3E_art_6_discriminazione_ Giovanni_Pierobon
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3E_art_6_discriminazione_ Giovanni_Pierobon
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI Articolo 6 “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”. Quindi tutti gli esseri umani sono persone titolari di eguali diritti e doveri di fronte alla legge. Tuttavia spesso a molte persone o a gruppi di persone, per motivi etnici, culturali, politici, religiosi o riguardanti il sesso, vengono negati i loro diritti. In questo caso si parla di discriminazione. Discriminazione La discriminazione è il trattamento non paritario attuato nei confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare categoria. Alcuni esempi di discriminazione possono essere il razzismo, il sessismo e l'omofobia. Due caratteristiche principali necessarie a definire discriminazione un atteggiamento nei confronti di un individuo o un gruppo di individui sono: un trattamento particolare, diverso rispetto agli altri individui o gruppi di individui; un'assenza di giustificazione per questo differente trattamento. Con questa definizione è chiaro che trattamenti particolari come i congedi di maternità non siano discriminatori perché giustificati dalla situazione. Tuttavia il consenso sociale è un indicatore piuttosto inaffidabile per determinare ciò che sia definibile discriminazione e ciò che non lo è. Ciò che ora è considerato normale e non discriminatorio, infatti, in un altro tempo o in un altro luogo può essere considerato discriminazione. Un esempio di come uno stesso criterio di valutazione può essere discriminatorio o meno è l'età: a volte usato in modo consensuale (per esempio nell'età minima per partecipare alla vita pubblica), a volte in modo discriminatorio (ad esempio quando diventa ragione di rifiuto da parte dei datori di lavoro). La discriminazione ha origini molto antiche, e nella sua storia l'uomo è riuscito a ridurre o eliminare buona parte di queste discriminazioni. Alcuni esempi e grandi rappresentanti di questa tendenza sono Martin Luther King, attivista nonviolento per i diritti civili fondamentali per le persone di colore, e Nelson Mandela, che ebbe un ruolo fondamentale nella fine del periodo fortemente discriminatorio dell'apartheid. Un grave caso di discriminazione tuttora presente in moltissime società è la discriminazione della donna. A livello internazionale la legislazione in materia di discriminazione è determinata dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, redatto dalle Nazioni Unite e firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, in cui si sanciva il rispetto nei confronti di ogni individuo indipendente dalla sua appartenenza ad una particolare religione, etnia, sesso, lingua. Quest'ultima carta nacque in risposta alle atrocità commesse dal regime nazista, frutto proprio di discriminazioni razziali (verso ebrei, slavi, zingari, ecc.), per le preferenze sessuali (omofobia) e per le opinioni politiche. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 21 afferma che: 1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. 2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi. Discriminazione generazionale Con discriminazione generazionale si indicano tutte quelle forme di discriminazioni ideologiche o legislative basate sull'età degli individui. Dal punto di vista ideologico la discriminazione generazionale implica una serie di pregiudizi, più o meno forti, e connotati in maniera più o meno negativa, per cui chi determinate caratteristiche vengono attribuite invariabilmente a determinati gruppi d'età. Ad esempio pregiudizi generazionali possono essere ritenere che tutti gli adolescenti siano invariabilmente ribelli, irresponsabili, manipolabili, tendenti al disagio psichico; che tutti i bambini siano invariabilmente ingenui, amanti della pace, fiduciosi verso il mondo o, viceversa, maliziosi, crudeli e naturalmente irrispettosi verso gli adulti; che tutti gli anziani siano incapaci di vivere gli innovamenti, conservatori, incapaci di vita