catalogo - Enologica
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“ ... Mito, rito e simbolo sono connaturati con qualunque forma di civiltà, nascono con essa e con essa si sviluppano.” Franco Cardini, storico 2015 Palazzo Re Enzo - BOLOGNA 21-22-23 NOVEMBRE 2015 Salone del vino e del prodotto tipico dell’Emilia-Romagna www.enologica.org Evento inserito nel progetto di marketing territoriale Orari sabato 21 novembre 2015: dalle ore 11 alle 20 domenica 22 novembre 2015: dalle ore 11 alle 20 lunedì 23 novembre 2015: dalle ore 11 alle 20 - Ingresso intero 20 Euro, valido per tutti e tre i giorni - Ingresso ridotto operatore (solo lunedì) 10 Euro - Calice degustazione e catalogo compresi nel costo del biglietto - Chiusura biglietteria ore 19 Programma Il programma potrà subire delle variazioni che, nel caso, saranno riportate sul nostro sito: www.enologica.org Si ringraziano: tutto lo staff di Enoteca Regionale Emilia Romagna, ed in particolare: Elena Sarzi Sartori, Ambrogio Manzi, Cecilia Bortolotti. Marco Broggi Coordinamento Teatro dei Cuochi Enrico Vignoli Stampa Litografia Fabbri - Modigliana (FC) Grafica Laura Staderini Testi sui Tarocchi Andrea Vitali, Associazione Culturale Le Tarot Illustrazioni Francesca Ballarini Traduzioni Helena Olga Kyriakides Allestimenti Andrea Casali, Davide Cristofani, Elisa Grossi, e Valentina Mazzotti, Magaze Architetti; Carlo Losi, Cardo Reggio Emilia Fotografa Vittoria Lorenzetti Organizzazione Piazza Rocca Sforzesca - 40060 Dozza Tel. 0542 367700 - Portatile 347 5125365 [email protected] Curatore GIORGIO MELANDRI Enologica è un marchio registrato. Inventati a Bologna da un principe all’inizio del ‘400 e diventati presto popolari, i Tarocchi sono un meraviglioso contenitore dove la nostra cultura ha nel tempo riposto i significati che erano al centro della nostra vita. Prima una grande biblia pauperum, poi via via la rappresentazione delle nostre paure, delle ambizioni, del pensiero simbolico, della morale, ed anche dell’immaginazione. Una sorta di coscienza collettiva che abbiamo usato come guida nel viaggio in Emilia Romagna di Enologica 2015. Sarà come sempre la via Emilia la trama della nostra esplorazione con i trionfi maggiori dei Tarocchi a scandirne le tappe e a creare l’occasione per raccontare i vini e i cibi di questa straordinaria regione. Un tema colto e popolare insieme, profondo nei contenuti e semplice nel linguaggio, carico della tradizione dei gesti che ci portiamo dietro a volte senza la necessaria consapevolezza. Nel tempo i significati del vino sono cambiati, ma non è cambiato il nostro attaccamento al suo valore simbolico, alla sua capacità di rappresentare la nostra identità. Come ci ricorda lo scrittore reggiano Pier Vittorio Tondelli nel suo “Un racconto sul vino”, «La cultura del vino diventa, in epoca medievale, una vera e propria cultura alternativa che ha nella comicità, nell’uso del paradosso, nell’utopia del Regno alla rovescia i suoi punti di dissacrante forza.». Con il gioco di abbinamenti tra i prodotti regionali e i Tarocchi vogliamo sottolineare questo aspetto, quello di una libertà che nel vino in questi anni ha trovato il modo di esprimersi e affermarsi, un orgoglio ritrovato del mondo contadino che in Emilia Romagna ha espresso valori molto vicini al nostro modo di essere di oggi. Enologica 2015, con i Tarocchi e i testi (in italiano ed inglese) che li accompagnano, è una grande piattaforma narrativa per raccontare l’Emilia Romagna e la magia che realizza, quella di un quotidiano straordinario fatto di valori solidi e di prodotti popolari capaci di sfidare l’idea retorica di eccellenza, ormai così consumata, su un piano nuovo, moderno e rivoluzionario. Per la qualità di questo viaggio desidero ringraziare Francesca Ballarini che ha disegnato le carte e Andrea Vitali, storico ed esperto di Tarocchi, che ha scritto i testi sui trionfi maggiori e ha seguito tutto il lavoro per garantirne la assoluta correttezza. Benvenuti ad Enologica 2015. Giorgio Melandri Curatore Enologica CON IL CONTRIBUTO E IL PATROCINIO DI Comune di Bologna IN COLLABORAZIONE CON www.autori.it STUDIO DI ARCHITETTURA COMUNICAZIONE IN COLLABORAZIONE CON Enologica giunge alla sua diciottesima edizione e, per il secondo anno consecutivo, Enoteca Regionale Emilia Romagna mette a disposizione di questa importante vetrina dei prodotti tipici della Regione il know how organizzativo acquisito in oltre quarant’anni di attività di promozione dei vini dell’Emilia Romagna sia in Italia che all’estero. Proprio il vino, “canto della terra verso il cielo” come lo ebbe a definire il grande Luigi Veronelli, sarà il protagonista assoluto a Palazzo Re Enzo, nel cuore di Bologna, dal 21 al 23 Novembre, dove oltre 120 produttori incontreranno appassionati, operatori, buyer e giornalisti del settore in una tre giorni di festa alla scoperta di un territorio così ricco quanto per molti aspetti ancora inedito quale è l’Emilia Romagna. Forse non tutti sanno che l’Emilia Romagna è una regione leader dell’agroalimentare, con una produzione che vale 20 miliardi di euro, prima in Europa per numero di prodotti Dop e Igp (ben 41 sul totale europeo di 259) e che vanta anche il primato italiano per esportazioni agroalimentari: numeri importanti, in costante crescita, che abbiamo il compito di comunicare al meglio, attraverso occasioni di incontro e approfondimento come proprio Enologica vuole essere. Il filo conduttore della manifestazione sarà quello della via Emilia, da oltre duemila anni asse portante della nostra regione, tra storia, cultura, tradizioni e prodotti di qualità, tra cui i suoi vini: un ideale viaggio dal riminese fino ai colli piacentini, attraverso i vini simbolo di questa regione: Albana e Sangiovese, Pignoletto, Fortana, Lambrusco, Malvasia e Gutturnio. Il vino si configura come elemento trainante di un progetto dal respiro ampio, che coinvolge tutto il territorio con le sue sorprendenti espressioni. Per noi Enologica è un momento d’ incontro con questo racconto della straordinaria filiera vitivinicola e agroalimentare dell’Emilia Romagna, un viaggio alla scoperta delle storie, delle passioni e del lavoro racchiusi all’interno di un calice di vino: un’esperienza unica, che vi invitiamo a fare con noi. Pierluigi Sciolette Presidente Enoteca Regionale Emilia Romagna Programma TORREFAZIONE CAFFÈ LELLI BOLOGNA WWW.CAFFELELLI.COM TE AT R O D E I C U O C H I La promozione di un territorio e dei suoi prodotti enogastronomici ha bisogno di riferimenti, di luoghi speciali, di personaggi e di storia: in poche parole di modelli. L’Emilia-Romagna in particolare è un territorio che deve riconoscere il ruolo dei ristoratori che rappresentano la tradizione e la capacità di testimoniarla. Le esibizioni sono aperte a tutti e non sono prenotabili. Coordina e presenta gli incontri Enrico Vignoli. IL TEMA 2015: LA PASTA RIPIENA Enologica è un grande cantiere dove si progetta la tradizione del futuro. Per farlo abbiamo bisogno di una grande conoscenza della tradizione, di una consapevolezza della nostra identità e della libertà dei cuochi della regione. La pasta ripiena ha trovato in Emilia-Romagna espressioni raffinate e territoriali e con questa edizione 2015 del Teatro dei Cuochi vogliamo prima raccontarlo e poi scoprire cosa ci riserva il futuro. Un cuoco, o una sfoglina, per ognuna delle nove provincie della regione, tante storie e qualche idea per confrontare la tradizione con il contemporaneo. MA RTED Ì 1 7 N O V E M BRE 2 0 1 5 ANTEPRIMA Ore 19,30 Presentazione del mazzo dei Tarocchi di Enologica Con Andrea Vitali (storico dei tarocchi), Giorgio Melandri (giornalista enogastronomico e curatore di Enologica) e Francesca Ballarini (illustratrice) Ore 20,30 Gianluca Esposito, a cena con i Tarocchi Presso Eataly Ambasciatori via degli Orefici, 19 - Bologna Un mazzo di Trionfi Maggiori dei Tarocchi disegnato da Francesca Ballarini che ritrae in un ideale viaggio sulla Via Emilia le 22 tappe enogastronomiche imperdibili dell’Emilia-Romagna sarà il protagonista di Enologica 2015. Il mazzo sarà presentato alle 19,30 alla libreria Ambasciatori e chi vorrà potrà fermarsi alla cena preparata da Gianluca Esposito con tutti gli ingredienti citati nel mazzo. Sa- studio di architettura di davide cristofani valentina mazzotti elisa grossi andrea casali via giangrandi, 2 faenza 0546 668176 [email protected] ranno piatti legati al territorio, golosi e diretti come è nelle corde di questo straordinario cuoco. A tutti i partecipanti alla cena sarà regalato un mazzo dei Tarocchi di Enologica. Prenotabile direttamente a Eataly Tel. 051.0952820. Prezzo euro 40 a persona vini inclusi. SA BATO 2 1 N O V E M BRE 2 0 1 5 ORE 11,30 Dai Xiaogang e Chen Xujuan, Ristorante Bambù, Bologna Presso Via con me via S. Gervasio, 5/D - Bologna Nel mondo le due grandi cucine che riconoscono un ruolo importante per la pasta ripiena sono quella italiana e quella cinese. Per aprire l’edizione 2015 del Teatro dei Cuochi abbiamo quindi invitato due cinesi che lavorano a Bologna da tanti anni per rendere omaggio a questa tradizione che, come la nostra, viaggia nella geografia del paese cambiando regole e usanze. Jiaozi e Wonton, così amati e importanti nella cultura cinese, rappresentano sempre le comunità locali adattandosi alle materie prime e alle abitudini dei diversi territori. Dai e Chen racconteranno la loro cultura e prepareranno per noi dei “ravioli” speciali preparati utilizzando carne di mora romagnola e mazzancolle dell’Adriatico. Che la contaminazione abbia inizio! Presentano Enrico Vignoli e Giovanni Angelucci. ORE 15,30 Gianluca Gorini. Le Giare, Montiano (Cesena) Presso O fiore mio piazza Malpighi, 8 - Bologna Gianluca Gorini ha compiuto a Le Giare un percorso di maturazione che ha il sapore più vero della provincia italiana. Le Giare infatti sono in mezzo alla filiera, nella provincia italiana che ha orto e pascoli a portata di mano, vicina anche intellettualmente a quella freschezza necessaria alla cucina che nutre ambizioni. Gianluca attinge a piene mani da questo patrimonio e lo restituisce nel piatto con la sensibilità di chi è ogni volta incantato. Ad Enologica si confronterà con la doppia anima della “sua“ pasta ripiena, quella pesarese dell’infanzia e quella cesenate della maturità professionale. Un racconto di viaggio, tra la sua fantasia e le suggestioni della memoria. Presenta Albert Sapere. PROTEGGI LE TUE BOTTIGLIE Leggero Riciclabile Pratico Personalizzabile ORE 17 Elisabetta, Valeria e la nonna Angiolina. Pasta Fresca Naldi, Bologna Con Lionel Joubaud, Banco 32 Presso Banco 32 al Mercato delle Erbe, via San Gervasio, 3A - Bologna In via del Pratello, nel cuore di una Bologna che profuma di osterie e notti in bianco, all’angolo con via Pietralata, storica sede del cinema Lumiere, c’è dagli anni ’80 questa bottega di pasta fresca che è diventato uno degli indirizzi di culto di Bologna. Un po’ di passato, molto futuro e un’idea di pasta popolare e spericolata perché si compra nella bottega e si consuma ai tavoli dei bar intorno, a metà tra il cibo di strada e un picnic urbano. A reggere il gioco una pasta di grande qualità, rigorosa e profumata, con i tortellini a ribadire la bolognesità di questo terzetto delle meraviglie. Un racconto di donne e tradizione, di cose vecchie che ritornano nuove, di campagne d’Emilia e strade di città. Ad incontrarle ci sarà uno cuoco francese, Lionel Joubaud, perché Bologna è una città aperta che ha incrociato le sue strade con quelle del mondo da quando nel 1088 ha aperto la più antica università d’Europa. Presenta Michela Pallonari. ORE 18,30 Elsa Fregnani. Antichi Sapori, Modigliana Presso RoManzo al Mercato di Mezzo, via Clavature, 12 - Bologna Il confine è un tema meraviglioso dell’enogastronomia perché più che un luogo di divisione è opportunità di contaminazione. Lo è anche per Modigliana, capace di conservare precisamente la tradizione del cappelletto ravennate di solo formaggio attraverso un prodotto di montagna come il raviggiolo e di strizzare l’occhio a quel Granducato di Toscana del quale fece parte per tanti secoli con una pasta ripiena realizzata con la farina di castagne. Una doppia lingua parlata perfettamente da quella sfoglina straordinaria che è Elsa Fregnani. Presenta Carlo Catani. D OME N IC A 2 2 N O V E M BRE 2 0 1 5 ORE 15,30 La San Nicola, Castelfranco Emilia (Modena) Con Eros Palmirani, Diana Bologna. Presso Diana, via Indipendenza, 24 - Bologna Modena e Bologna, le due patrie storiche del tortellino a confronto. Da una parte le sfogline dell’Associazione San Nicola, dall’altra la tradizione classica della cucina bolognese, quella del ristorante Diana, custodita da Eros Palmirani con disciplina e intransigenza. Non si tratta di stabilire quale sia il “vero” tortellino, ma di incrociare le strade di due comunità e le tante verità che ogni paese (e forse ogni famiglia) è in grado di regalare. L’identità della cucina italiana vive da sempre di tolleranza e se oggi possiamo vantarci di tanta varietà lo dobbiamo a questa capacità di tramandare le differenze. Presenta Carla Brigliadori, Casa Artusi. ORE 17 Ido ed Adalberto Migliari, Trattoria La Chiocciola, Portomaggiore (Ferrara) Presso Berberè via Giuseppe Petroni, 9 - Bologna Ristoratori da tre generazioni (era loro il mitico ristorante Ido a Marrara!), i Migliari sono custodi di una tradizione che viaggia in bilico tra terra e mare, tra la pasta ripiena della cultura emiliana e i prodotti di quelle terre contese all’acqua come rane, anguille e lumache. Adalberto, accompagnato nella gestione dalla moglie Arianna, ha trovato una sintesi tra la concretezza contadina della sua tradizione –un piatto deve essere buono, ripete spesso - e una mano raffinata e attenta ai dettagli. Un grande interprete di una filiera originale e straordinaria. Presenta Giulia Sampognaro. ORE 18,30 Carla Aradelli. Ristorante Riva, Ponte dell’Olio (Piacenza) Presso Camera a Sud via Valdonica, 5 - Bologna Carla Aradelli è una cuoca straordinaria, che combina le esperienze familiari ad una formazione che già a 17 anni, negli anni ’80, la porta ad incontrare il talento di George Cogny come studentessa di un corso organizzato alla Cantoniera, a Farini d’Olmo. Lui capisce subito che dietro a quell’umanità profonda e a quella capacità di sognare c’è un talento fuori dal comune e la stimola, forse la sfida pure. Lei passa per il Sole di Maleo, dell’indimenticato Franco Colombani, e poi ritorna a casa ad intrecciare i classici tortelli piacentini e ad inventare una cucina nuova per quegli anni. Oggi la ritroviamo ad Enologica a parlare di tradizione, forse di tradimenti, di un incanto provato da bambina che ancora alimenta la sua cucina, forse la più poetica dell’intera regione. Presenta Alfonso Isinelli. ORE 20,30 Cena a quattro mani con Athos Migliari e Mario Ferrara Scacco Matto via Broccaindosso, 63 - Bologna Il sud di Mario Ferrara e la tradizione militante di Athos Migliari, due anime popolari a confronto per raccontare un’Italia inedita fatta di povertà e grandi privilegi. Perché, occorre sempre ricordarlo, in Italia è il quotidiano ad essere straordinario. Prenotabile direttamente allo Scacco Matto 051 263404. Prezzo euro 60 a persona. LUN ED Ì 2 3 N O V E M BRE 2 0 1 5 ORE 15,30 Riccardo Agostini. Il Piastrino, Pennabilli (Rimini) Presso Enoteca Storica Faccioli, via Altabella, 15/B - Bologna Pennabilli è in cima alla Valmarecchia, lontanissimo, anche culturalmente, da Rimini e dal suo mare. Qui c’è una filiera di terra, o forse sarebbe meglio dire di montagna. È infatti l’Appennino a dettare legge in quanto a sensibilità, odori e occasioni. Per Riccardo Agostini ritornare nel suo paese natale dopo favolose esperienze nell’alta cucina italiana ha significato fare i conti (e la pace!) con un paniere preciso, con la storia piena di identità del Montefeltro e con l’esattezza di stagioni scandite dalla natura. Un territorio di contaminazioni, dove le strade e la lingua viaggiano verso Umbria, Marche e Toscana, romagnolo nei riti e nella cultura, bellissimo nei paesaggi dominati dalle rocche che ne hanno fatto la storia. Presenta Giorgia Cannarella. ORE 17 Massimo Spigaroli. Antica Corte Pallavicina, Polesine Parmense (Parma) Presso Twin Side, via de’ Falegnami, 6 - Bologna Che racconto quello di Massimo Spigaroli! C’è dentro la storia della bassa parmense, quella del rapporto con il fiume Po, e poi ancora l’avventuroso salvataggio del maiale nero di Parma. Poi la narrazione tutta radici e famiglia che lo riguarda personalmente. E lì, in quella magia tutta familiare, c’è l’invenzione del Culatello di Zibello, già in- ventato per la verità, ma quasi dimenticato fino all’arrivo di Massimo. Spigaroli è cuoco e istrione, capace di incantare con le parole e con piatti rigorosi e geniali. Un uomo che vale un territorio, innamorato di quegli argini di nebbie e canne che forse prima di lui nessuno aveva guardato (e visto) così. Presenta Alessandro Bocchetti. ORE 18,30 Marta Scalabrini. Marta in cucina, Reggio Emilia Presso Re Sole L’Inde de Palais, via de’ Musei, 4/D - Bologna Marta ha un percorso formativo originale, pieno di strumenti ed esperienze diverse. Oggi cucina a Reggio Emilia in pieno centro storico (dove c’era la storica Osteria della Ghiara) e lo fa con tanta personalità e molti pensieri. Scrive: “Il mio ristorante non ha niente di tradizionale e ha tutto di tradizionale. Ha i sapori della tradizione perché i miei piedi sono piantati a Reggio Emilia, ma sono contaminati dal mio girovagare. A 18 anni volevo solo andare via, mi sembrava che questa città non potesse offrirmi niente. Poi ho avuto bisogno di tornare.” Ed eccola qui, a parlare di tradizione e a ragionare di futuro con la forza di chi ha scelto di ricominciare dalle radici. Presenta Martina Liverani. ORE 20,30 Cena di chiusura con Matteo Aloe, Fabio Fiore, Pierluigi Di Diego Berberé, via Petroni, 9 - Bologna La festa di chiusura di Enologica 2015, una cena a 6 mani, una festa come ultima tappa del viaggio in Emilia-Romagna, un omaggio allo spirito conviviale e alla capacità di ospitalità della regione. Matteo Aloe, padrone di casa a Berberè, Fabio Fiore titolare del ristorante Quanto Basta di via del Pratello, Pierluigi Di Diego, del ristorante Don Giovanni/La Borsa Bistrot di Ferrara. Prenotabile direttamente a Berberè Tel. 051 2759196. Prezzo euro 40 a persona. Il TEATRO DEI CUOCHI è realizzato all’interno della Campagna WINES FROM THE SOUTH OF EUROPE MEDITERRANEAN WINES, progetto europeo per la promozione del consumo consapevole di vino. Il viaggio sulla Via Emilia attraverso i Tarocchi Cosa sono i Tarocchi di Andrea Vitali I Tarocchi sono un gioco formato da 56 carte numerali (Arcani Minori) provenienti dal mondo arabo raffiguranti semi di coppe, danari, spade, bastoni, apparse in Italia nel sec. XIV e da 22 immagini allegoriche chiamate Trionfi (Arcani Maggiori), ideate quest’ultime dal Principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia agli inizi del Quattrocento quando dalla natia Toscana si trasferì a Bologna eleggendola quale patria adottiva.. Un gioco che rimanda ai Triumphi (Trionfi) di Francesco Petrarca, opera letteraria in cui il poeta trecentesco descrive le sei principali forze che governano gli uomini attribuendo loro un valore gerarchico. Per primo viene l’Amore (Istinto), che corrisponde ad una fase giovanile, vinto dalla Pudicizia (Castità, Ragione), fase successiva di matura pacatezza, a cui segue la Morte, a significare la transitorietà delle cose terrene. Quest’ultima viene vinta dalla Fama, vittoriosa sulla morte nella memoria dei posteri, ma su di essa trionfa il Tempo il quale è sovrastato infine dal Trionfo dell’Eternità, che sottrae l’uomo dal flusso del divenire e lo pone nel regno dell’Eterno. Dal primo ordine di Trionfi conosciuto risulta evidente che si trattava di un gioco a sfondo etico: il Bagatto (Giocoliere, Mago) raffigura l’uomo peccatore a cui sono state date quali guide temporali dal volere divino l’Imperatrice e l’Imperatore e guide spirituali, il Papa e la Papessa (la Fede). Gli istinti umani devono essere mitigati dalle virtù: l’Amore dalla Temperanza, e il desiderio di potere, ossia il Carro, dalla Forza (la cristiana virtù ‘Fortitudo’). La Ruota della Fortuna insegna che ogni successo è effimero e che anche i potenti sono destinati a diventare polvere. L’Eremita, che segue la Ruota, rappresenta il tempo al quale ogni essere deve sottostare e la necessità per ciascun uomo di meditare sul valore reale dell’esistenza, mentre l’Appeso (il Traditore) denuncia il pericolo di tradire il proprio Creatore prima che la Morte sopraggiunga. Anche l’Aldilà è rappresentato secondo la tipica concezione medievale: l’Inferno e quindi il Diavolo, è posto sotto la crosta terrestre sopra la quale si estendono le sfere celesti. Secondo la visione del cosmo medievale, la sfera terrestre è circondata dal cerchio dei ‘fuochi celesti’, raffigurati da fulmini che colpiscono una Torre. Le sfere planetarie sono sintetizzate da tre astri: la Stella, la Luna e il Sole. La sfera più alta è l’Empireo, sede degli Angeli che nel giorno del Giudizio saranno chiamati a risvegliare i morti dalle loro tombe. In quel giorno la Giustizia divina trionferà, pesando le anime e dividendo i buoni dai malva- gi. Sopra tutti sta il Mondo, cioè ‘El Dio Padre’, come scriveva un anonimo monaco che commentò i Tarocchi all’inizio del Cinquecento. Lo stesso religioso pone il Matto dopo il Mondo, come ad indicare la sua estraneità ad ogni regola e insegnamento in quanto, difettandogli la ragione, non era in grado di comprendere le verità rivelate. Il pensiero della Scolastica, cioè la filosofia cristiana medievale che veniva insegnata presso le Scholae, cioè le università, e che mirava ad avvalorare le verità di fede attraverso l’uso della ragione, accumunò nella categoria dei matti tutti coloro che non credevano in Dio. Nei Tarocchi la presenza del Matto acquista un profondo significato: tutti i Matti, intesi come coloro che non credevano in Dio, dovevano divenire, attraverso gli insegnamenti etici espressi dagli Arcani Maggiori, ‘Folli di Dio’, come lo divenne il santo più popolare, cioè Francesco, che fu chiamato ‘Lo Sancto Jullare’ o ‘Il Sancto Folle di Dio’ (‘Non fu mai più bel sollazzo, / Più giocondo, né maggiore, / Che, per zelo e per amore, / Di Iesù divenir pazzo’, Canzone a ballo di Girolamo Benivieni, 1453-1542). Nel corso del Quattrocento il gioco dei tarocchi era chiamato Ludus Triumphorum cioè Gioco dei Trionfi. Solo agli inizi del Cinquecento apparve la parola Tarocco, termine con il quale veniva chiamata, nel linguaggio popolare, ogni persona stolta, stupida e folle. Una parola che denuncia quindi l’attribuzione del nome del gioco dalla carta del Matto. Tarocchino invece venne chiamato il gioco a Bologna quando verso la metà del Cinquecento il numero delle carte venne ridotto per motivi di praticità di gioco, da 78 a 62, tramite l’eliminazione delle carte dal 2 al 6 di ciascun seme. Nel Rinascimento divenne usanza comune divinare con le carte numerali, cioè gli Arcani Minori, La cartomanzia con gli Arcani Maggiori esplose invece, propagandosi in tutta Europa, verso la fine del sec. XVIII, una moda testimoniata per la prima volta da un manoscritto bolognese di poco precedente il 1750. Bologna fu quindi non solo la città in cui il gioco venne ideato, ma anche la culla della sua pratica divinatoria. L’origine storica dei Tarocchi di Andrea Vitali Quando il Principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia agli inizi del Quattrocento dalla natia Toscana si trasferì a Bologna, non avrebbe mai pensato che nella nuova patria adottiva avrebbe ideato un gioco di carte destinato nei secoli a divenire il più amato e giocato al mondo, tanto da far scrivere a Mozart in un diario date e consistenza dei denari vinti e persi. Bologna era allora una fiorente città, sede della più prestigiosa università, con uno straordinario flusso di studenti provenienti da tutta Europa. Nel tempo perso frequentavano le osterie, dove il vino scorreva a fiumi, dandosi ai più licenziosi divertimenti. In quella situazione, giocando a dadi o ad altre amenità, le bestemmie e le liti - senza tacere le uccisioni - erano divenute oramai una consuetudine pressoché quotidiana. La Chiesa tentava ripetutamente di arginare questo scempio cercando attraverso l’opera dei predicatori di indirizzare i propri figli verso una conduzione etica della vita. È vero che tanti valori cristiani venivano già insegnati ai ragazzi dalle famiglie e dalle scuole di catechismo, come l’affidarsi ai detentori del potere temporale e spirituale, posti da Dio al governo del mondo; ricorrere alla virtù per moderare se non dominare del tutto le passioni; pensare che il destino, se oggi ti innalzava, poteva in un breve volgere farti cadere. D’altro canto, la visione in Piazza Maggiore di numerose persone appese per un piede, si manifestava come monito verso tutti coloro che fossero stati tentati di operare tradimenti, azioni considerate peccati mortali dalla Chiesa. Nonostante ciò nulla sembrava poter modificare la condotta degli abitanti e dei suoi numerosi ospiti. Il Principe nell’inventare quel gioco di carte, abbinando alle carte normali divise nei semi di coppe, bastoni, spade e denari, già presenti in Italia fin dalla meta del 1300 e provenienti dal mondo arabo, diverse altre carte riportanti immagini allegoriche, diede involontariamente una grande mano alla Chiesa nella sua opera di redenzione. Si trattava di un gioco di carte chiamato allora Ludus Triumphorum, cioè Gioco dei Trionfi, per il fatto che le carte allegoriche trionfavano, cioè vincevano sulle carte numerali. Data la sua bellezza, in tutte le osterie si giunse, nel breve volgere di pochi anni, a giocare a Trionfi. Dopo la morte del Principe, le carte allegoriche vennero ampliate nel numero mediante l’inserimento di virtù, di immagini di astri che brillano nel cielo, del giudizio universale e della giustizia divina. Divennero 22, numero che nella mistica cristiana rappresenta la conoscenza di Dio da parte dell’uomo dato che 22 sono i libri sapienziali descritti nell’Antico Testamento. Così i giovani e i meno giovani, mentre giocavano, traevano dai significati universali delle immagini impresse sulle carte valori di etica cristiana. Si trattava di un ‘Ludendo intelligo’ (giocando imparo), un modo intelligente per rimandare alla mente valori etici utili alla salute dell’anima. A Bologna, dove esiste ancora un’enclave di amanti di questo gioco di carte, lo chiamano Tarocchino e non Tarocco. Il motivo risiede nel fatto che verso la metà del Cinquecento i giocatori si lamentavano per il numero complessivo delle carte, ben 78, che li costringeva sovente a chinarsi sotto il tavolo per recuperare quelle carte, cadute a terra, che non erano riusciti a tenere in mano. Infatti giocando in tre persone (Terziglio) a ciascuna di queste spettavano 20 carte, numero decisamente alto da contenere. Per ovviare a questa situazione venne deciso di eliminare dagli Arcani Minori quattro carte, dal 2 al 5 per ciascun seme. Il mazzo, ridotto quindi a 62 carte, venne così chiamato ‘Tarocchino’. In ogni parte del mondo, ad iniziare dalla civiltà sumerica e da quella egizia, i simboli vennero creduti essere intermediari fra la terra e il cielo, valutazione che spinse le caste sacerdotali ad indagare attraverso i simboli il volere divino. Nel Rinascimento divenne usanza comune divinare con le carte numerali, cioè gli Arcani Minori, anche da parte dei non addetti ai lavori. La cartomanzia con gli Arcani Maggiori esplose invece, propagandosi in tutta Europa, verso la fine del sec. XVIII, testimoniando una moda che individua il primo documento in senso assoluto in un manoscritto bolognese di poco precedente il 1750 ora conservato presso la Biblioteca Universitaria della città. Considerata dai più una superstizione o un passatempo, solo con le tesi sull’energia simbolica espresse dal celebre psicologo Carl Gustav Jung, la Cartomanzia, cioè l’arte di interpretare i simboli a scopo divinatorio, acquisì la sua propria dignità. Accanto ai tortellini, al buon vino e alle straordinarie prelibatezze gastronomiche, senza parlare ovviamente delle altre qualità da ricercarsi in ogni campo dello scibile umano, Bologna ha avuto il merito straordinario di essere stata la culla del gioco dei Tarocchi e della loro pratica divinatoria. Un gioco, che una volta esportato dapprima in Italia, poi in Europa, ha allietato nel tempo personalità, oltre a Mozart, come Napoleone, il Foscolo, il Manzoni, il Carducci, il Pascoli e tantissimi altri geni. Oggi la Cartomanzia con i Tarocchi è conosciuta e praticata in tutto il mondo. Per questo motivo, oltre che per i suoi contenuti etici, tutti dovrebbero guardare ai tarocchi con quell’assoluto rispetto che si deve alle grandi opere d’ingegno prodotte dalla creatività della mente dell’uomo. Un dono che Bologna ha regalato al mondo intero. La Scala Mistica dei Tarocchi di Andrea Vitali La scala è stata sempre considerata simbolo di ascensione: considerazione ovvia dato che la scala serve per salire da qualche parte. L’origine del concetto della Scala Mistica in ambito cristiano si fa risalire al celebre passo biblico che racconta il sogno fatto da Giacobbe in viaggio verso Harran, città della Mesopotamia (Genesi, 28, 12-13). Durante una sosta notturna Giacobbe si stese a terra per dormire e utilizzò una pietra come cuscino. Sognò una scala appoggiata dove lui riposava, la cui vetta giungeva fino al cielo. Sulla sommità di questa immersa fra le nuvole, gli apparve Dio che promise a lui e ai suoi discendenti, cioè il popolo di Israele, la terra sulla quale giaceva. I gradini della scala erano percorsi nei due sensi da numerosi angeli. Per rappresentare il viaggio dell’uomo che si eleva verso l’incontro con Dio, un percorso inteso in forma di ascesa o di salita come dir si voglia, la scala divenne l’elemento principale assieme ad un ripido monte. Ma la salita per giungere alla sua cima, dove trovava posto il Creatore, non era cosa facile e tranquilla. Lo testimonia una miniatura dell’antico codice miniato La Scala del Paradiso che si trova presso il Monastero di Santa Caterina del Sinai, dove i penitenti che cercano di salire la scala si trovano ad essere preda di diversi diavoli che, come tanti Buffalo Bill, li prendono al laccio gettandoli nel vuoto. I diavoli diventano pertanto la rappresentazione dei vizi e delle passioni che impediscono all’uomo di giungere alla meta finale. L’insieme simbolico dei tarocchi è strutturato secondo una scala i cui gradini sono rappresentati dai 21 Arcani Maggiori: un percorso di elevazione attraverso la conoscenza di ogni singolo gradino o, a dir meglio, di ogni significato etico espresso da ogni singola carta. Abbiamo scritto ’21 gradini’ e non 22 dato che il Matto rappresenta il punto di partenza a terra. Il Matto nei tarocchi assume diversi ruoli: se da un lato era considerato estraneo ad ogni regola e insegnamento, dato che gli difettava quella ragione necessaria per comprendere le verità rivelate, d’altro canto venivano considerati matti tutti coloro che non credevano in Dio, poiché dopo la morte sarebbero andati ad ingrossare la schiera degli abitatori del regno infernale. Ma il Matto nei tarocchi assume un significato ancor più profondo, in quanto, da non credente, attraverso l’apprendimento dei valori etici espressi dalle altre 21 carte, sarebbe dovuto diventare folle di Dio, come lo divenne il santo più popolare, cioè San Francesco, che venne chiamato ‘Lo Sancto Jullare o il Sancto Folle di Dio’. Infatti in occasione di processioni per le vie delle città, i penitenti erano soliti cantare questo ritornello: “Non fu mai più bel sollazzo, Più giocondo, né maggiore, Che, per zelo e per amore, Di Iesù divenir pazzo, pazzo, pazzo”. Una pazzia che lungi dall’essere imitata, sortiva comunque un discreto effetto nella coscienza del popolo. Dal primo ordine di Trionfi (Arcani Maggiori) conosciuto, opera di un anonimo monaco dell’inizio del Cinquecento, si comprende che il Bagatto (Mago, Prestigiatore) raffigurava l’uomo dappoco (ancor oggi a Bologna affermare che una persona ‘l’è un bagat o bagai’ significa attribuirgli qualità scadenti) che seppur credendo in Dio non faceva nulla o quasi per salvare la propria anima. In suo aiuto il volere divino aveva posto guide temporali, rappresentate dall’Imperatrice e dall’Imperatore, e guide spirituali, la Papessa, cioè la Fede, e il Papa. Per mitigare le passioni carnali, raffigurate dalla carta degli Amanti, l’unica risorsa era affidarsi alla virtù della Temperanza, in grado di moderare ogni istinto, mentre per vincere il Carro, cioè l’umano desiderio di successo, ecco fare bella mostra di sé la Forza, cioè la cristiana virtù della Fortitudo, una forza di volontà che insegnava a dominare qualsiasi passione. La Ruota della Fortuna, con il suo alternarsi di re in trono e re che cadono, istruiva sulla precarietà dell’esistenza e che anche i potenti erano destinati a diventare polvere. L’Eremita, che segue la Ruota, rappresentava il tempo al quale ogni essere deve sottostare e la necessità per ciascun uomo di meditare sul valore reale dell’esistenza, mentre l’Appeso (il Traditore) denunciava il pericolo di tradire il proprio Creatore dato che, appena la Morte fosse sopraggiunta, il Diavolo avrebbe aperto le proprie braccia a tutti i peccatori. Meglio quindi evitare l’ira divina, rappresentata da un fulmine che distrugge una Torre, e volgere gli occhi alla bellezza del cielo dove la Stella la Luna e il Sole suggerivano la presenza del Supremo Architetto. Le cattive e buone opere compiute da ogni essere umano sarebbero state conosciute nel giorno del Giudizio (nei tarocchini bolognesi questa carta è chiamata ‘Angelo’) cosicché la Giustizia divina avrebbe separato i buoni dai malvagi, ponendo i primi al cospetto del Mondo, cioè di ‘Dio Padre’, così come descritto dal buon monaco. Un percorso istruttivo, o meglio una scala mistica, che divenuta furbescamente il contenuto di un gioco di carte, pare aver servito alquanto ad una importante causa. ‘A Dio non dispiace il Tarocchino’, non è una boutade, ma una valutazione di Antonio Golini, gesuita nel Settecento. Il Bagatto, Cotechino di Modena. ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA BALLARINI di Giorgio Melandri «Il Bagatto è un prestigiatore, un mago di strada, e deve il suo nome dalla moneta veneziana bagattino, una moneta di nessun valore. In cartomanzia indica le cose di poco valore e anche l’inganno. Ma perché, non è il cotechino un miracoloso gioco di prestigio che rende nobile una materia prima poverissima?» Cudghéin. Ecco la magica parola che a Modena significa cotechino. Una invenzione della povertà, di quella cultura italiana che ha trasformato dei problemi pratici in grandissimi prodotti. Un gioco di prestigio come abbiamo detto. Il cotechino si è sempre prodotto in inverno e la tradizione di uccidere i maiali a partire dal giorno di Santa Lucia, che è il 13 dicembre, consegnava i cotechini già perfettamente asciugati direttamente alla tavola del Natale. A consacrare il cotechino fuori dai confini modenesi e bolognesi fu probabilmente la ricetta “322. Coteghino fasciato” che Pellegrino Artusi inserì nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, pubblicato alla fine dell’Ottocento e arrivato in meno di vent’anni a ben 13 edizioni. Il Cotechino è forse il primo dei salumi insaccati, prodotto con la cotenna, nella tradizione almeno per il 50% (oggi in misura molto minore) e con gli spolpi della testa e del collo, tutte carni ricche di tessuto connettivo, che richiedono una lunga cottura e che una volta cotte assumono la consistenza gelatinosa tipica del cotechino. L’altro prodotto modenese che gode di grande fama (e che è oggi anche lui protetto da una IGP) è lo zampone di Modena. Se nel cotechino l’impasto è insaccato nel budello, nello zampone è infilato nella cotenna della zampa anteriore poi ricucita. Sono due prodotti simili, per i quali è difficile dare una ricetta perché ogni bottega ha un suo modo di prepararlo e condirlo. Quello che è sicuro è che lo zampone è nella storia un prodotto più ricco destinato alle tavole dei signori dove veniva servito con zabaione e contorni di verdure. La leggenda vuole che l’idea di conservare la carne di maiale impastandola con la cotenna e asciugandola all’aria sia nata a Mirandola nel 1510 durante l’assedio portato alla città da Papa Giulio II Della Rovere. Nell’occasione furono macellati gli ultimi maiali della città e uno dei cuochi di Pico della Mirandola ebbe l’idea di imbottire le zampe svuotate degli animali con un impasto di cotenna e carne. I modenesi diventarono presto maestri e i loro zamponi e cotechini, insieme alle salsicce gialle modenesi, comparivano come specialità nei menù bolognesi insieme ai “salati” di Parma. A Modena, storicamente il cotechino veniva prodotto dai “lardaroli e salsicciari”, che si riunirono in una Corporazione Autonoma nel 1547. Solo nel 1745 si trova la prima citazione ufficiale del cotechino, quando in un “calmiere” ne viene indicato il prezzo. A partire dal ‘700 il cotechino divenne sempre più diffuso fino alle produzioni semiindustriali che alcune macellerie cominciarono nell’800. Tra queste due sono restate famose: Frigieri e Bellentani. A Bellentani si rivolgeva il musicista Gioachino Rossini (1792-1868) che era un noto buongustaio. Egli si rivolgeva direttamente al Bellentani raccomandandosi di spedirgli “quattro zamponi e quattro cotechini, il tutto della più delicata qualità”. IL BAGATTO di Andrea Vitali Carta numero 1 degli Arcani Maggiori, il Bagatto, rappresentato nelle carte antiche come un prestigiatore, un mago di strada, deriva il suo nome dalla moneta veneziana ‘bagattino’ di talmente esiguo valore che, come oggi per il centesimo di euro, ci si domandava perché diavolo fosse stata coniata dato che con quella non si poteva acquistare un bel nulla di nulla. Gli inganni dei prestigiatori, che facevano apparire cose che prima non c’erano, imparentavano quei personaggi con il Diavolo, l’essere immondo che attraverso trucchi riempiva l’Inferno di anime. Sicché il lavoro del Bagatto era considerato disonesto - tanto che il più delle volte sia le autorità civili che religiose non permettevano loro di esibirsi - e anche poco redditizio in quanto vivevano con l’offerta libera che il pubblico elargiva. Nella prima lista completa di tarocchi conosciuta, risalente alla fine del Quattrocento, viene definito come ‘El Bagatella’ unitamente alla scritta latina ‘est omnium inferior’, cioè ‘è fra tutti l’inferiore’ a significare da un lato che si trattava del Trionfo con meno potere di presa nel gioco e dall’altro di un personaggio di poco valore, un farabutto, che per vivere operava inganni. In più la Chiesa si inventò il peccato Bagatella, un peccato fra i più mortali. In pratica, il peccato ‘bagatella’ consisteva nel seguire o propugnare il seguente insegnamento: “Cosa pensate che vi accadrà se qualche volta non andrete a messa, se qualche volta non vi confesserete o mangerete carne di venerdì di Quaresima? Pensate forse che per queste bagatelle (cioè cose di poco conto) Dio vi manderà all’inferno?”. Se Matto era colui che non credeva in Dio, il Bagatto credeva, ma non riteneva necessario osservare alla lettera tutti i comandamenti. Un po’ di tolleranza, perbacco! Dalla parola Bagatto derivò ‘bagattare’ o ‘abbagattare’, cioè rovinare qualcosa o qualcuno, espressione che tutti conoscono. Quindi i suoi significati in cartomanzia sono: persona o cosa di poco valore, di poco conto; situazione, cose o personaggi falsi, ingannatori; giocare (da giochi di prestigio); rovinare, e, in base al peccato ‘bagatella’, essere colpevoli, peccatori. Insomma, proprio un personaggio coi fiocchi! La Papessa, Mora romagnola. di Giorgio Melandri «La carta de La Papessa, nel suo significato divinatorio più comune rappresenta le convinzione nei propri ideali e la fede in ciò che si crede. Sono i valori che hanno ispirato chi ha salvato dall’estinzione questo maiale nero italiano, a cominciare da quel piccolo allevatore di nome Mario Lazzari che ne ha ostinatamente salvato gli ultimi esemplari. Oggi, grazie a queste persone, la mora è ancora un patrimonio straordinario e di tutti.» Quando nell’inverno del 2005 Luigi Tacchi batté la Romagna stalla per stalla per controllare tutte le scrofe e tutti i verri di mora romagnola esistenti capì che la storia moderna di questa straordinaria razza nera suina era ancora tutta da scrivere. “Nel 2004 mi ero interrogato su questa faccenda, nutrendo molti dubbi, poi nel 2005 ho capito che per caratterizzare veramente questa razza dovevamo fare delle scelte drastiche e coraggiose”. E così Tacchi si prende la responsabilità di scartare parte dei riproduttori in attività. A “difendere” la razza restano un centinaio di scrofe, ma da lì in poi la mora ritrova i suoi caratteri e una vera somiglianza con i suoi antenati. È uno dei capitoli più affascinanti di questa lunga storia che ha aperto e chiuso stagioni e avvicendato fantastici protagonisti. Una storia avventurosa che ha rischiato diverse volte di finire in tragedia e sempre ha trovato un nuovo inizio. Oggi finalmente, con le circa 2000 scrofe iscritte all’anagrafe di razza, possiamo dire che la mora romagnola è salva. Tutto parte nei primi anni ’80 quando un allevatore faentino di nome Mario Lazzari ebbe l’istinto e l’intelligenza di salvare un piccolo nucleo di mora romagnola acquistata da un allevatore a Marradi, nella parte alta della Valle del Lamone. Quel piccolo nucleo ha di fatto garantito la continuità genetica che ha portato la mora ad essere una delle razze nere italiane riconosciute dall’Anas con l’Apulo-Calabrese, la Casertana, la Cinta Senese, il Nero Siciliano, la Sarda. Per un periodo Lazzari rimase l’unico allevatore (e custode) della mora e poi, finalmente, grazie ad un’apparizione televisiva a Linea Verde, il mondo ricomincia ad interessarsi a questo suino nero. Cresce l’interesse, cresce finalmente il numero di capi, ma la mora in verità è ancora da salvare. A darle una grossa mano ci pensano gli allevatori che si stringono attorno al progetto del Copaf di Brisighella. Sono capitanati da un allevatore, Mario Guaducci, e da un veterinario, Cesare Dacci. Sono loro a creare una rete di allevatori e a lavorare per scongiurare i rischi legati alla consanguineità. Cesare Sangiorgi, sindaco di Brisighella, li aiuta, insieme a Guido Tampieri, a riaprire il vecchio macello del paese. Siamo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000. Ho partecipato a diversi incontri tra allevatori e ricordo il senso di comunità che si era creato. Tutti insieme si stava salvando un pezzo di identità. Poi arriva Tacchi, del quale vi ho già raccontato e poi arrivano due sognatori, Emilio Antonellini e Leonardo Spadoni. Aprono nel 2010 un allevamento tra Brisighella e Zattaglia, sulla vena del gesso, e cominciano a lavorare sulla genetica facendo fare alla razza un vero salto di qualità. “Dopo una vita passata ad allevare maiali ho visto nella mora romagnola una sfida eccezionale.”, a parlare è Emilio Antonellini, “È stata durissima, ma alla fine, con un lavoro rigoroso di selezione e separazione delle linee, la sfida è stata vinta. Certo oggi non dobbiamo abbassare la guardia, ci sono ancora tante insidie, ma se mi guardo indietro la strada fatta è davvero tanta. Alle volte ripenso a quel nucleo iniziale di 30 capi che acquistai da Michele Graziani di Bagnacavallo che seguivo da più di dieci anni e penso che siamo andati davvero avanti.”. E con loro ci sono centinaia di piccoli allevatori che avevano la mora nella loro memoria, e quindi una sorta di esperienza ancestrale da spendere. Oggi possiamo dire che la mora romagnola è salva e che la storia ha avuto un lieto fine. Non era scontato. L’erosione delle razze italiane era iniziata nel 1872 quando il Ministero dell’Agricoltura incaricò Antonio Zanelli del Regio Stabilimento Sperimentale di Zoootecnia di Reggio Emilia di importare e diffondere le due razze inglesi Yorkshire e Berkshire. Le razze del nord furono le prime a sparire e il sud tutto sommato riuscì a contenere i danni. Già negli anni ‘20 un grande patrimonio di varietà era perduto e Mascheroni, nel Manuale di Zootecnia della Utet edito nel 1927, ne censì solamente 11: romagnola, cinta, cappuccia, maremmana, umbra, abruzzese, casertana, pugliese, calabrese, siciliana, sarda. Oggi le razze sono sei e la mora è sicuramente una delle più importanti. La Razza. La storia di questo maiale nero, che nasce rosso e cambia colore diventando nero focato sui 6 mesi, ha origini molto antiche e nella sua storia si è arricchita di contributi genetici fin dal periodo longobardo. Questo lo ha portato ad essere un maiale con carni dalle qualità eccezionali, per caratteristiche nutrizionali e per la bontà e complessità del sapore. Come descritto nel testo ufficiale dell’Anas, prima dell’unità d’Italia l’allevamento della popolazione suina romagnola era diffuso su territori di diversi Stati: lo Stato della Chiesa, il Ducato di Modena, la Repubblica Veneta e poi il Lombardo-Veneto austriaco. Questa divisione potrebbe spiegare l’esistenza di diverse varietà della medesima razza, ben distinte fino agli inizi del novecento. I nomi delle varietà facevano riferimento al luogo di allevamento (forlivese, faentina, bolognese) o alle caratteristiche del mantello (bruna, mora, castagnina), mentre il nome di Mora Romagnola comparve solo nel 1942. Tra le varietà presenti all’inizio del XX secolo, più delle altre si diffuse e si affermò nelle province di Forlì e di Ravenna e nell’allora circondario di Rocca San Casciano (tra Romagna e Toscana), un morfotipo con mantello nerastro, con tinte dell’addome più chiare e con la caratteristica ”linea sparta” costituita da robuste, irte e fitte setole della linea dorsale che a metà dorso o sul sacro tendono a cambiare direzione. Questa varietà si affermò per lo sviluppo delle sue masse muscolari e per la squisitezza della sua carne, probabilmente derivava da incroci ripetuti tra la Mora e la razza Chianina o Cappuccia (oggi estinta) che era stata introdotta su larga scala in Romagna per la sua eccellente attitudine al pascolo. Questa, la più nera di tutte, è quella alla quale appartenevano gli animali salvati da Mario Lazzari e la mora odierna infatti ha queste caratteristiche. Le altre varietà erano la riminese, più chiara e con una stella bianca sulla fronte, e la faentina, più rossiccia. LA PAPESSA di Andrea Vitali Esiste una leggenda che vuole che dopo il pontificato di Leone IV - siamo nel 885 - una donna proveniente dal nord Europa, talmente abile da farsi passare per uomo e grazie a dimostrazioni straordinarie di carità e devozione, venisse eletta al soglio papale. Rimasta incinta, dono di qualche prelato dimenticato, durante una processione che la portava in Laterano da San Pietro, a causa della folla che stringeva da vicino la portantina dove lei si trovava, pare che il cavallo che la trainava s’imbizzarrisse provocando nel Papa un travaglio prematuro. Scoperto il segreto, Giovanna fu fatta trascinare per i piedi dallo stesso cavallo per le vie di Roma e lapidata. La leggenda continua affermando che poiché venne sepolta nello stesso luogo in cui venne scoperta la sua vera identità, d’allora in poi le processioni papali evitarono quel luogo, per non far rinverdire il ricordo di tanta scelleratezza. Inoltre, per essere sicuri di non cadere nello stesso tranello, prima di ogni nuova consacrazione, il futuro Papa sembra venisse tastato per controllare la presenza dei testicoli e della verga. Si tratta, ovviamente, di una storia inventata, probabilmente dai Riformisti, tanto per dire che la Curia Romana era a tal punto corrotta che poteva diventare Papa anche una donna. I sostenitori della veridicità del racconto fanno invece riferimento al Platina, bibliotecario vaticano, che nella sua opera sulla storia dei Papi scrive di Giovanna ‘dicitur foemina esse’, cioè ‘si dice che fosse una donna’ e inoltre come fra le tante teste di Papi scolpite e presenti nel Duomo di Siena sia presente anche la signora venuta dal nord. Per molto tempo si credette che la Papessa dei Tarocchi facesse riferimento a quella leggenda, ma le indagini storiche hanno messo in evidenza che si tratta della Fede Cristiana, così come la dipinse Giotto a Padova nella Cappella degli Scrovegni o Raffaello nelle stanze vaticane. La Papessa viene raffigurata seduta su un trono, con tanto di triregno sulla testa e con in mano la Bibbia, il testo su cui la Fede basa le sue convinzioni. Assieme al Papa rappresenta nei tarocchi il riferimento spirituale a cui ciascun uomo doveva rivolgersi per la salvezza dell’anima. In cartomanzia esprime convinzioni, ideali e la fede in ciò che uno crede. L’Imperatrice, Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia. di Giorgio Melandri «L’Imperatrice è una carta che esprime bellezza, seduzione, fascino, ricchezza e materialità. Sembra un ritratto dell’Aceto Balsamico Tradizionale prodotto a Modena e a Reggio Emilia.» C’è una manciata di chilometri a dividere Reggio Emilia da Modena, tutti sulla Via Emilia. E c’è un prodotto che difficilmente “uno di fuori” riconoscerebbe come reggiano oppure modenese. Sono differenze sottili, ma bastano a fare dell’Aceto Balsamico Tradizionale un prodotto simbolico delle due comunità. Perché di simbolo si tratta. Anni fa un modenese purosangue mi raccontò che in cima ad ogni condominio di Modena c’è qualche batteria di piccole botti per produrre Tradizionale e la “malattia” è così forte che ci sono delle persone che ogni giorno controllano gli annunci mortuari per vedere se si è “liberata” qualche batteria. “Sai com’è”, mi aveva detto, “delle volte gli eredi le vendono e allora bisogna arrivare subito.”. Mi raccontò anche di un bar, non ne ricordo il nome, dove si ritrovavano i mediatori specializzati. L’Aceto Balsamico Tradizionale ha una lunga storia, nata probabilmente dall’abitudine di cuocere il mosto d’uva per concentrarlo e di conseguenza conservarlo. Per questo qualcuno ipotizza che a partire dall’alto medioevo i mosti potessero anche essere speziati. In Emilia questi mosti cotti, spesso chiamati saba o sapa, avevano la tendenza a fermentare leggermente e di conseguenza ad acetificare. Una conseguenza del clima che consegna inverni freddi e umidissimi ed estati schiacciate dalla calura. L’Aceto Balsamico Tradizionale ha bisogno di questa alternanza e, inutile dirlo, di tanto tempo. Quello della produzione è infatti per questo un processo molto lento che l’uomo ha probabilmente sfruttato per allungare i tempi di “stagionatura” e arricchire il prodotto con gli aromi e la complessità dei diversi legni di stagionatura. Il centro di questa cultura è stato il Ducato Estense e dunque l’attuale areale di produzione. Il primo scritto che se ne occupa risale all’anno 1046, quando l’imperatore di Germania Enrico III, in viaggio verso Roma per l’incoronazione, fece tappa a Piacenza. Da qui rivolse a Bonifacio, marchese di Toscana nonché padre della famosa contessa Matilde di Canossa, la richiesta di omaggiargli uno speciale aceto che “aveva udito farsi colà perfettissimo”. Proprio all’interno delle mura del castello che diverrà famosissimo qualche anno più tardi per l’incontro “del perdono” tra papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV, si narra venisse prodotto un aceto, elisir e balsamo, tanto agognato dalle teste coronate. Il fatto storico è registrato nel poema Vita Mathildis dal monaco Donizone, il principale biografo della Gran Contessa Matil- de. Nei secoli XII, XIII e XIV sappiamo per certo dell’esistenza a Reggio Emilia, Scandiano e nei principali centri estensi, di fabbricanti di aceto riuniti in vere e proprie consorterie i cui affiliati dovevano tenere gelosamente custodito il segreto della pregiata produzione. Dopo l’imprimatur imperiale, per tutto il Rinascimento l’aceto balsamico compare spessissimo nelle tavole di re e duchi, in particolare alla mensa dei duchi d’Este. Con l’avvento nel 1476 di Alfonso I - duca di Ferrara la storia del balsamico ebbe un impulso determinante. Nel 1863 in una pubblicazione di Fausto Sestini leggiamo inequivocabilmente che “ nelle province di Modena e Reggio Emilia si prepara da tempo antichissimo una particolare qualità di aceto a cui le fisiche apparenze e la eccellenza dell’aroma fecero acquistare il nome di Aceto Balsamico”. Le testimonianze sull’Aceto Balsamico si infittiscono nell’Ottocento, attraverso gli elenchi dotali delle nobili famiglie reggiane. All’epoca era buona norma infatti arricchire la dote della nobildonna che si maritava con vaselli di aceto balsamico pregiato e batterie di botticini dal contenuto prezioso. L’Aceto Balsamico Tradizionale (da non confondere con il semplice Aceto Balsamico) è un condimento ottenuto dalle uve di Trebbiano di Spagna, di tutti i Lambrusco, Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta. Dopo aver fatto bollire il mosto d’uva a fiamma diretta per concentrarlo questo si aggiunge alle batterie di stagionatura. Le batterie devono essere composte di minimo 5 botti e sempre di un numero dispari di esemplari, via via più piccole. I legni più comunemente usati sono castagno, ciliegio, ginepro, quercia, gelso, frassino. La botte più grande, quella in cui annualmente viene inserito il mosto cotto fermentato, viene tradizionalmente chiamata “badessa”. Ogni legno ha il suo rapporto con l’aceto, ad esempio il ginepro gli regala speziatura, il castagno i tannini. Ogni anno, a causa dell’evaporazione, la batteria perde circa il 20% di peso e per favorire questo processo le botti vengono sostanzialmente tenute aperte, unicamente con una garza appoggiata sopra il cocchiume. La fase di maturazione dura all’incirca dieci anni che, sommata ai circa 2 anni necessari per la fermentazione ed acetificazione del prodotto di partenza, giustifica i 12 anni richiesti come requisito minimo per la definizione di Aceto Balsamico Tradizionale. Ogni anno si effettua il prelievo del prodotto finito dalla botte più piccola e partire da questo si rincalza ogni botticella con il prodotto contenuto in quella immediatamente a monte. Ogni famiglia ha una sua “ricetta” che comprende una scelta delle uve di partenza e dei legni di stagionatura. Le batterie sono tutte registrate in una speciale anagrafe che ne certifica l’età e la composizione. Il disciplinare dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena prevede due stagionature: Affinato (12 anni minimo di stagionatura e bollino aragosta) ed Extravecchio (affinato 25 anni minimo e bollino oro). Quello di Reggio Emilia prevede anche un secondo Affinato che può pregiarsi del bollino argento e che in genere ha 6/7 anni di stagionatura in più. L’IMPERATRICE di Andrea Vitali L’Imperatrice è presente nei tarocchi per il semplice fatto che la Bibbia è categorica nell’affermare che nella vita occorre essere in due, dato che, ad esempio, “se due dormono assieme, si possono riscaldare; ma uno solo come farà a riscaldarsi?” (Ecclesiaste). Il potere temporale per volontà divina era stato messo nelle mani di un imperatore, il quale saggiamente avrebbe dovuto provvedere al bene materiale del popolo. Ovviamente all’imperatore spettava dare per primo il buon esempio, provvedendosi una sposa, dato che l’uomo solo era considerato vivere continuamente sotto tentazione dell’appetito carnale. Un’imperatrice era quello che, come si dice in questi casi, andava a nozze con le esigenze dell’imperatore, sia fisiche che di buon esempio. Poi, se la moglie fosse stata anche intelligente, oltreché bella, avrebbe potuto dare qualche consiglio utile, tanto per venire incontro ai dettami biblici. La carta mostra in generale una donna seduta in trono, riccamente vestita, con una corona sulla testa e con in mano lo scettro del comando. Certamente affascinante qualsiasi imperatrice, ancorché di brutto aspetto, dato che la sua regalità suscitava negli astanti un senso di rispetto, devozione e ammirazione. A questo proposito occorre riferire un aneddoto riguardante l’origine del saluto militare: sembrerebbe che dopo la vittoria della flotta inglese sull’Invincibile ‘Armada’ spagnola avvenuta nel 1588, la regina Elisabetta ordinasse che i marinai che tanto si erano prodigati nello scontro, si presentassero al suo cospetto per essere da lei onorati e ringraziati. Francis Drake, ammiraglio della flotta inglese, ordinò che al momento di ricevere l’onorificenza gli uomini si fossero protetti gli occhi con la mano destra per ‘ripararsi’ dall’accecante bellezza della sovrana. Come sappiamo, Elisabetta non era in realtà una donna di grande attrattiva fisica, ma questo non importava. Ciò che la rendeva straordinaria era la sua regalità che la faceva risultare la più affasciante fra le donne. In cartomanzia, questa carta esprime bellezza, seduzione, fascino, ricchezza (e come potrebbe non essere altrimenti?!) e materialità. L’Imperatore, Culatello di Zibello. di Giorgio Melandri «L’Imperatore in cartomanzia è una carta di successo ed esprime valori di guida e comando, decisione, volontà, fermezza ed onestà. È il ruolo di Parma nella tradizione dei salumi dell’Emilia e per questo abbiamo abbinato la carta al più aristocratico dei salumi emiliani, il Culatello di Zibello. Questo salume esprime il valore solido della tradizione e la sua storia è legata a quella del Nero di Parma, rappresentato ai piedi dell’imperatore, il suino storico del territorio, l’unico che riesce ad esprimere livelli assoluti di complessità.» Il Culatello di Zibello è un salume ottenuto dalla coscia di maiale separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così da conferirle la caratteristica forma “a pera”. Viene prodotto nei mesi freddi, da fine ottobre a febbraio, e dopo la salatura viene insaccato nella vescica di maiale e legato con lo spago, spago che dopo la stagionatura risulta a maglie larghe e irregolari. Sembra tutto detto, ma la complessità di questo salume, figlia della stagionatura tra le nebbie invernali e le calure estive, ha ben altro da raccontare. La storia del Culatello di Zibello è profondamente legata alla storia del territorio di Parma ed è un esempio di come l’uomo possa trasformare le difficoltà pratiche in grandi opportunità. Bisogna però partire da lontano, da quando la pianura padana era un immenso bosco. “Il territorio di Parma è sempre stato scelto dagli eserciti romani per gli accampamenti invernali e lì, probabilmente, si è cominciata a produrre carne salata per le campagne militari estive. Qui c’era il sale, ottenuto dalle acque salse di Salsomaggiore e c’era l’acqua. O forse, meglio, c’erano i terreni acquitrinosi e ricchi ideali per il maiale”. Massimo Spigaroli parla del suo territorio con un trasporto che trasforma le supposizioni in una storia affascinante. Certo è che il rapporto con il maiale fa parte della storia di Parma e che i Longobardi, arrivati qui dopo i Romani, continuarono una tradizione che era di fatto anche una cultura europea. Nell’editto di Rotari, nel 643, all’allevamento dei maiali allo stato brado in querceti e faggete, sono dedicati infatti ben sette articoli. Una tradizione conservata nei secoli fino a quando, con il ducato, successe qualcosa che cambiò le caratteristiche del maiale nero di Parma rendendolo unico. Nel 1714 Elisabetta Farnese sposò Filippo V di Spagna, un matrimonio che porterà poi i Borbone a governare dal 1748 il granducato di Parma con Filippo di Borbone, figlio appunto di Elisabetta. Con i Borbone arrivarono a Parma i bufali, le pecore Merino e i maiali di linea iberica che incrociati con i maiali locali posero le basi per una razza nera diversa da tutte le altre. Successe anche per la pecora del Corniglio, la razza dell’Appennino di Parma, che è con la gentile di Puglia e la Sopravissana una delle razze italiane figlie degli incroci con la Merino portata dai Borboni. L’unica nel nord Italia. Scrive il prof Alberto Sabbioni dell’Università di Parma: «Una delle più antiche fonti bibliografiche alle quali siamo stati in grado di attingere per ricostruire la storia della razza suina Nera Parmigiana è rappresentata dal testo Memoria intorno all’educazione, miglioramento e conservazione delle razze de’ porci di Francesco Toggia (Torino, 1820) che suddivide le razze suine in relazione alla provenienza, ed accomuna i suini iberici con quelli originari della parte meridionale della Francia, dell’Africa e dell’Italia. A questo gruppo, caratterizzato da animali “robusti, fecondi, di buona bocca” e che “ingrassano facilmente”, egli ascrive la razza Parmigiana. A proposito delle razze suine italiane, viene citata per prima quella Parmigiana, “la quale ivi ha conservato la sua purità”. Essa viene brevemente descritta come animale caratterizzato da arti corti, setole quasi assenti, colore della pelle “bruno tendente al nero, ma più fino, e delicato di quello degli altri porci”; il peso è ragguardevole, se paragonato alle altre razze allora allevate, potendo raggiungere i 190-240 kg, “e la loro carne è di un gusto esquisitissimo, e si conserva molto tempo”. A Bologna, invece, era descritta una razza con mantello rosso e cinghiatura toracica bianca (probabilmente da ricondurre alla più conosciuta Rossa Modenese), mentre nel Napoletano sono citati animali simili a “quelli di Parma, ma non così voluminosi” (forse l’odierna Casertana). La dovizia di particolari con i quali vengono descritti gli animali di razza Nera Parmigiana rispetto agli altri presenti in Italia e le continue citazioni nelle pagine seguenti, a proposito delle razze presenti in Francia e in Piemonte, con le quali vengono confrontati, ci fa ritenere la razza già consolidata all’epoca e particolarmente apprezzata.». Il fatto è storia e Spigaroli, con una ipotesi sempre più accreditata, individua nel cambiamento l’origine del Culatello di Zibello. “I maiali aumentarono di dimensione e nella umidissima bassa parmense non si riuscirono più a salare e conservare in modo adeguato le enormi cosce di maiale. Fu così, io credo, che fu inventato il culatello, per soddisfare l’esigenza pratica di diminuire la dimensione delle cosce da salare.”. A sostenere questa tesi c’è, oltre ad una prima citazione di un prosciutto stagionato senza osso che era probabilmente un culatello, un documento uf- ficiale. La parola culatello compare per la prima volta a Parma nel 1735 nel Calmiero della carne porcina salata. Di certo c’è che la famiglia Spigaroli ha confidenza con questo incredibile salume fin da quando, ormai più di un secolo fa, si trovò a produrlo per la famiglia del grande musicista Giuseppe Verdi. “Ho lavorato a lungo sul culatello fino a quando ho sentito la necessità di recuperare la complessità dei salumi del passato. E a quel punto la mia strada ha incrociato di nuovo quella del suino nero di Parma.” A parlare è ancora Spigaroli. “Questo è un maiale che ha un grasso eccezionale, ed è perfettamente nel gusto di questo territorio. È dolce e con grasso abbondante, tra l’altro un grasso di qualità eccezionale. Una dimostrazione di come la cultura di una comunità possa orientare la selezione delle sue razze di riferimento.”