La partecipazione al procedimento amministrativo: il punto di

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La partecipazione al procedimento amministrativo: il punto di
La partecipazione al procedimento amministrativo: il punto di equilibrio tra
garanzia ed efficienza
di Claudia Caldore
1. Premessa 2. Dal provvedimento al procedimento: la concezione garantistica 3. La
comunicazione di avvio del procedimento ed il preavviso di rigetto: teoria formale o sostanziale 4.
La “dequotazione” del procedimento rispetto al provvedimento e la consacrazione delle teorie
sostanzialistiche: l’introduzione dell’art. 21 octies comma 2 5. La sospetta compatibilità con i
principi fondamentali: la soluzione offerta dal T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 03.07.2012,
n.1888 6. Conclusioni
1. Premessa
Nell’ambito del procedimento amministrativo un’indubbia rilevanza è da attribuire alle norme
previste in tema di partecipazione, le quali, oltre ad offrire notevoli spunti di interesse in relazione
alle specifiche problematiche applicative, testimoniano, altresì, il progressivo mutamento del modo
di intendere i rapporti tra pubblica amministrazione e privato e di concepire lo stesso potere
pubblico.
Partendo dall’esame delle singole disposizioni introdotte nel Capo III della l.241/90, anche a
seguito della riforma del 2005, si intende, dunque, sottolineare il sostanziale potenziamento della
dialettica procedimentale che rappresenta l’approdo del percorso di progressivo adeguamento del
diritto interno al principio, di derivazione comunitaria, di “buona amministrazione”, sancito
espressamente nell’art.41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ma ricavabile
anche dall’art. 6 CEDU. La partecipazione al procedimento diviene, allora, vero e proprio “valore”
da perseguire, il cui fondamento di diritto interno è identificato nel canone di imparzialità ex art. 97
Cost., cui si affianca l’introduzione di nuove modalità di esercizio del potere caratterizzate dalla
previsione di specifici obblighi informativi a carico dell’amministrazione. Il procedimento non è più
guardato nella sola prospettiva del provvedimento finale, quale mera sequenza finalistica di atti
giuridici che conduca all’emanazione del provvedimento autoritativo, ma rileva in positivo, come
attività giuridica in cui si celebra quel rapporto “paritario” tra amministrazione e cittadino.
In questo contesto di rinnovato interesse per le garanzie partecipative si inserisce, peraltro, un’altra
disposizione contenuta nel corpo della l.241/90 la quale ha, invece, fatto dubitare della correttezza
delle conclusioni appena esposte; si fa riferimento all’art. 21 octies, introdotto dalla l. 15/05, in
particolare al suo secondo comma, con cui il Legislatore ha di fatto limitato il potere
giurisdizionale di annullamento del provvedimento in una prospettiva di sostanziale
dequotazione dei vizi meramente formali e procedimentali rispetto alla correttezza
1
sostanziale; si tratta, in altri termini, di una disposizione che, da un lato, recupera il ruolo primario
del provvedimento amministrativo rispetto al procedimento e, dall'altro, contiene il rischio di
svalutare alcune norme fondamentali per la partecipazione del privato, quale quella relativa
all'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento, prevedendo che la loro violazione possa non
condurre ad annullare il provvedimento finale (c.d. vizio non invalidante), qualora sia accertato in
giudizio che comunque lo stesso non poteva essere diverso. La norma, perciò, sembrerebbe porsi
in insanabile contraddizione con le istanze garantiste sottese all’introduzione di istituti quali
la comunicazione di avvio ed il preavviso di rigetto rispondendo, invece, a logiche differenti
volte a dare attuazione ai diversi principi di efficienza e speditezza dell’agere amministrativo.
Di qui la ricerca, in dottrina ed in giurisprudenza, di un’interpretazione delle norme in commento
che, lungi dall’accogliere l’impostazione che opta per la dequotazione a mere irregolarità delle
violazioni delle regole partecipative, risolva il contrasto individuando il punto di equilibrio tra
garanzia ed efficienza.
2. L’evoluzione della nozione di procedimento: approdo alla concezione garantistica
Come è noto, con la legge 241/90 il Legislatore interviene per sopperire alla mancanza in Italia di
una legge generale sul procedimento amministrativo; si spiega, dunque, la ragione del ruolo
decisamente secondario e servente che dottrina e giurisprudenza avevano, sino a quel momento,
assegnato al procedimento, così come alla partecipazione dei privati allo stesso, rispetto, invece,
alla assoluta centralità attribuita al provvedimento inteso quale massima espressione dell’esercizio
del potere. Secondo questa impostazione, definita formale, ciò che dà senso al procedimento è solo
il provvedimento unilaterale, il potere pubblico, il ruolo dell’autorità; il procedimento non è
nient’altro che “una concatenata successione di eventi diretti al formarsi del provvedimento
dell’autorità, lo svolgersi di un fenomeno verso la sua conclusione” e, pertanto, verso l'emanazione
del provvedimento amministrativo1.