indipendente. In particolare, a livello culturale, le attuali società industriali avanzate (Europa, Stati Uniti, Giappone) sembrano dimostrare tratti di discriminazione generazionale verso le generazioni più anziane, ritenute improduttive e impossibili da valorizzare; contrariamente alle cosiddette "società tradizionali", dove invece l'anziano è considerato fonte d'autorità e conoscenza. Rispetto all'adolescenza l'atteggiamento è ambiguo. Da una parte c'è una tendenza sempre più marcata a vedere l'adolescente come un soggetto di diritti: ad esempio in alcuni casi (come i referendum locali) l'età del voto viene abbassata dai diciotto ai sedici anni; in molti casi la perseguibilità penale del soggetto (che implica quindi assunzione di responsabilità individuale) arriva sino ai quattordici anni. Inoltre agli adolescenti, in ambito scolastico, sono consentite forme di rappresentanza. Rispetto all'infanzia l'atteggiamento è piuttosto rigido. Sino al termine del XIX secolo il bambino era percepito come una creatura essenzialmente instabile, incontrollabile e da irreggimentare nell'ordine sociale tramite un'educazione severa e rigorosa, sia scolastica che familiare, basata sulla logica della sorveglianza e della punizione. È il mondo sociale degli adulti che deve essere protetto dal disordine dell'infanzia. Nel corso della prima metà del XX secolo e compiutamente nella seconda, si ha un processo di rovesciamento. Ora il bambino è visto come una creatura totalmente indifesa e genuinamente spontanea, in cui eventuali degenerazioni sono derivate dal mondo degli adulti, da cui deve essere difeso a ogni costo. La discriminazione generazionale si sviluppa in tutta una serie di pratiche: in particolare, rispetto agli anziani, sul posto di lavoro, dove, a parità di competenza, vengono privilegiati i più giovani. Razzismo Nella sua definizione più semplice, per razzismo si intende la convinzione che la specie umana sia suddivisa in razze biologicamente distinte e caratterizzate da diversi tratti somatici e diverse capacità intellettuali, e la conseguente idea che sia possibile determinare una gerarchia di valore secondo cui una particolare razza possa essere definita "superiore" o "inferiore" a un'altra. Storicamente il razzismo rappresenta un insieme di teorie con fondamenti anche molto antichi (ma smentite dalla scienza moderna) e manifestatesi in ogni epoca con pratiche di oppressione e segregazione razziale, che sostengono che la specie umana sarebbe un insieme di razze, biologicamente differenti, e gerarchicamente ineguali. Tra gli ispiratori ideologici degli aspetti contemporanei di questa teoria vi fu l'aristocratico francese Joseph Arthur de Gobineau, autore di un Essai sur l'inégalité des races humaines (Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane, 18531855). Nel XIX secolo quello che sarebbe stato poi definito razzismo nel secolo successivo ebbe rilevanza scientifica, al punto da venire oggi chiamata dagli storici razzismo scientifico. Intorno al 1850 il razzismo esce dall'ambito scientifico e assume una connotazione politica, diventando l'alibi con cui si cerca di giustificare la legittimità di prevaricazioni e violenze. Una delle massime espressioni di questo uso è stato il nazismo. Grazie al contributo dato dalla genetica, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la biologia considera ormai un dato assodato il fatto che tutti i componenti della specie Homo sapiens sapiens costituiscano un solo ed unico insieme omogeneo e che due gruppi etnici qualsiasi, il cui aspetto sia stato modificato dall'adattamento ad ambienti esterni diversi, possano essere apparentemente molto diversi, ma, in realtà, assai vicini dal punto di vista genetico. Al contrario, popolazioni che condividono un aspetto simile possono essere geneticamente più distanti rispetto a popolazioni di “razze” diverse. In Germania Il tema del razzismo durante il governo nazionalsocialista in Germania, rivolto alla popolazione ebraica, ma anche verso molti gruppi etnici come Rom, Sinti e diverse categorie