. E la qualità del grasso è dimostrata dal fatto che i tagli adiposi, come spalla e lardo, spuntano oggi prezzi superiori agli altri, il contrario di quello che succede con i maiali bianchi “industriali”. Il recupero del Nero di Parma inizia alla fine degli anni ’90 quando un censimento dell’APA (Associazione Provinciale Allevatori, oggi confluita nell’Araer) evidenzia in Appennino una residua popolazione di maiali che presentavano macchie nere sul dorso. Sabbioni, che dal 2003 ha seguito il progetto di recupero del Nero di Parma, scrive: “Nella campagna di Santa Margherita di Fidenza vennero trovate alcune scrofe con estese macchie grigio ardesia sul dorso e sul posteriore: in questa azienda, fino a qualche anno prima si allevavano una trentina di scrofe e buona parte dei suinetti era venduta dopo lo svezzamento, mentre gli altri erano mantenuti in azienda per l’ingrasso e per la rimonta. Nell’azienda erano sempre stati allevati maiali neri o macchiati fino a quando, cessata l’attività, non avendo più a disposizione un verro nero, l’anziana conduttrice ha raccontato di essere stata costretta ad usare un verro comune, ma che fra i suinetti di “colore”, sempre meno frequenti, venivano scelte le scrofette da tenere in azienda. Nel comune di Bardi nell’alta Valceno, su segnalazione del veterinario locale, vennero trovati e acquistati due suinetti, maschio e femmina, figli di una scrofa macchiata coperta da un verro macchiato; il maschio era quasi completamente nero. Si risalì così al verro, un ossuto animale macchiato allevato da un vecchio montanaro della zona; non fu possibile acquistare il verro, ma esso venne utilizzato per alcune monte. A Pellegrino Parmense vennero trovate altre scrofette, scarsamente macchiate sulla groppa, allevate da un allevatore di vacche da latte che, in periodo invernale, svolgeva l’attività di norcino e vendeva i salumi.” Fu l’inizio di un recupero che oggi, dopo molte generazioni, ha linee di sangue pure finalmente pronte per il riconoscimento di razza che sarebbe la settima razza nera italiana. Per questo risultato dobbiamo ringraziare le meravigliose disobbedienze contadine dei contadini di montagna che dagli anni ’60 protessero i maiali neri facendone sopravvivere i preziosi geni. Dunque il culatello di Zibello ha ad un certo punto incrociato di nuovo la strada del Nero di Parma ed è secondo me impossibile oggi parlare dell’uno senza parlare dell’altro. Così come è difficile parlare del Culatello senza parlare dell’Antica Corte Pallavicina di Massimo Spigaroli e del fratello Luciano, che ha costruito sul Culatello di Zibello un racconto che coinvolge il paesaggio. E inventato di fatto un territorio. È una visione, nutrita con una forza e con una caparbietà che ha pochi paragoni in Italia. Siamo infatti accanto al Po, in un vecchio castello del 1300 costruito accanto ad un porto fluviale, in un paesaggio di nebbie invernali dense e giornate estive roventi, in mezzo al niente o forse, più semplicemente, in mezzo ad un paesaggio che nasconde la filiera, e la bellezza, tra argini e campi. Oggi questo posto è una azienda agricola e un progetto di ospitalità con camere e ristorante nel quale arrivano da tutto il mondo. La prima volta che sono entrato nella grande sala ristorante ho subito notato un grande ritratto della famiglia Spigaroli ed è stata per me una illuminazione. Quel ritratto racconta il progetto di Massimo meglio di migliaia di parole, in modo emozionante e discreto. Massimo è riuscito a mettere al centro di tutto la magia e l’intimità di quel clima familiare e la sua costruzione ne rispetta sempre l’anima. L’incanto ha attraversato il tempo ed è oggi miracolosamente intatto, credibile dentro ad un progetto di adulti, condiviso da chi arriva qui. Il segreto di Massimo Spigaroli è questo: avere lavorato, inventato, sognato, costruito, nel rispetto di quella atmosfera. E di averla resa leggibile a tutti. L’IMPERATORE di Andrea Vitali L’imperatore, messo al governo degli uomini per volontà divina e per occuparsi dei bisogni del proprio popolo, è raffigurato nei Tarocchi seduto su un trono con in mano lo scettro del comando e un globo aureo. Il bastone del comando, presente in numerose narrazioni veterotestamentarie, era utilizzato nell’antichità da tutti i dignitari di alto rango. Il globo, per la sua sfericità che la collega al simbolo del cerchio e quindi dell’infinito, lo si trova spesso nelle mani di Dio. Infatti non era raro trovare imperatori che si credevano dei. Un simbolo importante presente sul copricapo dell’Imperatore, come nella omonima carta dei quattrocenteschi Tarocchi Visconti-Sforza o su uno scudo posto ai suoi piedi, quale appare nel francese Tarocco Vieville del sec. XVII, era l’aquila, il principe degli uccelli. Non tanto per le sue dimensioni quanto perché, volando più in alto di tutti, vedeva più distante degli altri. Il simbolismo dell’aquila si rapporta quindi alla capacità dell’Imperatore di vedere oltre, alla facoltà di scorgere ‘da lontano’ le necessità del suo regno e inoltre alle sue capacità di scelta nell’individuare quanto mantenere e quanto estirpare per il bene del suo popolo. Ciò lo rendeva un essere illuminato, in qualche modo un chiaroveggente, qualità attribuite infatti al rapace. Nel Bestiaire di Philippe de Thaon del 1126 si leggono infatti questi versi a proposito del rapace: “L’aquila è la regina degli uccelli. Giustamente in latino la chiamiamo “chiaro-veggente”, perché guarda il sole quando è più luminoso e sebbene lo guardi fissamente, tuttavia non distoglie da esso lo sguardo”. La presenza di un giglio nella carta dei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI, in realtà bolognesi del sec. XV, non testimonia che fosse stato raffigurato un imperatore francese, in quanto tale fiore fu largamente adottato nell’araldica europea, anche se la sua origine è da far risalire al cosiddetto Giglio di Francia. Il suo significato araldico appare infatti di varia natura. Se da un lato il fiore, per il suo colore, rappresenta la purezza, il candore dell’animo, l’onestà e conseguentemente la rettitudine, dall’altro può divenire rappresentazione dell’abbandonarsi alla volontà divina, cioè alla Provvidenza che sopperisce ai bisogni dei suoi eletti, così come troviamo nella tradizione biblica in Matteo (6, 28): “Osservate come crescono i gigli del campo; non lavorano e non filano, eppure abbandonato nelle mani di Dio, il giglio viene adornato meglio di Salomone in tutta la sua gloria”. Pertanto nella carta di Carlo VI - come in qualsiasi altra raffigurazione legata a personaggi di potere dove il giglio è presente - tale fiore rappresentava le peculiarità proprie del sovrano che, come abbiamo visto, consistevano nella purezza e nell’onestà delle sue azioni e delle finalità a cui il suo governa attendeva, oltre alla dimostrazione che il popolo non sarebbe mai stato abbandonato a se stesso, ma continuamente aiutato dall’imperatore che avrebbe sopperito ai suoi bisogni nei momenti problematici dell’esistenza. In cartomanzia, questa carta esprime persona leader, comando, decisione, volontà, fermezza, onestà e ovviamente, successo. Il Papa, Pignoletto. di Giorgio Melandri «Il Papa è una carta che esprime saggezza e rimanda alle azioni che permettono di esprimere le personali convinzioni. Proprio alla saggezza ci riferiamo nell’abbinarla al Pignoletto, un vino che oggi, con lungimiranza, punta tutto sui suoi valori territoriali. » Bologna e l’Emilia-Romagna sono luoghi emergenti nell’immaginario collettivo dei cittadini del mondo: si mangia bene e si vive con uno stile di vita invidiato e ammirato. E poi in Emilia-Romagna la gente è accogliente e ospitale. Bologna sta diventando il simbolo di questa regione che cresce e ha voglia di futuro. E c’è un vino, il Pignoletto, che rappresenta bene tutto questo. Erano poche centinaia di ettari qualche anno fa, sono circa tremila oggi. E il racconto di questo vino bianco è diventato profondamente territoriale. Proviamo a ripercorrerne la storia. A Bologna, la tradizione era quella di vinificare insieme Albana e Trebbiano, sia Trebbiano di Empoli che Trebbiano romagnolo. Quello era il vino bianco di Bologna, mentre il rosso era a base di Barbera e Negretto oppure barbera e Grasparossa nella zona collinare che si avvicina a Savignano sul Panaro. In pianura, in tutto il territorio modenese e bolognese, c’erano anche altri vitigni bianchi come l’Alionza (tra l’altro un bianco con l’acinellatura!) e il Montuni. Erano i protagonisti delle alberate che caratterizzavano il paesaggio di pianura. E poi c’era anche il Pignoletto, soprattutto nella zona che produceva canapa. La canapa vuole terreni asciutti e per questo i campi erano sistemati a schiena d’asino in modo che potessero smaltire facilmente l’acqua piovana. Tra un campo di canapa e l’altro vi era il cosiddetto “cavalletto”, una striscia di terra che aveva ai lati due fossi di scarico. In quella striscia c’era un’alberata frangivento –di frassino, acero campestre o olmo– che impediva alla canapa femmina di allettare. Nell’alberata era tipicamente presente il pignoletto, allora chiamato pignolo come attesta un documento rinvenuto nell’archivio della famiglia Lodi (ora Lodi Corazza) che parla di una vendita di casse d’uva pignolo fatta da Luigi Lodi, noto a Bologna come botanico e come primo curatore dell’Orto Botanico della città. Siamo a Zola Predosa, ma in effetti la canapa era diffusa fin sulle prime colline. “Lo chiamavano pignolo ed era un’uva amata dai mezzadri perché produceva molte foglie e dunque era ideale come barriera per il vento. Il centro di queste alberate era Calderara di Reno. I padroni chiedevano Albana, ma i contadini piantavano pignolo!”, a parlare è Enzo Garagnani, titolare negli anni ’70, insieme al socio Anderlini, dell’azienda Al Pazz (il pozzo) di Montebudello, “Poi successe che questo vitigno convinse tutti per la rusticità e per i profumi e si diffuse pure in collina a partire dagli anni ’50. Noi fummo i primi ad indicare in etichetta il nome Pignoletto bolognese a metà degli anni ‘70. E fu un successo che portò in pochi anni alla DOC”. È curioso come la canapa abbia firmato un altro prodotto tipico di Bologna… il pesce rosso che veniva riprodotto e allevato nei maceri e spedito con il treno in tutta Europa. La produzione bolognese era rinomata e ricercata, soprattutto in Germania. “Nel 1967 la Romagna aveva istituito la doc Albana e da quel momento i bolognesi persero interesse per questa produzione storica.”, racconta Alberto Bettini della Trattoria Amerigo di Savigno, “Io feci la mia prima carta dei vini negli anni ’80 e feci fatica a trovare una Albana dei Colli Bolognesi. Il Pignoletto aveva già successo e lo producevano Anderlini e Garagnani, Lazzari a Ponte Rivabella, Gaggioli e Negroni a Montemaggiore. I Negroni lo chiamavano Sparvo dato che il nome Pignoletto non lo conosceva nessuno. Altri scrivevano in etichetta Riesling italico, per lo stesso motivo.” Però da allora il Pignoletto ha guadagnato terreno, fino alla qualità delle produzioni odierne e fino alla nuova Doc che ne ha rivoluzionato la lettura. L’attuale Doc Pignoletto, istituita nel 2014, prende il nome dalla località Pignoletto nel Comune di Monteveglio (ora Valsamoggia), territorio di confine fra Bologna e Modena. Il territorio di riferimento della Doc comprende le colline modenesi, i colli bolognesi e si estende fino ai colli di Imola e Faenza. In pianura si spinge fra Panaro e Reno e fino al territorio romagnolo del comune di Faenza. È una zona molto vasta, ma è l’aerale storico di diffusione. Dentro alla Doc sono previste tre sottozone: Modena, Colli di Imola, Reno. A suggellare la storicità e la qualità delle produzioni dei Colli Bolognesi è stata istituita la Docg Colli Bolognesi Pignoletto. È una docg importante che mette in evidenza le possibilità di lettura territoriale di questa area produttiva che ha in un mosaico di suoli diversi (e di diversi microclimi) la sua cifra complessiva. Il Pignoletto si produce in diverse versioni: fermo, frizzante, spumante, passito e vendemmia tardiva. È un vino fresco, profumato, che si esprime su sentori erbacei –salvia, erbe di montagna, origano fresco– e su un corredo agrumato elegantissimo. È sapido in generale e materico nelle produzioni più legate alla pianura. IL PAPA di Andrea Vitali La figura del Papa nei tarocchi non subì radicali trasformazioni rispetto ai primi esempi conosciuti: gli attributi della tiara sul capo e dell’asta cruciata tenuta in una mano, alternati al libro sacro o alle chiavi che indicano la discendenza da San Pietro, rimarranno costanti nelle versioni iconografiche di questo Arcano unitamente all’atteggiamento benedicente. Assieme alla Papessa, cioè la Fede, il Papa rappresentava il punto di riferimento spirituale a cui ogni uomo doveva rivolgersi per la salute della propria anima. La tiara papale o triregno (in latino triregnum) rappresenta il copricapo extra-liturgico che ogni Papa indossò durante la cerimonia dell’incoronazione, da Clemente V (1305) a Papa Paolo VI (1963), il quale poi ne sospese l’uso sostituendola con la mitria. Il significato simbolico delle tre corone del triregno è ancora oggetto di indagine: per alcuni storici significa il triplice potere del Papa in quanto “padre dei principi e dei re, rettore del mondo, vicario in terra di Cristo”, per altri la triplice autorità del Sommo Pontefice: “Pastore universale, Giurisdizione ecclesiastica e potere temporale”, mentre Giovanni Paolo II nel suo discorso per l’inizio del pontificato le associò alla triplice missione di Cristo, in quanto “Sacerdote, Profeta-Maestro, Re”. Ma esse potrebbero rappresentare anche la “Chiesa Militante sulla terra, la Chiesa purgante dopo la morte e prima del Paradiso, e la Chiesa trionfante nella ricompensa eterna”. Forse prima o poi, si raggiungerà un accordo. Il libro tenuto in mano dal Pontefice è quello Sacro della fede cristiana, cioè la Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento) che contiene le Verità divinamente rilevate. Un elemento simbolico di grande interesse si trova nella carta del Tarocco Parigino di anonimo datato all’inizio del sec. XVII, dove il Papa tiene nelle mani chiavi di grandi proporzioni e una lunga asta. Ai suoi piedi appare una Sfinge viva dalle proporzioni di un cane, ritta sulle zampe anteriori. La Sfinge, divinità solare, fu considerata dagli antichi Egizi simbolo di sovranità, di saggezza, di forza divina. A proposito del Carro di Minerva, dea della Sapienza, così scrive Cesare Ripa nella sua Iconologia a fine Cinquecento: “in capo porta una celata, che per cimiero ha una sfinge” a significare “che la sapienza ogni ambiguità risolve”. La presenza della Sfinge nella carta del mazzo sopra descritto esprime simbolicamente la sapienza del Pontefice, la forza divina che in lui risiede e che lo guida in qualsiasi decisione, oltre ad essere l’incarnazione terrena della Verità rivelata. La posizione della Sfinge che non è di riposo, ma ritta sulla zampe anteriori, denota che la sua attenzione, e quindi quella del Papa, è vigile e pronta a manifestare, in ogni momento e laddove occorresse, le proprie capacità sapienziali. Molto si è discusso sulla presenza nei tarocchi di immagini di Pontefici con o senza barba, cercando di individuare quali personaggi reali fossero stati rappresentati nelle carte. Seppur tale opera appaia meritoria, la barba, lungi da essere intesa come un preciso riferimento realistico di un ritratto, deve essere interpretata come un aspetto di saggezza in quanto le persone sagge venivano sempre raffigurate con questo ornamento naturale dovuto all’età avanzata alla quale veniva attribuito tale dote intellettiva. Una volta passato nel dimenticatoio il concetto di Scala Mistica, la presenza del Papa e della Papessa nei tarocchi non fu ben vista dalla Chiesa del tempo, che lecitamente si domandava il motivo per cui in un gioco di carte fossero state poste quelle due figure sacre. Valutando la cosa più che inappropriata, fece sentire a più riprese il proprio alito inquisitoriale sul collo dei giocatori. Un atteggiamento che non produsse alcun effetto, dato che si continuò a giocare a tarocchi per tutti i secoli a venire. Solo a Bologna la Chiesa corse ai ripari, facendo sostituire fin dal 1725 il Papa e la Papessa, e per par condicio anche la figura dell’Imperatore e dell’Imperatrice, con quattro moretti. In cartomanzia, questa carta esprime saggezza, matrimonio e le convinzioni personali quando vengono espresse attraverso un’azione. Gli Amanti, Lambrusco Salamino di S. Croce. di Giorgio Melandri «Gli Amanti in cartomanzia esprimono semplicemente una scelta o la necessità di operarla. Noi abbiniamo questa carta al Lambrusco Salamino di S. Croce, una DOC che testimonia bene la scelta di Modena di puntare sulla specializzazione dei territori. Un scelta che ha la forza di una grande tradizione.» S. Croce di Carpi è una piccola frazione alle porte di Carpi, a pochi km dal fiume Secchia. Siamo nella pianura modenese, al confine con il territorio reggiano, qui così vicino che alcune parrocchie della diocesi di Carpi sono in provincia di Reggio Emilia. La pianura è il regno del Salamino, il vitigno che regala il nome alla DOC. Per parlare del Salamino di S. Croce occorre partire da qui, dal suo paesaggio, da una pianura segnata da argini e canali, da campanili e grandi alberi solitari. Il paesaggio qui è cambiato parecchio, soprattutto con la scomparsa delle famose piantate che reggevano i festoni formati dalle liane della vite. Poi è arrivato il Bellussi, il sistema a raggi molto diffuso nel modenese che lascia sfogare la pianta e che ancora ha accaniti estimatori. In ultimo, e siamo ai giorni nostri, gli impianti moderni. Per capire la storia di questo territorio e della incredibile diffusione della vite occorre parlare delle sue cantine cooperative, le prime nate in Italia. La Cantina di Carpi, fondata nel 1903 è la più vecchia cantina cooperativa italiana ancora in attività se si escludono le cantine altoatesine che furono fondate quando l’Alto Adige era ancora austriaco. Agli inizi del 1900 la minaccia di una crisi vinicola turbava l’animo di tutti i viticoltori. A Carpi, il dott. Alfredo Molinari, per far fronte a tutto ciò, propone l’istituzione di una Società Civile, che insieme alla Cooperazione di alcuni viticoltori, avrebbe permesso la completa solidarietà fra gli associati, responsabilità illimitata di fronte a terzi, garanzia di affidamento. Nasce così la Cantina Sociale di Carpi. Siamo agli albori dell’agricoltura moderna. Conclusa la prima Guerra Mondiale nel 1918, la Cantina diventa una Cooperativa. Un ruolo importante in quegli anni fu quello di Gino Friedmann che nel 1913 fu promotore della Cantina Sociale Cooperativa di Nonantola, costituita a Modena il 18 maggio dello stesso anno. Sogno e visione, grande energia e capacità di fare progetti concreti come la costruzione della sede della cantina in un’area adiacente la ferrovia con la dichiarata intenzione di sfruttare la nascente linea Modena – Ferrara per spedire il vino. Friedmann era convinto dei principi di cui aveva dimostrato con la pratica la validità e si fece promotore della nascita di un sistema cooperati- vo nell’intera provincia: nel 1920 fu creata la cantina sociale di Formigine, alla quale seguirono, nel 1923, quelle di Modena, di Sorbara, di Limidi e di Settecani. Il modello cooperativo si affermò in fretta, tanto che in un articolo del 1927 il Direttore della Cattedra Ambulante di Modena G. Toni sottolinea come Reggio Emilia con il 50,6% e Modena con il 47,6%, rappresentino le aree in cui la viticoltura occupava la maggior superficie agricola coltivabile. Gino Friedmann fu un personaggio straordinario che promosse la cooperazione, ma che soprattutto portò la cultura dell’innovazione dentro all’agricoltura di questo territorio. Ebreo, figlio di una importante famiglia modenese, fu anche sindaco di Nonantola e fu il primo presidente della Federazione nazionale delle cantine sociali fondata nel 1922. Ma torniamo al Salamino. È il più educato dei lambrusco, resta equilibrato anche nei terreni grassi della pianura che si allontana da Secchia e Panaro, sempre suadente nei tannini, elegante e austero nel frutto. È forse meno ancestrale di altri lambrusco, e l’equilibrio complessivo che regala ai vini è la firma di questa caratteristica. Si adatta anche ai terreni più sciolti del territorio di Sorbara, dove viene piantato per fare da impollinatore a quel vitigno meraviglioso e difficile che è il sorbara. Il grappolo è piccolo e compatto e somiglia ad un piccolo salame, caratteristica che gli ha regalato questo originale nome. Per chiudere un pensiero ad un grande interprete del Salamino di S. Croce, Villiam Friggeri, a lungo enologo della cantina cooperativa di S. Croce, scomparso nel 2014. GLI AMANTI di Andrea Vitali Nei quattrocenteschi Tarocchi Visconti Sforza questa allegoria è raffigurata da due giovani durante la cerimonia della dextrarum iunctio, ovvero l’unione della mano destra, rito di indissolubile legame in voga anche all’epoca romana, specialmente fra la classe senatoria. Li sovrasta in piedi sopra una fontana Cupido, dio dell’Amore sessuale, bendato e munito di frecce. Per questo motivo venne anche chiamato ‘traforello’ perché trafiggeva gli uomini con dardi di passione amorosa. L’Aretino nell’opera Le carte parlanti (1543) gli riserva gli attributi di ‘furfantino’ e ‘impiegatorio’, quest’ultimo per il fatto che, essendo al servizio della madre Venere, da bravo figliolo ubbidiva ciecamente a tutto ciò che la madre gli imponeva di fare, come il più umile degli impiegati. Per comprendere il significato attribuito all’Amore nei tarocchi, occorre far riferimento ai Trionfi del Petrarca dove viene interpretato come ‘istinto’, forza travolgente che spinge l’uomo ad abbracciare le proprie passioni rendendolo cieco come lo era Cupido, che colpiva ovunque senza un’apparente ragione. Una variante figurativa apparsa nei tarocchi nel sec. XVII consiste nell’immagine di un uomo in atteggiamento pensoso fra due donne. Non si poteva certamente affermare che una delle due fosse una grande bellezza, in confronto all’altra assai seducente. Per di più, colei che non brillava era completamente vestita fino al collo, mentre l’altra mostrava nudità in più parti del corpo fra cui il seno. L’immagine si riferisce al mito di Ercole al bivio fra il Vizio e la Virtù. Quale delle due donne scegliere? Se l’una, quella meno bella, teneva la mano destra alzata indicando un alto colle, raggiungibile attraverso un percorso tortuoso e sulla cui cima si trovava Pegaso, il cavallo alato simbolo della fama, l’altra fanciulla teneva la mano rivolta verso il basso indicando all’eroe bicchieri colmi di buon vino, maschere e carte da gioco e, in alcuni casi, fanciulle nude che si dilettavano nelle acque di un laghetto. Lasciando al lettore di immaginare quale delle due signore incarnasse il Vizio, questa ‘favola’ ideata dal greco Prodico, amico di Socrate e Platone, e narrata da Senofonte (Detti memorabili di Socrate, 2.1,22 ss.), fu assunta dalla Chiesa del tempo quale insegnamento sulla giusta via da seguire, dato che Ercole - forse abbagliato dal sole? - scelse la Virtù. Anche se il percorso che conduceva ad una vita virtuosa appariva ad Ercole tortuoso e in salita, la sua scelta venne ricompensata da Giove che di lui ne fece un dio. In cartomanzia questa carta esprime semplicemente una scelta o la necessità di operarla. Il Carro, Colli di Parma Barbera. di Giorgio Melandri «Il Carro è in cartomanzia una carta che significa successo, movimento, motivazione. La Barbera dei Colli di Parma con la sua freschezza e la sua energia è esattamente questo, un vino in movimento pieno di allegria e forza. » “È la barbera il vino importante di Parma, è sempre stato così. Secondo me lo si può considerare l’espressione più alta del nostro territorio.”. Ricordo questa frase con precisione a distanza di anni. Me la disse una mattina Camillo Donati, il vignaiolo di Parma famoso in tutto il mondo per i suoi vini rifermentati in bottiglia, nella sua cantina a due passi dal Castello di Torrechiara. “Molti purtroppo ignorano la storia della viticoltura delle nostre zone, ma prima dell’avvento della fillossera le colline attorno a Torrechiara, Arola e Barbiano erano tappezzate da vigneti per lo più di Barbera, Malvasia Aromatica di Candia e Moscato. Dopo la fillossera, che ha letteralmente devastato i vigneti, i grandi proprietari terrieri hanno investito nell’allevamento bovino per la produzione di Parmigiano Reggiano anche in collina, ritenendolo meno rischioso.”. E forse, un altro nemico della vigna fu la battaglia del grano voluta da Benito Mussolini. E quella di Camillo Donati non è l’unica testimonianza in questo senso. “Una cosa è certa, era la Barbera il vitigno principe delle colline attorno a Langhirano,”, a parlare è Giovanni Lamoretti, erede di un’azienda storica di questo territorio, “anche se parlare di purezza mi sembra azzardato perché ognuno faceva le vigne a modo suo, mescolando vitigni e biotipi. Comunque la Barbera era la regina di queste colline, famosa già alla fine dell’ottocento, in particolare quelle di Maiatico e di Casatico. L’azienda Grossi, per fare un esempio, riforniva la casa reale proprio con la Barbera di Parma. Il Lambrusco era nelle piantate di pianura insieme alla Fortana, tra una striscia di prato stabile e l’altra. Ricordo che nei primi anni ’70 a Parma si cercò di fare un Consorzio del Lambrusco, ma di fatto non si riuscì perché non c’erano le vigne.”. Oggi a Parma si parla di lambrusco, ma a guardare la tradizione il rosso frizzante di Parma è sempre stato un vino fatto con la barbera, in gran parte, e la bonarda. È la stessa tradizione di Piacenza, fatto che testimonia una continuità importante tra queste due provincie, riscontrabile anche nei vini bianchi fatti con la malvasia. A Piacenza hanno dato un nome a questo vino, il Gutturnio, a Parma no. Questo è successo e questo ha influenzato la storia in modo significativo. Non che a Parma non ci fossero uve lambrusco, ma quella non era la tradizione importante del territorio. Oggi parla- re di Barbera sembra strano, quasi fosse una curiosità e invece nella storia di Parma questo vitigno aveva il ruolo di protagonista. “Quel rosso frizzante fatto con Barbera e Bonarda era il vino rosso di Parma. E credo lo sia ancora. Io lo vado a cercare presso gli artigiani di collina che ne hanno conservato la tradizione.”. A parlare è Diego Sorba del Tabarro, uno degli Osti più conosciuti e originali della città. Andrea Grignaffini, stimato giornalista enogastronomico parmigiano, aggiunge a questo racconto un suo ricordo personale, che arricchisce la nostra lettura: “A Parma, in città, si beveva anche un vino rosso frizzante abboccato fatto con Fortana e lambrusco Maestri, un vino semplice e fruttato. A Parma, bisogna dirlo, un certo gusto per il dolce c’è e questi vini da osteria erano molto amati dalla gente.”. A fare una sintesi tra questi contributi una conclusione viene fuori. Il vino della tradizione collinare è quello che oggi si chiama Colli di Parma rosso, un vino rosso frizzante ottenuto da Barbera, in gran parte, e Bonarda. Un vino molto vicino al piacentino Gutturnio, rosso e frizzante. Molti però ricordano la particolare vocazione delle colline parmensi per la Barbera, un vino che solo in questo territorio veniva vinificato anche da solo. Come fanno ancora Camillo Donati e Giovanni Lamoretti e come fanno alcuni altri piccoli artigiani come Gianmaria Cunial e Crocizia. Accanto a questi, che vinificano la barbera frizzante c’è l’impegno di Monte delle Vigne che porta avanti un interessante progetto per una barbera vinificata ferma. IL CARRO di Andrea Vitali Nell’antica Roma quando un generale tornava vittorioso da una campagna militare, riceveva dall’imperatore, e in età repubblicana dal senato, il Trionfo, cioè una corona d’alloro, segno dell’ imperitura riconoscenza del popolo romano. Il suo cocchio sfilava per le vie della città, tra due ali di folla osannante, seguito dai legionari, dai nemici vinti in catene e da carri colmi dei tesori tolti agli avversari. Uno schiavo teneva sulla testa del generale l’alloro della vittoria e gli sussurrava all’orecchio: Respice post te! Hominem te memento! (Guarda dietro te! Ricordati di essere un uomo!). Un consiglio, un comando o un semplice avvertimento? Al tempo degli imperatori, se concedere il Trionfo era indispensabile rituale, il momento si configurava non proprio dei migliori poiché le legioni avrebbero ubbidito al proprio generale se questo avesse deciso di impossessarsi del potere. Le parole sussurrate all’orecchio del trionfatore stavano a significare che il vero dio era l’imperatore e che ribellarsi al suo potere sarebbe stato come tradire una divinità. Azione inaccettabile. Nella più antica lista di tarocchi conosciuta, risalente alla fine del sec. XV, l’anonimo monaco compilatore chiama questo carta ‘lo caro triumphale’, cioè il carro trionfale, definendolo con l’attributo ‘mundus parvus’ ovvero un piccolo mondo, un trionfo minimo. In parole povere un trionfo illusorio, un monito indirizzato a chiunque cercasse la gloria e la fama, dato che queste sarebbero defunte con la morte. Per cui l’espressione Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris (Ricordati uomo, che sei polvere e polvere ritornerai) tanto declamata dalla Chiesa non era altro che un ampliamento orrificante della frase sussurrata all’orecchio dei generali vittoriosi, un additare alla morte come la fine di ogni successo che, essendo terreno, sarebbe svanito nel nulla. Infatti il Carro assumendo nei tarocchi i valori attribuiti dal Petrarca alla Fama nei suoi celebri Trionfi, anche se questa consegna al tempo le gesta dei grandi uomini, dovrà poi soccombere al Tempo e soprattutto all’unica e vera realtà immutabile, cioè la Divinità che il Petrarca espresse nel Trionfo dell’Eternità. La carta mostra un guerriero in armatura o in ogni modo lussuosamente vestito su un carro trainato da cavalli, con in mano il globo aureo e il bastone del comando. C’è da chiedersi chi governasse il carro. In cartomanzia significa avere successo, trionfare e un muoversi caratterizzato da una spinta motivazionale forte. La Giustizia, Gutturnio. di Giorgio Melandri «Dal punto di vista divinatorio La Giustizia indica la valutazione di persone e situazioni, ma anche l’equità e l’equilibrio. Facile associarla al Gutturnio, un vino che vive dell’equilibrio tra le due uve che lo compongono: da una parte la barbera con la sua acidità, dall’altra la bonarda con i suoi tannini.» Il Gutturnio è un vino che chiede coraggio e amore per la classicità. È tradizionalmente frizzante, ma ha espresso sempre grandi valori di qualità anche nelle versioni ferme. È tagliente in bocca e al naso si esprime su un frutto nitido ed austero e a volte sulle note terrose della tradizionale rifermentazione in bottiglia. I Colli Piacentini sono un grande mosaico di territori e microclimi distribuiti su quattro bellissime valli piene di storia e castelli. Il vino simbolo di questo territorio è il Gutturnio, ottenuto dall’assemblaggio di barbera (dal 55 al 70%) e Croatina, localmente detta Bonarda, (dal 30 al 45%). Data la differenza nei loro tempi di maturazione e negli accorgimenti necessari nella vinificazione, le due uve vengono vinificate separatamente, per poi unirsi successivamente. Il Gutturnio prende il nome da un boccale d’argento di epoca romana, il “Gutturnium”, ritrovato nel 1878 sulla riva del fiume Po, nei pressi di Castelvetro Piacentino, precisamente a Croce Santo Spirito. Proviamo a vedere una per una le quattro valli piacentine. La Val d’Arda, al confine con Parma, è una valle che prende il nome dal torrente Arda, affluente destro del fiume Po. Si arrampica in Appennino a partire da Castell’Arquato, e nel suo territorio possono essere comprese le valli vicine dello Stirone, dell’Ongina, del Chiavenna e del Chero. Da segnalare che sul crinale tra la valle dell’Ongina e quella dello Stirone c’è su un rilievo un imponente complesso fortificato, il Castello di Vigoleno, bellissimo ed intatto in tutte le sue parti. Qui si produce da rare uve autoctone il Vin Santo di Vigoleno, uno dei vini dolci più preziosi e buoni d’Italia. La Val Nure è una delle due vallate centrali della provincia, partendo da Piacenza è percorribile con la fondovalle SS n. 654, della Val Nure. Lasciandosi alle spalle la pianura, addentrandosi verso le colline si incontra il bellissimo borgo in stile medievale di Grazzano Visconti. Diverse sono le importanti aziende vitivinicole che si scorgono salendo sul crinale delle colline di destra fino ad arrivare al cuore della Val Nure a Ponte dell’Olio. Questa valle è forse quella con la maggior tradizione vinicola del territorio piacentino. La Val Trebbia prende il nome del fiume che segna una delle più belle vallate d’Italia. Le rive ghiaiose e ciottolose del fiume sono meta obbligata e fissa per i bagni di sole dei piacentini, milanesi, pavesi e cremonesi. La SS 45, partendo da Piacenza e passando per Bobbio, costeggia il fiume ed arriva fino al mare ligure: è una strada piena di bellezze naturali e paesaggistiche. Qui, nei pressi di Travo e più in alto, c’è una storica produzione di uve bianche ripresa oggi da alcuni viticoltori. In basso ci sono le argille rosse e povere che hanno reso famosi i vini de La Stoppa, l’azienda piacentina che da oltre cento anni produce vini di qualità e che è un riferimento per tutta la provincia. La Val Tidone sale da Castel S. Giovanni, nota cittadina sulla s.s. 10 , e punta verso le prime colline di Borgonovo Val Tidone dove si incontrano la bella Rocca-Castello e poi le prime aree vitate lungo la strada che porta a Ziano. Oggi è la valle più vitata dell’intera provincia e conta alcuni cru di grande reputazione come ad esempio quello di Montepo. Torniamo al Gutturnio, vino nato con la DOC nel 1967, e prodotto in 3 diverse tipologie. frizzante, superiore (fermo) e riserva (fermo). La dicitura Classico, presente su alcune bottiglie nella versione “fermo”, identifica un vino prodotto nei comprensori storici della Val Tidone, della Val Nure e delle valli del Chero e dell’Arda con i territori collinari dei comuni di Ziano Piacentino e parzialmente quelli di Borgonovo Val Tidone, Castel San Giovanni, Nibbiano, Vigolzone, Castell’Arquato, Carpaneto, Lugagnano Val d’Arda e Gropparello fino ad un’altitudine massima di 350 metri. Al di là delle infinite citazioni storiche che si possono trovare per i vini piacentini, quello che va detto è che questo vino alimentava un mercato che aveva nel fiume Po e nei suoi porti il centro nevralgico. Nelle osterie lungo il fiume si beveva tradizionalmente Gutturnio negli “scudlen”, le classiche tazze bianche usate ancora oggi da qualcuno, e il vino era venduto ai mercanti che viaggiavano sul fiume e verso la Lombardia, ancora oggi un mercato di riferimento per i vini piacentini. LA GIUSTIZIA di Andrea Vitali La Giustizia, una delle tre virtù cardinali presenti nei tarocchi assieme alla Temperanza e alla Forza, viene rappresentata da una donna seduta che tiene nelle mani una bilancia e una spada. La spada è sempre rivolta verso l’alto, in posizione eretta, senza che mai si pieghi verso uno dei due lati, a significare che essa non favorirà mai alcuna parte ma che sarà usata esclusivamente come strumento di difesa dei giusti. Un atteggiamento che la identifica come Giustizia divina, poiché quella degli uomini, come ben sappiamo, sovente si discosta da questo atteggiamento. La bilancia simboleggia invece l’equità con cui verrà valutata ciascuna azione umana. In quanto cardinale, cioè cardine fondamentale su cui deve ruotare la condotta di vita cristiana, indica che le azioni dell’uomo devono conformarsi sulla fede, ovviamente quella cattolica, e sulla ragione, una volta acquisita la conoscenza con la pratica. Nel tarocchino bolognese a figura intera - quelli a figura doppia erano maggiormente utilizzati per il gioco, dato che non occorreva rivoltare le carte per metterle in posizione diritta – la donna tiene nella mano sinistra anche il globo aureo, simbolo di comando e in alcuni casi il Libro della Legge, posto sulle ginocchia. Nei quattrocenteschi Tarocchi Visconti Sforza la sezione superiore della carta mostra un cavaliere al galoppo con armatura e spada. Si tratta dell’Arcangelo Michele, prototipo del cavaliere cristiano, spesso raffigurato con la spada e la bilancia come troviamo nella Cappella degli Angeli nel Tempio Malatestiano di Rimini. A lui spetta il compito della pesa delle anime dei morti in occasione del Giudizio Universale (Apocalisse, VI, 2). Non si deve infatti dimenticare che nel primo ordine di trionfi conosciuto presente nel Sermones de Ludo (Discorso sul gioco) la Giustizia segue il Giudizio a significare che in quell’occasione la Giustizia divina trionferà, che le anime buone saranno divise da quelle malvagie e che in tutto ciò la bontà, la clemenza e la misericordia di Dio avranno un ruolo predominante. Dal punto di vista divinatorio la Giustizia indica la valutazione di cose, persone e situazioni; equità; equilibrio e, ovviamente, il tribunale. L’Eremita, Romagna Sangiovese di Giorgio Melandri «L’Eremita è la carta dei tarocchi che rappresenta il tempo e la sapienza. Sono esattamente le cose che ci chiede il Romagna