Per vero, questa impostazione, già intorno agli anni ‘50 del secolo scorso, viene progressivamente
abbandonata in favore di altra, più evoluta 2, la quale ridimensiona il ruolo del provvedimento
individuando nel procedimento la sede specifica in cui si richiede alla PA una corretta ponderazione
degli interessi coinvolti; ne deriva che cessa di avere centralità il soggetto pubblico ed il
procedimento, per la nuova concezione funzionale, è più correttamente inteso come forma della
funzione amministrativa e cioè quale luogo di trasformazione del potere, astrattamente previsto da
una norma dell’ordinamento obiettivo, in una concreta decisione autoritativa.
1
2
In questo senso SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940.
Si veda, BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 126 e ss.
2
L'influenza delle disposizioni costituzionali e la connotazione funzionale dell’attività posta in essere
dalla pubblica amministrazione, hanno consentito, successivamente, di compiere un ulteriore
fondamentale passo in avanti nella teoria del procedimento amministrativo; secondo la concezione
garantistica, poi recepita anche dal Legislatore del ’90, il procedimento diviene il luogo in cui al
privato è garantita la rappresentazione e la tutela dei propri interessi. Questa soluzione, d’altra
parte, riflette il diverso modo di intendere, rispetto al passato, il rapporto tra amministrazione e
privati, in uno con la tendenza verso l’introduzione di nuove forme “concertate” di esercizio del
potere che si affiancano al modello classico unilaterale3.
La funzione di garanzia del procedimento, dunque, si sostanzia principalmente nel riconoscimento
in capo ai privati di un vero e proprio “diritto alla partecipazione”, strumento privilegiato per
dare attuazione al principio, di derivazione europea, di “buona amministrazione”consacrato nell’art.
41 della Carta europea dei diritti dell’uomo4; d’altra parte, il diritto alla partecipazione è
implicitamente riconosciuto anche dall’art 6 CEDU che, nell’individuare tra i diritti fondamentali
quello ad “un processo equo”, è stato interpretato dalla Corte quale norma con valenza sostanziale e
non solo processuale, applicabile, perciò, anche al rapporto tra cittadino e amministrazione nel
procedimento amministrativo.
Tali principi sono stati recepiti dalla l. 241 del 1990 che, per la prima volta, espressamente prevede
la possibilità per i cittadini di partecipare al procedimento. L’istituto della partecipazione viene,
dunque, esteso alla generalità dei procedimenti amministrativi, con ciò introducendosi
nell’ordinamento quello che è stato spesso definito come il “principio del giusto procedimento”, in
forza del quale il perseguimento del pubblico interesse deve avvenire (anche) attraverso il
contraddittorio con i portatori dei contrapposti interessi coinvolti dall’esercizio del potere
dell’Amministrazione. La partecipazione procedimentale assume, dunque, una duplice valenza,
da un lato, in un’ottica prettamente garantista, una funzione per il privato di tutela della
propria posizione giuridica soggettiva (la c.d. partecipazione difensiva), volta a consentire al
cittadino di far valere le proprie ragioni, a procedimento ancora in corso; dall’altro lato, si ravvisa,
invece, una funzione più propriamente collaborativa, finalizzata al perseguimento
dell’efficienza dell’azione della P.A., “per consentire alla stessa amministrazione di meglio
comparare gli interessi coinvolti e di meglio perseguire l’interesse pubblico principale”5 .
3
Si fa, principalmente, riferimento al fenomeno di cd. amministrazione per accordi, conseguente alla positivizzazione,
nell’art. 11 della l.241 del 1990, dello strumento degli accordi cd. integrativi e sostitutivi del provvedimento.
4
È interessante notare l’evoluzione che lo stesso principio di buona amministrazione ha subito nel tempo;
originariamente inteso quale principio in funzione dell’efficacia della pubblica amministrazione (“ex parte principis”), è
divenuto principio in funzione dei diritti dei cittadini (“ex parte civis”) cioè strumento per assicurare una difesa dal
potere pubblico perché le situazioni giuridiche soggettive dei privati potessero essere tutelate più efficacemente.
5
Così, Cons. Stato, sez. V, 10.01.2007, n. 36
3
3. La comunicazione di avvio del procedimento ed il preavviso di rigetto: teoria formale o
sostanziale
Come si è avuto modo di anticipare, l’intero capo III della l. 241/90 è posto a garanzia della
partecipazione del cittadino al procedimento nella fase di formazione della decisione finale 6. In
particolare, l’art. 7 dispone che i «soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti» e «quelli che per legge debbono intervenirvi» nonché, se
«individuati o facilmente individuabili», coloro che, «diversi dai suoi diretti destinatari», possano
subire un pregiudizio, hanno titolo per ricevere una comunicazione dell’avvio del procedimento
salvo che «sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità». La legge
prosegue indicando, all’art.8, le specifiche modalità nonché i contenuti della comunicazione e
riconoscendo, all’art. 9, la «facoltà» di prendere parte al procedimento ai soggetti interessati e a
coloro che si facciano portatori di interessi diffusi cui possa derivare un pregiudizio dal
provvedimento; i soggetti di cui all’art. 7, nonché quelli intervenuti ai sensi dell’art. 9, hanno poi «il
diritto di prendere visione degli atti» cui si aggiunge quello di presentare «memorie scritte e
documenti» che, se pertinenti, «l'amministrazione ha l'obbligo di valutare».
