che concerne i gruppi in senso stretto, e non più i consorzi. Sarebbe
stata ravvisata una disparità nel trattamento riservato alle subsidiaries estere
rispetto a quello riservato alle subsidiaries residenti ed alle branches estere: le
1998, Causa C-264/96, Caso Imperial Chemical Industries plc (ICI) c/ Colmer, la Corte di Giustizia
delle Comunità Europee ha avuto occasione di affermare che l'art. 52 del Trattato osta “ad una
normativa di uno Stato membro che, per quanto riguarda le società stabilite in tale Stato membro, facenti parte
di un consorzio attraverso il quale possiedano una holding e che esercitino il loro diritto alla libertà di
stabilimento per creare, tramite tale holding, consociate in altri Stati membri, subordina il diritto ad uno
sgravio fiscale alla condizione che l'attività della holding consista nel detenere esclusivamente o principalmente
le azioni di consociate stabilite nello Stato membro interessato. Infatti, tale normativa, che riserva la concessione
del vantaggio fiscale rappresentato dallo sgravio di gruppo alle sole società che controllino esclusivamente o
principalmente consociate aventi sede nel territorio nazionale, utilizza il criterio della sede delle società controllate
per instaurare un trattamento fiscale differenziato delle società facenti parte di un consorzio stabilite in tale
Stato membro e non può quindi trovare giustificazione e non può trovare giustificazione nella necessità di
garantire la coerenza del regime fiscale nazionale a seguito dell'impossibilità di compensare la riduzione di
imposta derivante dallo sgravio delle perdite delle controllate residenti con l'assoggettamento ad imposta degli utili
delle controllate situate fuori dallo Stato membro, dato che non esiste alcun nesso diretto tra lo sgravio fiscale, in
capo alla società facente parte di un consorzio, delle perdite subite da una delle sue controllate residenti in tale
Stato membro, da un lato, e l'assoggettamento ad imposta degli utili delle controllate aventi sede fuori da tale
Stato, dall'altro”.
(61) E. Nuzzo, Libertà di stabilimento e perdite fiscali: il caso Imperial Chemical Industries
plc (ICI), in Rassegna tributaria, 1999, fasc. 6, pag. 1814.
(62) Causa Pendente C-446/03, Caso Marks & Spencer plc c/ David Halsey (HM Inspector
of Taxes). A. Cordewener, M. Dahlberg, P. Pistone, E. Reimer, C. Romano, The tax treatment of
foreign losses: Ritter, M&S, and the way ahead (Part one and Part two), in European taxation, IBFD,
aprile 2004, n. 4, pag. 135 e maggio 2004, n. 5, pag. 218.
perdite delle prime (le subsidiaries estere) non sarebbero compensabili con i
profitti della capogruppo residente, quelle delle seconde (le subsidiaries residenti
e le branches estere) invece lo sarebbero (63); negando la compensazione, la
legislazione renderebbe meno attraente la costituzione di controllate all’estero.
Nell’attesa di una decisione sul punto, merita rilevare che
l’orientamento della Corte di Giustizia in materia di consolidato è piuttosto
rigido; secondo la giurisprudenza costante di tale organo non possono trovare
giustificazione nei principi di diritto comunitario normative nazionali che
utilizzino il criterio della sede delle controllate per instaurare un trattamento
fiscale differenziato per le società facenti parte di un gruppo. La Gran Bretagna
ha dovuto (e forse dovrà di nuovo) accettare di estendere le opportunità
offerte dal consolidato anche nell’ipotesi in cui vi facciano parte società
residenti in altri Stati Membri.
Tale orientamento costituisce un termine di riferimento anche per il
modello italiano di tassazione su base consolidata: le disposizioni contenute nel
t.u.i.r. concernenti il consolidato nazionale e quello mondiale differiscono per
alcuni aspetti significativi (64) che potrebbero tradursi in una penalizzazione
delle società residenti in altri Stati Membri; queste diversità di regime, pur
rispondendo a finalità antielusive, non sembrerebbero rispettare la
giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di proporzionalità e quindi
risolversi in una restrizione al diritto di stabilimento previsto dal Trattato (65).
(63) Y. Rupal, Group Taxation, United Kingdom Report, in Cashiers de droit fiscal international
IFA, Vienna Congress, 2004, volume 89b, pag. 707.