sociali. In Germania i nazisti, non appena si insediarono al potere, il 30 gennaio 1933, istituirono i Konzentrazionslager, dove la polizia politica, la Gestapo, rinchiuse oppositori politici-comunisti, socialisti, "dissidenti religiosi", testimoni di Geova, protestanti dissidenti ed ebrei. Inoltre la polizia criminale, operò arresti preventivi di persone con precedenti penali, di zingari, omosessuali, disabili, prostitute e di tutti coloro che a vario titolo vennero considerati "associali". I campi furono gestiti dalle SS (Schutzstaffen o unità di protezione) con una brutale severissima disciplina militare. (cartina) Nella seconda metà degli anni Trenta campi di concentramento furono insediati a Dachau, Auschwitz-BIRKENAU, Sachsenhausen, Buchenwald, Flossembürg, Mauthausen e Ravensbrück, che fu un campo esclusivamente femminile. Nel 1939 gli internati erano 25.000. Durante la seconda guerra mondiale vennero costruiti molti altri campi, alcuni dei quali anche in Polonia e in Serbia dove finirono ebrei, prigionieri di guerra sovietici e partigiani. A partire dal 1942 furono instituiti i campi di sterminio, nei quali venivano rinchiusi ebrei vittime di deportazioni sistematiche, eseguite per attuare "la soluzione finale", che ebbe come scopo l'annientamento delle razze inferiori. Gli internati erano costretti ai lavori forzati e coloro che non resistevano venivano uccisi. Alcuni vennero addirittura impiegati come cavie in sperimentazione scientifiche e mediche. Perirono con i gas oppure per fame e malattie circa 11 milioni di persone, di cui più di 6 milioni di ebrei. Lo sterminio degli ebrei Quando, il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa fece il suo ingresso nel campo di concentramento di Auschwitz, emerse, in tutta, la sua drammaticità, l’orrore per l’olocausto di un popolo, le cui crude immagini, immortalate dagli operatori sovietici e mostrate al processo di Norimberga, come prova contro i crimini nazisti, sconvolsero il mondo intero, che prese finalmente coscienza dell’agghiacciante e sistematico stermino di ben 6 milioni di ebrei, un massacro teorizzato da Hitler nel suo "Mein Kampf" e coscientemente messo in pratica, dopo la conquista del potere. Con l’avvento del regime della svastica, nel gennaio 1933, la politica razziale nazista, volta ad affermare il dominio della pura razza ariana , a scapito dell’indegno popolo ebraico, traditore e nemico della patria, trovò tragica attuazione, tramite l’emanazione di provvedimenti, tra cui le leggi di Norimberga del 1935, volti a privare gli ebrei di ogni diritto civile e politico, costretti a portare, come marchio d’infamia, una stella gialla sul petto. Gli ebrei furono interdetti dagli uffici, dalle libere professioni, dalle scuole ariane, dalle banche; espulsi ed allontanati dalle loro abitazioni, furono rinchiusi in appositi quartieri recintati, i famigerati "ghetti", ove vivevano, praticamente, da reclusi, come appestati, ridotti all’emarginazione, privati di tutti i loro averi, confiscati dall’apparato nazista e sfruttati come manodopera, dietro salari irrisori, nelle industrie del reich. Ma se, in questa fase iniziale, il nazismo operò "solamente" una politica di discriminazione verso i cittadini di sangue ariano, una tragica impennata, verso una vera e propria, sistematica, azione di sterminio, si venne a determinare nel novembre 1938, nella cosiddetta "notte dei cristalli", quando, per vendicare l’uccisione, a Parigi, di un diplomatico tedesco, ad opera di un giovane ebreo, le SS e le SA scatenarono l’inferno: nella notte tra l’8 e il nove novembre, in una sola notte, furono incendiate le sinagoghe, distrutti i negozi ebrei, arrestate e massacrate, in una drammatica spirale di violenza, centinaia di persone; era ormai ben chiaro che Hitler intendesse andare fino in fondo, verso una politica, non solo di persecuzione, come avvenuto nei primi anni, ma, dopo aver pensato e scartato una deportazione di massa in Madagascar, di vero e proprio annientamento, in una "soluzione finale" del problema ebraico, la cui