Sul punto, come di recente puntualizzato dal Consiglio di Stato, «il rispetto delle regole
partecipative cristallizzate dalla citata legge n. 241/1990 e della ratio che le anima, impone che la
comunicazione di avvio del procedimento venga effettuata in tempo e con modalità tali da
consentire la partecipazione influente ed efficace dei soggetti interessati al processo decisionale
destinato a sfociare nella determinazione finale potenzialmente lesiva»; ne deriva che il mero
rispetto formale della disciplina di legge non esclude l’effetto invalidante sortito da una condotta
amministrativa che, nel suo complesso, finisca per impedire una partecipazione utile da parte del
soggetto portatore di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato7.
6
Oltre al capo III e al di là del generale obbligo di motivazione, consacrato nell’art. 3, posto a garanzia della
partecipazione nel momento della decisione, ulteriori forme di partecipazione al procedimento sono disseminate in tutto
il corpo della legge, si pensi alla disciplina prevista in tema di accordi, ex art.11, ma anche alla previsione della
possibilità per il privato di convocare la conferenza di servizi, ex art.14 comma quarto, ancora, in tema di segnalazione
certificata di inizio di attività, ex art. 19, così come di silenzio-assenso, secondo il disposto dell’art. 20.
7
Così, Cons. Stato, sez. V, 13.06.2012, n. 3470; negli stessi termini si veda anche, T.A.R. Lazio sez. II quater,
14.06.2012, n. 5464 secondo cui «va evidenziata l'importanza, nella materia in esame, del rispetto delle garanzie
procedimentali sancite dalla legge n.241/90 anche nella prospettiva, evidenziata da recente dottrina, di
"collaborazione procedimentale" cui sono tenute entrambi le parti (pubblica e privata) coinvolte nello svolgimento
dell'azione amministrativa, che implica il superamento dell'esigenza del mero rispetto delle prescrizioni formali
imposte dalla normativa in materia, e che, in un'ottica di legalità sostanziale, richiede, in una visione unitaria del
rapporto amministrativo, che tutti i soggetti che in esso partecipano abbiano la possibilità di evidenziare circostanze di
fatto e rappresentare interessi coinvolti in modo tale che lo scambio sia effettivamente utile per entrambi».
4
Dalla lettura dell’art.7, emerge, peraltro, l’intenzione del Legislatore di escludere del tutto la
necessità della comunicazione di avvio ovvero di modularne l’obbligatorietà, rispettivamente,
ove sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità e in caso di
procedimenti cautelari; rientrano nella prima ipotesi tutte quelle situazioni in cui la PA, in ragione
della particolare situazione contingente, è tenuta ad attuare un intervento tempestivo incompatibile
con l’obbligo di comunicazione 8 che, in caso di adozione di provvedimenti cautelari, è invece
soltanto differita nel tempo.
L’art. 13, inoltre, esonera la PA dall’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e, più in
generale, gli istituti di partecipazione al procedimento non sono garantiti, restando applicabili le
norme specifiche, ove lo stesso sia diretto all’adozione di «atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione e di programmazione», per i procedimenti tributari, nonché per quelli previsti dal
decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, - convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n.
82, e successive modificazioni,- e dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive
modificazioni.
Al di là delle critiche che la disposizione in esame ha suscitato, nella misura in cui esclude in radice
l’instaurazione del contraddittorio necessario con il privato in ipotesi in cui invece, per la
delicatezza degli interessi coinvolti, la stessa sembrerebbe quanto mai opportuna, qualche
perplessità ha suscitato in dottrina anche l’elaborazione, in via pretoria, di ulteriori casi in cui è
stata ritenuta superflua. Più in particolare, alla tesi che considera la comunicazione di avvio del
procedimento come un adempimento della P.A. rigorosamente formale si contrappone
l’indirizzo, più recente, che attribuisce a tale istituto finalità prettamente sostanziali. Così, ad
esempio, si esclude l’operatività dell’obbligo del previo avviso di avvio nei procedimenti iniziati
ad istanza dei medesimi potenziali destinatari della comunicazione poiché, in tali ipotesi, in
attuazione del principio di strumentalità delle forme ovvero di raggiungimento dello scopo, essa
rappresenterebbe una «mera duplicazione di formalità» 9. Impostazione che continua ad essere
seguita dalla giurisprudenza prevalente nonostante il Legislatore, con la novella del 2005, abbia
sancito espressamente, alla lettera c ter dell’art.8, la piena applicabilità della disciplina prevista in
tema di comunicazione di avvio anche ai procedimenti ad istanza di parte10.
8
Secondo la giurisprudenza, un esempio in questo senso è rappresentato dalle ordinanze contingibili ed urgenti emesse
dal Sindaco, ex art. 54 T.U.E.L.; ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 29.08.2006, n.5058.
9
Ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 08.06.2010, n. 3624; T.A.R. Cagliari Sardegna, sez. II, 14.12. 2010, n. 2686; T.A.R.
Catanzaro Calabria, sez. I, 14 giugno 2010, n. 1148.
10
Secondo questa impostazione, difatti, la disposizione contenuta nell’art. 8, lettera c ter, per cui nella comunicazione
deve essere indicata «nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza», farebbe
riferimento non al richiedente il provvedimento bensì ad eventuali “controinteressati procedimentali” cioè a quei
soggetti, individuati o facilmente individuabili, diversi dal destinatario diretto del provvedimento, cui possa derivare un
5
Analogamente, ponendo l’accento sulla finalità sostanziale e non meramente formale della
comunicazione di avvio, parte della giurisprudenza l’ha ritenuta non necessaria quando il privato
abbia comunque acquisito aliunde la conoscenza del procedimento (o addirittura avrebbe
dovuto farlo), purché in una fase idonea a consentirgli un’effettiva partecipazione11.