Sangiovese, ovvero di rispettarne le attese che lo fanno grande e di comprenderne la sapiente lettura territoriale che può regalarci.» Difficile, sempre austero, scontroso, scarico di colore, irriverente, eppure meraviglioso e capace di letture territoriali raffinate e piene di dettagli. È fruttato quando cresce sulle argille della prima quinta collinare, floreale e minerale quando incontra i terreni poveri e sciolti delle colline più alte. In Romagna, vero e proprio mosaico di terroir, il sangiovese può esprimere tutto il suo potenziale di traduttore di suoli e microclimi. Viaggiando sul tratto romagnolo della via Emilia si incontrano le città una dopo l’altra e in corrispondenza di ognuna salgono dalla pianura verso l’Appennino una o più valli, ciascuna con il suo carattere e la sua storia. E pare che sia proprio dal crinale che divide Romagna e Toscana, come documentato recentemente dallo storico Beppe Sangiorgi, che il sangiovese si sia diffuso nelle due regioni. Sangiorgi ipotizza infatti che la culla del vitigno, un ibrido tra Ciliegiolo e il calabrese Negrodolce, siano stati i monasteri della Congregazione Vallombrosiana diffusi nel crinale tra Casola Valsenio, Marradi e il Casentino. Il nome deriverebbe, secondo l’ipotesi del linguista Friederich Schürr, dai gioghi nei quali i monaci piantavano le loro vigne. In Romagna il sangiovese è sempre stato un vino contadino, semplice e bevuto nell’annata, vinificato spesso insieme alle uve bianche che venivano piantate insieme a lui nelle vigne. È stato il novecento, a partire dagli anni ’70, a vederlo protagonista di esperienze di qualità che hanno cominciato a farne esprimere le potenzialità e la capacità di invecchiare e sviluppare complessità. Tra i pionieri di questa rivoluzione ricordiamo la Fattoria Paradiso di Bertinoro, Nicolucci a Predappio Alta, Castelluccio a Modigliana, la Fattoria Zerbina a Marzeno, Drei Donà a Vecchiazzano. Grazie a loro e a tutti i vignaioli che li hanno seguiti è diventato possibile leggere la Romagna per territori. Fu una piccola rivoluzione avviata nel 2004 da una intuizione mia e di Fabio Giavedoni. Da allora questa idea è stata sviluppata e approfondita fino ad arrivare nel 2011 alla definizione delle menzioni geografiche aggiuntive che si possono aggiungere in etichetta: Bertinoro, solo con la menzione Riserva Brisighella, anche con la menzione Riserva Castrocaro-Terra del Sole, anche con la menzione Riserva Cesena, anche con la menzione Riserva Longiano, anche con la menzione Riserva Meldola, anche con la menzione Riserva Modigliana, anche con la menzione Riserva Marzeno, anche con la menzione Riserva Oriolo, anche con la menzione Riserva Predappio, anche con la menzione Riserva San Vicinio, anche con la menzione Riserva Serra, anche con la menzione Riserva In questo mosaico di terroir ci sono le marne e arenarie dei territori più alti con vini sottili e minerali che lasciano la freschezza a dettare il ritmo, e i vini carnosi e materici delle argille più pure. Il novecento, che ha chiesto all’agricoltura quantità ed efficienza, ha “scacciato” il sangiovese dalle zone alte per portarla a valle, sulle fertili argille della prima quinta collinare. Da lì sono partiti i progetti di qualità negli ultimi trenta anni, ma le zone alte, quasi dimenticate, stanno tornando ad essere protagoniste perché lì il sangiovese diventa elegantissimo, fresco e teso, anche “duro” a volte, con tannini e acidità in grado di affrontare il tempo con disinvoltura. I terreni argillosi sono a loro volta un mondo variegato. Sono più o meno pure, più o meno evolute. Il timbro del frutto è carnoso, comunque austero, ma espressivo e le bocche possono lavorare sul volume grazie alla spinta acida che alza comunque il ritmo del vino. Le argille rosse evolute del faentino sono un terroir di riferimento per lo stile, ma sono interessanti anche le argille più chiare del territorio riminese e le argille “alleggerite” da sabbie della zona tra Vecchiazzano e Forlì. Tra Faenza e Forlì si trova anche un terreno originale, una lente di sabbie molasse, ideale anche per i bianchi da uve albana. Sul “fronte mare” delle colline romagnole c’è una altro terroir unico, si tratta dei suoli calcarei di Bertinoro, terreni ventilati dove emerge in continuazione lo spungone, un roccia madre calcarea di origine marina che è la firma di queste colline. I vini di Bertinoro hanno una trama tannica serrata, grandi potenziali di longevità e un equilibrio sempre riuscito tra l’eleganza e il grande carattere. Interessante anche il territorio riminese, argille calcaree, colline dolcissime e aperte e curve termiche mitigate dal mare. E’ un terroir che non risparmia la freschezza, ma che regala bocche in generale più suadenti. Per ultimo vorrei citare un territorio nuovo, il Montefeltro, una regione storica che è oggi a cavallo tra Romagna e Marche. Qui, in alto e precisamente a Macerata Feltria, c’è l’esperienza faro di Valturio, il progetto visionario di Adriano Galli che ha di fatto inventato un terroir inedito e straordinario per il sangiovese consegnandoci la certezza di una grande vocazione territoriale. L’EREMITA di Andrea Vitali L’Eremita, nell’ordine degli Arcani Maggiori rappresenta il pensiero dell’uomo che deve essere indirizzato alla valutazione della propria natura umana, una natura che lo indentifica come figlio di Dio, prerogativa possibile da riconoscere attraverso la meditazione e l’introspezione. Nei Tarocchi Visconti-Sforza del sec. XV e nei mazzi dei secoli successivi l’Eremita viene solitamente raffigurato come un vecchio che si appoggia ad un bastone mentre tiene in mano una clessidra (in alcuni casi una lanterna) a significare la ricerca della verità da parte dell’uomo. Una ricerca che, come simboleggia la clessidra, necessita di tempo. La lanterna simboleggia invece la luce che può illuminare l’oscurità della mente, offuscata dalle passioni terrene. Una consistente variante appare nei tarocchi bolognesi e toscani dove il vecchio è raffigurato come Saturno, dio del Tempo, con ali (dato che il tempo vola) e grucce (poiché è vecchio, vi si appoggia). Nel Tarocchino di Bologna, il vecchio sostiene una colonna posta sulla schiena, evidente riferimento al mondo degli stiliti, cioè di quei santi eremiti che trascorsero nel Vicino Oriente buona parte della propria esistenza in cima a colonne, accuditi dal popolo, che veniva da questi ricompensato con le informazioni che i santi uomini ricevevano dal cielo riguardanti il benessere del popolo stesso. Poiché i pagani onoravano i loro dei, ponendoli sulle colonne, gli stiliti, vivendo su queste, intendevano scalzare quei falsi idoli prendendone il posto in nome del Cristo. Inoltre la colonna rappresenta anche quella “rovina”, che risulta essere una fra le conseguenze del trascorrere inesorabile del tempo. Infatti le raffigurazioni di rovine contemplano quasi sempre una colonna che si erge, sola, fra le macerie. La saggezza del vecchio viene messa in risalto dalla barba e dai capelli bianchi, che accomuna tutte le immagini degli Eremiti nei tarocchi: solo nella vecchiaia era considerato possibile acquisire quella maturità, pacatezza e dignità necessarie per acquisire la retta conoscenza delle cose e più la barba era lunga - assecondando in tal modo la moda del tempo per le persone anziane - più venivano esaltate le qualità di introspezione personale. Non a caso barba e capelli bianchi caratterizzano nei tarocchi anche le immagini del Papa. Dal punto di vista divinatorio, l’Eremita significa quindi meditare, indagare e il trascorrere del tempo, necessario per giungere alla consapevolezza di se stessi o delle situazioni oggetto dell’indagine cartomantica. La Ruota della Fortuna, Parmigiano Reggiano. di Giorgio Melandri (in collaborazione con Igino Morini, Consorzio Parmigiano Reggiano) «In cartomanzia La Ruota significa momenti favorevoli e sfortunati, ma anche quotidiano e la vita giorno per giorno. Quest’ultimo è il significato che abbiamo voluto abbinare al Parmigiano Reggiano, nostro compagno sulla tavola tutti i giorni dell’anno. In Emilia infatti è il quotidiano ad essere straordinario.» Perché la forma del Parmigiano Reggiano è così grande? Pesa in media 40 kg e maneggiarla è complicato. Eppure nessuno ha mai pensato di ridurla o modificarla. La ragione è molto semplice, questo è il formaggio più importante del mondo e la sua storia è nobile sin dall’inizio, giocata su un equilibrio che ha bisogno di tempo e anche di peso. Tutto iniziò nel Medioevo, quando le intense attività agricole e di bonifica dei terreni legate ai monasteri dei Benedettini e dei Cistercensi della pianura di Parma e Reggio Emilia portarono allo sviluppo delle grancie, aziende agricole dove si iniziò a sviluppare l’allevamento di vacche utili ai lavori agricoli e alla produzione di latte. Una semplice famiglia infatti non avrebbe avuto la possibilità di lavorare tanto latte tutto assieme. Iniziò così nei monasteri lo sviluppo di una produzione di formaggio resa possibile grazie alla disponibilità di sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore, che ha caratterizzato fortemente i territori d’origine e la loro agricoltura. I monaci furono quindi i primi produttori di Parmigiano Reggiano, spinti dalla ricerca di un formaggio che avesse una caratteristica su tutte: quella di durare nel tempo. Ottennero questo risultato asciugando la pasta e aumentando le dimensioni delle forme, consentendo così al formaggio di conservarsi e, quindi, di viaggiare, allontanandosi dalla zona di produzione. Il più antico documento in cui viene riportato il termine caseus parmensis (formaggio di Parma) risale al 1254 ed è stato ritrovato nell’Archivio Storico di Genova, e questo consente una datazione storica almeno al secolo precedente. Mai prima di allora un formaggio era noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione. Nel XIV secolo le abbazie dei monaci Benedettini e Cistercensi continuano a giocare un ruolo fondamentale nella definizione della tecnica di fabbricazione. Si ha così l’espansione dei commerci in Romagna, Piemonte e Toscana, dai cui porti, soprattutto da Pisa, il formaggio prodotto a Parma e a Reggio raggiunge anche i centri marittimi del mare Mediterraneo. Nell’Emilia del 1400 si ha un ulteriore sviluppo economico con l’ascesa di alcune famiglie aristocratiche il cui potere si basava sulla produzione agricola dei loro feudi. Feudatari e abbazie concorsero assieme ad un aumento produttivo e nella pianura parmigiana e reggiana la produzione si era ormai diffusa ovunque vi fosse la possibilità di avere forag- gi. La dimensione delle forme aumenta, fino ad arrivare anche al peso di 18 kg l’una. Il formaggio prodotto a maggio era considerato il migliore (il cosiddetto “maggengo”). Il Parmigiano veniva così apprezzato e gustato nei banchetti del Rinascimento. Nel XVI secolo l’Emilia risultava essere in espansione agricola e commerciale e tra i beni trattati il formaggio giocava un ruolo fondamentale. Oltre alle abbazie ed ai feudatari, che aumentavano gli investimenti nella produzione di formaggio, si afferma una categoria borghese di commercianti-proprietari di vacche e di artigiani cittadini, che continuava ad investire “in vacche”, con lo sviluppo delle cosiddette vaccherie. Alla vaccheria padronale era annesso il caseificio, per trasformare il latte del proprietario a cui si aggiungeva il latte delle stalle dei mezzadri, che aiutavano il casaro a turno. Il caseificio era dunque detto turnario e fin da allora espresse la sua funzione, mantenuta e sviluppata nei secoli, come punto di riferimento produttivo, economico e poi sociale. In questi anni la produzione di Parmigiano Reggiano si afferma anche nella provincia di Modena grazie ai benedettini. La produzione andava dal formaggio maggengo al settembrino, quindi nei mesi in cui le vacche potevano sfruttare gli abbondanti pascoli della pianura. Il Parmigiano Reggiano oggi si produce con il latte che arriva dalle aziende agricole rigorosamente della zona di origine che comprende le provincie di Parma, Reggio Emilia, Modena e parte della provincia di Bologna, precisamente l’area a sinistra del fiume Reno. Le vacche sono alimentate esclusivamente con foraggi prodotti nella zona di origine. Il latte viene raccolto e portato in caseificio due volte al giorno e non subisce alcun trattamento termico. Quindi, è trasformato crudo, con tutta la ricchezza dei batteri che provengono dal territorio, dai fieni e dai campi. Il latte della mungitura della sera (che avviene circa dalle 16 alle 19 del pomeriggio) una volta arrivato in caseificio viene steso dal casaro in grandi vasche di acciaio dove riposa tutta la notte. La panna del latte si posiziona così negli starti superiori per affioramento naturale (i grassi sono più leggeri dell’acqua, quindi tendono a galleggiare) separandosi dal resto del latte. Al mattino, prima delle 6, il casaro lascia cadere questo latte, che è diventato così parzialmente scremato, nelle caratteristiche caldaie di rame che hanno la forma di campana rovesciata, mentre la panna di affioramento è raccolta in un contenitore frigorifero per poi fare il burro. Il casaro e i suoi aiutanti fanno la raccolta del latte della mungitura del mattino, che viene unito al latte della sera nelle caldaie. Complessivamente la quantità di latte in caldaia è all’incirca 1.100 litri, per la produzione di due forme che all’età di 24 mesi peseranno circa 40 kg. Considerando l’intera produzione di latte prima della scrematura, occorrono circa 15 di litri di latte per produrre 1 chilogrammo di Parmigiano Reggiano. Il latte viene raccolto e lavorato crudo, cioè senza subire trattamenti termici di pastorizzazione, per conservare tutta la ricchezza della flora lattica autoctona che viene dai campi, dai foraggi e dai fieni, dalle stalle e quindi dal territorio della zona di origine. Questi batteri naturali agiscono in modo completamente inalterato durante le fasi di produzione e di maturazione in quanto per fare il Parmigiano Reggiano non si possono usare additivi che, in altri casi, intervengono ad aggiustare e correggere le imperfezioni o le carenze microbiologiche del latte. Ecco perché il formaggio racchiude in sé le caratteristiche della zona di origine ed è così vera espressione del territorio. Dopo aver unito il latte della sera scremato e il latte del mattino intero, il casaro aggiunge il siero innesto, una coltura naturale di batteri lattici (termofili) che si è sviluppata in 24 ore nel siero del latte rimasto dalla lavorazione del giorno precedente. L’aggiunta del siero innesto (detto anche “siero fermento”) è una pratica che risale alla fine del XIX secolo da una scoperta del prof. Pellegrino Spallanzani e del capo casaro dell’Istituto Agrario Zanelli di Reggio Emilia, Giuseppe Notari. Il casaro riscalda il latte nelle caldaie in rame fino a circa 36°C, continuando una lenta agitazione. L’aumento del calore è regolato dal casaro che legge il valore della temperatura su un termometro che tradizionalmente riporta la scala Réaumur ( °R, gradi francesi) e non la scala centigrada (°C, gradi Celsius). Una abitudine introdotta fin dal XVII secolo nel ducato di Parma, retto allora dalla famiglia dei Duchi Farnese, che avevano non pochi rapporti con la corte di Francia, rapporti che sono continuati sia con la famiglia dei Duchi Borbone, sia con la Duchessa Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone Bonaparte. Una volta sospeso il riscaldamento, si aggiunge il caglio (presame naturale ottenuto dallo stomaco di vitelli lattanti), il casaro sospende l’agitazione e attende la coagulazione del latte per ottenere la cagliata, che avviene in circa 12-15 minuti. L’abilità e l’esperienza del casaro, che tocca con le mani la cagliata in formazione, permette di individuare, attraverso la sensibilità del tatto, il giusto momento per iniziare la rottura della cagliata. Che viene rotta con un attrezzo a lamine taglienti che è chiamato “spino”. Con questa operazione (detta “spinatura”) il casaro, prima con gesti lenti, poi con gesti via via più veloci, riduce la massa coagulata in granuli della dimensione di circa 2-4 millimetri (circa di un chicco di riso), pronti per la cottura. Al momento ritenuto idoneo, il casaro sospende il “fuoco” e i granuli caseosi cotti precipitano nel fondo della caldaia, si uniscono e formano un’unica massa (di circa 100 kg) che, dopo circa 50-60 minuti, con una pala di legno viene sollevata dal casaro e raccolta in una tela di canapa o di lino, per poi essere tagliata in due. La massa di formaggio cotto è estratta dalla caldaia avvolta nella tela di lino e viene introdotta in uno stampo detto “fascera”. Le forme sono rivoltate ogni due ore circa ed avvolte ad ogni rivoltatura con un telo asciutto per favorire la fuoriuscita del siero. Alla fine del pomeriggio viene tolta la tela e tra la massa del formaggio e la fascera viene inserita una speciale matrice marchiante che, premendo sul formaggio per tutta la notte, incide su tutta la fiancata o “scalzo” delle scritte che riportano i dati di origine della forma: la scritta a puntini “Parmigiano-Reggiano”, il mese e l’anno di produzione, il codice del caseificio produttore e la scritta “DOP. Al termine della formatura, dopo circa due giorni segue la salatura che si ottiene tenendo la forma immersa per circa 20 giorni in vasche colme di una soluzione satura di sale naturale. Dopo un breve periodo in una camera calda, per rassodare la crosta in formazione, le forme vengono portate nella cascina, ovvero il magazzino di stagionatura, dove sono collocate su tavole di legno massiccio disposte a castello. I magazzini di stagionatura del Parmigiano Reggiano DOP sono grandi locali, con temperatura e umidità controllate, opportunamente attrezzati per la movimentazione e la pulizia delle forme, e dalla capienza di decine di migliaia di prodotti finiti, fino a 100-200 mila unità o anche più. Per essere a pieno titolo Parmigiano Reggiano DOP e potersi fregiare del bollo ovale impresso a fuoco, ogni forma dovrà superare, intorno ai 12 mesi di vita, una rigida selezione, che consiste in un esame di struttura operato dagli esperti del Consorzio. Questo esame, lo ripetiamo, viene fatto ad ogni singola forma e non a campione. Oggi la produzione si è arricchita di due importanti esperienze. La prima è la produzione di Parmigiano Reggiano a partire dal latte dell’antica razza rossa reggiana. La rossa produce un terzo in meno di latte rispetto alla razza Frisona, ma possiede una maggiore resa nella caseificazione. Esiste un disciplinare dedicato e un marchio del Parmigiano Reggiano Vacche Rosse. Trovate altre notizie su www. consorziovaccherosse.it. La seconda è la produzione fatta con il latte della bianca modenese che ha un suo marchio e fa capo all’esperienza del caseificio Rosola di Zocca. LA RUOTA DELLA FORTUNA di Andrea Vitali Come il musicista Antonio Salieri venne conosciuto da tutti, o da tanti, per essere stato uno dei personaggi del film Amadeus sulla vita di Mozart, così la maggior parte delle persone ha dimestichezza con la ‘Ruota della Fortuna’ per aver udito spesso, inserito nella colonna sonora di molti film - Excalibur fra i tanti -, il celebre motivo O Fortuna, velut Luna. Tuttavia non tutti sanno, benché il testo sia da annoverarsi fra le poesie scritte nel medioevo da studenti, che la musica è del tedesco Carl Orff, suonata in pubblico per la prima volta a Francoforte nel 1937. Per apprendere il significato di O Fortuna, velut Luna a cui seguono le parole statu variabilis, semper crescit aut decriscit, in italiano “O Fortuna, come la Luna, stato variabile, sempre cresci o decresci”, occorre far riferimento appunto alla Ruota della Fortuna, allegoria sulla condizione umana che, senza grande intuito, afferma che l’esistenza dell’uomo è soggetta ad un’alternanza di momenti favorevoli e sfortunati. Il concetto di Fortuna in tal senso si ritrova anche nell’antichità, ma venne ideato nella sua forma di ruota dal filosofo Severino Boezio (475-525), divenuto santo, dove una fanciulla bendata - non è forse vero che la fortuna è cieca? - gira una manovella a cui è attaccato un ingranaggio che fa muovere la ruota. La Rota Fortunae è da intendersi come la Ruota della Sorte, del Fato, del Caso o del Destino così come dal latino Fortuna, mentre la sfortuna era chiamata infortunium, da cui il nostro italiano. Nei Tarocchi Visconti-Sforza la fanciulla, posta all’interno della ruota, è raffigurata manovrarla direttamente, senza l’ausilio della manovella, dato il poco spazio a disposizione. Sulla cima della ruota è raffigurato un Re, con tanto di corona sulla testa e con la scritta Regno che ne identifica il suo stato. Se pensiamo alla ruota come ad un orologio le cui lancette si muovono indicando le ore, alle 3 è raffigurato lo stesso Re che si avvinghia alla ruota per non cadere mentre la corona vola nell’aria. La scritta che illustra la situazione è regnavi, cioè ‘ho regnato’. Alle 6 il Re viene trascinato sotto la ruota con la scritta sum sine regio, ‘sono senza regno’, mentre alle 9 il nostro personaggio sembra recuperare posizioni, sempre avvinto alla ruota per non cadere, con la scritta regnabo, cioè ‘regnerò’. La stessa immagine appare nei quattrocenteschi Tarocchi Brambilla, ora all’Accademia di Brera. Un particolare interessante si trova nella Ruota della Fortuna dei Tarocchi Visconti laddove il personaggio seduto in posizione superiore e l’uomo che sta per risalire hanno orecchie asinine, mentre il personaggio che cade possiede una lunga coda. Questi elementi sono rappresentativi della natura animalesca dell’uomo la cui Vanitas non permette di riconoscere e accettare il senso della sorte in quanto ancora legato ad un mondo puramente materiale. Stesse orecchie d’asino si trovano in due personaggi della Ruota del visconteo Tarocco Brambilla, in colui che “regna” e in quello che “regnerà”, quale dimostrazione dell’insensatezza che colpisce le persone fortunate e quelle che sanno di diventarlo. In cartomanzia la Ruota significa momenti favorevoli e sfortunati, routine, svolta di vita, ruotare opinione o modo di agire. La Forza, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro. di Giorgio Melandri «La carta de La Forza indica in cartomanzia il dominio degli istinti attraverso il ricorso alla ragione. È la storia del rapporto tra il Lambrusco Grasparossa e l’uomo, l’eterno duello tra il carattere di questo vitigno e la tradizione.» “Non ci sono mai state qui delle vigne fatte tutte da un solo vitigno, figurati da un solo clone! Questa è una follia dei nostri tempi. Io continuo per la strada che ho imparato da mio padre e da mio nonno.”. Non dimenticherò mai le parole di Vittorio Graziano, pronunciate anni fa un pomeriggio mentre camminavo con lui nelle sue vigne. Nelle colline emiliane le vigne di lambrusco sono sempre state così, con un protagonista, ad esempio il grasparossa, e una varietà di altri vitigni a fargli da spalla. C’era sempre la barbera ad esempio, preziosa per le acidità che rinfrescavano le annate più calde e c’era l’ancellotta, una garanzia per il colore. Una varietà che regalava al vino complessità e capacità di adattarsi all’annata. Una saggezza contadina che per fortuna è ancora nel patrimonio culturale di questa terra. Vittorio Graziano ne è un esempio importante, e se in certi anni bui del lambrusco industriale non ci fosse stato lui, certe sensibilità sarebbero andate perdute. Lui ha continuato a parlare di tradizione, e della rifermentazione in bottiglia senza sboccatura, con passione ed ostinazione e la sua esperienza è fondamentale per mettere a fuoco il linguaggio del grasparossa nella tradizione. E a dargli ragione c’è pure un documento storico, un libro stampato a Modena e firmato da Angelo Formiggini del 1872. Si chiama “Escursioni di viticultura nel bolognese, reggiano e modenese.” E vi è citata l’uva di pregio ottenuta da una vigna di barbera nel comune di Montefiorino, sulle colline più alte di Modena. È la prima citazione della barbera nel modenese, ma ne suggerisce una certa storicità. Lo stesso Formiggini, in un testo successivo, evidenzia l’abitudine di mescolare le uve quando venivano piantate le vigne. E ricorda a tutti, con una citazione della produzione di Fanano, quanto fosse diffusa la vite anche ad altitudini significative. A Vittorio Graziano e alla sua esperienza dobbiamo un omaggio, perché ci è servita e ci serve a ragionare sullo stile e sull’identità. Accanto a lui ci sono i grandi marchi del vino e le grandi produzioni classiche conosciute in tutto il mondo. A Modena si viaggia sempre a metà tra due culture, quella di un senso imprenditoriale straordinario e quella contadina di un attaccamento alla terra che ha pochi paragoni. La sintesi è quella che Massimo Bottura non si stanca mai di ripetere, “Fast cars and slow food.”, l’idea di una modernità in pace con il suo passato e con le sue radici. Il Grasparossa è il lambrusco della collina e mai, anche nei documenti storici, ci sono riferimenti alla sua presenza in pianura. È adatto ai terreni poveri e la sua moderata vigoria si adatta bene a condizioni più difficili. Deve il suo nome al colore dei piccioli delle foglie e dei raspi, anche se oggi diversi cloni non hanno questa caratteristica. Mauro Chiarli, titolare insieme al fratello Anselmo dell’azienda Cleto Chiarli Tenute Agricole, sta facendo su questo aspetto e in generale su un recupero di vecchi cloni un lavoro straordinario. Il grasparossa matura tardi, come è nella tradizione di questa famiglia di vitigni, e per questo la sua tradizione ha potuto mettere a fuoco un’identità frizzante. La fermentazione si arrestava con il freddo (e veniva rallentata con continue filtrazioni realizzate con rudimentali filtri costruiti con sacchi di iuta) per riprendere poi in primavera consegnando vini ancora frizzanti fino ai primi caldi. È un lambrusco di grande carattere che ha nella forza dei suoi tannini la sua caratteristica principale. Il frutto è austero e le produzioni più interessanti trovano oggi il coraggio di piccole riduzioni che aggiungono complessità al vino. La sfida di questo lambrusco “di collina” è oggi quella di recuperare il difficile patrimonio di identità che gli anni ’70 hanno cancellato con un’idea enologica allora considerata rassicurante. Anno dopo anno le produzioni stanno ritrovando carattere, tannini, austerità e bocche asciutte. Ci sono addirittura delle esperienze, come quella della Fattoria Moretto, che vinifica vigna per vigna seguendo un’idea di lettura dei suoli rara nel mondo del lambrusco e importante perché restituisce vini classici e di personalità, dei grasparossa archetipi. Si torna indietro per andare avanti, ancora una volta. LA FORZA di Andrea Vitali La Forza, o meglio la cristiana virtù Fortitudo, è posta nei tarocchi quale insegnamento all’uomo di non lasciarsi trasportare dagli istinti e dalle passioni, ma di domarli attraverso la ragione e l’intelletto. La Fortezza attribuita al Cristo si riverbera su tutti i Cristiani che nella Prima Lettera di Giovanni vengono chiamati ischyroi (forti), perché in grado di resistere alle tentazioni del Maligno e al peccato per mezzo della parola di Dio che abita in loro. Sant’Agostino aggiungerà che la Fortezza consiste nella ‘fermezza d’animo’ (firmitas animi), cioè nella capacità di sopportare i mali e le avversità della vita presente in vista del godimento dei beni supremi (De Civitate Dei, XIX, c. 4). La Forza, virtù propria della classe dei guerrieri come descritta da Platone, trova un preciso riferimento nell’omonima carta dei quattrocenteschi Tarocchi Visconti Sforza che mostra Ercole in quella che fu considerata la sua prima fatica, cioè la lotta contro il leone Nemeo. Il nostro eroe lo affrontò dapprima con arco e frecce e con la spada, ma poiché la pelle dell’animale era stata forgiata in modo da renderlo invulnerabile, Ercole decise di colpirlo con una clava per poi strangolarlo a mani nude. Un’impresa ardua dato che il leone possedeva zanne e artigli della durezza del metallo. Ma poiché Ercole, come ben tutti sappiamo, possedeva una forza fisica pressoché divina, riuscì ad ucciderlo. Da questa vicenda si fa risalire l’immagine della Forza come troviamo in altre versioni dei tarocchi, dove una fanciulla doma un leone aprendone le fauci. L’apparente facilità del gesto va intesa in chiave simbolica, rappresentando come la ragione e l’intelligenza possano vincere le passioni, il cui ruggito si esprime violentemente all’interno di ciascun essere umano. La fanciulla nell’atto di spezzare una colonna come appare nei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI, in realtà bolognesi della fine del sec. XV, fa riferimento alla vicenda di Sansone il quale, avendo ricevuto da Dio una forza sovrumana, abbatté con le mani le due colonne centrali del tempio del Dio Dagon rimanendone a sua volta ucciso. ‘Muoia Sansone con tutti i Filistei’ è la celebre frase che si attribuisce all’eroe prima che venisse schiacciato dal crollo del tempio, espressione che nel tempo è stata posta in relazione a coloro che, pur di nuocere agli altri, non esitano a danneggiare anche se stessi. Nei tarocchini bolognesi, una colonna, in questo caso integra, sottolinea la forza che la contraddistingue venendo ad assumere una funzione sostenitrice. Una diversa raffigurazione caratterizza la carta della Forza nei Tarocchi Rosenthal (di evidente realizzazione ottocentesca) dove un possente castello si configura quale ‘fortezza’ impenetrabile impossibile da distruggere. In cartomanzia significa il dominio degli istinti attraverso il ricorso alla ragione, forza morale e forza fisica. L’Appeso, Prosciutto di Parma. di Giorgio Melandri «In cartomanzia L’Appeso significa tradimento e sofferenza, ma anche il ribaltamento delle situazioni. Con il Prosciutto di Parma giochiamo con questo significato, perché la stagionatura regala alla carne, in origine fragile e delicata, una vita lunghissima e straordinarie qualità.» Scrive lo storico Massimo Montanari che nei documenti dell’Italia del nord redatti a partire dal VII secolo i boschi venivano valutati non in termini di superficie, ma in base al numero di maiali che potevano ingrassare con le ghiande, le faggiole e gli altri frutti spontanei. Una rottura rispetto alla tradizione romana che vedeva nello sfruttamento del selvatico una barbarie. La cultura della carne era una cultura europea e dall’Europa trovò legittimazione nel Cinquecento quando la riforma protestante rigettò, fra le altre cose, la normativa dietetica della Chiesa romana. Tornando al maiale, occorre considerare che la Pianura Padana era piena di boschi, in particolare di boschi di querce ed era un territorio dove abbondava l’acqua. A Parma in particolare c’erano due altri elementi importanti: il sale ricavato dalle acque salse di Salsomaggiore e l’aria asciutta delle valli che salgono dalla pianura in Appennino. Furono queste le condizioni che favorirono la cultura del maiale e della salatura delle carni in questo territorio ed anche quando la pianura venne disboscata e l’agricoltura cambiò faccia al paesaggio la tradizione restò viva. La grande tradizione dei salati di Parma ebbe alla fine del Medioevo una corporazione dedicata, quella dei Lardaroli, originatasi per specializzazione dalla più forte Arte dei Beccai. La storia del prosciutto di Parma è dunque molto antica e il prodotto attuale è stilisticamente il risultato di secoli di esperienza. Viene prodotto a partire da cosce di grande pezzatura, in genere di peso superiore ai 12 kg, che vengono salate con grande misura e asciugate con la stagionatura. L’aspetto dei prosciutti è tipico, senza il piede e con la classica rifilatura che lascia scoperta la testa del femore (noce). I prosciutti, trascorso il giusto tempo di stagionatura, vengono controllati dagli ispettori che li trafiggono con un ago di osso di cavallo per esaminarne i profumi. Solo i prosciutti che superano questa prova possono essere marchiati a fuoco con il marchio Parma, la corona a cinque punte che è anche il marchio del Consorzio istituito nel 1963. Gli unici ingredienti ammessi sono le cosce posteriori di maiale e il sale. Oltre ovviamente al tempo di stagionatura che è come minimo 10 mesi. Oggi i produttori sono circa 200, quasi tutti concentrati attorno al paese di Langhirano, nella valle del torrente Parma, dove sono ancora frequenti i vecchi edifici di stagionatura che hanno le finestre su tutti i lati in modo da poter “prendere” aria da qualsiasi vento. Il territorio di produzione, così recita il disciplinare della DOP, è il territorio della provincia di Parma posto a sud della via Emilia a distanza di almeno 5 km da questa, fino a un’altitudine di 900 metri, delimitato a est dal fiume Enza e a ovest dal torrente Stirone. Solo in questa area hanno luogo tutte le condizioni climatiche ideali per l’asciugatura, ossia la stagionatura naturale che darà dolcezza e gusto al Prosciutto di Parma. I maiali invece possono provenire da allevamenti italiani situati in queste regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, EmiliaRomagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise. Per chiudere un omaggio ai salumieri milanesi perché è a loro che si deve il successo moderno del Parma, alla loro capacità di gestire questi grandi prosciutti e di affettarli a regola d’arte. Dei grandi maestri che nel Novecento hanno cambiato la storia di questo prodotto. L’APPESO di Andrea Vitali Una persona appare appeso per un piede ai rami di un albero o ad una alta trave. Si tratta del Traitor, così come