organizzazione venne affidata, il 31 luglio 1941, poco tempo dopo l’avvio dell’"Operazione Barbarossa" contro l’odiato nemico bolscevico, dal vicefuhrer Goring, al comandante della polizia di sicurezza Heydrich. Il 20 gennaio 1942, a Wannsee, presso Berlino, in una riunione dei vertici del reich, la "soluzione finale" trovò tragica e concreta pianificazione ed approvazione, aprendo le porte al più grande orrore che la storia ricordi, la morte di 6 milioni di persone nei campi di concentramento nazisti. Centinaia di migliaia di persone vennero deportate verso i lager, in un viaggio senza ritorno; ammassate come bestie nei cosiddetti treni della morte, costrette a viaggiare in condizioni disumane, al loro arrivo venivano selezionate dai responsabili del campo; i vecchi, le donne e i bambini erano avviati direttamente alle camere a gas e sterminati con il devastante topicida Zyklon B, gli abili al lavoro, dopo essere stati rasati, costretti ad indossare un camice a righe, tatuati con un numero di matricola, che soppiantò il loro nome, venivano spremuti come limoni e ridotti a vere e proprie larve umane; costretti a lavorare non meno di 12 ore al giorno, obbligati, la sera e la mattina, a rimanere immobili per ore, pena pesanti punizioni corporali, durante gli interminabili appelli, si ritrovarono, ben presto, distrutti nel fisico e nel morale, a morire di stenti, al termine di un percorso fatto di malattie, fame e sevizie ad opera dei feroci e sadici reparti SS Totenkopfverbande, incaricati di far rispettare e mantenere, la dura legge dei lager; molti detenuti venivano poi utilizzati, come cavie umane, dai medici nazisti e sottoposti ad esperimenti agghiaccianti; infine i corpi dei cadaveri finivano nei forni crematori e bruciati a migliaia al giorno, determinando la fuoriuscita, dalle ciminiere dei campi, di orripilanti, oscure, lingue di fuoco, che offuscavano il cielo sovrastante, con la loro grigia cenere. Solo la sconfitta nazista pose fine all’incubo, ad un genocidio, organizzato, freddamente a tavolino, da un’oscura ideologia simbolo di morte e distruzione, che sterminò, senza alcuna pietà ben 6 milioni di persone in nome della svastica e del suo spietato fuhrer, che già nel 1923, durante la composizione del "Mein Kampf" scrisse: " Unwertes leben zu vernichten, bedeuted kein schuldigwerden", " Das schwache muss weggeraeumt werden", "annientare una vita senza valore non comporta alcuna colpa, il debole deve essere distrutto". Dal dopoguerra ad oggi Nonostante il capolinea del razzismo scientifico, rigettato come pseudoscienza subito dopo la seconda guerra mondiale, non fu modificata la mentalità formatasi in quasi un secolo di propaganda. Alla fine del novecento, a questo si sono aggiunti fenomeni di xenofobia, avversione e intolleranza contro diverse etnie, popoli e culture religiose, nonché intolleranze incrociate rispetto ai cittadini originari di diverse regioni italiane. Sessismo Il sessismo è comunemente considerato una forma di discriminazione tra gli esseri umani basata sul genere sessuale. Un atteggiamento sessista si può manifestare in alcune convinzioni, ad esempio: la presunta superiorità o il presunto maggior valore di un genere rispetto all'altro. la presunta superiorità o il presunto maggior valore di un sesso rispetto all'altro. l'odio per le donne (misoginia) o per gli uomini (misandria). l'attitudine ad inquadrare maschi e femmine in base agli stereotipi di genere e ai relativi pregiudizi. assegnare arbitrariamente qualità (positive o negative) in base al sesso. Le idee sessiste si manifestano in una sorta di essenzialismo secondo cui gli individui possono essere compresi e giudicati semplicisticamente in base ad alcune caratteristiche fisiche o del gruppo di appartenenza, in questo caso il gruppo maschi o femmine. La discriminazione fondata sul sesso è illegale in moltissimi paesi, tuttavia molti hanno leggi che danno diritti o privilegi maggiori ad un genere piuttosto che ad un altro. Discriminazione sessista verso le donne Il sessismo contro le donne nella sua forma