L’orientamento che propende per una lettura cd. sostanziale degli istituti partecipativi esclude, poi,
la loro applicazione tutte le volte in cui l’apporto del privato, nella fase endoprocedimentale, non
possa comunque spiegare alcuna influenza concreta sul contenuto del provvedimento finale; si fa
riferimento, in particolare, al caso in cui l’attività amministrativa abbia natura vincolata. Come
è stato osservato dai sostenitori della tesi in commento, in tale evenienza l’Amministrazione non
effettua
alcuna
valutazione
di
carattere
discrezionale,
essendo
l’esercizio
dell’attività
amministrativa interamente predeterminato in tutti i suoi aspetti dalla legge, di modo che,
l’eventuale presentazione di memorie e documenti, sarebbe priva di una concreta utilità12.
Per differente impostazione, invece, l’art.7 dovrebbe trovare applicazione anche con
riferimento ai provvedimenti vincolati potendo, il soggetto destinatario dell’atto, comunque
collaborare con la PA nell’individuazione dell’esatta interpretazione da dare alla norma da
applicare, ovvero correggere, in sede procedimentale, eventuali errori materiali in cui sia incorsa
l’amministrazione; si sottolinea, in altri termini, la duplice funzione attribuita alle norme sulla
partecipazione, non solo difensiva ma anche eminentemente collaborativa, volta cioè a
consentire alla PA l’acquisizione di ulteriori elementi fattuali diretti ad una migliore ponderazione
della situazione concreta e di un più efficace soddisfacimento dell’interesse pubblico di cui sia
portatrice13.
pregiudizio dall’emanazione dello stesso.
11
In tal senso Cons. Stato, sez. VI, 21.12.2010, n. 9324 secondo cui «la determinazione di esclusione da una gara,
pronunciata a ragione dell'esito negativo del riscontro del possesso dei requisiti presupposti dal bando, non deve
essere preceduta da comunicazione di avvio del relativo procedimento, ai sensi dell'art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241;
infatti, la determinazione di esclusione non è idonea a rivestire valenza di atto di autotutela, non possedendo alcuna
funzione conclusiva; essa si viene ad inserire in una sequenza procedimentale della cui pendenza il ricorrente deve
giocoforza essere a conoscenza, avendo presentato apposita domanda di partecipazione: lo svolgimento degli
accertamenti finalizzati a riscontrare l'effettivo possesso, in capo al concorrente provvisoriamente aggiudicatario, dei
requisiti dichiarati in sede di presentazione della domanda di partecipazione, costituisce un passaggio procedimentale
ampiamente conosciuto dai partecipanti, siccome delineato dal bando di gara e comunque desumibile dai principi
generali».
12
Seguendo questo indirizzo, si è ad esempio esclusa la necessità del previo avviso ex art. 7 l. 241/90 con riguardo
all’assunzione delle misure repressive degli abusi edilizi (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 26.01. 2004, n. 287),
oppure nell’ipotesi di esclusione del candidato da una procedura concorsuale (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III,
26.02.2004, n. 483), o, ancora, qualora l’Amministrazione operi in sede di autotutela, esercitando una potestà
autoritativa vincolata, limitata alla verifica della corrispondenza tra la situazione di fatto e i presupposti richiesti dalla
legge per l’adozione del provvedimento di ritiro di un previo atto abilitativo (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II,
08.10.2002, n. 2339).
13
Così, Cons. Stato, sez. VI, 20.04.2000, n. 2443; Cons. Stato, sez. VI, 2953/2004.
6
Di recente, la quarta sezione del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 4925 del 17 settembre
2012, è tornata a pronunciarsi sulla questione; in particolare, il giudice amministrativo, dopo aver
ricostruito gli orientamenti affermatisi sul punto, opta in maniera decisa per la tesi cd.
sostanzialista nella misura in cui afferma la necessità che le norme sulla partecipazione siano
interpretate «non meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni
procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa», bensì attribuendo prevalenza ai principi
di economicità e speditezza dell’azione amministrativa. La comunicazione è «superflua (…)
quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono all’apertura di
un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti».
Ritenendo l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento strumentale ad esigenze di
conoscenza effettive e, conseguentemente, di partecipazione all’azione amministrativa da parte del
cittadino nella cui sfera giuridica l’atto è destinato ad incidere, il Consiglio di Stato, - accantonando
quella funzione anche collaborativa che la tesi avversa riconosce all’istituto- individua in maniera
specifica le condizioni al ricorrere delle quali tale comunicazione sia da ritenere superflua; ciò
avviene quando l’adozione del provvedimento finale sia doverosa oltre che vincolata per
l’amministrazione, il quadro normativo di riferimento non presenti margini di incertezza
sufficientemente apprezzabili e l’eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata
violazione dell’obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l’amministrazione del potere (o
addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto.