(64) Mentre il consolidato nazionale permette di consolidare integralmente i redditi
della controllante con quelli delle controllate, il consolidato mondiale rappresenta una ipotesi di
mera integrazione parziale. Altra differenza significativa concerne la durata della validità
dell’opzione per tale tipo di tassazione: tre anni rinnovabili per altri tre nel consolidato
nazionale, cinque rinnovabili per ulteriori tre in quello mondiale. Nel primo non trova
applicazione il principio dell’all in all out diversamente da quanto accade nel secondo. Infine, il
consolidato mondiale riguarda solo le società controllanti di ultimo grado e residenti in Italia,
con esclusione di quelle residenti, ma a loro volta controllate da società estere; tali limitazioni
non si applicano in quello nazionale.
Nel complesso, la disciplina del consolidato mondiale risulta più restrittiva.
(65) P. Valente, Corte di giustizia / Il caso “Marks & Spencer”, Sul consolidato italiano il test
dei giudici europei, in Il Sole 24 ore, Domenica 11 luglio 2004.
L’Italia potrebbe quindi essere obbligata o a modificare la disciplina sul
consolidato mondiale o a permettere l’applicazione di quello nazionale anche in
presenza di controllate residenti in Stati dell’Unione Europea.
In definitiva, la costruzione di un modello europeo di consolidato
mondiale potrà trarre spunti dalle discipline italiana e francese, purché filtrate
attraverso la citata giurisprudenza delle Corte di Giustizia. Anche in tale ipotesi,
il primo nodo da affrontare concernerà la definizione del concetto di controllo:
dovrà di nuovo identificarsi una soglia di partecipazione al capitale o agli utili
della controllata per l’accesso a tale istituto. La Francia e l’Italia per ora hanno
fissato tale soglia nelle misura del 50% del capitale della controllata; le
perplessità che si sono sollevate in sede di analisi del consolidato nazionale
sull’opportunità di fissare una soglia così bassa non trovano ora giustificazione.
Un modello di consolidato mondiale non integra un’ipotesi di reale
consolidamento delle basi imponibili, ma piuttosto costituisce un meccanismo
di imputazione per trasparenza degli utili delle controllate estere. Le esigenze di
tutela soprattutto delle minoranze, sottolineate in tema di consolidato
nazionale si stemperano; ma la stessa sostanza economica del fenomeno
riconosce che già in presenza di percentuali di partecipazioni del 50% sussista
un effettivo rapporto di gruppo.
Differentemente dal consolidato nazionale, è opportuno, anzi
doveroso, che trovi applicazione il principio dell’all in all out e che quindi sia
possibile usufruire di tale meccanismo a condizione di includere nel perimetro
di consolidamento tutte le controllate estere.
I vantaggi del consolidato mondiale sono i medesimi del consolidato
nazionale: la libera compensabilità delle perdite tra le società del gruppo, anche
se solo pro quota, l’esenzione integrale da tassazione dei dividendi e delle
plusvalenze infragruppo (salva la previsione di alcune inevitabili cautele). Di
questi vantaggi ne potrà godere la controllante a condizione che adempia ad
una serie di obblighi prodromici alla determinazione dell’imposta dovuta. Tale
società dovrà procedere a rideterminare il reddito prodotto dalle controllate
estere utilizzando le regole vigenti nello proprio Stato di residenza; si tratta di
una cautela perfettamente giustificata da esigenze di coerenza a cui nessuno
Stato vorrà rinunciare. La disciplina prevista per il consolidato nazionale dovrà
poi essere arricchita da disposizioni attraverso cui permettere di detrarre
dall’imposta dovuta eventuali crediti per imposte pagate all’estero, calcolati
separatamente per ogni Stato di residenza delle controllate.
I legislatori nazionali hanno dimostrato per ora soltanto un timido
interesse per l’istituto in esame; mentre di gran lunga maggiore è quello
dimostrato dalle istituzioni europee. Tanto la Commissione Europea (66)
quanto il Comitato Economico e Sociale (67) ritengono il sistema di tassazione
su una base consolidata europea uno dei possibili strumenti - nell’immediato
futuro addirittura il più efficace - per raggiungere l’obiettivo di una piena
armonizzazione. In vista di tale risultato, i modelli francese, inglese ed italiano
potranno rappresentare degli utili esempi. Dovrà però essere corretto il loro
principale peccato veniale (68): la grande complessità. Una disciplina in materia
dovrà invece essere la più semplice ed elastica possibile per incentivarne il
ricorso e garantirne quindi il successo.