viene descritto nelle carte antiche, cioè di un traditore. In Piazza Maggiore a Bologna, come in qualsiasi altra piazza italiana, se ne vedevano tanti, quale monito indirizzato a tutti coloro che avevano in animo di tradire o il governo o la santa Chiesa. Nei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI, ritenuti un tempo francesi, ma in realtà bolognesi della fine del Quattrocento, fa bella mostra di sé il dodicesimo apostolo, cioè Giuda, appeso a testa in giù con nelle mani i sacchetti delle monete ricevute per tradire il proprio maestro. Come nel far west fuori dell’ufficio degli sceriffi erano affissi i famosi ‘wanted’, anche i muri laterali delle porte d’ingresso alle città erano costellati di fogli di pergamene riportanti figure di appesi con sotto la cifra dovuta nel caso che qualche cacciatore di taglie avesse avuto in animo di catturarli e il popolo, vedendo quell’immagine, sapeva che si trattava di traditori. Mussolini non venne impiccato per il collo o fucilato ma appeso per i piedi in quanto considerato traditore della patria. L’Appeso nei tarocchi si manifesta come monito rivolto a tutti gli uomini affinché non pensassero di tradire il proprio Creatore, perché una volta colti dalla Morte, carta che segue l’Appeso, la loro anima sarebbe andata a bruciare all’Inferno. La più bella immagine di appesi per i piedi si trova proprio a Bologna, presso la Cappella Bolognini in San Petronio, in un affresco dell’Inferno che Giovanni da Modena dipinse nel 1410. Fra i tanti esempi di traditori di cui è costellata la storia medievale, Bernardino da Corte, governatore del Castello Sforzesco che in seguito a corruzione aprì nel settembre del 1499 le porte ai Francesi e a Gian Giacomo Trivulzio tradendo in tal modo gli Sforza, divenne l’emblema per eccellenza del tradimento, tanto che nel commento posto in margine al testo in alcune edizioni de L’Historia d’Italia del Guicciardini, risulta come questo traditore, schernito da tutti, persino dai Francesi, in poco tempo morisse di dolore. I soldati francesi lo disprezzarono a tal punto che quando giocavano a tarocchi, invece di dire “do la carta del traditore” dicevano ‘Do Bernardino da Corte’. Un modo come un altro per passare alla storia. In cartomanzia significa ovviamente tradimento, sofferenza, sacrificio, oltre a vedere il mondo ribaltato perché ci si trova in una situazione poco piacevole. La Morte, Coppa Piacentina. di Giorgio Melandri «Poiché La Morte viene considerata dalla Chiesa come una semplice variazione di stato, da quello terreno ad un altro auspicabilmente migliore, in cartomanzia questa carta esprime semplicemente un cambiamento. Quello che subiscono i Salumi Piacentini con la lunga stagionatura che li rende meravigliosi e raffinati.» A testimoniare la presenza del maiale nel piacentino fin dall’antichità c’è un piccolo amuleto di origine romana conservato presso il Museo Civico di Piacenza. Qui, come nel territorio di Parma, vi erano acqua e boschi di querce che potevano ingrassare piccole mandrie. E soprattutto c’era il sale di Salsomaggiore Terme, piccola città che si trova in collina alle spalle di Fidenza, tra Parma e Piacenza e che ancora oggi, nonostante sia amministrativamente in provincia di Parma, appartiene alla diocesi di Piacenza. Bisogna però giungere al XIV secolo, per avere testimonianze del commercio di carni conservate nella provincia di Piacenza. Negli antichi Statuti cittadini si legge infatti che la vendita delle carni conservate era riservata unicamente ai membri della corporazione dei formaggiai, alcuni dei quali avevano banco stabile in Piazza del Duomo. Successivamente, in seguito all’aumento del consumo di questa carne venne istituita una corporazione dedicata, i lardaroli. Nacque così una tradizione che è continuata nel tempo e sul territorio si specializzò una figura professionale importante, quella del norcino, chiamato in dialetto “massalein”. Il commercio delle carni salate divenne importante e lo dimostra il fatto che si chiamasse un notaio ad autorizzare la macellazione del maiale come riportato dallo storico Stefano Pronti nel suo “La cucina a Piacenza e in Italia nei secoli.” edito da TIP.LE.CO.. Il notaio certificava che il peso dell’animale non fosse inferiore ai 250 kg e probabilmente garantiva a fini fiscali un controllo del numero di animali macellati. “Il mercato di riferimento dei nostri salumi –coppa, pancetta arrotolata, culatelli prodotti lungo le rive del Po e salami, storicamente chiamati zambudelli – era la Lombardia, Milano in particolare.” a parlare è Roberto Belli, presidente del Consorzio Salumi Tipici Piacentini, “A Milano i commercianti piacentini portavano anche il loro famoso cacio, un formaggio grana che sarebbe poi diventato il Grana Padano. Avevano un’offerta complementare ai commercianti di Parma che erano degli specialisti del prosciutto e non avevano invece coppa e pancetta. A Milano ancora oggi si parla di roba de Piasenza per indicare i salumi di qualità del nostro territorio.” . Se il mercato è sempre stato quello lombardo, la fama arrivò per da molto più lontano nei primi decenni del Settecento grazie ad un abile diplomatico piacentino, il cardinale Giulio Alberoni (Piacenza, 30 maggio 1664 – Piacenza, 26 giugno 1752) un personaggio incredibile che li promosse addirittura presso le corti di Francia e di Spagna. Giulio Alberoni è stato infatti un cardinale italiano al servizio di Filippo V di Spagna. Durante la guerra di successione spagnola, grazie ai servigi che rese a Luigi Giuseppe di Borbone-Vendôme, comandante delle forze francesi in Italia, l’Alberoni gettò le fondamenta del suo successo politico. Quando questi, nel 1706, venne richiamato a Parigi, volle che il prelato lo seguisse. Qui venne favorevolmente ricevuto da Luigi XIV ed il duca si avvalse spesso dei suoi talenti negli affari più importanti. Nel 1711 seguì il Vendôme in Spagna come suo segretario, e lo aiutò a riportare sul trono spagnolo Filippo V. Dopo la morte del duca, avvenuta nel 1712, la sua reputazione gli valse la nomina ad agente consolare del Ducato di Parma alla corte di Spagna, dove presto divenne uno dei favoriti del re. Nel 1714, dopo la morte della regina Maria Luisa di Savoia, con l’aiuto della principessa Marie Anne de La Trémoille, molto influente presso il re, combinò il nuovo matrimonio di Filippo V con Elisabetta Farnese, nipote di Francesco, duca di Parma. La nuova regina usò la sua influenza in favore dell’Alberoni, che migliorò rapidamente la sua posizione. Fu nominato primo ministro, poi duca e grande di Spagna, quindi vescovo di Málaga. La coppa piacentina è, insieme alla pancetta arrotolata e al salame piacentino, uno dei tre prodotti DOP di Piacenza. La pezzatura è storicamente grossa e infatti non si salano coppe di peso inferiore ai 2,5 kg. Lo stile è dolce e poco speziato, con un grasso complesso e abbondante. È lo stile di Piacenza, delicatissimo ed elegante, molto lontano dai prodotti Romagnoli, speziati e piccoli, e più raffinato di tutte le altre produzioni emiliane. LA MORTE di Andrea Vitali Francesco Petrarca nei suoi Trionfi, opera letteraria sulle forze che governano il mondo, descrive la morte come l’ovvia conclusione di un ciclo, dove l’istinto e la ragione sempre in conflitto fra loro, dovranno chinare il capo davanti alla funerea signora. I personaggi che accompagnano il carro su cui la morte in veste di scheletro troneggia, appartengono a classi sociali ricche e potenti, siano esse laiche o religiose, in ogni modo persone che per i loro privilegi erano in grado di vivere agiatamente e a cui la morte appariva molto più devastante di quanto lo fosse per quei miseri contadini che morivano in continuazione come mosche e che, tutto sommato, non avevano né salute né tesori di cui lamentare l’abbandono in seguito alla loro dipartita. La più antica raffigurazione conosciuta della morte, in questo caso a cavallo, che calpesta persone e brandisce la spada contro dei viventi, si trova in un affresco della metà del sec. XIV presso il monastero benedettino del Sacro Speco a Subiaco. Nei tarocchi la Morte indica esplicitamente di non farsi cogliere in peccato mortale dato che il Diavolo, che nel più antico ordine di Arcani Maggiori appare nella carta successiva, è pronto a sprofondare agli inferi tutti i peccatori. Se nei quattrocenteschi Tarocchi ViscontiSforza lo scheletro è raffigurato in piedi, con in mano un grande arco, in quelli cosiddetti di Carlo VI e nei Tarocchi Visconti in possesso dell’Università di Yale appare a cavallo brandendo la falce e calpestando papi, vescovi e cardinali. Intorno alla metà del XV secolo si sviluppò il motivo della Danza Macabra, dapprima con intenti moralistici, per svilupparsi poi come satira contro la corruzione e il fasto delle classi agiate. La morte danzante che trascina nel suo ballo del trapasso l’intera umanità fu motivo ispiratore per molti musicisti fra cui Stefano Landi che compose nel sec. XVII una celebre passacaglia, dai ritmi di trascinante tarantella, detta Della vita la cui inevitabile conclusione trova espressione in versi non propriamente simpatici quali ‘È un sogno la vita che par si gradita, è breve il gioire, bisogna morire. Non val medicina, non giova la china, non si può guarire, bisogna morire’. Il numero 13 che connota la carta fu nell’antichità considerato di cattivo augurio. Nella Bibbia il tredicesimo capitolo dell’Apocalisse è quello dell’Anticristo e della Bestia. Numero nefasto quindi, ma anche il più potente e sublime: Zeus nel corteo dei dodici Dei avanzava come tredicesimo, mentre Ulisse, il tredicesimo del suo gruppo, sfuggì all’appetito divoratore del Ciclope. Poiché la morte venne considerata dalla Chiesa come una semplice variazione di stato, da quello terreno ad un altro auspicabilmente migliore, in cartomanzia questa carta esprime semplicemente un cambiamento. La Temperanza, Bosco Eliceo Fortana. di Giorgio Melandri «In cartomanzia La Temperanza esprime moderazione e adattamento, castità, purezza e, per il fatto che l’acqua viene messa in relazione con il vino, ogni forma di rapporto. La Fortana è un campione di adattamento e nel Bosco Eliceo arriva quasi a sfidare il mare con vigne piantate sulla sabbia. Nella carta c’è anche un omaggio alla coppia ferrarese, il pane duro tipico della città di Ferrara.» Il fascino della Fortana, tradizionalmente qui chiamata Uva d’Oro, è straordinario. È un’uva antica e ancestrale, adatta a crescere sulle sabbie più povere, capace di confrontarsi con le vene d’acqua salata che emergono nei terreni costieri che vanno dalle bocche del Po di Goro alla foce del Reno. Se ne ricava un vino rosso scarico di colore, duro e minerale, tagliente nell’acidità, scontroso nei tannini, profumato e verticale. Si è sempre chiamato vino del bosco per via degli eliseti –i boschi di Quercus ilex, comunemente chiamati lecci– che si estendevano abbondanti su tutta l’area e che sono oggi ristretti ad alcune isole come il boscone della Mesola, oppure il piccolo bosco di San Giuseppe di Comacchio. La Fortana è la regina di queste terre e qui viene piantata a piede franco, un po’ per le sabbie che la proteggono dalla filossera e un po’ per l’incapacità dei portainnesti di affrontare le condizioni estreme di queste terre del delta. “Dovete immaginare un paesaggio completamente diverso da questo”, spiega Emanuele Mattarelli, “dove l’acqua occupava tutto il territorio. Per la vite restavano le lingue di sabbia che separavano il mare dalle zone salmastre. E questo da sempre, da quando attorno all’anno Mille i monaci di Pomposa erano impegnati con le vigne.”. E infatti ci sono testimonianze riportate nel libro di Marcello Bertelli “L’Uva d’Oro” che riporta di come i monaci benedettini dell’Abbazia di Pomposa coltivassero la vite nei terreni sabbiosi dell’insula pomposiana che era attorno al monastero. Sull’origine del vitigno vi sono varie leggende, quella più famosa narra della giovanissima Renata di Francia che nel 1528, venuta in sposa ad Alfonso D’Este, portò con se alcune vigne della Cote D’Or in Borgogna e le fece piantare sulle dune sabbiose dell’area litoranea ferrarese. “Niente di più falso.”, dice Mauro Catena, agronomo ed enologo, “La Fortana ha origini meridionali, ed è probabilmente un’uva napoletana. Lo dimostrano le esigenze di sole e luce che esprime, la sua necessità di avere indici termici alti. Per il resto è un’uva ancestrale, che fatica a maturare, molto vicina alla vite selvatica. Dalla sua ha una incredibile rusticità e buona produttività.”. La Fortana era un’uva diffusa in tutta la pianura padana, da Parma, dove è chiamata fortanina del Taro, fino al territorio modenese dove era piantata in mezzo ai vigneti di lambrusco. “A dire la verità di Fortana ce ne sono due.”, a parlare è Marisa Fontana, esperta ampe- lografa che ha studiato quest’uva e questo territorio, “C’è una Fortana più piccola detta fortanina e una più grossa. Sono due piante diverse, classificate rispettivamente come CAB1 e CAB13 nei cataloghi dei vivaisti.”. Nella memoria dei Comacchiesi la Fortana è quella più grande, ancora oggi piantata a piede franco. Certo è che questo territorio è stato stravolto da bonifiche e dal lento lavoro del Po. Innanzitutto nel 1570 un terremoto spostò a nord di ben 40 km la foce principale del Po. Poi i veneziani, all’inizio del 1600, aprirono il taglio di Porto Viro, una grande opera idraulica che dal Po di Venezia, allora “Po di Corbola o Po del Mazzorno”, deviò il corso del fiume Po da Cavanella Po (porto di Loreo) nella sacca di Goro scavando un canale di 7 km, che costituisce parte del tratto dell’attuale Po di Venezia. Fu una storia d’acque, sempre, anche quando nel Novecento si bonificarono gran parte delle Valli di Comacchio, uno degli ecosistemi più incredibili d’Italia. A questo proposito bisogna ricordare che Comacchio era raggiungibile solo in barca fino alla metà del Novecento. La Fortana è di casa qui dove veniva vendemmiata a fine ottobre ,e forse anche più tardi, e dove fermentava a fatica a causa del freddo. Riprendeva la fermentazione in primavera e per questo la gente si era abituata a vini ancora dolci, taglienti d’acidità e frizzanti. I compagni ideali di anguilla e cefali e della cucina grassa del delta del Po fatta di salumi come la bondiola e la salama da sugo e caccia di valle. Una identità difficile ed affascinante legata ad un ambiente unico e fuori dal comune. Una viticoltura eroica, tra terra e mare. Ancora oggi si viaggia in paesaggi bellissimi e poetici, fatti di argini e specchi d’acqua, di distese di canne e voli d’uccelli. Un luogo difficile, ma anche generoso, che regala riso (Riso del Delta del Po IGP), caccia e pesca di valle, le vongole veraci della sacca di Goro, pesce di mare e ortaggi coltivati sulle sabbie, a cominciare da quell’aglio straordinario che si produce a Voghiera, per continuare con le carote del delta, le zucche e i cocomeri. Un’ultima citazione è per un vitigno dimenticato che si sta tentando di recuperare, si tratta della Russiola. Nella tradizione comacchiese si vinificava da solo e dava il primo vino dell’anno, consumato già prima di Natale. Un vino rosato con un’acidità furiosa, salato come l’acqua di mare. Un altro vino ideale per le carni di anguilla e le lumache. LA TEMPERANZA di Andrea Vitali Una delle più belle donne del mondo antico, Diana, dea della caccia e della verginità, ogni anno in occasione del giorno a lei dedicato, si recava assieme alle sue ancelle presso un laghetto di acque cristalline. Ivi, una volta giunta, si denudava completamente ed entrava in quelle acque attorniata dalle sue fide custodi, anch’esse tutte nude. Uno spettacolo mozzafiato. La motivazione di tanto bagno consisteva nel proclamare e confermare la propria verginità, poiché come sappiamo le acque possono esprimersi come simbolo di purificazione. Atteone, un personaggio che viveva in quei pressi, accortosi di tanta grazia, decise di perdere un po’ del suo tempo a guardare di nascosto quelle belle signore. Lo sventurato venne scoperto da Diana, la quale lo trasformò in cervo, animale considerato dagli antichi simbolo della temperanza, in quanto non solo si accoppiava con la femmina raramente, ma esclusivamente per procreare. Diana, una volta compiuta quella trasformazione, si sedette sul dorso dell’animale e continuò il suo rito versando da una brocca l’acqua in essa contenuta sul proprio sesso. Una storia che la carta della Temperanza dei quattrocenteschi Tarocchi miniati di Alessandro Sforza ci racconta pittoricamente. La Chiesa del tempo utilizzò questa favola degli antichi quale esempio di ammaestramento morale: come Diana ha vinto sulla tentazione, trasformando il peccatore in un essere temperante, così l’uomo per mantenersi sempre casto e puro deve rivolgersi all’acqua salvifica di questa virtù. La Temperanza è infatti, assieme alla Giustizia e alla Forza, la terza virtù cardinale presente nella processione dei Trionfi (Arcani Maggiori). San Tommaso nella Summa Theologiae scrive: “La Temperanza che implica moderazione, consiste principalmente nel regolare le passioni che tendono ai beni sensibili, e cioè la concupiscenza e i piaceri, e indirettamente a regolare le tristezze e i dolori che derivano dall’assenza di questi piaceri” (quaestio 2, articulum 2). La persona temperante è dunque quella che si sforza di resistere all’attrattiva delle passioni e dei piaceri, in particolare quelli sensuali, quando divengono eccessivi. Non a caso nel più antico ordine di tarocchi conosciuto la Temperanza è posta dopo l’Amore, cioè l’istinto. Essa viene usualmente rappresentata nei tarocchi nella sua veste classica, con una fanciulla nell’atto di versare l’acqua contenuta in una brocca in un’altra dove si trova del buon vino a gradazione elevata. L’acqua ne smusserà l’eccitabilità, rendendolo adatto alla digestione impedendo ogni forma di ubriachezza. Cosa farebbe l’uomo se si lasciasse trasportare senza freni dai propri istinti o dalle proprie passioni? Il ricorso alla temperanza permette di moderare i piaceri rendendoli consoni ad una conduzione di vita cristiana. Nella carta dei cosiddetti Tarocchi del Mantegna ai piedi della fanciulla appare un ermellino. Il Ripa nel suo trattato di iconologia del sec. XVI scrive che per rappresentare questa virtù “si può ancora dipingere l’ermellino, per la gran cura che ha di non imbrattare la sua bianchezza, simile a quella di una persona casta”. In cartomanzia questa carta esprime quindi moderazione, adattamento, castità, purezza e, per il fatto che l’acqua viene messa in relazione con il vino, ogni forma di rapporto. Il Diavolo, Mortadella Bologna. di Giorgio Melandri «Nei Tarocchi Il Diavolo rimanda alle situazioni che fanno paura, alle ossessioni e ai piaceri della carne. Ci giochiamo identificandolo con la Mortadella Bologna, simbolo di trasgressione, irresistibile e tentatrice.» La Mortadella Bologna è un prodotto di salumeria famoso in tutto il mondo e spesso chiamato semplicemente Bologna. Ne scrivono a proposito ne “La cucina italiana” Alberto Capatti e Massimo Montanari. «Quando si tratta di tradizioni alimentari, sembrerebbe scontato pensarla come appartenenza a un territorio: i prodotti, le ricette di un determinato luogo. Ma così si dimentica che l’identità si definisce anche (o forse soprattutto) come differenza, cioè in rapporto agli altri. Nel caso specifico della gastronomia ciò appare con chiarezza: l’identità “locale” nasce in funzione dello scambio, nel momento in cui (e nella misura in cui) un prodotto o una ricetta si confrontano con culture e regimi diversi. L’autoconsumo, in un’economia anche solo parzialmente autarchica, se da un lato corrisponde a una valorizzazione intima e rituale degli oggetti commestibili, li sottrae dall’altro al mercato e al giudizio. Il prodotto esclusivamente “locale” è privo di una identità geografica in quanto essa nasce dalla sua “delocalizzazione”. La “mortadella di Bologna” (o “Bologna” tout court) si definisce come tale solo quando esce dal suo ambito di produzione. Le olive “all’ascolana” assumono tale denominazione solo quando oltrepassano i confini della città natale - salvo subito rientrarvi per una sorta di effetto boomerang. » La mortadella è realizzata con carne di puro suino, finemente triturata, impastata con lardelli (e blandamente aromatizzata con spezie), poi insaccata e cotta a lungo a bassa temperatura. È un salume povero e straordinario, inconfondibile, protagonista delle merende di generazioni di italiani. Prima di parlare della sua storia due riflessioni generali. La prima è che nessuno produce mortadella in casa, come invece succede per salami, prosciutti e coppe. Questo non significa che sia per forza un prodotto industriale, ma chiarisce che la mortadella ha bisogno di una specializzazione estrema e di attrezzature dedicate. E se il successo e la grande diffusione si devono a prodotti industriali, spesso ottimi, è anche vero che la mortadella è oggi interpretata da artigiani che ne curano nei dettagli la produzione. È un gioco dei ruoli virtuoso che soddisfa mercati e consumatori diversi, dall’intenditore al bambino che esce da scuola con una fame da lupi. La seconda è che si sta diffondendo l’uso di servire la mortadella a cubetti, un taglio che non ne valorizza la incredibile capacità di profumi. La mortadella deve essere proposta a fette, meglio se tagliate espresse, come nella più alta tradizione delle salumerie. Parliamo ora di storia. Si parla della mortadella già nei libri di cucina del Trecento, anche se è probabile che esistessero diversi tipi di mortadella confezionate con carni di vitello e di asino. La fabbricazione e l’applicazione dei sigilli di garanzia era di competenza della Corporazione dei Salaroli, una delle più antiche di Bologna, che già nel 1376 aveva per stemma un mortaio con pestello. È infatti probabilmente il mortaio a dare il nome a questo salume. La prima ricetta di una mortadella è probabilmente quella pubblicata nel 1557 da Cristoforo da Messisbugo nel suo Libro Novo. Si parla di mortadelle di fegato e anche di carne. Sono ricette di carni pestate e aromatizzate insaccate in budello naturale. Un’altra ricetta scritta arriva nel 1644 con il celebre trattato bolognese di Vincenzo Tanara “L’economia del cittadino in villa”. La mortadella era in quegli anni un bene di lusso e addirittura, come si legge in un editto del 1650 promulgato per assicurare vitto e alloggio ai forestieri di passaggio in occasione del Giubileo, si pagava la mortadella 4 volte il prosciutto. Da lì in poi la mortadella diventò indissolubilmente legata alla città, tanto da essere chiamata da tutti semplicemente Bologna. Oggi viene prodotta con carne magra di maiale e trippino. Riporto la ricetta di uno degli artigiani più reputati, Pasquini & Brusiani. «L’ingrediente principale della mortadella è la carne magra di suino. Per la quasi totalità noi utilizziamo i muscoli della spalla. Altro componente fondamentale è il ‘trippino’, ovvero lo stomaco di suino. E’ questo ingrediente che determina in gran parte il gusto e la consistenza della mortadella. Terzo componente chiave della mortadella è il ‘lardello’, ovvero i piccoli cubetti bianchi che compaiono nella fetta del prodotto. A dispetto del nome, il lardello che utilizziamo non proviene dal lardo, ma dalla gola. Questa parte grassa ha infatti migliori caratteristiche in fase di cottura. Il lardello dapprima viene fatto a cubetti, poi viene lavato con acqua calda per asportare la patina superficiale di grasso che impedirebbe al cubetto di amalgamarsi completamente nel prodotto e ne causerebbe il distacco dalla fetta durante il taglio. La parte magra e la trippa vengono finemente triturate fino ad ottenere una specie di pasta. La pasta ed i lardelli vengono poi introdotti in una impastatrice insieme agli altri ingredienti, ovvero sale, pepe e spezie. L’impasto completo viene trasferito alla macchina per insaccare che, operando sotto vuoto, elimina dall’impasto tutte le bolle d’aria. Le mortadelle vengono formate utilizzando involucri naturali o sintetici in pezzature che variano da 1Kg a 14Kg. Il formato classico è di circa 12Kg e cuoce per 24 ore.». IL DIAVOLO di Andrea Vitali Il Diavolo nei tarocchi rappresenta l’Inferno, il luogo maledetto che attende ogni uomo che, nonostante gli insegnamenti espressi dagli altri Arcani Maggiori, non sia stato in grado di comprenderli o di seguirli, dato che il peccato conduce inesorabilmente alla perdizione dell’anima. La carta del Diavolo è l’unica a non essere sopravvissuta nei mazzi Quattrocenteschi per il motivo che quell’immagine, incutendo una certa tensione, non veniva riposta assieme alle altre carte una volta terminata una partita, ma chiusa probabilmente nel buio di qualche cassetto. ‘Vade retro Satana!’ Così non sappiamo con precisione come il Diavolo venisse rappresentato nei tarocchi anche se possiamo immaginarlo. Le sue versioni iconografiche, derivate dal Dio etrusco degli Inferi Charun, rispecchiano la tendenza del tempo che lo figurava mostruoso, con naso adunco, denti a forma di zanne, orecchie a punta, ali di pipistrello, zampe di falcone o caprine, con le corna e, in diverse occasioni, anche gastrocefalo, cioè con un viso sull’addome a significare, al di là di un crescendo di bestialità, lo spostamento della sede intellettiva, posta al servizio degli appetiti più bassi. In questa ultima versione venne raffigurato da Giovanni da Modena nell’affresco dell’Inferno all’interno della Cappella Bolognini a San Petronio. E non poteva essere diversamente dato che Bartolomeo Bolognini, che commissionò l’affresco all’artista, nel suo testamento aveva raccomandato che l’immagine dell’inferno fosse “Orribilis quantum plus potest”, cioè ‘Il più possibile orribile’ e certamente il risultato corrispose all’effetto desiderato. In diverse carte il Diavolo, incatenato ad un grande blocco di pietra, tiene incatenati a sua volta un uomo e una donna, del tutto nudi. Si tratta di Adamo ed Eva, i nostri progenitori che il Diavolo astutamente beffò. Nella divinazione, il Diavolo possiede molteplici significati di cui i più utilizzati si riferiscono alle paure, alle ossessioni, al sesso per puro piacere, a strategie nascoste, significando inoltre quelle persone che, figli adottivi del mostro, vivono nel mondo solo per complicare l’esistenza al prossimo. Si tratta, in quest’ultimo caso, di una persona-diavolo che, come recita il titolo dell’opera lirica Il Diavolo color di rosa di Errico Petrella, fingendo di essere amico, pugnala poi alle spalle. La Torre, Colli di Parma Malvasia e Colli Piacentini Malvasia. di Giorgio Melandri «La Torre è l’attacco alla casa e in cartomanzia la Torre significa crisi, ma anche vincere quando è la nostra ira che abbatte gli avversari. Inoltre significa tentazione, colpo di fulmine, rottura con il passato. A noi piace abbinare la Malvasia di Parma e Piacenza alla rottura con il passato, con la storia che questo vitigno ha avuto nella natia Candia prima di giungere in Italia.» Parma e Piacenza, un confine sfumato che attraversa i territori con le contaminazioni che inevitabilmente incrociano le strade di tanti prodotti. A fare da filo conduttore un gusto emiliano sottolineato da Giancarlo Spezia in un articolo uscito sul quotidiano La libertà a proposito dell’appartenenza della cultura piacentina. Scrive Spezia: “Mi sono stupito, ma non avrei dovuto, quando alcuni hanno ventilato una annessione a Lodi e l’entrata in Lombardia. Io non ci avrei pensato neppure un istante, ma ahimè non sono un modaiolo e questo volo pindarico non mi sarebbe mai appartenuto. Malgrado abbia passato alcuni dei migliori anni della mia vita a Milano, dove il Politecnico mi ha forgiato, io mi sono sempre sentito Emiliano sino al midollo. Ma non si tratta solo di un fatuo idealismo. Siamo diversi. I confini caduti con l’unità d’Italia oltre centocinquanta anni fa in un certo senso esistono ancora. Basta percorrere alcuni chilometri o attraversare un ponte per ritrovare la stessa lingua ma con accento e cadenza diversi, abitudini differenti, ma la cosa che distingue ancora maggiormente questi confini è la tradizione del cibo, quello attorno al quale la famiglia fortunatamente ancora oggi si riunisce e comunica. Così risalendo la Valtidone all’improvviso all’altezza della diga del Molato entrerete in quello che fu l’Antico Piemonte e non ritroverete più i tortelli con la coda, sostituiti da più anonimi e disdicevoli ravioli a base di carne, come attraversando il Po troverete sapori agrodolci che non ci appartengono, per esempio nei tortelli cremaschi con amaretto sbriciolato nel ripieno. Ma in realtà a fare la differenza non è la mancanza di un solo piatto particolare, quanto un gusto diffuso e complessivo che ci distingue dai Lombardi come dagli Antichi Piemontesi collocati nell’attuale Oltrepò Pavese.”. Sono bellissime queste parole di Spezia e collocano definitivamente Piacenza in Emilia. Un fatto non scontato nonostante la continuità territoriale di tanti prodotti e di diverse abitudini. La Malvasia aromatica di Candia è uno di questi, forse quello dove è più leggibile una matrice comune di queste due province. E neanche solo due, dato che nel territorio reggiano, a partire dalla Val d’Enza, la Malvasia aromatica di Candia è diffusa e vinificata. C’è una trama che collega le diverse provincie del viaggio sulla Via Emilia tra Bologna e Piacenza e la Malvasia lo racconta bene. Un altro testimone è la Barbera che ha un ruolo in tutti i territori collinari dalle valli Piacentine fino ai Colli Bolognesi. Si ipotizza che l’origine della Malvasia aromatica di Candia, come sottolineato dal nome, sia nel Mar Egeo, precisamente nell’isola greca di Creta. Si sta però facendo avanti anche un’altra ipotesi avvalorata dal fatto che vi possa anche essere semplicemente un’origina latina del nome, derivante da candidus ovvero bianco, e non dalla parola dalla parola araba al-khandaq (il fossato) che nel caso di Creta sarebbe un lascito della dominazione araba dell’isola. “Siamo andati a cercare la Malvasia a Creta, ma le poche piante sono di origine italiana.”, racconta Roberto Miravalle presidente del Consorzio Tutela dei Vini Piacentini, “Quello che è interessante emerge invece dagli studi di Attilio Scienza dell’Università di Milano e di Serena Imazio dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia: la Malvasia Aromatica di Candia è diversa da tutte le altre 18 Malvasia bianche italiane, lontana geneticamente da tutte ed anche dalla semplice Malvasia di Candia diffusa in Lazio. Si potrebbe ipotizzare addirittura un’origine autoctona e anche un’ibridazione con uve lambrusche che sarebbe testimoniata dalla presenza di alcuni geni. Una ipotesi, ma sicuramente la dimostrazione che la storia di questo vitigno in Emilia ha radici che vanno molto indietro nel tempo.” Nella tradizione è sempre stato il vino frizzante da accompagnare ai salumi, ma negli ultimi vent’anni ci sono state alcune etichette che ne hanno cambiato radicalmente la storia. La prima è la Malvasia Emiliana di Lodovica Lusenti, piccola artigiana della piacentina Val Tidone. Emiliana è una malvasia rifermentata in bottiglia senza sboccatura come nella tradizione ancestrale dei vini frizzanti emiliani. È un vino sfaccettato, che ha note di fiori bianchi e pietra focaia, salato e asciutto. Un vino che ha ridefinito la categoria insieme alla malvasia “La mia malvasia” prodotto con la stessa tecnica da Camillo Donati sui colli di Parma. Sono loro i riferimenti di questa tipologia che esprime una complessità straordinaria senza tradire il carattere popolare. La novità rispetto alla tradizione è nell’uso in purezza del vitigno malvasia che nella storia veniva abbinato ad altre uve bianche come sottolineano i vini che Giulio Armani produce a Travo, nell’alta Val Trebbia, con la sua piccola azienda Denavolo. Sui terreni poveri e sassosi dell’azienda Giulio alleva e vinifica solo uve bianche come è tradizione di questa parte di valle –Ortrugo, Malvasia di Candia aromatica, Trebbiano romagnolo, Marsanne (qui chiamata sciampagnino)– e lo fa con le lunghe macerazioni nelle quali è un maestro indiscusso. Il risultato sono vini complessi, sfaccettati e cangianti al naso, freschissimi in bocca, asciutti e vibranti. Una ultima e importantissima tappa degli ultimi anni è Ageno, vino prodotto da La Stoppa, l’azienda dei colli piacentini che rappresenta l’esperienza più storica ed importante per i vini di qualità. Si tratta di un vino prodotto a partire dall’annata 2002 con la tecnica della macerazione sulle bucce da uve Malvasia di Candia Aromatica in maggioranza con un saldo di Ortrugo e Trebbiano. Una nuova frontiera per l’aromaticità della Malvasia che qui trova complessità e longevità. Un vino imperdibile che rivoluziona l’idea storica e tradizionale di questo vitigno arricchendola con una nuova possibilità. LA TORRE di Andrea Vitali Chiamata in origine con i nomi di ‘casa, sagitta, foco, cieli’ la Torre viene rappresentata nelle carte quattrocentesche come una torre fortificata colpita da un fuoco di provenienza celeste. Nei mazzi dei secoli successivi vennero aggiunte due persone precipitare nel vuoto dalla cima dell’edificio. Se fino alla carta del Diavolo, il cui luogo deputato era creduto essere situato sotto la crosta terrestre, gli Arcani invitavano a riflettere su situazioni legate alla conduzione di una vita etica sulla terra, con la Torre la scala mistica dei tarocchi invitava a guardare il cielo, per scoprire nella presenza e nel movimento degli astri a cui l’uomo era considerato essere soggetto, il volere divino. In quei tempi si credeva che sopra la terra si estendesse un cerchio di fuoco, chiamato sphaera ignis (sfera di fuoco), a cui la divinità ricorreva ogni qual volta intendeva punire qualche scellerato che aveva osato ribellarsi al suo volere. La distruzione di Sodoma e Gomorra ne rappresenta l’esempio più eclatante. In pieno Cinquecento questa carta assunse il nome di ‘Casa del Diavolo’ e ‘Casa di Dio’. Essendo lo scrivente un romagnolo, tale apparente contraddizione risultava come si suol dire ‘di casa’ in quanto, come anche gli emiliani suppongo conoscano, dire che qualcuno abita a casa del Diavolo o a casa di Dio significa la stessa cosa, cioè in un luogo lontano difficile da raggiungere. Ma la vera decifrazione si rivelò allo scrivente dalla lettura della storia biblica di Giobbe. Chi fosse costui è presto spiegato: l’uomo più ricco dell’intera umanità biblica. Una ricchezza voluta dal Signore a cui Giobbe ogni mattina dedicava diversi minuti di ringraziamento. Il Diavolo, esasperato da quella sequela giornaliera di gratitudine, si rivolse a Dio sostenendo che forse Giobbe avrebbe smesso di ringraziarlo se la sua casa fosse stata distrutta, i figli uccisi e lui ridotto in miseria. Dio accettò di buon grado la prova, sapendo che Giobbe l’avrebbe superata, data la natura divina che comporta onniscienza e prescienza, cioè la conoscenza di ogni evento, anche futuro. Ma leggiamo quanto riporta la Bibbia: “II fuoco di Dio è caduto dal cielo, ha bruciato le greggi e ha divorato i servi” (Giobbe 1, 16); “I tuoi figli e le tue figlie stavano pranzando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un gran vento arrivò dalla parte del deserto e colpì i quattro spigoli della casa, che è caduta sui giovani, uccidendoli” (Giobbe 1, 18). Senza continuare nel racconto, lasciando pertanto al lettore di intuire gli ulteriori disastri che il Diavolo seppe perpetrare, e arrivando subito al finale della vicenda, riferiamo che Giobbe non solo non provò rancore verso Dio, ma addirittura lo ringraziò: “Nudo sono uscito dal seno di mia madre e nudo vi farò ritorno! Jahvé ha dato e Jahvé ha tolto: il nome di Jahvé sia benedetto” (Giobbe 1, 21-22). Ritornando ai significati di ‘Casa del Diavolo’ e ‘Casa di Dio’, quanto accaduto a Giobbe insegna che coloro i quali a causa della distruzione dei propri averi saranno tentati di rinnegare il proprio Creatore e così faranno, vedranno la propria casa diventare preda del demonio, mentre la casa di coloro che nella medesima tentazione manterranno fede salda, sarà benedetta da Dio il quale dimorerà con loro. Da quanto descritto, in cartomanzia la Torre significa crisi, quando ovviamente cadiamo a causa di qualcuno che ci ha colpiti duramente, ma anche vincere quando è la nostra ira che abbatte gli avversari. Inoltre significa tentazione (dalla storia di Giobbe), colpo di fulmine, dare un taglio al passato e, per estensione, ogni nostra azione in cui mettiamo in campo maniere forti per modificare una situazione. Le Stelle, Reggiano Lambrusco. di Giorgio Melandri «In cartomanzia la carta de Le Stelle ha diversi significati: anima, nascita, piaceri seduttivi, armonia in senso generale e purezza. E significa anche arte. Il Reggiano Lambrusco è questo, un vino di grande equilibrio ed armonia che nasce da una comunità che ha fatto del piacere della convivialità un’arte.» I paesaggi della pianura reggiana hanno un loro linguaggio, una poesia malinconica da scovare lungo strade che sembrano tutte uguali e attraversano paesi e ponti in quantità. Ogni tanto si incontra una bicicletta che sembra ferma, ma spesso si viaggia da soli dentro le fitte nebbie invernali, o nelle giornate arroventate dei mesi più caldi, con gli unici riferimenti dei pioppi degli argini e dei campanili. Sono terre che nascondono queste, a cominciare dai riti collettivi dell’ammazzamento del maiale o della vendemmia. Nascondono tutto e uno s’immagina delle ricchezze nascoste in ogni dove, che poi a cercarle forse si trovano anche. A capire questi territori, e cosa significhi il vino per la gente reggiana, ci può aiutare lo scrittore correggese Pier Vittorio Tondelli che nel suo “Racconto sul vino” , anno 1988, scrive a proposito di una viaggio di ritorno a casa: «… l’altro giorno , vedendo più volte lungo la strada i contadini e le donne intenti a lavare bottiglie, a sciacquarle e ad asciugarle, disponendole in fila sulle rastrelliere al sole, mi sono detto: “Sta per cambiare la luna.” A casa, ho trovato mio padre e mia madre presi da un fervore che non lasciava spazio né ai saluti, né ai “Come stai?”