Il Consiglio di Stato, dunque, mostra la chiara volontà di assegnare prevalenza, in materia di
comunicazione di avvio del procedimento, a canoni sostanzialistici e teleologici richiamando,
nell’interpretazione delle norme sulla partecipazione, il principio, espressione più di esigenze
efficientistiche che non garantistiche, del raggiungimento dello scopo.
Le considerazioni sin qui svolte possono estendersi al diverso, ma affine quanto a ratio e finalità,
istituto del cd. preavviso di rigetto con cui vengono ad essere ulteriormente rafforzate le garanzie
del cittadino nei confronti dell’amministrazione; il cammino inaugurato con riforma del ‘90, in tema
di partecipazione procedimentale, giunge, difatti, ad un (definitivo?) approdo, nel senso della sua
piena consacrazione, con l’introduzione, ad opera della legge 15/05, nel corpo della legge sul
procedimento amministrativo, del preavviso di rigetto, disciplinato dall’art.10 bis14. Si tratta di
L’art. 10 bis così dispone: «Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità
competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i
motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione,
gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La
comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a
decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo
periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento
14
7
istituto che, più di ogni altro, concorre a realizzare quel cd. contraddittorio ad armi pari tra
PA e privato, in un contesto procedimentale sempre più simile ad una relazione di tipo
comunicativo, basata su un continuo e proficuo scambio di informazioni tra i soggetti attivi, che, in
più, svolge una funzione di deflazione del contenzioso, consentendo al privato di conoscere
anticipatamente, prima della definitiva cristallizzazione nel provvedimento finale di rigetto
dell’istanza, le argomentazioni della P.A. e di controdedurre ulteriormente sulle ragioni che ostano
all’accoglimento dell’istanza15. Come è stato osservato, prima della novella del 2005, il modello
descritto dall’art.10 l.241/90, pur istaurando un “dialogo” tra i due soggetti, non consentiva di
superare le asimmetrie del rapporto tra PA e privato poiché l’obbligatorietà della valutazione da
parte dell’amministrazione di memorie e documenti non comportava alcun vincolo in ordine al
contenuto della decisione finale16.
D’altra parte, come si è anticipato, anche con riferimento all’istituto in esame e per il caso di
omessa sua comunicazione, prevale, in giurisprudenza, l’impostazione sostanziale per cui, in
ossequio al principio del raggiungimento dello scopo, si esclude l’annullabilità del provvedimento,
pure non preceduto dal preavviso, allorché emerga che il privato abbia avuto comunque modo di
conoscere i motivi ostativi all’accoglimento della sua istanza. In quest’ultima ipotesi, si afferma, la
riproposizione in un atto formale delle ragioni ostative, oltre ad essere del tutto inutile, si presenta
come dispendiosa e contraria ai principi di efficacia e buon andamento dell’agere amministrativo
espressi all’art.97 della Costituzione17.
La soluzione appena esposta, per vero, presta il fianco ad alcune notazioni critiche nella misura in
cui equipara alla conoscenza effettiva del preavviso di rigetto quella ottenuta informalmente; al di là
delle difficoltà, in caso di mancata comunicazione formale ex art. 10 bis, collegate
all’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine di 10 giorni entro il quale
controdedurre, il soggetto istante sarebbe poi del tutto sfornito di strumenti idonei ad assicurargli
finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in
materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali»
15
Per una recente ricostruzione dell’istituto del preavviso di diniego si veda, T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV,
03.07.2012, n. 1888, secondo cui « Il preavviso di provvedimento negativo si inserisce nella scansione procedimentale
come una seconda comunicazione volta, a differenza di quella prevista dall’art. 7, a rappresentare al soggetto che ha
attivato l’azione amministrativa l’esistenza di motivi che ostano all’accoglimento della sua istanza. Tale
comunicazione ha valenza istruttoria (consentendo al destinatario di presentare memorie e documenti) e nello stesso
tempo rafforza il contraddittorio, anticipandolo già nella fase procedimentale, al chiaro fine di realizzare una funzione
deflattiva (…). L’anticipazione del contraddittorio, che normalmente ha luogo nel processo, consente
all’Amministrazione di mutare il proprio orientamento, ove le osservazioni dell’interessato dovessero rilevarsi
convincenti».
16
In questo senso GAROFOLI– FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto editore, Roma 2009, p.506.
17
In tal senso, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 24.08.2006, n. 4281.
8
una conoscenza compiuta delle motivazioni poste a base della futura determinazione negativa e,
dunque, privato della possibilità di replicare adeguatamente.
In ogni caso, e al di là della correttezza o meno di un simile approccio ermeneutico, la
giurisprudenza più recente sembra privilegiare l’impostazione di tipo sostanziale, riconducendo le
ipotesi pretorie di esclusione dell’obbligo di comunicazione alle cause di non annullabilità,
introdotte nell’art. 21 octies comma secondo dalla novella del 2005; seguendo questa ricostruzione,
allora, rientrerebbero nella prima proposizione della norma i casi di mancata comunicazione riferiti
a provvedimenti vincolati, in questa ipotesi, infatti, la mancata comunicazione rappresenta un
adempimento di carattere meramente formale inidoneo, perciò solo, ad incidere sul contenuto del
provvedimento vincolato. La seconda proposizione, invece, riferendosi specificatamente al vizio di
omessa comunicazione di avvio del procedimento- ma ritenuta estensibile in via analogica anche
all’istituto del preavviso di rigetto- sarebbe applicabile agli atti non vincolati corrispondendo agli
altri casi di esclusione individuati dalla giurisprudenza mediante il principio di strumentalità delle
forme e quello del raggiungimento dello scopo18.