4.3. Le altre forme di tassazione consolidata (brevi cenni) – Il neointrodotto
istituto della trasparenza fiscale delle società di capitali e delle società a ristretta
base proprietaria di cui agli artt. 115 e 116 t.u.i.r. rappresenta un elemento di
sicura rilevanza nel panorama europeo. Essi estendono vantaggi del
consolidamento delle basi imponibili anche a società tra le quali non sussistono
vere e proprie relazioni di controllo (69). Mentre il consolidato si rivolge a
modelli associativi di tipo verticale, il consortium relief si rivolge a modelli
associativi di tipo orizzontale nei quali non è possibile individuare un unico
soggetto controllante, ma più soggetti in posizione paritetica tra loro che
esercitano il controllo su di un terzo; l’istituto in esame, nelle intenzioni del
legislatore nazionale, si rivolge prevalentemente, a strutture associative
(66) Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio,
al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale; verso un mercato interno senza ostacoli fiscali.
Strategia per l'introduzione di una base imponibile consolidata per le attività di dimensione UE delle società,
Bruxelles, 23 ottobre 2001, n. COM(2001)582, cit.
(67) Comitato economico e sociale, Opinione del 17 luglio 2002, n. (2002/C241/14), cit.
(68) In particolare di quello francese. Cfr. IBFD Publications, European Taxation
Database, Corporate Taxation (detailed): France, Amsterdam, 2003.
(69) A. Vozza, La tassazione per trasparenza delle società di capitali nello schema di riforma del
T.u.ir. , in Il Fisco, 2003, n. 44, pag. 17544.
differenti da quelle tradizionali, quali quelle nate da contratti di joint ventures.
Costituendo una pressoché assoluta novità nel panorama europeo, è difficile
individuare un preciso e puntuale termine di paragone. Alcune caratteristiche si
ritrovano in forma embrionale nelle pieghe di alcuni consolidati nazionali
(quello francese e quello inglese).
L’Italia, prevedendo tali ulteriori forme di tassazione consolidata, non si
è semplicemente adeguata ai più efficienti sistemi fiscali europei, ma ne ha
anticipato i futuri sviluppi. Nell’attesa che altri Stati Europei imitino il modello
italiano di trasparenza delle società di capitali, si può comunque sin d’ora
immaginare che questo istituto sarà destinato a trovare spazio in un modello
europeo di tassazione dei redditi societari.
5. Considerazioni conclusive – Il modello IRES avvicina il sistema
nazionale “a quelli più efficienti in essere nei Paesi membri dell'Unione Europea”. È stata
così offerta la soluzione “italiana” ad alcune delle istanze attorno alle quali si è
maggiormente acceso il dibattito europeo degli ultimi anni e con le quali anche
altri Stati Membri si sono dovuti confrontare.
La scelta, nella tassazione degli utili da partecipazione, per il modello
dell’esenzione asseconda l’evoluzione che si sta registrando a livello europeo
ove il mantenimento del credito di imposta è avvertito quale ostacolo alla
libertà di circolazione dei capitali. Effettuata tale scelta, esigenze di coerenza
comuni a tutti gli Stati, inducono ad estenderne l’applicazione anche alle
plusvalenze da cessione di partecipazione ed a quelle da valutazione.
L’introduzione di una disciplina in materia di thin capitalization e
consolidato, sia nazionale che mondiale, colma alcuni ritardi dell’ordinamento
e, a costo di alterare le caratteristiche essenziali di tali istituti, permette al
legislatore nazionale di perseguire l’obiettivo del rilancio della competitività del
sistema produttivo interno (70).
(70) F. Gallo, Schema di decreto legislativo recante “Riforma dell’imposizione sul reddito delle
società (IRES)” – Audizione informale presso la Commissione finanze della Camera dei deputati, in
Rassegna Tributaria, 2003, n. 5, pag. 1661.