. Facevano il turno per raggiungere la cantina con le loro bottiglie pulite. Ma, trovandosi il nostro appartamento al sesto piano di un condominio, tutto questo avveniva freneticamente tra il cucinotto, i pianerottoli, l’ascensore, le scale condominiali, il garage e, finalmente, i cunicoli delle cantine. Il bello era che anche altri condomini facevano la stessa cosa. » Tondelli descrive poi una comunità tutta indaffarata in un rito che celebra l’identità. E continua: «… questo non aveva a che fare solo con un loro piacere personale, con la soddisfazione di poter offrire qualche mese più tardi una bottiglia buona, di poter regalare qualcosa a cui avevano contribuito con le loro mani e con la loro piccola fatica, ma, credo, con l’essenza stessa della loro vita : con i ricordi, con le persone scomparse che, molti anni prima, in ambienti completamente diversi, all’aria delle cascine e delle case coloniche, avevano celebrato lo stesso rito. Così, nell’atto di compiere quei gesti non erano più il ragioniere, il geometra, il dottore, ma i figli della loro terra, allo stesso modo in cui io, scendendo da un treno e annusando quegli odori, ho la profonda consapevolezza di essere impastato di quella nebbia e di quei vapori che la campagna emana in certi giorni dell’anno. E che le mie radici sono da nessun’altra parte che in quel mondo contadino. ». Pier Vittorio Tondelli, nato a metà degli anni cinquanta nel momento cruciale dell’evoluzione della nostra società da agricola ad industriale, ha amato come tutti i giovani della sua generazione la musica rock, la cultura americana, l’atmosfera metropolitana e ha però sentito ad un certo punto il bisogno di riconciliarsi con le radici. Ne scrive: «… per capire quei gesti e quei riti che, con una frattura di così grande insensatezza, sono scomparsi nel giro di una generazione. È proprio questo il percorso. Dove non c’è nostalgia, ma semplicemente il desiderio di capire se stessi, di indagare, di raccontare le persone e la cultura che ci hanno contenuti, e di cui il vino è il grande serbatoio di vita e di immaginario. ». Le parole di Tondelli sono profondamente emiliane. Generose, aperte, esattamente come la gente di qui. Il Lambrusco Reggiano è tutto questo. È cultura e identità, ma soprattutto è il simbolo di una comunità. Il vitigno principe di questa DOC è il Lambrusco Salamino, elegante ed equilibrato nei tannini anche quando si confronta con le generose produzioni di pianura. In realtà, da disciplinare sono ammessi tanti altri lambrusco: Lambrusco Marani, Lambrusco salamino, Lambrusco Montericco, Lambrusco Maestri, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco grasparossa, Lambrusco Viadanese, Lambrusco Oliva, Lambrusco Barghi, ma i vini a prevalenza Salamino sono sempre i più convincenti. “Per il nostro Concerto abbiamo scelto di lavorare con il Salamino in purezza perché è quello che ci garantisce i risultati migliori per quel che riguarda la cremosità, il frutto e l’eleganza.”, spiega Alberto Medici della Ermete Medici. Il Salamino utilizzato per il lambrusco Concerto, il Lambrusco Reggiano più famoso al mondo, proviene dalle vigne che la famiglia possiede nella tenuta La Rampata, nella fascia pedemontana che accompagna l’imbocco della Valle dell’Enza. A sancire la diversità del territorio collinare, dove domina il Lambrusco Grasparossa, da quello di pianura dove il salamino esprime una grande eleganza e ottima carnosità di frutto, ci pensa una DOC poco conosciuta, ma importante. Si chiama Colli di Scandiano e Canossa ed ha nella tipologia Grasparossa il suo punto di forza. Le colline che si alzano dietro la via Emilia in provincia di Reggio Emilia hanno terreni interessanti e variegati, che passano dalle argille della prima quinta collinare ai terreni poveri e sciolti delle colline più alte. Siamo nel cuore delle famose Terre Matildiche che Matilde di Canossa difese con un sistema di castelli che comprendeva i castelli di Pianello, Rossena, Canossa, Sarzano e Carpineti. Queste colline vedono oggi il fiorire di piccole realtà che stanno recuperando la rifermentazione in bottiglia senza sboccatura, la tecnica ancestrale di produzione che regala ai vini i nasi terrosi e complessi di un diverso linguaggio del vino. LE STELLE di Andrea Vitali Nella carta del tarocchino bolognese sono raffigurati i Re Magi che seguendo la stella cometa, navigatore satellitare ante litteram, giunsero al cospetto del Salvatore. Se nelle carte miniate dei Tarocchi di Ercole I d’Este appaiono due astrologi, in quelli Visconti-Sforza e Colleoni una fanciulla tiene alta in una mano una stella a otto punte. L’otto, che nella numerologia mistica cristiana è chiamato Ogdoade, è un numero molto importante poiché se è vero che Dio fece l’universo in sei giorni, per riposarsi il settimo, fu nel giorno successivo che prese vita l’universo nella sua completezza. L’otto si configura quindi quale simbolo numerico di unione fra la terra - che è caratterizzata dal quattro (quattro stagioni, quattro venti, quattro elementi), e il cui simbolo è il quadrato - e la divinità, espressa da un cerchio, i cui punti sono infiniti. Non a caso i battisteri cristiani sono ottagonali in quanto al suo interno, attraverso l’acqua del battesimo, si ottiene completezza di vita cristiana. Lo stesso numero di punte contraddistingue la stella maggiore e le altre quattro più piccole che la attorniano in una xilografia (incisione su legno) della fine del Quattrocento, ora alla Yale University, che divenne modello per tutti i mazzi successivi. Oltre alle cinque stelle, appare anche una naiade, ninfa delle acque sorgive inginocchiata nell’atto di versare del miele contenuto in due brocche in uno specchio d’acqua. Sulla spalla della Naiade appare una stellina ad otto punte. Questo insieme allegorico ci parla del mito platonico della discesa delle anime nella generazione, una nascita ritenuta di origine stellare splendidamente descritta dal neoplatonico Porfirio (II secolo d.C.) nell’opera De Antro Nimpharum, cioè l’antro delle ninfe. Ma leggiamo a proposito cosa scrive Porfirio: “I teologi ponevano negli antri il simbolo del cosmo e delle potenze cosmiche e della essenza intellegibile...(§9). Con Ninfe Naiadi indichiamo in senso specifico le potenze che presiedono alle acque, ma i teologi designavano tutte le anime in generale che discendono nella generazione. Essi infatti ritenevano che tutte le anime si posassero sull’acqua che, come dice Numenio, è divinamente ispirata; egli afferma che proprio per questo motivo anche il profeta disse: II soffio divino si muoveva sull’acqua” (§10). Le anfore sono colme di miele in quanto alimento considerato simbolo della forza seduttiva del piacere che induce alla generazione e “per questo è appropriato anche alle ninfe dell’acqua, come simbolo della purezza incontaminata delle acque - cui le ninfe presiedono - della loro virtù purificatrice e della loro cooperazione al processo generativo” (§17). A rappresentare la nascita nel mondo, nella carta di un tarocco italiano, sempre del sec. XVI, conservato a Rouen, è stata raffigurata Venere uscente dalle acque del mare. Già per i Sumeri Venere era “colei che mostra la via alle Stelle”, simbolo di nascita in quanto dea dell’Amore, dal quale deriva la generazione umana. In cartomanzia questa carta significa anima, nascita di qualunque situazione, piaceri seduttivi, armonia in senso generale e purezza. La Luna, Lambrusco di Sorbara. di Giorgio Melandri «La Luna è una carta complessa dai molti significati. Tra i tanti quelli importanti sono quelli che richiamano la femminilità e il mistero. Il Lambrusco di Sorbara, qui rappresentato al posto dei fari con due bottiglie legate a spago come nella tradizione delle bottiglie rifermentate e non sboccate, è infatti il più femminile dei lambruschi, misterioso per via di quell’identità di forza incredibile ottenuta per sottrazione. Anche la sua storia è legata alla luna per via delle abitudini contadine di seguirne le fasi per decidere il giorno dell’imbottigliamento che era 10 giorni dopo la luna piena di marzo.» Il Sorbara è un lambrusco diverso da tutti gli altri ed ha una precisa identità: è scarico di colore, ha profumi austeri che ricordano la viola e la rosa, è ricco di acidità, ed è elegante nella incredibile sapidità della bocca. La storia di questa famiglia di vitigni è diversa da tutte le altre e tra tutti i lambrusco il sorbara è forse quello più vicino alla vite selvatica. Sull’origine delle viti di lambrusco scrive Mauro Catena, enologo ed agronomo, nel suo saggio del 2008 “Il Lambrusco, la lunga storia di un vino di successo”. Come è ormai accertato la domesticazione della vite avvenne in siti diversi e il processo che portò dalla Vitis vinifera silvestris alla Vitis vinifera sativa è legato alla storia di ambienti e comunità diverse. Certamente la famiglia dei lambrusco è figlia di uno di questi centri di domesticazione dove la pianta si è trasformata in pianta ermafrodita, ha modificato della forma delle foglie e dei semi, ha aumento la dimensione degli acini e ridotto l’acidità. Nel caso dei lambrusco, più che l’isolamento delle popolazioni, ha giocato un ruolo importante il perdurare di un habitat umido e fresco, non idoneo alle viti domesticate giunte con i movimenti migratori arrivati nella penisola da ambienti per lo più caldi e secchi d’Europa e del Medio Oriente. I Lambruschi in particolare, sono considerati molto vicini alla silvestris e confermano attraverso l’analisi del loro patrimonio genetico l’esistenza di un centro di domesticazione secondario nell’Italia del nord est. Come si diceva i limiti ambientali hanno probabilmente favorito un’evoluzione dei Lambruschi senza o quasi l’apporto dei geni delle varietà coltivate di origine, cosa che invece è avvenuta per molte altre varietà europee. Si può pertanto concludere che nel lungo periodo di domesticazione indotta dall’uomo, nell’area di diffusione dei Lambruschi si sono fissati nei vitigni caratteri genetici differenti da quelli originari, ma sufficienti ad attestarne l’indiscussa autoctonia. Limitandosi a deduzioni di carattere esclusivamente organolettico, sembra che il Sorbara (più acido ed aggressivo al palato, con colore rosso poco intenso, con aromi riconducibili principalmente alla viola e alla rosa, accompagnati da ciliegia e mirtillo) abbia conservato maggiori caratteri della vite selvatica originale rispetto al salamino (più equilibrato, di un bel colore rosso rubino intenso con note violacee a causa della ricchezza in antociani, morbido e delicato con profumi fruttati che ricordano fragola, ciliegia e lampone) e al grasparossa, che dei tre sembra quello che ha ricevuto un maggior contributo da apporti genetici esterni all’area che lo hanno reso più simile ad un vino rosso tradizionale (colore rosso rubino intenso, carattere decisamente tannico e un aroma in cui dominano amarena, mora e mirtillo, con note di frutta secca). Il documento più antico dove si cita il vino Lambrusco risale al 1670 ed è una lista di vini inviati a Roma e Tivoli per rifornire la cantina del Cardinale Rinaldo d’Este, in cui si elencano tra gli altri tre fiaschi (di circa 40 litri ciascuno) di vino Lambrusco. Da allora il lambrusco è cambiato e più di tutti è cambiato il Sorbara, oggi protagonista di una stagione dove le produzioni di qualità lo vedono vinificato in purezza nonostante sia coltivato con il lambrusco Salamino. Scrive Mauro Catena: «Ha fiori fisiologicamente femminili, con stami corti e reflessi che lo rendono autosterile (maschio sterilità). Ciò rende opportuna, nei vigneti specializzati, la presenza di impollinatori di cui il più utilizzato è il Lambrusco salamino. Il grappolo si presenta spargolo e spesso accompagnato da acinellatura verde (alcuni chicchi rimangono del diametro di pochi millimetri come conseguenza di un’anomalia che ne facilita l’aborto floreale e però ne esalta la grande acidità, un’acidità salata che è paragonabile solo a quella dei grandi Champagne.) È varietà molto vigorosa, con portamento eretto ed espanso della vegetazione, perciò adattabile alle forme di allevamento espanse tradizionali o a forme a spalliera e a doppia cortina; problemi di fertilità delle gemme basali ne compromettono la produttività con potature corte. In purezza si ottengono vini di colore poco intenso caratterizzati da modesta componente tannica, a volte aggressiva, abbinata ad acidità elevata. L’aroma è caratterizzato da note floreali di rosa e viola, accompagnate da una componente fruttata dominata da piccoli frutti (mirtillo rosso e nero) e ciliegia. Si adatta particolarmente alla produzione di spumanti col metodo classico o ancestrale. Ad oggi sono disponibili 4 cloni certificati. » La sua attitudine alla rifermentazione in bottiglia ne fa uno dei protagonisti della tradizione. È famosa a tal proposito una lettera scritta nel 1893 dal prof. Giosuè Carducci all’editore Cesare Zanichelli, in cui si lamenta di uno sfortunato invio di bottiglie di Lambrusco: “Ahimè le bottiglie le ho ricevute con danno di sei rotte: bisogna che quei signori di Modena mettano più paglia. È troppo danno!”. Ne consegue che, dalla metà dell’800 alla metà del ’900, la maniera più diffusa di ottenere un Lambrusco frizzante naturale in senso industriale, era rappresentata dalla rifermentazione in bottiglia. Si otteneva così un frizzante torbido, senza sboccatura, e la gran parte del prodotto rifermentato era comunque ottenuta non in cantina, ma a cura dell’acquirente, consumatore diretto o spesso oste. La più antica esperienza in tal senso venne avviata a Modena sulla scorta del successo conseguente alla gestione della Trattoria dell’Artigliere. Nel 1860 prese così ad operare la prima cantina di produzione di Lambrusco frizzante di tutta l’Emilia. Le produzioni migliori venivano sottoposte alla eliminazione delle fecce anche con metodi che ne diminuissero le perdite di quantità e qualitative, dapprima con macchine travasatrici isobariche (messe a punto dal Martinotti alla fine dell’800), mentre attualmente anche nei Lambruschi frizzanti e spumanti rifermentati in bottiglia, si usa eliminare il deposito di fecce di lievito dopo averlo fatto discendere verso il tappo e previa congelamento del collo della bottiglia. La storia di questo lambrusco è sempre nella direzione di una maggior qualità e finezza e consegna al Sorbara anche un altro primato, quello di una precisa lettura territoriale. A questo proposito un articolo di Martino Zuccoli, apparso sulla Gazzetta di Modena dell’11 giugno 1862 ricorda che tale vino deriva da una «…plaga di terra detta Villa di Sorbara eminentemente vinifera ma la brevità della sua superficie rende quasi nulla la quantità di vino da essa esportabile.». È l’idea di cru che si affaccia per la prima volta nel mondo del lambrusco, e non casualmente con il Sorbara. Sono pochi i vitigni che come il sorbara hanno un rapporto così forte ed esatto con il loro territorio. Ne scriveva nel 1934 P. L. Cavazzuti nel suo “Note enologiche sul lambrusco di Sorbara”: «Occorre premettere che il vino di cui parliamo è il migliore, il più importante e rinomato spumante rosso italiano. Si hanno viti di lambrusco a caratteri diversi [omiss] Questo è il famoso Lambrusco della viola, e la varietà è indigena di Sorbara, frazione del Comune di Bomporto; e quindi la culla del Lambrusco, dista 14 km da Modena ed è incuneata tra i fiumi Secchia e Panaro. Il terreno compreso nella zona classica è formato dalle alluvioni dei due fiumi, specie del primo, ed è a fondo prevalentemente sabbioso, permeabile, ricco di potassa. Nei terreni argillosi questo vino assume un colore più carico che si discosta da quello tipico presentando inoltre al palato un’asprezza più elevata del consueto.» Si parla di terroir, con precisione, forse per la prima volta nel mondo del vino italiano. E ancora: aggiunge «Il sottosuolo poi è dappertutto molto sabbioso e permeabilissimo, e le radici delle piante vi si possono stendere liberamente. È di colore bigio leggermente gialliccio ed ha ottimo scolo.». Ancora l’idea di terroir emerge in un piccolo saggio del 1884 sulla lotta alla filossera (comparsa in Italia nel 1879) del Prof. Tito Poggi «Ma, fortunatamente per noi, la Secchia ed il Panaro hanno insabbiato assai bene certi tratti delle loro rive, lungo le quali alcune golene (i nostri saldini) producono già uva abbondante e finissima.». Le sabbie quindi come protagoniste del terroir, la mano del fiume come regista di una condizione precisa, esatta e unica. Un legame del quale parla già nel 1863 Francesco Agazzotti nel suo celebre saggio sul lambrusco modenese: «il suo terreno è quello di pianura ed è per eccellenza tale quello de così detti Saldini (terre golenali del fiume Secchia) qui sulla destra del Secchia in prossimità della Villa di Sorbara: sono questi una terra alluvionale, sabbioniccia, leggera, permeabilissima, onde si hanno due vantaggi l’uno che l’acqua non si rafferma di troppo attorno alle radici della vite, l’altro che le di lei radici godono il beneficio di una continua aerazione, d’importanza così universalmente riconosciuta d’aver dato luogo al proverbio che le radici della vite debbono udire il suono delle Campane.». Oggi è ancora così e l’area della DOC, interamente in provincia di Modena insiste sui comuni che possono vantare i terreni sciolti così amati dal sorbara: gli interi territori comunali di Bastiglia, Bomporto, Nonantola, Ravarino, San Prospero e parte del territorio dei comuni di Campogalliano, Camposanto, Carpi, Castelfranco Emilia, Modena, Soliera, San Cesario sul Panaro. LA LUNA di Andrea Vitali Fu il 20 luglio del 1969 quando la luna dovette rinunciare ai suoi segreti, accogliendo un’umanità che fin dall’antichità l’aveva cantata come dea. Sulla luna, dove andò Astolfo per recuperare il senno di Orlando e le anime erano credute dimorare prima di scendere sulla terra per incarnarsi, solo sassi e polvere. Tutt’altro che afflati poetici. Ma a noi piace pensarla ancora come i nostri progenitori e in particolare come la descrisse Tommaso Garzoni da Bagnacavallo nell’opera Il Theatro de’ vari e diversi cervelli mondani stampata a Reggio nel 1585: “Se discorri del Cielo, subito trovano la Luna, & la chiamano decoro della notte, madre della rugiada, ministra dell’humore, dominatrice del mare, misura del tempo, emula del Sole, muratrice dell’Aere”. Insomma un astro più che indispensabile. Simbolo del femminile, questa carta viene rappresentata nei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI e in quelli di Ercole I d’Este di epoca quattrocentesca, quale luminare oggetto di indagine da parte di alcuni astrologi. Nei Tarocchi Visconti appare invece una fanciulla che tiene alta sulla mano l’astro crescente. Una sostanziale variazione, adottata in tutti i mazzi dei secoli successivi, apparve nel sec. XVI dove l’astro è raffigurato sovrastare con i suoi raggi un paesaggio metà acquatico e metà terrestre. Nell’acqua è rappresentato un gambero o cancro, mentre sul terreno collinoso due costruzioni sono poste una di fronte all’altra. Se il Cancro in astrologia è sede zodiacale della Luna, risulta essere anche animale simbolo dell’Incostanza come la descrive Cesare Ripa nella sua Iconologia del sec. XVI: “Donna che tiene in mano la luna e con un gambero o cancro sotto i piedi. Trattasi infatti di animale che cammina ora innanzi ora indietro in uguale misura come fanno coloro che ora amano la guerra ora la pace, ora la contemplazione ora l’azione”. Constatazione che diede vita all’aggettivo ‘lunatico’. Le due torri - da intendersi come fari - poste a sinistra e a destra sotto la luna piena che splende in posizione alta centrale, rappresentano la luna crescente e calante, poiché gli antichi, e in particolar modo i marinai, come attestano i trattati di iconologia del tempo, consideravano questi due aspetti lunari, oltre alla luna piena, veri e propri punti di riferimento, fari nel buio della notte. L’ acqua presente nella zona inferiore della carta, da dove esce il gambero, è invece da mettere in relazione, secondo la credenza degli antichi, al momento in cui la luna non appare (luna oscura) perché nascosta nel mare. Nel Seicento vennero aggiunti a questa immagine due cani, uno bianco e l’altro nero, a significare la fedeltà dell’astro. In effetti, seppure incostante come presenza in cielo, la sua influenza che si manifesta sulle maree, sulle nascite, sul ciclo mestruale e su tanto altro ancora, non venendo mai meno fece pensare alla luna come simbolo di fedeltà. Inoltre poiché i cani erano creduti solitamente abbaiare alla luna, la loro presenza ci parla anche dell’Inanis Impetus, cioè di un arrabbiarsi inutile, come racconta l’Alciati nel suo trattato Emblemata del 1531: “Di notte il cane mira la faccia della Luna, come se fosse uno specchio, e vedendosi crede che sia un altro cane e abbaia: ma inutilmente la vana voce si disperde ai venti e Diana [la Luna] continua insensibile i suoi viaggi”. Fra i molteplici significati che la Luna possiede in cartomanzia ricorderemo: segreti, misteri, femminilità, sera, notte, ombra, incertezza, non vedere chiaramente, arrabbiarsi per nulla, e punto di riferimento. Il Sole, Romagna Albana di Giorgio Melandri «Il Sole è una carta che indica verità, chiarezza, successo, giovinezza e vita. È anche una carta che richiama l’uomo e la mascolinità, proprio come fanno gli inaspettati tannini di questa originale uva bianca. Romagna Albana è un vino dalla forte identità, vibrante e pieno di un’energia trascinata dalla bellissima acidità. A noi chiede verità sulla sua identità per potere esprimere la sua capacità di attraversare il tempo e di mostrare la sua forza e la sua vitalità.» L’albana è un vitigno bianco autoctono della Romagna citato già all’inizio del ‘300 (Pietro De Crescenzi, 1304) che ha accompagnato la storia enologica delle colline comprese tra Dozza e Bertinoro evolvendosi e differenziandosi fino ad esprimere diversi biotipi, 5 cinque in totale, perfettamente adattati ai diversi territori di produzione. Per i contadini romagnoli l’albana era il vino che poteva superare l’estate e dunque nella loro cultura il vino importante delle loro case. L’albana, diffusa storicamente nel nord della Romagna fino a Bertinoro, è in effetti una macchina formidabile che accumula zuccheri senza mollare la freschezza di un’acidità sopra le righe. È un’uva generosa, dal grappolo lungo e dorato, capace di arrivare a gradazioni zuccherine impensabili per gli altri vitigni italiani. A questa forza si aggiunge una buccia ricca di tannini e polifenoli, una ricchezza che però complica tutte le operazioni di cantina. Un vitigno diverso da tutto, che coniuga potenza e vulnerabilità alle ossidazioni, fitto di profumi e richiami, materico nel linguaggio, sferzante in bocca. Il mondo contadino ha custodito l’albana per secoli, ma poi le produzioni degli anni ‘80 e ‘90 ne hanno banalizzato il linguaggio e semplificato l’espressione con una mano enologica invadente. Per fortuna recentemente, grazie al lavoro di tanti piccoli artigiani l’albana è tornata a parlare la sua lingua, coccolata in quella diversità che ne fa uno dei vitigni bianchi con più potenziale in Italia. È un’identità ritrovata, sfaccettata e complessa, coraggiosa anche. Lo stesso discorso vale per le albana passite che in questi anni hanno abbandonato gli affinamenti in legno piccolo per riabbracciare la complessità legata a tannini e ad un’acidità tagliente. Sono vini che spaziano dai sentori di frutta–fichi secchi, albicocca, frutto della passione- a quelli di erbe, capperi e agrumi, sempre con la trama tannica che attraversa il bicchiere e porta il naso ad essere cangiante e la bocca ad essere asciutta e antica nel senso più bello del termine. Con questa nuova generazione di artigiani e i loro vini territoriali si apre la possibilità di una lettura delle diverse identità espresse su suoli e altitudini diverse. Ci sono le albana fatte in alto nel faentino (Brisighella, Modigliana) che hanno mineralità spinte, bocche vibranti e infinita austerità, e poi le albana delle colline più basse (Dozza, Imola, La Serra, Santa Lu- cia, Oriolo dei Fichi, Marzeno, Forlì, Bertinoro). Al di là di un dettaglio che deve ancora arrivare i terroir si possono dividere in due grandi famiglie, quelle che esprimono fiori e quelle che esprimono frutti. Questa intuizione è dell’enologa Marisa Fontana che ne parlò la prima volta in un convegno a Bertinoro nel 2011. Riporto fedelmente le sue parole: “Le terre imolesi, della Valle del Senio, e della Serra che vantano suoli decarbonati e quindi meno alcalini e con una frequente presenza di gesso, regalano albana più fruttate che richiamano in modo netto l’albicocca, mentre i territori faentini e forlivesi, che sono in generale più calcarei e vantano una presenza di sabbie più frequente, producono albana floreali con richiami alla salvia. Il frutto riemerge, ma più timidamente, a Bertinoro”. “È una chiave di lettura interessante che trova un riscontro anche nei tre biotipi presenti in Romagna.”, gli fa eco Francesco Bordini, agronomo e wine maker, “L’albana media Gaiana di Dozza- Castel S. Pietro, che si esprime sul frutto, l’albana a grappolo lungo con la punta biforcuta tipica del faentino (Serra e Compadrona), che regala profumi floreali e vegetali, e l’albana gentile di Bertinoro che ha il grappolo corto ed era adatta ai bassi alberelli di quel territorio.”