La soluzione da ultimo proposta sembra essere accolta anche dal Consiglio di Stato nella sentenza
del settembre 2012 in precedenza richiamata19nella parte in cui pone a conforto
dell’impostazione sostanzialistica e teleologica il disposto del comma secondo dell’art. 21
octies, ritenuto «applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto
discrezionale»; la norma in commento, secondo il giudice amministrativo, è, difatti, espressione di
quel generale principio «volto a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in
cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della
mancanza di un concreto potere di scelta da parte dell’Amministrazione».
4. La “dequotazione” del procedimento rispetto al provvedimento e la consacrazione delle
teorie sostanzialistiche: l’introduzione dell’art. 21 octies comma 2
Come si è detto, l’art. 21 octies, in particolare il secondo comma, all’indomani della sua
introduzione, avvenuta con la l.15/05, è stato indicato, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quale
norma di recepimento proprio degli orientamenti di tipo sostanziale di elaborazione pretoria sulla
non annullabilità del provvedimento per raggiungimento dello scopo o per identità del risultato;
sotto questo aspetto, perciò, oltre a riproporsi la disputa in precedenza esposta tra le diverse
18
19
Così, CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffré editore, Roma 2006, p.1001.
Cons. Stato, sez. IV, 17.09.2012, n. 4925
9
concezioni, taluni sottolineano addirittura l’assenza di innovatività della disposizione in
commento20.
Si tratta, in realtà, di una norma dal contenuto decisamente innovativo e, soprattutto, fortemente
criticata nella misura in cui, la sostanziale “dequotazione del procedimento” in sede processuale che
la disposizione in commento sembra realizzare , è stata ritenuta di dubbia compatibilità con le spinte
di segno opposto provenienti dal diritto comunitario, nonché con i diritti fondamentali riconosciuti
dalla Costituzione e dall’art.6 CEDU.
L’art. 21 octies, che si inserisce nel più generale quadro della disciplina dell’invalidità del
provvedimento amministrativo (novità anch’essa introdotta dalla legge 15/2005), presenta, al
secondo comma, due distinti precetti, l’uno genericamente dedicato ai c.d. vizi formali e
procedimentali, l’altro a quel particolare vizio procedimentale costituito dalla omessa
comunicazione di avvio del procedimento. Più in particolare, ai sensi del primo alinea «non è
annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli
atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»; la seconda proposizione, invece,
ritiene il provvedimento amministrativo comunque non annullabile per mancata comunicazione di
avvio del procedimento «qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».
Emerge, perciò, quanto alla prima parte, la voluntas legis di rendere sterili le mere irregolarità
formali non incidenti sui contenuti dispositivi dell’atto finale, sia pure limitatamente all’attività
vincolata; in tale evenienza, allora, sarà richiesto al giudice di emettere un giudizio prognostico ex
post, secondo il criterio della conditio sine qua non, onde accertare, in assenza dell’irregolarità, che
“il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso”; quanto, invece, all’ultima
parte dell’art. 21 octies, essa contiene una specifica previsione in ordine al particolare caso
dell’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, ritenendo il provvedimento non
annullabile sempreché sia l’amministrazione convenuta in giudizio a dimostrare l’irrilevanza della
partecipazione del soggetto. Anche in questo caso, dunque, il Legislatore “sacrifica” la garanzia di
partecipazione procedimentale quando essa, pur se attivata, non avrebbe comunque potuto incidere
sulla formazione del provvedimento in concreto adottato; a differenza della prima parte, invece,
dottrina e giurisprudenza maggioritarie hanno sinora ritenuto applicabile la disposizione in
commento non solo all’esercizio di attività vincolata ma, soprattutto, a quella discrezionale 21.
20
In questo senso, CERULLI- IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Giappichelli, Torino 2008.
21
Ex multis, Cons. Stato , sez. IV, 25.05.2012, n. 3083; Cons. Stato, sez. VI, 21.07.2011, n.4421; Cons. Stato, sez. VI,
07.06.2011, n. 3416; Cons. Stato, sez. VI, 11.05.2011, n. 2795.
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Questo assunto, si afferma, troverebbe un’implicita conferma nel dato secondo cui, diversamente
opinando, ritenendo cioè limitata la disposizione all’attività vincolata, la seconda parte dell’art.21
octies comma secondo, risulterebbe del tutto priva di utilità, atteso che la mancata comunicazione di
avvio del procedimento è già, per sua natura, vizio del procedimento, onde sarebbe rientrata in ogni
caso nella prima parte della disposizione.