Spostando l’attenzione sulla prospettiva europea, si osserva come le
scelte dei vari legislatori nazionali si stiano orientando verso soluzioni uniformi;
queste non devono però essere isolatamente considerate, ma devono essere
calate nei contesti in cui operano. Il futuro processo di armonizzazione potrà
pertanto muovere dalla constatazione che gli istituti in esame sono il punto di
incontro di sistemi giuridici differenti. I vari Stati Europei ricorrono a principi
differenti in materia di tassazione dei redditi di impresa nell’ipotesi in cui il
percettore sia una società: al principio dell’attrazione del reddito di impresa può
essere rubata la scena da quello dell’avulsione (71), al principio di competenza
può essere preferito quello di cassa, lo schema del c.d. doppio binario può
essere abbandonato in favore del c.d. binario unico (72).
Ulteriori differenze vi sono “a valle” di questi istituti. Scendendo nel
dettaglio delle modalità attraverso le quali sono applicati, si riscontrano, in
particolare, difformità nelle soglie di accesso per l’applicazione dei vari regimi.
Queste divergenze sono conseguenza delle diversità negli stessi sistemi
produttivi ed economici nazionali; i medesimi istituti, dal momento che sono
chiamati ad operare in contesti spesso distanti tra loro, richiedono
necessariamente aggiustamenti e puntualizzazioni. Ciò che colpisce è però il
fatto che la forbice tra i valori sia molto ampia, più di quanto ci si potrebbe
aspettare. Ciò rappresenta un ostacolo alla creazione di un modello unitario.
In mezzo a queste differenze, vi è però un elemento comune: la
centralità delle “società” nei vari sistemi fiscali. È questa la vera novità del d.lgs.
n. 344 del 2003 che interviene ad ampio raggio sull’ordinamento fiscale
italiano, introducendo istituti non tutti strettamente connessi tra di loro: la
sostituzione del meccanismo del credito di imposta con quello dell’esenzione,
se importa la necessità di modificare il regime di tassazione delle plusvalenze da
cessione e da valutazione non implica la necessità di introdurre una disciplina
(71) A titolo di esempio, merita ricordare che al principio dell’attrazione,
uniformemente adottato dalla maggioranza dei sistemi fiscali continentali, è preferito quello
dell’avulsione nel sistema fiscale inglese; differenze ancora più significative possono registrarsi
anche tra tutti i Paesi dell’Unione Europea in relazione al problema della derivazione del
reddito imponibile a fini fiscali dal reddito civilistico.
(72) G. Tabet, I lavori della commissione Gallo con particolare riferimento al tema del
disinquinamento del bilancio, in Il Fisco, 2003, n. 39, pag. 15995.
in materia di thin capitalization e di consolidato. Il collante tra questi istituti è la
volontà di prevedere norme apposite per le società rendendo così la
sostituzione dell’IRPEG con l’IRES non solo una questione meramente
nominalistica (73). Una breve rassegna dei sistemi tributari dei Paesi Europei
conferma tale orientamento: ovunque si individuano sistemi normativi ad hoc
per le società. L’attenzione a questi soggetti è massima anche da parte delle
istituzioni dell’Unione Europea: creare un modello europeo di tassazione dei
redditi societari è una delle questioni su cui ad esempio si giocherà il successo
della neonata Società Europea (74).
In questa prospettiva, gli istituti introdotti nel Testo Unico delle
Imposte sui Redditi, tra loro disomogenei, recuperano un collegamento
funzionale e la scelta di introdurli nello stesso momento trova giustificazioni
giuridiche e non solo politiche. La rinnovata centralità delle società all’interno
del sistema fiscale nazionale è, in definitiva, la caratteristica veramente
“europea” della recente riforma italiana.
FEDERICO RASI
Centro di Ricerca per il Diritto d’impresa
Università Luiss Guido Carli
(73) G. Visentini, F. Marchetti, G. Melis, L’imposta sul reddito delle società (IRES): spunti
di approfondimento su alcuni aspetti qualificanti della riforma. Testo dell’audizione informale presso il
Senato della Repubblica, VI Commissione Finanze e Tesoro.
(74) Regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell' 8 ottobre 2001, relativo allo
statuto della Società europea (SE), in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L294 del
10 novembre 2001.