. Una lettura preziosa dalla quale partire per un’indagine sull’identità che ancora una volta è assolutamente territoriale. IL SOLE di Andrea Vitali Nei tarocchi quattrocenteschi Visconti-Sforza questa carta ci presenta il Genio del sole, cioè lo spirito che governa l’astro, in pratica la sua anima. Il Genio appare come un giovinetto nudo con al collo una collanina di corallo che, lungi dall’essere un semplice ornamento e come troviamo ai polsi o al collo di bambini nell’arte medievale e rinascimentale, era considerata un potente talismano contro la peste. Un’immagine singolare appare nel ferrarese Tarocco di Ercole I d’Este dove un vecchio all’interno di una botte è ritratto dialogare con un giovane. Si tratta evidentemente di Diogene, maestro di Alessandro Magno, il quale dedito all’ascetismo decise di vivere per un po’ di tempo in una botte. Poiché l’unico bene che possedeva era una ciotola di legno, da buon asceta decise di regalarla quando vide un ragazzo che beveva dall’incavo delle mani. Per comprendere il motivo della presenza del filosofo greco occorre far riferimento al biblico Libro dell’Ecclesiaste, in cui si afferma che tutto ciò che avviene sotto il sole è vanità, anche il pensiero dei sapienti. Un concetto che sembra sposare la celebre affermazione di Socrate “Più conosco, più so di non sapere”, con la quale il filosofo intese esprimere una ferma condanna verso qualsiasi atteggiamento di presunzione. “Vanitas vanitatum et omnia vanitas” declamavano i saggi, frase che in italiano suona “Vanità di vanità, tutto è vanità”, un insegnamento a non ricercare nella vita, di cui il sole è simbolo, chissà quali traguardi dato che tutto si tramuterà in polvere. Per questo motivo in un tarocco parigino del sec. XVII una donna è raffigurata guardarsi in uno specchio tenuto in mano da una scimmia, animale che nell’antico testo del Fisiologo viene accumunato al demonio il quale tenta le ragazze rendendole vanitose. I due fanciulli che appaiono nella carta del Sole nel maggior numero di mazzi conosciuti, rappresentano Apollo e Bacco, dei solari simboli di gioventù. Il sole infatti era considerato simbolo di giovinezza, dato che ogni giorno ritornava con giovanile vigore ad illuminare il mondo, dopo essersi riposato la notte perché stanco. Molte preghiere venivano rivolte dai pagani ai due dei solari sopra menzionati per poter godere di eterna giovinezza. In un’epoca in cui non esisteva la chirurgia plastica, tutto sommato si trattava di una richiesta più che coerente. Al di là del consiglio di fuggire le effimere soddisfazioni, la presenza del Sole nei Tarocchi fa riferimento alle sfere celesti che, nella visione del cosmo medievale, potevano influenzare la vita dell’uomo. Sotto l’aspetto divinatorio questa carta esprime solarità, illuminazione della mente, capacità di vedere bene le cose, giovinezza, vita e crescita. Giudizio, Brisighella Olio Extravergine di Oliva. di Giorgio Melandri «Il Giudizio è la carta che indica la conoscenza delle cose, delle persone e delle situazioni. Questa conoscenza permette la corretta valutazione da parte della giustizia divina. Le tre figure classicamente rappresentate dalla carta, che escono dalle tombe nel giorno del giudizio universale diventano per noi i tre colli di Brisighella - la rocca veneziana, la torre dell’Orologio e il santuario del Monticino - e quindi il territorio. L’olio di Brisighella nasce infatti da questo rapporto di conoscenza tra uomo e luogo, figlio della lettura puntuale degli ulivi di Nostrana di Brisighella ai quali non si può nascondere alcun segreto.» Viaggiando sulla statale 302, la strada che collega Faenza a Firenze attraversando la Valle del Lamone, si può godere di un paesaggio unico in Emilia-Romagna, i terrazzamenti di ulivi. Sono 100.000 piante iscritte alla prima DOP italiana dell’Olio extravergine di oliva, la DOP Brisighella. Questa piccola DOP è l’ultimo felice residuo della grande diffusione che l’ulivo ha avuto in Appennino. Per fare un esempio, i colli bolognesi erano grandi produttori di olio e vi sono diverse fonti e diversi toponimi a testimoniarlo. Fu probabilmente durante uno dei periodi più freddi della Piccola Età Glaciale (1300-1900), il cosiddetto “Minimo di Maunder” (dal 1645 al 1715 circa), che gli ulivi scomparvero dai paesaggi appenninici lasciando qualche albero a sopravvivere in punti dal microclima speciale. Questo non avvenne a Brisighella e Modigliana, probabilmente grazie all’azione combinata della sella appenninica del passo della Colla, abbastanza bassa di quota e capace di alimentare la valle del Lamone con aria del versante tirrenico, e della vena del gesso che qui affiora su tutto il territorio e crea un microclima eccezionale. Certo è che gli ulivi di Nostrana di Brisighella e Ghiacciola, che già erano capaci di reggere gli inverni rigidi con un ciclo vegetativo di grande prudenza, resistettero a secoli di freddo per consegnare alla Romagna una delle più belle identità di extravergine del nord Italia. L’olio di Brisighella è inconfondibile, erbaceo e algido, con richiami ad erbe e carciofi, amaro ed elegantissimo in bocca, quasi privo del piccante che firma invece gli olii di Rufina e Chianti Classico. La presenza dell’ulivo nella valle del Lamone è antica come dimostra il ritrovamento di un rudimentale frantoio del II secolo d.c. negli scavi fatti negli anni ’50 alla Pieve del Tho. Ci sono poi diverse testimonianze successive. Nello “schedario Rossini” conservato alla Biblioteca Comunale di Faenza vi sono ben tre atti notarili che evidenziano degli uliveti nella Valle del Lamone. Sono datati 24 maggio 1479, 2 settembre 1499 e 29 settembre 1499. Nel 1594 il brisighellese Mons. Andrea Giovanni Calegari (1527 – 1613), Vescovo di Bertinoro in una lettera indirizzata al Medico del Granduca di Toscana Hieronimo Mercuriale di Forlì, ricorda la bellezza e la fertilità della Vallata del Lamone e, in particolare, la copiosità e la grandezza degli olivi che facevano bella mostra a chi da Firenze si avventurasse verso Faenza: “… l’aria, l’acqua, li vini, l’olio, li casci e frutti che nascono sono così buoni e saporiti che non hanno invidia a qualsiasi altra regione…”. E ancora, lo storico brisighellese Francesco Maria Saletti (1596 - 1674), nel suo “Comentario di Val d’Amone”, tuttora inedito, esalta, in più parti dell’opera, la bellezza della Valle, mettendo in luce come l’olio e il vino, siano due prodotti tipici ed eccezionali della Vallata del Lamone. Ci sono poi diversi altri documenti conservati nell’archivio notarile di Brisighella che citano gli uliveti a partire dal 1500 e fino a tutto l’800. Anche Antonio Metelli (1807 – 1877) nella sua “Storia di Brisighella e della Val d’Amone” scrive: “… imperocchè dove appena cominciano a spuntare le collinette, e a far riparo coi loro dorsi ai venti, che spirano da tramontana, ivi vedesi verdeggiare le perpetue foglie d’ulivo, raro d’apprima, poi cresciuto in numero e unito alle vigne, spargersi insieme con esse lungo la sinistra giogaja, che volge a mezzodì tanto che per lo spazio che la medesima come da Fognano fino a Brisighella, quelli cò rami, queste cò tralci quasi tutte l’adombrano. Le ulive, che quivi particolarmente si raccolgono, e nei concavi seni della valle dove fa un’aria tepida e benigna, non sogliono per l’ordinario ascendere ed eguale quantità, essendo il mignolare dell’ulivo, anziché stabile, alternativo, ma i frutti sono sempre così perfetti che ne stilla da essi un olio finissimo.”. Il versante sinistro della Valle del Lamone quindi, oggi come allora, è il cuore di questa straordinaria DOP e forse si potrebbe indicare Rontana come il luogo simbolo del legame tra gessi e ulivi, il centro geografico di tutta l’identità. Lo dimostrano anche i vecchi cartigli del Brisighello che riportavano l’elenco dei cru selezionati per produrre questa mitica bottiglia che ha fatto la storia della DOP. “Nerio Raccagni, patron della Grotta di Brisighella, ci stimolò a produrre una bottiglia dove fosse certificata tutta la filiera. Era il 1975 e la CAB, la Cooperativa Agricola Brisighellese, cominciava ad imbottigliare l’olio fino ad allora venduto in damigiane. Pensammo ad una bottiglia che fosse numerata e avesse un cartiglio firmato da tutti davanti al notaio Baruzzi. Nacque così il Brisighello che Nerio poi promosse dentro alla grande ristorazione italiana. Lui era uno dei fondatori dell’AIS e con la Grotta aveva conosciuto tutti i ristoratori italiani importanti.”. A parlare è Franco Spada, a lungo presidente della CAB e memoria storica dell’olio di Brisighella. La svolta nella cooperativa era arrivata nel 1972 quando Teo Tredozi e Floriano Venturi, convinsero i soci ad investire su un frantoio all’avanguardia. Arrivò quindi a Brisighella la famosa Sinolea, una macchina allora all’avanguardia. Da quel momento la separazione di tutti i cru e l’assaggio di ogni singola partita per fare la selezione divennero i riti che fecero grande il nome di Brisighella. “Nel 1995 arrivò la DOP, la prima in Italia, e a quel punto capimmo che non aveva più senso autocertificarci, c’era una legge che lo faceva.”, prosegue Spada, “Però gli anni di esperienza ci avevano consegnato una lettura territoriale con un dettaglio pazzesco. E i vecchi cru, diciamolo, non avevano mai tradito.”. A fargli eco è Gianluca Tumidei, uno dei protagonisti odierni dell’olio romagnolo che con la sua Tenuta Pennita produce degli strepitosi olii a base di Nostrana di Brisighella in purezza: “I vecchi contadini non sbagliavano mai. Io gestisco il cru storico di Valdoleto, tra Fognano e Zattaglia e quando ne frango le olive ho l’adrenalina alle stelle. I profumi che si sprigionano sono di una purezza e di una intensità senza paragone. È un olio verticale, nitidissimo e fresco. Che infatti imbottiglio separatamente.”. La Valle del Lamone è piena di alberi storici, soprattutto di Nostrana di Brisighella che è poi la regina della DOP dato che il disciplinare ne prevede almeno il 90%. “La Nostrana è un’oliva bianca, della famiglia delle olive adriatiche come l’Ascolana tenera o l’istriana Bianchera. La Ghiacciola è più “tinta” ed io credo che sia di origine toscana. Lo dimostra, secondo me, la sua maggiore presenza nelle vallata di Modigliana che fu sempre nel Granducato di Toscana. Lì ci sono piante di ghiacciola molto vecchie, come ad esempio alle Ovie o a Tossino. A Modigliana la presenza di olivi è meno continua e la diffusione è sempre più rarefatta man mano che ci si allontana dai gessi, fino ad arrivare alle piccole enclave segnalate a Dovadola, nella Valle del Montone.”. A confermare questa osservazione c’è Gianluca Tumidei: “A Castrocaro, a pochi chilometri da Dovadola, c’è una cultivar chiamata localmente Quarantoleto, che è in effetti una Ghiacciola.”. IL GIUDIZIO di Andrea Vitali Sul Giudizio Universale San Tommaso d’Aquino nella Summa Teologica alla Questione 87 riguardante ‘La Conoscenza dei meriti nel Giudizio’ asserisce che ogni uomo comprenderà in coscienza la sorte che il Signore gli riserverà, e che i meriti e i demeriti di ciascuno saranno conosciuti da tutti in modo che risulti evidente il premio o il castigo assegnati dalla giustizia divina. Giorno dell’Ira Divina quel giorno, che ispirò il celebre componimento medievale Dies Irae a Tommaso da Celano, e che Mozart e Verdi, ma anche tanti altri, rivestirono di note sublimi ancorché inquietanti. Nei documenti del Cinquecento questo Arcano viene chiamato indifferentemente Angelo, Angiolo, Agnolo, termini che l’Aretino, nelle Carte Parlanti del 1543, sostituisce con “Le Trombe”. Infatti, come descritto nel passo evangelico di Matteo (24, 30-31), è con tale strumento che verrà annunciata la venuta del Figlio dell’uomo che preannunce- rà il Giudizio finale. Praticamente in quasi tutte le civiltà il suono della tromba, forte e potente, veniva utilizzato in occasione di cerimonie sacre, ma anche profane e militari, in quanto considerato in grado di associare il cielo e la terra in una comune celebrazione. Nel Sermones de Ludo del sec. XVI, che riporta la più antica lista conosciuta di tarocchi, la carta che segue il Giudizio è la Iusticia, poiché è attraverso la Giustizia, cioè la giusta valutazione delle azioni degli uomini, che l’Arcangelo Michele, una volta conosciuto il bene e il male commesso da ciascuno, separerà gli eletti dai dannati. In quella lista la carta che segue la Giustizia è il Mondo definito ‘Dio Padre’. Un ordine da cui si discosta il tarocchino bolognese che vede invece come arcano superiore il Giudizio stesso. Nei quattrocenteschi Tarocchi Visconti di Modrone, oltre ai morti che si alzano dagli avelli unitamente all’angelo musicante - raffigurazione pressoché identica in tutte le carte dei tarocchi -, appare un uomo a metà busto entrante nella terra o uscente da essa a rappresentare la discesa al Limbo del Cristo. E non poteva essere diversamente dato che il Limbo, dal latino Limbus, cioè orlo, era creduto essere posto sotto la crosta terrestre al confine dell’Inferno. Si riteneva infatti che le anime dei giusti che laggiù dimoravano in attesa della redenzione, essendo vissuti e morti prima della rivelazione - cioè della verità espressa dal Cristo - dovessero assurgere anch’essi nel giorno del Giudizio. Una condizione che li vedeva accumunati a tutti i bimbi deceduti senza battesimo. Se abbiamo scritto ‘accumunava’, cioè al passato, si deve al fatto che la Commissione Teologica Internazionale, con approvazione nel 2007 di Papa Benedetto XVI, ha esplicitamente ammesso che il Limbo non esiste. Una sorte spettante, con qualche variante, anche all’Inferno, dato che diversi teologi, sulla scia di Hans Urs von Balthasar, promosso cardinale alla fine della sua vita, suppongono che se anche quest’ultimo esistesse, sarebbe vuoto. Una affermazione che la rivista ‘Civiltà Cattolica’ ha corretto con “L’Inferno non è vuoto, è solo poco affollato”. In cartomanzia il Giudizio significa conoscere, conoscenza (quella che permette di poter giudicare attraverso la Giustizia) e, data la presenza della tromba, chiamare a raccolta, oltre a perdonare gli inconsapevoli. Il Mondo, Tortellino. di Giorgio Melandri «Il Mondo è una carta di successo che indica il mondo esterno e le persone che stanno a cuore, ma anche ciò che si nasconde nell’intimo delle persone e quindi la loro anima. Il tortellino, come la mandorla mistica della carta, nasconde il ripieno e nella sua varietà di interpretazione rappresenta a tutti gli effetti un vero e proprio mondo.» A leggere i menù dei banchetti bolognesi del Cinquecento e del Seicento si può pensare che la città dovesse ancora inventare le sue specialità, tortellini in testa. Si parlava molto di mortadella, allora un prodotto di lusso, ma maiale e mortaio erano già comuni da secoli. Se i poveri, come scrive lo storico Alberto Guenzi, si accontentavano di pane, vino, legumi e carni salate, i ricchi portavano a tavola ogni bendidio. Le verdure degli orti. E carni di maiale e vitello, capretti, frattaglie. E poi polli, quaglie, piccioni, fagiani, tordi, selvaggina di ogni tipo, luzzi ovvero lucci, storioni del Po, trote, cavedani, tinche, le pregiatissime anguille, lamprede, tartaruche ovvero tartarughe, rane e gamberi d’acqua dolce. Può sorprendere, ma il pesce era una voce importante dell’economia alimentare bolognese. E non solo d’acqua dolce. Ci sono citazioni abbondanti di ostriche, alici salate, sogliole, rombi, ombrine. I tortellini però erano già stati inventati come prova una citazione del 1550 riportata in un diario del Senato di Bologna che parla di una “minestra de torteleti” servita a 16 Tribuni della Plebe riuniti a pranzo. Ma ci sono anche altre citazioni come quella di Cristoforo Messisbugo, scaleo alla corte degli Estensi, che nel suo libro “Banchetti, composizioni di vivande ed apparecchio generale” cita vari tipi di “tortellini grassi”. Il testo fu pubblicato a Ferrara nel 1549, un anno dopo la morte dell’autore. Nel 1570, nel suo enciclopedico trattato, l’immenso Bartolomeo Scappi (il cuoco più importante del rinascimento nonché cuoco privato di Papa Pio V) scrive due diverse ricette di tortellini. La prima è riferita ai tortellini con polpa di cappone ed è una ricetta di un piatto ricco di dolcezze e spezie. C’è un uso abbondante di zucchero, sia nella farcia che nel servizio, e di spezie. Si citano l’acqua di rose per la sfoglia e poi chiodi di garofano, pepe, cannella, zafferano, noce moscata, erbe aromatiche e uva di Corinto appassita. Nell’altra, forse più popolare, si usa pancia di porco o addirittura carne di cinghiale. In ogni caso l’architettura è già a fuoco: una sfoglia di uova e farina che racchiude in piccole forme una farcia di carne e formaggio e che viene cotta in brodo. Scappi riporta che questa preparazione in inverno può conservarsi fino a 30 giorni prima di essere cotta e questo è forse merito della abbondante speziatura. Lo storico Massimo Montanari indica invece la pasta ripiena come cibo deperibile e quindi probabilmente come cibo rituale legato al calendario religioso. Che siano nati per riciclare avanzi o invece come preparazione ricca e ricercata, certo è che i tortellini in brodo hanno conquistato nei secoli fama e successo crescenti fino a diventare il simbolo dell’identità bolognese. La ragione è nella loro raffinatezza: la pasta sottile, una farcia piena di sapore e la perfetta proporzione tra ripieno e sfoglia. Un piccolo capolavoro figlio di una manualità tramandata da generazioni. La carta dei tarocchi che abbiamo dedicato ai tortellini richiama infatti la sapienza delle mani insieme alle due città simbolo di questo piatto, Modena e Bologna. La pasta ripiena non è però solo tortellino. Viaggiando sulla Via Emilia, questa preparazione cambia e testimonia via via la diversità della cultura emiliano-romagnola. In Romagna, dove sono il piatto rituale del Natale, si chiamano cappelletti e la dimensione è più grande. Nelle ricette dell’Artusi infatti il disco di pasta del cappelletto supera i 6 cm, mentre quello per il tortellino neanche i 4 cm. I cappelletti sono ripieni di carne e formaggio nel riminese e nel cesenate, mentre di solo formaggio nel ravennate. Viaggiando verso nord, da Modena verso Piacenza, la pasta ripiena diventa più grande: dai parmigiani tortelli con le erbette ai tortelli piacentini con la coda, passando per i tortelli di zucca del territorio ferrarese. Una trasformazione che racconta di gente e filiere. Fa sorridere, in questa geografia di diversità, il deposito alla Camera di Commercio di Bologna della ricetta e delle caratteristiche del tortellino* che però è un documento importante per la memoria. In città, nonostante questo, si può discutere per ore su cosa sia il “vero” tortellino, a cominciare da quella disputa tutta bolognese tra chi preferisce una farcia con carne cruda e chi invece rispetta la tradizione della carne bollita o stracotta. E a pensarci bene, a proposito di tradizione, è sparito anche il midollo che era uno degli ingredienti importanti del ripieno. La verità è che non esiste un solo tortellino, ma tanti tortellini, forse addirittura uno per famiglia. L’Italia nella sua storia, ha sempre tollerato le differenze fino a farle diventare una ricchezza. E poi, non va dimenticato, la tradizione è un animale in lento movimento. *La ricetta del ripieno è solennemente decretata dalla delegazione di Bologna dell’Accademia Italiana della Cucina e dalla “Dotta Confraternita del Tortellino” e depositata con atto notarile il 7 dicembre 1974, presso la Camera di Commercio di Bologna. La ricetta delle caratteristiche tipiche dei classici “Tortellini di Bologna” ovvero: come si fanno i tortellini è solennemente decretata dalla “Dotta Confraternita del Tortellino” il 19 febbraio 2008 e depositata con atto notarile il 15 aprile 2008 presso la Camera di Commercio di Bologna, Palazzo della Mercanzia. IL MONDO di Andrea Vitali Il Mondo è Dio Padre come scrive un anonimo monaco che commentò i tarocchi sul finire del Quattrocento, il fine ultimo a cui l’uomo deve tendere e che si spera possa raggiungere dopo essere stato valutato dalla Giustizia divina nel giorno del Giudizio. Se nei tarocchi miniati del sec. XV questa carta venne raffigurata da due angeli putti nell’atto di sostenere un tondo nel cui interno risplende la città ideale, cioè la Gerusalemme Celeste così come appare nei Tarocchi Visconti-Sforza, in quelli di Ercole I d’Este il tondo, sovrastato da un putto, riporta un paesaggio con colline, alberi e castelli, in pratica un particolare del mondo come appariva all’uomo medievale. Diversi anni fa, dentro una fessura nel muro del Castello Sforzesco di Milano venne trovata una carta dove l’immagine del Mondo appariva completamente diversa, con una fanciulla pressoché nuda posta all’interno di una mandorla circondata dalle figure in forma animale dei quattro evangelisti. Questa variante, da farsi risalire al sec. XVI, verrà assunta nei tarocchi sino ai nostri giorni. La spiegazione dell’immagine è da ricercarsi nella filosofia platonica, dove l’Anima Mundi, ovvero l’anima del mondo, rappresenta uno spirito o una forza naturale inerente alle cose. Posta nel mezzo dell’Universo, da il movimento agli astri, la vegetazione agli alberi e alle piante, la sensibilità agli animali, la ragione agli uomini. Abelardo vedrà nello Spirito Santo l’anima del mondo, quell’Anima Mundi della quale parlano anche i monaci di Chartres. Per meglio comprendere la figura nella sua completezza, occorre dire che i quattro evangelisti in forma di animale (Leone, Toro, Aquila, Angelo) stanno a rappresentare la terra (quattro elementi, quattro stagioni, quattro venti, etc), mentre la mandorla, che si presenta come un ovale al cui interno è posta la fanciulla, diviene simbolo dell’interiorità nascosta dall’esteriorità, racchiudendo con ciò il mistero dell’illuminazione interiore. Quando troviamo nei timpani delle chiese medievali l’immagine del Cristo dentro una mandorla significa che la sua natura divina era celata all’interno della sua natura umana. Concludendo, l’immagine vuol esprimere la presenza di un’anima divina nel nostro corpo fisico, un’anima di cui tuttavia non ne cogliamo l’aspetto perché invisibile agli occhi. Simbolo del mondo è anche l’utero, inteso come ianua mundi, cioè porta d’ingresso al mondo. In un piatto di maternità fiorentina del sec. XV, ora al Louvre, raffigurante il Trionfo di Venere, la dea è rappresentata completamente nuda in cielo entro una mandorla e sotto di lei, sulla terra, appaiono alcuni uomini. L’artista ha tratteggiato il percorso dello sguardo di questi ultimi che si vengono ad incentrare tutti sul sesso della dea. Nulla di erotico, ovviamente. Si chiamavano infatti piatti di maternità quei deschi dipinti in ceramica o in legno che venivano regalati alle partorienti per omaggiare la loro fecondità. Dal punto di vista divinatorio, questa carta indica il mondo esterno, le persone o le situazioni che stanno a cuore e ciò che si nasconde nell’intimo delle persone. Il Matto, Piada di Giorgio Melandri «Il Matto è la carta che rappresenta la guida dell’istinto e la follia, l’assenza di ragione. Può però anche avere un altro significato, quello del “folle di Dio” che altri non è che il santo. Quello tra santità e follia è infatti un confine labile che apre a fatti straordinari. Abbiamo giocato su questo doppio significato per raccontare la Piada, che non è un pane, ma di fatto lo è, che in fondo è un omaggio all’istinto (e ai gesti) delle donne più povere alle prese con la mancanza di farina di grano, diventato con il novecento un simbolo intoccabile di identità.» La piada, o piadina, è il pane povero della Romagna contadina, probabilmente figlia di farine miserabili e inadatte alla lievitazione come quelle dei cereali inferiori (spelta, miglio, sorgo, segale) o di cicerchie, veccie, castagne, formentone, ghiande e crusca. Nel 1801 il medico riminese Michele Rosa consiglia ai più poveri di confezionare piadine (il pane estemporaneo de’contadini) con farina di mais e ghianda macinata. Nell’inchiesta sanitaria del 1899 la dieta del contadino, a detta dell’ufficiale sanitario di Rimini, era costituita da “polenta sotto forma di piadina cotta nel caldaio con un po’ di biade e schiacciate di farina di mais mal cotte con teglie che le abbrustoliscono fuori senza cuocerle”. Ecco probabilmente l’origine della piada, un’alternativa povera al pane che pure si faceva in tutte le famiglie come testimoniato dalla presenza dei forni a legna anche nelle case più umili. Ci ricorda lo storico Piero Meldini che la prima citazione di un cibo chiamato piada si trova nella Descriptio Romandiole, il censimento fatto redigere nel 1371 per ragioni fiscali dal cardinale Anglic Grimoard de Grisac, fratello di Papa Urbano V. Alla comunità di Modigliana veniva imposto annualmente un tributo che comprendeva due piade. È probabile che queste piade nulla avessero a che fare con la piada moderna, ma piuttosto con quella famiglia di pani lievitati che nel centro Italia vengono chiamate genericamente spianate, in romagnolo spianèdi. Dunque le prime vere citazioni della piada, sempre per citare Meldini, sono del 1572 quando il medico riminese Costanzo Felici ne scrisse in una lettera indirizzata ad Ulisse Aldrovandi. Certo è che la Piê o Pjìda ha una identità tutt’altro che codificata e cambia testimoniando le tante abitudini delle diverse comunità della Romagna. Come sostiene Graziano Pozzetto, gastronomo e autore del libro “La Piadina romagnola tradizionale” edito da Panozzo Editore, è una vera follia cercare di codificare la piada con una ricetta che valga per tutti. La piada è un viaggio che nasce nel riminese, probabilmente la sua culla di origine, e arriva a sud fin nelle Marche e a nord nel ravennate dove la contaminazione emiliana la consegna più alta, spesso lievitata e fritta nello strutto di maiale come si fa per lo gnocco emiliano. Passando l’Appennino in direzione Umbria la piada diventa sempre più alta, e di conseguenza lievitata, fino diventare la crescia umbra, mentre nel Montefeltro con gli stessi ingredienti vengono prodotti i crostoli, ottenuti da una piada unta, arrotolata e spianata nuovamente. Sono cambiamenti che sfumano i confini come è sempre nella gastronomia. Scrive Piero Meldini: “L’estrema penuria di fonti storicodocumentarie lascia intendere che, fino a poco più di un secolo fa, la piada, pur esistendo, aveva un peso assai modesto nell’alimentazione dei Romagnoli, e assolutamente trascurabile nel loro immaginario.”. Partendo da questa riflessione possiamo dire quindi che è il ‘900 a consegnare alla piada quel ruolo simbolico nell’identità che le riconosciamo oggi. Cominciò forse Pascoli che la definì, nel 1909, il pane nazionale dei Romagnoli, forse con eccessiva enfasi. Fatto sta che da quel momento in poi la piada, celebrata dallo stesso Pascoli e da Aldo Spallicci, diventa quello che conosciamo oggi, un pane azzimo fatto impastando farina, acqua, strutto e sale, rotondo e sottile e cotto su un testo, e’ test, il classico disco di argilla cotta che ogni romagnolo custodisce gelosamente in casa. Ovviamente la piada si può cuocere anche su una lastra di ghisa o metallo, ma il rito prevede l’uso di questo strumento meraviglioso. In Romagna resiste ormai solo un ultimo tegliaio, a Montetiffi, nella Valle dell’Uso. Vale la pena visitarlo per capire con quanta sapienza raccoglie e stagiona le argille per garantire a questi oggetti la continuità con quelli storici e un reale attaccamento alle radici. Un oggetto ancestrale, ottenuto impastando due diversi tipi di argille e una pietra locale macinata che garantisce la resistenza al fuoco. Per chiudere vorrei citare le due preparazioni più interessanti tra le mille che hanno la piada come protagonista. La prima vede la piada come la compagna della rustida, la tradizionale grigliata di pesce povero, principalmente i sardoncini ovvero le alici, che si fa sulla costa tra Rimini e Cattolica, bellissima nel rito che coinvolge i pescatori attorno al focone, un rudimentale braciere che sosteneva tutte le cotture. La seconda è quella, più di terra, delle erbe di campo “cotte” nel sale grosso e utilizzate insieme all’aglio e all’olio extravergine di oliva come ripieno dei cassoni, cioè delle piade ripiegate a mezzaluna a mo’ di contenitore e cotte già farcite. Sono probabilmente le erbe agresti citate da Giovanni Pascoli e sono fondamentalmente amare. Sono le rosole o rosolacci, le cicorie selvatiche, i crespini (localmente chiamati al zizerci). IL MATTO di Andrea Vitali Il Matto, Arcano Maggiore senza numero, viene solitamente rappresentato come un pover’uomo coperto di stracci oppure come un giullare. Nella prima versione alcune sue caratteristiche lo accomunano ai vagabondi, che girando per le campagne in cerca di cibo, venivano solitamente aggrediti dai cani di guardia, così come raffigurati in diverse carte di epoca cinquecentesca. Nelle Minchiate di Firenze (cioè i Tarocchi Toscani) un Matto ridente appare vestito di stracci, con piume nei capelli mentre cammina a cavallo di un bastone tenendo in mano una girella e con fanciulli intorno. La girella, gioco dei fanciulli, diviene simbolo di instabilità, rappresentando i suoi comportamenti soggetti all’influsso del vento scirocco (theroco in antico). Il fatto che il folle, come appare anche nei quattrocenteschi Tarocchi di Carlo VI e in quelli di Ercole I d’Este, rida senza ritegno, è da collegarsi ad un detto di Salomone in cui si afferma che il riso è indizio di pazzia dato che le persone sagge erano ritenute ridere raramente e che Gesù Cristo, che fu vera saggezza, non fu mai visto ridere. Più il matto veniva raffigurato con piume sulla testa, così come lo dipinse Giotto nell’affresco della Stultitia presso la Cappella degli Scrovegni a Padova o il Bembo nei Tarocchi Visconti-Sforza del sec. XV, più veniva considerato folle. Questa particolarità che faceva assomigliare molti matti a valenti capi pellerossa, deriva dalla considerazione che gli antichi avevano di Mercurio, la cui testa era concepita dotata di penne, poiché essendo il Dio della parola, sembrava che le sue parole volassero via velocemente come se possedessero ali. Nei matti le piume o penne acquistano un significato ironico in senso contrario, in quanto ai matti mancava del tutto velocità d’ingegno e d’intelletto, oltre alle adeguate parole. Infatti il lucchetto che si trova nella bocca dello stolto, come dipinto da Giotto, assume questa funzione poiché il matto altrimenti direbbe solo stoltezze, come descritto nel passo biblico: ‘Lo stolto è rovinato dalla propria lingua. Le prime parole delle sue labbra sono sciocchezze e la fine del suo discorso follia’ (Ecclesiaste 10:12,13). Questa espressione si riferisce al fatto che venivano considerati matti tutti coloro che non credevano in Dio per cui quando questi sparlavano di religione, per la Chiesa del tempo emettevano solo parole senza senso. Sempre nei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI il Matto, simile ad un giullare, indossa uno slip dall’incredibile foggia moderna, degno dell’Armani più raffinato, mentre nei tarocchi ferraresi di Ercole I d’Este, il Matto espone la sua verga pubblicamente senza ritegno, poiché il matto, essendo matto, non si vergogna di nulla. Dalla carta del Matto derivò il nome Tarocco, termine che nella letteratura del tempo significava stolto, folle, idiota e attributi similari. Fra i molteplici significati cartomantici troviamo l’agire follemente, il lasciarsi trasportare dall’istinto, e per il fatto che il cervello del matto venisse considerato vuoto della pur minima capacità di raziocinio, vuoto di successo in qualsiasi situazione. Carta bianca, L’Adriatico di Giorgio Melandri «La carta bianca la si ritrova in molti mazzi, viene quasi sempre lasciata nella scatola dato che non serve. Eppure c’è. Nella divinazione, secondo alcuni, indica che il futuro è nelle mani del consultante. Noi la dedichiamo al principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia, inventore dei tarocchi, e all’Adriatico, un grande protagonista dell’identità romagnola.» L’Adriatico, grande protagonista dell’identità romagnola, è assente da tutti gli elenchi delle specialità regionali non esprimendo prodotti DOP o IGP. E invece i suoi prodotti sono importanti nella cultura della Romagna. Ma andiamo con ordine. Il primo protagonista di questa carta è quel principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia, che è il reale inventore, in base ai documenti, del Ludus Triumphorum meglio conosciuto con il termine più tardo di Ludus Tarochorum, ovvero il gioco dei tarocchi. Scrive lo storico Andrea Vitali: “Il nostro discendeva da Castruccio Castracani, uno dei più famosi condottieri che la storia italiana ricordi. Ghibellino per nascita e per fede non amava il Papa, il grande avversario, il principe delle tenebre in quanto capo della fazione guelfa. Francesco apparteneva alla stessa razza del suo antenato.”. Inventò i tarocchi, un mazzo inizialmente composto da 14 Trionfi e che solo nel tempo divennero 22. Sempre Vitali conferma: “Ne sono un esempio i Tarocchi Visconti-Sforza che in origine erano 14 dato che le altre carte vennero realizzate da un artista diverso dopo qualche decennio. Lo stesso dicasi per altri mazzi miniati dell’epoca. Si tratta della convalidata teoria 5 x 14, cioè di 14 carte per ciascuno dei quattro semi di spade, bastoni, coppe e denari, più un quinto seme, sempre composto da 14 Trionfi (Arcani), che fungeva da briscola. Verso la fine del Quattrocento gli Arcani raggiunsero il considerevole numero di 22, numero che è da mettere in relazione alla conoscenza di Dio da parte dell’uomo.”. Il principe, semplicemente, è il polpo che vedete raffigurato nella carta insieme al suo stemma nobiliare. Un gioco che richiama il Tirreno (il principe era toscano) e la sua intelligenza. Attorno a lui ci sono gli abitanti dell’Adriatico romagnolo, quelli che come dicono i pescatori “come sono qui, non sono da nessun’altra parte”. E probabilmente, a sbriciare i prezzi della mitica asta del pesce di Cesenatico, hanno ragione da vendere. Proviamo ad elencarli, sono perlopiù abitanti delle sabbie tipiche di queste coste. Per prima la vongola, detta anche poveraccia, che da Cesenatico a Cattolica ha un sapore unico al mondo. Con le vongole si preparano ottimi tagliolini, bianchi più a nord, con il pomodoro nella zona di Cattolica. Poi la sogliola, qui abbondante e delicatissima. È la protagonista della rustida, la grigliata che riunisce tutti attorno al fuoco, qui detto “fuocone”. E ancora la canocchie, abbondanti dopo le mareggiate che ne distruggono le tane, e le mazzancolle, il crostaceo più nobile di questo pezzo di mare. Ci sono poi quattro prodotti stagionali. Il rombo chiodato che si avvicina alle coste con il freddo invernale. E ancora le triglie che dalla fine di agosto diventano abbondanti fino alla primavera. Prima più piccole, le cosiddette agostinelle da friggere in padella, poi più grosse da preparare alla brace. Poi le seppie, con una citazione per le cosiddette seppioline del Redentore (la festa veneziana che si celebra il sabato che precede la terza domenica di luglio) cotte nere e intere, una cultura diffusa nella parte ferrarese della costa adriatica. Per ultima la saraghina o papalina, il piccolo pesce principe della cultura riminese, che si pesca nella tarda primavera e fino a giugno e viene messo alla brace componendo griglie fitte che non lasciano spazi vuoti. Chiudiamo questa carrellata con un prodotto straordinario, il sale di Cervia, un sale diverso da tutti gli altri per la dolcezza. La storia delle saline cervesi è infatti legata alla raccolta multipla, una tecnica adatta ai climi più freddi che concentra l’acqua in bacini sempre più piccoli fino a far precipitare il solo cloruro di sodio. Alcuni Sali contenuti nell’acqua precipitano a concentrazioni più basse, alcuni vengono eliminati con l’acqua che viene scaricata alla fine del processo produttivo. In questo modo il sale è libero dall’amaro di alcuni altri Sali come ad esempio quelli di magnesio. Le saline di Cervia erano suddivise in circa 200 piccole saline, ognuna gestita da una famiglia, fino al 1959 quando si passò ad una tecnica produttiva diversa. Ne fu conservata una, la Camillone, che produce ancora un sale della tradizione cervese. Con la Camillone, gestita da una attivissima associazione di salinari, si è conservato un patrimonio di parole e strumenti che erano tipici della cultura cervese. LA CARTA BIANCA di Andrea Vitali La carta bianca non pretende nulla, anche se materialmente esiste. Nonostante la si ritrovi in molti mazzi, viene regolarmente lasciata nella scatola dato che non serve. Eppure c’è. Occorrerebbe domandarsene il motivo. Forse se messa assieme alle altre carte e scelta in una stesa cartomantica indicherebbe che il futuro risiede nelle mani del consultante. Per darle un nome e un motivo per esistere scriveremo su quella carta con inchiostro simpatico, riferendoci alla Scala Mistica dei tarocchi, il viaggio dall’insensata alla sensata follia, da una vecchia vita ad una nuova vita, un percorso che possiamo paragonare all’attraversata delle grandi acque. Il pazzo, che nei tarocchi esprimeva in origine colui che non credeva in Dio, per giungere al Mondo cioè a Dio Padre, doveva percorrere una strada impervia, dove le passioni lottavano costantemente con la ragione e l’intelletto. Occorreva togliere l’ancora, salpando metaforicamente, per affrontare l’alto mare. Come scrive Alfredo Cattabiani “Ogni passaggio delle acque è inquietante, ambiguo, angosciante. Non è facile il viaggio: nella traversata la paura del passaggio periglioso rende folli coloro che s’imbarcano”. Figuriamoci cosa poteva accadere a coloro che si trovavano già in quello stato. Da un’insensata follia, quale conduzione di vita dedita esclusivamente ai piaceri e alla esaltazione del sé, si doveva giungere alla sensata follia, che era quella del riconoscimento di se stessi come parte di un infinita anima divina. Da intendersi quest’ultima, sempre metaforicamente, come un grande mare e l’uomo una delle tante creature che in esso vivono, cioè un pesce. I pisciculi, cioè i pesciolini, rappresentano infatti i fedeli in relazione all’episodio in cui Cristo invita alcuni pescatori del lago di Tiberiade a seguirli per diventare ‘pescatori di uomini’. Quando Luca afferma che Pietro sarebbe stato un grande pescatore di anime, intese esprimere la sua capacità di convertire al Cristianesimo una marea infinita di uomini. Per le comunità dei primi cristiani il pesce divenne simbolo del Cristo, poiché la sua venuta coincise astrologicamente con l’inizio dell’era dei Pesci. Che il pesce fosse assunto quale simbolo del Dio Salvatore non fu in effetti una novità, poiché lo si ritrova in ambito siriaco, assiro, mesopotamico e caldeo. Il pesce assurse anche a simbolo dell’Eucarestia, del Cristo che si offre ai fedeli come loro nutrimento spirituale. Sul cippo funerario di Abercio, religioso vissuto nel II secolo, troviamo incise queste parole: “Io, Abercio, visitai tutte le metropoli della Siria, persino Nisbi oltre l’Eufrate, e dappertutto trovai fratelli, scegliendo Paolo come compagno di viaggio. Era la fede a guidarmi e a propormi ogni volta come cibo un pesce che veniva da una fonte viva, immenso, puro, concepito da una casta vergine”. In un quadro del celebre pittore Paolo Veronese (1528-1588), ora alla Galleria Borghese di Roma, viene descritto un episodio riguardante la vita di Sant’Antonio da Padova. Recatosi a Rimini per estirpare un’eresia, venendo schernito dagli abitanti di quella città che non ascolta- vano affatto le sue parole, si recò sulle rive dell’Adriatico chiamando a raccolta tutti i pesciolini con queste parole: “Poiché gli uomini non vogliono ascoltare la parola di Dio, mi rivolgo a voi, fratelli pesci, che siete molto più vicini alla creazione e abitate le limpide acque del mare. Sorgete!”