Un ulteriore aspetto su cui si sono soffermati i commentatori della norma ha riguardato, poi, la
questione della sua natura giuridica, sostanziale o processuale, nonché il tema, al primo
collegato, relativo al regime dell’atto non caducato; sul punto, la soluzione che appare preferibile
è quella che propende per la natura meramente processuale della disposizione, risultando,
invece, non praticabile sia la tesi che considera i vizi formali e procedimentali mere irregolarità,
che la teoria della sanatoria ex lege, per la quale la correttezza sostanziale del provvedimento
finale avrebbe un effetto sanante dell’illegittimità procedimentale, in questo modo spostando
l’attenzione dal provvedimento al procedimento. «I provvedimenti non annullabili ex art 21 octies
comma secondo sono e rimangono provvedimenti illegittimi, in altri termini, tali provvedimenti non
sono annullabili non perché nascano a monte legittimi , quanto, piuttosto, perché la loro originaria
illegittimità viene in un certo senso “superata” (…) per effetto di una sorta di “sanatoria
processuale”»22. La regola enunciata dall’art. 21 octies è, perciò, espressione dei principi
processuali in tema di interesse ad agire per cui il provvedimento non sarà annullabile, non perché
assoggettato ad un diverso regime di invalidità o irregolarità, ma perché la circostanza che il
contenuto non possa essere diverso, oggi accertabile dal giudice, priva il ricorrente dell'interesse a
coltivare un giudizio, da cui non potrebbe ricavare alcuna concreta utilità23 .
La norma, allora, non è tanto espressione della regola processualcivilistica del raggiungimento
dello scopo, per vero richiamata dalla giurisprudenza anteriore all’introduzione dell’art. 21 octies
comma secondo proprio per giustificare la non annullabilità dei provvedimenti emanati in difetto
della comunicazione ex art. 7, ove però lo scopo della partecipazione del privato fosse stato
comunque raggiunto; la dottrina più recente sostiene, infatti, che l’art. 21 octies co. II abbia,
piuttosto, codificato il principio del raggiungimento del risultato ritenendo che nel caso in cui,
invece, il giudice accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del principio del
raggiungimento dello scopo, sia da escludere la stessa presenza del vizio, mancando una concreta
lesione, in quanto la ratio sottesa alle regole formali o procedimentali è stata comunque conseguita
22
23
In questo senso SCOCA, Diritto amministrativo, Giappichelli, Torino 2008, p.322.
Così, Cons. Stato, sez. VI, 04.01.2007, n. 4614; Cons. Stato, sez. VI, 16.05.2006, n. 2763.
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e l'annullamento appare un rimedio non proporzionato, non rendendosi necessario, perciò, alcuna
ulteriore verifica circa la possibile applicazione dell’art.21 octies comma secondo24.
5. La sospetta compatibilità con i principi fondamentali: la soluzione offerta dal T.A.R.
Lombardia Milano, sez. IV, 03.07.2012, n.1888
All’indomani dell’introduzione della disciplina sulle cd. illegittimità ininfluenti, di cui all’art. 21
octies comma secondo, come si è avuto modo di anticipare, non sono mancate le opinioni critiche
volte a sottolineare l’evidente contraddizione in cui sarebbe incorso il Legislatore della novella il
quale, a fronte di un ampliamento degli istituti volti ad assicurare una piena dialettica
procedimentale, ha poi finito per ridurre le garanzie partecipative del cittadino, ciò in evidente
contrasto non solo con il principio, di diretta derivazione costituzionale, del giusto procedimento
ma, anche e soprattutto, con quello comunitario di buona amministrazione.
L’interpretazione offerta dalla giurisprudenza più recente, diretta a privilegiare gli aspetti sostanziali
della partecipazione a discapito di quelli formali, se, da un lato, assicura la realizzazione dei principi
di efficienza e speditezza dell’azione amministrativa, in una prospettiva quasi “aziendalistica”, tutta
protesa al raggiungimento del risultato finale, dall’altro, determina un ingiustificato -rispetto alle
premesse di segno opposto contenute nelle leggi del ’90 e del 2005- depotenziamento della tutela
giurisdizionale assicurata in caso di violazione delle regole procedimentali.
Di sicuro l’art. 21 octies co. II comporta, invece, un sostanziale rafforzamento dei poteri di
accertamento del giudice, chiamato a calarsi nel rapporto amministrativo ed a verificare nel merito
l'inutilità “sostanziale” di una misura di annullamento che costituirebbe per il ricorrente una vittoria
meramente processuale, ciò a conferma dell’avvenuta graduale trasformazione del processo
amministrativo da giudizio “sull’atto” a giudizio “sul rapporto” 25. D’altra parte, si osserva,
ammettere, come è stato sostenuto con specifico riferimento al secondo alinea del comma secondo
dell’art. 21 octies, l’estensione della verifica giudiziale al campo della discrezionalità
amministrativa, contrasta con i principi generali, in specie con quello di separazione dei poteri; è
chiaro, difatti, il rischio di invasione da parte del giudice degli spazi di discrezionalità riservati alla
sfera esclusiva della PA, rischio che, a parere di chi scrive, non sembra scongiurato dalla previsione
in capo alla stessa dell’onere di dimostrare che l’omissione della comunicazione dell’avvio del
procedimento non avrebbe potuto comunque condurre ad un provvedimento di contenuto diverso.
Sul punto, in linea con l’orientamento appena esposto, si è di recente pronunciato il T.A.R.
Lombardia Milano, sez. IV, con la decisione del 3 luglio 2012, n.1888.
24
25
In questi termini, Cons. Stato, sez. VI, 11.09.2006, n.5260.