estrema è conosciuto come misoginia, che significa "odio verso le femmine". Tuttavia il termine sessismo viene coniato dalle femministe statunitensi verso la fine degli anni 60 in opposizione al termine misoginia. Laddove infatti il termine misoginia rinvia a motivazioni psicologiche, il termine sessismo (coniato sulla falsariga di razzismo), vuole sottolineare il carattere sociale e politico di questo sistema: degli argomenti di tipo biologico (il sesso per le donne, il colore della pelle per i "non-bianchi" ), sono stati storicamente usati per giustificare sistemi di discriminazione, subordinazione e devalorizzazione. Come hanno sottolineato Liliane Kandel e Marie-Josèphe Dhavernas, coniando questo nuovo termine le militanti femministe intendevano ricusare nella discussione sulla dominazione di sesso (come in precedenza su quella di "razza"), ogni ricorso ad argomenti di tipo essenzialista o naturalista. Se dunque, nell'uso corrente, il termine "sessismo" usualmente indica il "sessismo verso le donne", è perché il temine stesso nasce nell'ambito delle lotte delle donne. Molti gruppi, femministi e non, si sono occupati e si occupano di varie forme di sessismo contro le donne: la violenza di genere, la discriminazione riguardo agli studi e sul lavoro, le differenze di retribuzione a parità di competenze, l’attribuzione del lavoro casalingo alle donne, diritto di voto, la questione delle mutilazioni genitali femminili, la delega della genitorialità , lo studio del sessismo nel linguaggio e nell'educazione. Omofobia Il termine omofobia, pur non avendo un significato univoco, indica generalmente un insieme di sentimenti, pensieri e comportamenti avversi all'omosessualità o alle persone omosessuali. Le diverse definizioni di omofobia proposte possono essere sintetizzate, in ordine crescente di gravità, in tre principali prospettive: accezione pregiudiziale, accezione discriminatoria e accezione psicopatologica: l'accezione pregiudiziale considera come omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti dell'omosessualità. In questa definizione vengono considerate manifestazioni di omofobia anche tutte le convinzioni personali e sociali contrarie all'omosessualità come ad esempio: la convinzione che l'omosessualità sia patologica, immorale, contronatura, socialmente pericolosa, invalidante; la non condivisione dei comportamenti delle persone omosessuali e delle rivendicazioni sociali e giuridiche delle persone omosessuali. La prospettiva pregiudiziale, in ultima analisi, si sovrappone in gran parte al libero pensiero, tende a patologizzare tutte le opinioni che risultano sfavorevoli all'omosessualità. l'accezione discriminatoria considera come omofobia tutti quei comportamenti riconducibili al sessismo che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali sulla base del loro orientamento di genere. Rientrano in questa definizione le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli atti di violenza fisica e psicologica (percosse, insulti, maltrattamenti). Questa definizione – che comprende anche l'acting out del sentimento discriminatorio – può essere considerata più pertinente al costrutto di omofobia in senso ristretto. l'accezione psicopatologica considera l'omofobia come una fobia, cioè una irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti delle persone omosessuali che compromette il funzionamento psicologico della persona che ne presenta i sintomi. Tale valutazione diagnostica includerebbe quindi l'omofobia all'interno della categoria diagnostica dei disturbi d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica. A differenza delle prime due accezioni, l'omofobia come fobia specifica non è frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confrotni dell'omosessualità quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto. Quest'ultima definizione, per quanto più attinente alla radice etimologica del termine, ad oggi non è sostenuta da una letteratura sufficiente da farla inserire nei principali manuali psicodiagnostici. Giovanni Pierobon 3° E