In questo senso, Ad. Plen Cons. Stato, 23.03.2011, n.3
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Nel ritenere applicabile la seconda parte del comma secondo dell’art. 21 octies anche al diverso
istituto del preavviso di rigetto ex art 10 bis, la sentenza offre interessanti precisazioni in ordine alla
corretta interpretazione della disciplina dei vizi non invalidanti e del suo ambito di applicazione. Più
in particolare, pur prendendo atto della posizione prevalente in giurisprudenza che ritiene il secondo
alinea del secondo comma dell’art. 21 octies applicabile all’attività discrezionale, il giudice
amministrativo si discosta da questa impostazione sulla base di una serie di argomentazioni fondate,
essenzialmente, sull’interpretazione dei principi generali di cui, la norma in commento, rappresenta
«chiara applicazione». Il semplice dato letterale, della formulazione della norma, che, nel secondo
alinea, non riproduce il riferimento all’attività vincolata, contenuto invece nel primo alinea, non
rappresenta, per il giudice a quo, argomento convincente ed atto a giustificare l’estensione del
sindacato giurisdizionale sull’illegittimità ininfluente all’attività discrezionale. Anzi, una soluzione
di questo tipo, oltre a non trovare conferma espressa sul piano formale, «sarebbe del tutto
innovativa, in quanto spingerebbe il giudice amministrativo all’accertamento del rapporto
sostanziale anche in presenza di un’attività discrezionale, oltre ad essere in evidente
contraddizione con la tendenza del legislatore di esaltare a date condizioni le garanzie
partecipative in omaggio ad un principio di democraticità che investe anche l’agere amministrativo
e che trova chiari riconoscimenti nel diritto comunitario».
Più correttamente, perciò, la sentenza in commento ritiene che la seconda proposizione del
secondo comma dell’art. 21 octies, lungi dal trovare applicazione all’attività discrezionale tout
court, si riferisca alle sole ipotesi in cui l’attività amministrativa discrezionale sia solo in
astratto ma in concreto «“non residuino ulteriori margini di discrezionalità” perché
l’amministrazione ha esaurito le opzioni possibili ovvero perché il concreto dipanarsi dei fatti ha
trasformato l’esercizio del potere discrezionale in attività vincolata»26; d’altra parte,
l’accertamento del giudice, cui è richiesto di verificare che “il provvedimento non avrebbe potuto
essere diverso”, presuppone un’indagine relativa alla sostanza del rapporto, operazione che, in tanto
è ammissibile, in quanto non determini un’indebita sostituzione all’amministrazione e, dunque, in
linea con quanto è espressamente previsto ex art. 31 c.p.a., in tema di giudizio sul silenzio
inadempimento (norma che il giudice a quo ritiene “intimamente collegata” con la seconda parte
del comma secondo dell’art. 21 octies),«solo ove non si frapponga l’esercizio di attività
discrezionale. Ne deriva, pertanto, che la seconda parte del secondo comma dell’art. 21 octies L.
26
Più di recente, si veda Cons. Stato, sez. V, 03.08.2012, n. 4440, il quale, sia pure incidentalmente, ritiene non
applicabile l’art. 21 octies co. II seconda parte all’attività discrezionale.
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241/1990, non può che riferirsi alla sola attività vincolata (sia in astratto che in concreto il primo
alinea, discrezionale in astratto, ma vincolata in concreto il secondo alinea)».
6. Conclusioni
Alla luce anche della pronuncia esaminata è possibile formulare alcune considerazioni conclusive
che, da un lato, tengano conto del ruolo assolto dall’art. 21 octies comma secondo, in un’ottica di
progressiva deformalizzazione ed efficientizzazione del processo amministrativo, dall’altro,
consentano, però, di escludere che l’approccio sostanziale sia inteso quale strumento di
depotenziamento della funzione partecipativa del cittadino al procedimento.
Per raggiungere questo duplice obiettivo spetterà, allora, al giudice amministrativo trarre dalla
norma quelle utilità che la stessa è capace di apportare in termini di economicità ed efficacia
dell’azione amministrativa mediante un’interpretazione della stessa che, tuttavia, non conduca ad
una totale elisione dei diritti di partecipazione del cittadino e di reazione nei confronti della P.A.;
sembra, perciò, del tutto condivisibile la soluzione offerta da T.A.R. Lombardia, il quale, in
ossequio anche ad esigenze di rispetto delle garanzie partecipative, da intendersi quali veri e propri
«diritti riconosciuti ai cittadini nei confronti del potere», opta per un’interpretazione restrittiva
dell’art. 21 octies comma secondo mostrando di fare un uso moderato ma coerente con i principi
generali degli ampi spazi che la legge gli riconosce.
D’altronde, la partecipazione del privato al procedimento non deve essere intesa necessariamente in
un’ottica di appesantimento dell’agere amministrativo poiché, come si è avuto modo di sottolineare,
non va sottaciuta la fondamentale funzione collaborativa dalla stessa assolta che permette alla PA di
meglio comparare gli interessi coinvolti e di assumere con minori costi tutti i dati per arrivare alla
migliore decisione per il pubblico interesse. Così intesa, allora, la partecipazione diviene essa stessa
strumento, non già e non solo di garanzia, bensì di raggiungimento dell’efficienza
dell’amministrazione.
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