. Migliaia e migliaia di testoline di pesci spuntarono allora fuori dall’acqua rimanendo ad ascoltare la predica. Una volta terminata, il santo fece il segno della croce e i pesciolini ritornarono sott’acqua. Immancabilmente tutti gli eretici riminesi si convertirono alla fede cristiana. Sulla diatriba alimentata da vari padri della chiesa se fosse necessario per un buon cristiano astenersi dal mangiare carne e pesce, sposiamo la tesi di Sant’Agostino che, nel De civitate Dei, sostenne che ‘con giustissimo ordinamento del Creatore la vita e morte di qualsiasi animale è stata subordinata all’utilità dell’uomo’. Ma ancor più siamo con Gioviniano, monaco romano del IV secolo che, richiamando la lettera del messaggio evangelico e dei testi paolini, sosteneva l’erroneità di scelte come la castità, la pratica del digiuno e l’astinenza da carne e pesce. Lasciando castità e digiuno alle scelte individuali di ognuno, quale risulta la migliore fra carne o pesce? Si tratta di una preferenza dettata esclusivamente dal gradimento, una scelta di gusto su cui i tarocchi, come si suol dire, non mettono lingua. Suggeriscono invece di stare vigili per non naufragare nel mare periglioso e burrascoso di una vita trascorsa all’insegna del solo vizio e dell’inutilità. “Che uomo è l’uomo che non fa crescere il mondo?” è un famoso detto medievale che gli stolti non possono comprendere perché privi di ragione. The Tarot and its journey along the Via Emilia Translations by: Helena Olga Kyriakides www.yummy-italy.com [email protected] Introduction by Giorgio Melandri Tarot Cards were invented in Bologna by a prince at the beginning of the 1400s and soon became popular as an innovative metaphor with which western culture could, over time, find a way of interpreting the meaning of all those existential issues that were at the centre of people’s lives. The cards were first conceived as a ‘Biblia Pauperum’ (a tradition of Medieval picture bibles), but were subsequently transformed into representations of people’s fears, ambitions, morals, thought symbols and even of people’s imagination. We were inspired to adopt this collection of Tarot cards as a kind of ‘collective consciousness’ on the occasion of Enologica 2015, employing it as an allegorical guide for our journey through the Emilia Romagna region. As always, the Via Emilia will be the thread that links all the elements of the concept together. It is the road that we will be exploring using the Major Arcana Triumphs of the Tarot cards, each card providing us with the opportunity to recount the wines and food of this extraordinary region. The concept is both a cultural and a popular one – profound in content but simple in language. It is also a concept that is filled with the traditions and the gestures that are an innate part of who we are as a people, without us necessarily being aware of them. Over time, the role that wine played in people’s daily lives has changed. However, our connection to its symbolic value and its ability to represent our identity has not. As Pier Vittorio Tondelli, the writer from Reggio Emilia, reminds us in his work ‘A Story of Wine,’ “…the culture of wine during the Middle Ages becomes a truly alternative one, which, with the use of comedy and paradox, mocks the sacriligeous power that it had in more aristocratic circles at that time”. By playing on the pairings between the products of the region and the Tarot, we would like to underline the way in which wine has, in recent years, found the freedom to express and establish itself. With its traditions deeply rooted in the farming communities of the region, it is an element of pride that has taken on a different role in recent years and that has been targeted at a different kind of consumer. However, it continues to express the values that are inherent to the way in which we live today. Using the Tarot and the stories that accompany it as a theme, Enologica 2015 provides an important narrative platform that recounts the gastronomic history of Emilia Romagna and the magic of the ordinary that is, in fact, extraordinary. This ordinary extraordinary, therefore, is made up of the innate traditions and the celebrated products that have their roots here. In this narrative, it is both the traditions and the products that will challenge the rhetoric concept of excellence that has become a cliché and been exhausted over recent years. Here, we would like to take the idea of ‘excellence’ to another level – a level that is new, modern and revolutionary. A concept of ‘excellence’ that looks to the past and the agricultural and farming roots of the region to find its identity in the future. I would like to thank Francesca Ballarini, artist, who painted the cards and Andrea Vitali, Historian and Tarot expert for making this journey unique and thought-provoking – the latter of who also wrote the texts (in Italian) relating to the Major Arcana Triumphs and who oversaw the entire project in order to guarantee its complete accuracy. Welcome to Enologica 2015 THE MAGICIAN, COTECHINO DI MODENA T by Giorgio Melandri b « «The Magician is an illusionist, a street magician a and, in Italian, owes its name, ‘Bagatto’ to the Ven netian coin of no value known as the ‘bagattino’. IIn fortune-telling and the Tarot, the card repressents things of little value and also of trickery. So w why then, can we not use it to represent the Cotecchino, a miraculous illusion of a noble food, that iis, in fact, made of the poorest ingredients?» Cudghéin. The magic word that in Modena refers to Cotechino. It was an invention of the poor, of that ingenious Italian culture that transformed practical problems into wonderful products. A true illusion, as we have already stated. Cotechino has always been produced during the winter months and the butchering of pigs that starts just after the festival of Saint Lucia on the 13th December, meant that the Cotechini could be delivered to people’s Christmas tables already perfectly dried. The Cotechino was almost certainly made famous outside the territories of Modena and Bologna by Recipe ‘322. Bound Cotechino’ that Pellegrino Artusi included in his famous cookery book ‘The Science of Cooking and the Art of Fine Dining’, published at the end of the 1800s and reprinted in 13 editions within a period of twenty years. The Cotecchino is probably the first ‘sausage’ using pork backfat or pigskin as a filling, traditionally including at least 50% (today much less) of these meats, with the addition of left-over meat picked from the pigs head and neck. These meats or cuts are rich in connective tissue and require long cooking times. Once cooked, they assume a kind of gelatinous consistency that is typical of the cotechino. The other product from Modena that is also very famous (and today designated with PGI status) is the Zampone di Modena. While all the meat constituting the Cotechino is stuffed into an intestine, for the Zampone, the skin and fat of the pig’s front trotter and other cuts of meat are stuffed into the trotter itself which has been previously removed of its bone and muscle. It is then sewn shut. They are two very similar products for which it is very difficult to provide a recipe, since each butcher had and still has his own method of preparation. That which is certain, is that historically the Zampone was a product that was richer and destined for the tables of the wealthy where it was served with ‘zabaione’ and vegetables. Legend dictates that the idea of conserving pork by mixing it together with the pig’s backfat, skin and spices and subsequently air-drying it, was conceived in Mirandola in 1510 when Pope Julius II laid siege to the town. During this time, the last remaining pigs of the area were butchered and one of Pico di Mirandola’s cooks had the idea of filling the emptied pigs’ trotters with meat, backfat and skin. The Modenese soon became masters of the art and their Zamponi and Cotechini, together with the Modenese Yellow Sausage, soon appeared as specialities in Bolognese menus, together with the salted and cured meats from Parma. Historically, in Modena, the Cotechino was produced by butchers specialising in making sausages and processing pig fat, who, together, formed an independent corporation in 1547. It was only in 1745 that we find the first official reference to the Cotechino, when its price was indicated in a ‘controlled price list’. From 1700 onwards the Cotechino became ever more popular and spread further afield, until such time as it became a semi-industrial product. The first butchers began pro- ducing it semi-industrially during the 1800s. Of these semi-industrial producers, there are two which have remained famous: Frigieri and Bellentani. The musician Gioachino Rossini (1792-1868), renowned not only as a composer but also as a gastronome, was one of Bellentani’s most illustrious customers. He bought directly from Bellentani, requesting them to send “…four Zamponi and four Cotechini, all of the most delicate quality”. THE HIGH PRIESTESS, MORA ROMAGNOLA T by Giorgio Melandri b « «The basic divinatory meaning of the High Priesstess card is that of the conviction of one’s ideals a and belief in one’s instinct. These are the same cconvictions that inspired a small group of people tto save the Mora Romagnola pig from extinction. T The first person to embark on the quest to ensure tthe continuation of this singular Italian black pig w was the breeder, Mario Lazzari, who was determined to safeguard the last specimens from dying out. Today, thanks to all those who worked together for this one cause, the Mora Romagnola once again forms part of the extraordinary heritage of the Emilia Romagna region and its people.» During the winter of 2005, when Luigi Tacchi trawled through the Romagna region stable by stable, with the objective of analysing all the surviving sows of the Mora Romagnola breed, he came to the conclusion that the modern history of this extraordinary black pig still had to be written. “In 2004, my interest in the breed started to grow and I wanted to learn more about it, but all the questions I had were answered with doubts. Then, in 2005, I realised that in order to truly characterize it as a pedigree, we had to make some drastic and courageous choices”. And so, Tacchi takes the exclusive responsibility of stopping some of remaining the active breeders from continuing their work. About a hundred sows were left to ‘defend’ the breed, and it is with these sows that the Mora Romagnola embarks on the journey of the re-discovery of its true characteristics and the genuine likeness with its ancestors. It is certainly one of the most fascinating chapters in this unique pig’s story, which goes back many years and which has seen a number of important protagonists. This is an adventure which, on several occasions, risked finishing in tragedy but which was, thankfully, always blessed with a new beginning. Today, at last, with approximately 2000 Mora Romagnola sows registered in the Breeding register, we can safely say that the pig has been saved from extinction. The story begins in the early 1980s when a breeder from Faenza called Mario Lazzari had the intuition and intelligence to save a small group of pigs by purchasing them from a breeder in Marradi, a small village located in the upper part of the Lamone Valley. It was this small group that ensured the breed’s genetic continuity and it was subsequently recognised by ANAS (The National Association of Pig Breeders) as one of Italy’s official black pedigree pigs together with the Apulo-Calabrese, the Casertana, the Cinta Senese, the Nero Siciliano and the Sarda. For a while, Lazzari remained the only breeder (and custodian) of the Mora Romagnola. Then, further to being featured on an Italian TV show called Linea Verde, people’s interest in this particular black pig pedigree started to grow once again. Interest grew gradually, and the number of pigs also grew proportionately, however, this still did not mean that it was safe from extinction. Lazzari subsequently received a lot of help from a group of breeders, who together formed the project Copaf (Association for the protection of the Mora Romagnola) in Brisighella. The Association was overseen by the breeder Mario Guaducci and by the veterinarian, Cesare Dacci. Together they created a network of breeders and worked together to overcome the obstacles caused by inbreeding. During the end of the 1990s and beginning of the year 2000, Cesare Sangiorgi, the mayor of Brisighella, together with Guido Tampieri, decide to support the association by re-opening the town’s old abbattoir. I, personally, took part in various breeder meetings and I remember the distinct sense of community that had been created. Together, everyone was safe-guarding a piece of the town’s, region’s and country’s identity. Then Luigi Tacchi arrived on the scene, and we have already told his story. More protagonists in the tale of the Mora Romagnola follow: two idealists named Emilio Antonellini and Leonardo Spadoni. In 2010 they open a farm between Brisighella and Zattaglia, on the ‘Vena del Gesso’ a ridge running from the Sillaro Valley to Brisighella, and they begin to work on the genetics of the pedigree, creating a significant improvement in the quality of the meat. “Having bred pigs all my life, I saw an unprecedented challenge in dealing with the Mora Romagnola”, says Emilio Antonellini. “It was very difficult at first, but in the end, having carried out a very rigorous selection process and separation of breed lines, we overcame the challenge and our mission came to a successful conclusion. Of course, today, we mustn’t let down our guard – there are still many pitfalls that we must be aware of, but when I look back, we really have come a long way. Sometimes I think of that initial group of 30 sows that Michele Graziani from Bagnacavallo purchased at the time and which I took care of for over 10 years. I really do believe that we have taken massive steps forward”. In addition to the ‘official’ protagonists of the story, there are also hundreds of smaller breeders who hold the Mora Romagnola ‘experience’ in their memory, and, as a result, have a kind of ancestral familiarity and wisdom that they were able to employ within this new breeding effort. Today, we can truly affirm that the Mora Romganola has been saved from extinction and that history has a happy ending. It wasn’t something to be taken forgranted, however. Some of the typical Italian breeds of pig had already begun to die out in 1872 when the Ministry of Agriculture appointed Antonio Zanelli from Royal Experimental Animal Husbandry Institute in Reggio Emilia. Zanelli had started importing and spreading two English pedigrees, the Yorkshire and Berkshire pigs. The breeds of black pig in the north of Italy were the first to be eradicated, but in the south, thankfully, the extinction process just about managed to be contained. Already during the 1920s, an important legacy of several different black pedigrees was lost and Mascheroni, in the ‘Utet Manual of Animal Husbandry’ published in 1927, mentions that there were only eleven that remained: the Romagnola, Cinta, Cappuccia, Maremmana, Umbra, Abbruzzese, Casertana, Pugliese, Calabrese, Siciliana and Sarda. Today, the number of black pedigrees has been reduced to six and the Mora Romagnola is, without doubt, one of the most important. The Pedigree The history of this black pig, which is born red and becomes black at around 6 months of age, while retaining some of its reddish markings, has very ancient roots and its history has been enriched with genetic ‘enhancements’ from the time of the Longobards. As a result, the Mora Romagnola provides meat of excellent quality with exceptional nutritional characteristics and it has become renowned for its outstanding and complex flavour. As is described in the official ANAS guide, the breeding of the Mora Romagnola pig was carried out within various states before the unification of Italy: the Church State, the Duchy of Modena, the Republic of Veneto and what was then known as the Lombardo-Venetian Kingdom. This division could explain the existence of various sub-species of the same breed, with each one featuring distinctly different characteristics up until the beginning of the 1900s. The names of the various sub-breeds either referred to the location in which they were bred (Forlì, Faenza, Bologna) or to the visual characteristics of their coats (brown, black, chestnut), while the name Mora Romagnola first appeared in 1942. The Mora Romagnola, more than many other breeds, was very popular and well-established in the provinces of Forlì and Ravenna and in the surrounding Rocca San Casciano area (located between Romagna and Tuscany). Among the breeds which existed at the beginning of the 20th century, one morphotype had a black/brown coat with a somewhat lighter abdominal area. The breed was considered to be of ‘spartan heritage’, with a robust body and tight and prickly bristles along its spinal column, which tend to change direction half way down the pig’s back or at the end of its backbone. It became popular due to its ability to develop considerable muscle mass, as well as for the exquisiteness of its meat. It probably descended from repeated cross-breeding between the Mora Romagnola and either the Chianina or Cappuccia breeds (now extinct), which had been introduced on a large sale in Romagna for their excellent grazing habits. The latter, which was the blackest of all the breeds mentioned, was the one preserved by Mario Lazzari and the Mora Romagnola that is bred today, in fact features the same characteristics. The other breeds were the Riminese, which was somewhat lighter in colour and had a white star shape on its forehead and the Faentina, which was redder in colour. THE EMPRESS, T ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE A DI MODENA, ACETO BALSAMICO D TRADIZIONALE DI REGGIO EMILIA T By Giorgio Melandri B « «In the Tarot, the Empress is a card that signifies b beauty, seduction, allure, wealth and materiality. T These characteristics are entirely synonymous w with the Aceto Balsamico Tradizionale produced iin both Modena and Reggio Emilia. There are only a few kilometres dividing Reggio Emilia and Modena, with all of those (few) kilometres running along the Via Emilia. And there is one product in particular that someone hailing from outside of these areas would find it extremely difficult to distinguish as coming from one place or the other. The differences are very subtle, but they are enough to establish the Aceto Balsamico Tradizionale as a symbol of these two provinces. And it is, indeed, a symbol. Some years ago a gentleman who was born and bred in Modena told me how there were batteries of small barrels used to produce the Traditional Aceto Balsamico located on the top floors of the apartment blocks or in the attics of the houses. There are some people who are so obsessed with this vinegar, that every day they check the obituaries and death notices in the newspapers to see if there are any ‘availalable’ batteries. “You know how it is”, he said, “sometimes the heirs sell the barrels and you need to be quick if you want to buy them”. He also told me about a bar, whose name I forget, where specialist Aceto Balsamico Tradizionale intermediaries meet. The Aceto Balsamico Tradizionale has a long history and we can assume that it was originally a by-product of the grape must that was cooked after the grape harvest in order to concentrate and therefore conserve it. For this reason, there are some people who believe that the cooked must may also have been spicy from the high middle ages onwards, aiding its conservation properties. In Emilia, this cooked must, known as saba or sapa, had a tendency to ferment slightly and, as a consequence, become vinegar. The acetification process is a consequence of the climate that is typical of this area, with cold, humid winters and unbearably hot summers. As a result, the Aceto Balsamico Tradizionale actually requires not only these extremes, but also – and forgive me if I am stating the obvious - a lot of time and patience. People took full advantage of the very slow production process to enrich the product with all the aromas and complexity of the various woods used. The heart of the Aceto Balsamico making tradition was the Estense Dukedom that corresponds to the same area of production today. The first text that we know of that has any references to Aceto Balsamico Tradizionale dates back to 1046 when the German Emperor, Henry III stopped off in Piacenza on his way to Rome for the coronation. Here he asked to visit Bonifacio, Marquis of Tuscany and father of the famous Countess Matilda of Canossa and requested that he be favoured with a gift – that of a special vinegar “which he was told drizzled perfectly”. It was actually inside the walls of the castle, which later became famous for the ‘Meeting of Forgiveness’ when Pope Gregory VII accepted Emperor Henry IV back into the church after he had excommunicated him, that we are told of a vinegar that was made, a balsamic elixir, ‘extremely coveted by those of royal standing’. This historic fact is mentioned in the poem ‘Vita Mathildis’ written by the monk Donizone, the Great Countess Matilda’s primary biographer. During the 12th, 13th and 14th centuries we can be sure that Aceto Balsamico Tradizionale actually existed in Reggio Emilia, Scandiano and the main centres of the Estense Dukedom. It appears that the vinegar producers actually created true Consortia and gathered there regularly and their members were bound to keep secret the revered production process. During the Renaissance period, after the imperial imprimatur, Aceto Balsamico frequently appeared during the banquests of kings and dukes – in particular in the dining rooms of the Este Dukes. With the birth of Alfonso I, Duke of Ferrara in 1476, the history of Aceto Balsamico took an important turn. In a publication dated 1863 by Fausto Sestini, we read unequivocally that “in the provinces of Modena and Reggio Emilia, a special quality of vinegar has been produced since ancient times, whose visual and physical characteristics and the excellence of its aroma have inspired the name Aceto Balsamico”. The testimonies of the existence and use of Aceto Balsamico increase significantly during the 1800s, in particular because it was mentioned in the dowry lists of the noble families from Reggio Emilia. At the time, it was customary to ‘embellish’ or increase the value of a noblewoman’s dowry when she was given away to her husband. In fact, she was given “vases of Aceto Balsamico and batteries of barrels that contained the precious liquid”. The Aceto Balsamico Tradizionale (not to be confused with the simple Aceto Balsamico), is a condiment obtained from Trebbiano di Spagna, all Lambrusco, Ancellotta, Sauvigno, Savetta, Berzemino and Occhio di Gatta grapes. The grapes are harvested and pressed and once the grape must has been simmered on a direct flame and in the open air to concentrate it, this is poured into the barrels for ageing. The batteries must comprise a minimum of 5 barrels (or another higher uneven number) and decreasing in size. The woods that are most frequently used are chestnut, cherry, juniper, oak, mulberry and ash. The largest barrel, that is to say, the one to which the fermented cooked grape must from the year of harvest is added, is traditionally known as the ‘badessa’ or ‘Abbess’. Each type of wood has its own ‘rapport’ with the vinegar. For example, juniper wood adds spicy aromas and chestnut wood provides the tannins. Every year, as a consequence of the evaporation process, the battery (or group of barrels) loses approximately 20% of its volume. In order to aid this process, the barrels are left open and covered with a small piece of cotton, linen or gauze that lies over the hole. In order for the vinegar to be officially defined as an Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, it must be aged for a minimum total of 12 years. The ageing process lasts approximately ten years, which, summed with the initial two years necessary for the fermentation and acetification processes of the cooked grape must, means that it reaches the required minimum. Every year, only one litre of the final product is taken out of the smallest or first barrel, after which it is refilled with vinegar from the second (and larger) barrel. Then, the second barrel is refilled with vinegar from the third (again larger) barrel, and so forth. Each family has its own ‘recipe’ which includes a personal selection of grapes that are used to make the concentrated grape must, as well as its own selection of different woods for the ageing process. The ‘batteries’ are all listed in a special registry that certifies its age and composition. The disciplinary code for the Aceto Balsamico Tradizionale di Modena specifies two ageing categories for the official product: the Affinato (aged for a minimum of 12 years, featuring a lobster coloured seal) and the Extravecchio (aged for a minimum of 25 years, featuring a golden seal). The Aceto Balsamico Tradizionale from Reggio Emilia foresees a second ‘affinato’ version which may feature a silver-coloured seal and which generally undergoes approximately 6 or 7 additional years of ageing. THE EMPEROR, CULATELLO DI ZIBELLO T by Giorgio Melandri b « «In the Tarot, the Emperor is a card that signifies ssuccess, that expresses values relating to leadersship and guidance as well as decisiveness, willpow wer, determination and honesty. It is the role that tthe town of Parma (and surrounding areas) plays w within the Emilian charcuterie tradition and it is ffor this reason that we have paired this card with tthe most noble of Emilian charcuterie, the Culatello di Zibello. This cold cured meat is a true upholder of tradition and its history is inextricably linked with that of the time-honoured Black Parma pig, depicted at the feet of the Emperor - the only pig whose meat expresses absolute complexity of flavour.» The Culatello di Zibello is a cured cut of meat obtained from the thigh of the pig, then deboned and separated from the loin and trimmed by hand, so as to create the typical ‘pear’ shape. The Culatello di Zibello is produced during the colder autumn and winter months, usually from October through to February. After having been rubbed with salt, the cut of pork is stuffed into the pig’s bladder and bound with string, which, after curing, appears to be tied at wide and irregular intervals. The process seems simple, however the complexity of the flavour of this charcuterie is the result of curing taking place during the winter mist and fog as well as the hot summer months. There is, however, a whole other story to be told. The history of Culatello di Zibello is profoundly linked to the history of the territory of Parma and it is surely an example of how practical difficulties can be transformed into great opportunities. However, we need to begin our story many, many years ago, when the plains of the Po Valley were nothing but a huge forest. “The territory of Parma was always chosen by the Roman army for its winter encampments and it is probably there that salted meat started being produced for the summer military campaigns. In this area water was readily available, but, more importantly, salt was rife and obtained from the thermal waters of Salsomaggiore. Even better, the land was marshy and fertile, ideal for the breeding of pigs”. Massimo Spigaroli talks about his home territory with a passion that leaves no room for doubt as to the accuracy of the information, but he tells it as a spell-binding story. It is certain that pigs and man’s relationship with them, form a part of Parma’s history as well as that of the Longobards who arrived after the Romans. The Longobards continued a tradition that was, in fact, also an inherent part of European culture. In the Rotari Edict of 643, seven articles are dedicated to the breeding of free-range pigs in forests of oak and beech trees. This was a tradition that had been conserved throughout the centuries until, during the time of the Duchy of Parma, something important happened that changed the characteristics of the Parma Black pig rendering it unique. In 1714, Elisabetta Farnese married Philip V of Spain, a marriage that brought the Bourbons to govern the Grand Duchy of Parma from 1748. Philip, son of Elisabetta, subsequently became the Duke of Parma. Buffalo also arrived in Parma together with the Bourbons, as well as Merino sheep and a variety of of Iberian pig which, when cross-bred with the local pigs, founded the basis for a breed of black pig that was different to all the others. The same happened with the Corniglio sheep (one of its kind in the north of Italy), a breed from the Parma Appenines which, together with the Puglia Gentile and Sopravissana breeds, is one of the Italian varieties that resulted from cross-breeding with the Merino sheep brought by the Bourbons. Professor Alberto Sabbioni of the University of Parma writes: “One of the oldest bibliographic sources which we can use as a reference in order to reconstruct the history of the Black Parma breed of pig is the text ‘Memory Surrounding the Study, Improvement and Conservation of Pig Breeds’ written by Francesco Toggia (Turin 1820). This text divides the breeds on the basis of their origins and groups the Iberian pigs together with those originating in the southern parts of France, Africa and Italy. Professor Sabbioni ascribes the Parma breed to this same group, as it is characterized by animals that are “robust, fertile, that have excellent grazing habits…and which ..fatten easily”. With regard to Italian breeds of pig, the first that is usually mentioned is the Parma, “which has conserved its pedigree over the years.” It is briefly described as an animal characterized by its short limbs, almost non-existent bristles and the colour of its coat as “brown with a tendency to black, but finer and more delicate than that of other pigs”. Its weight is noteworthy when compared with other breeds prevalent during that time and it often reached between 190 and 240 kg. “Its meat is particularly exquisite and it can be conserved for a long time”. A breed in Bologna with a red coat and featuring white lines around its thorax (probably attributed to the better known Rossa Modenese) is also mentioned, while at the same time in Naples, animals that are similar to “those from Parma but not as voluminous” (maybe the contemporary Casertana breed), are referred to. We can deduce from the subsequent pages of Francesco Toggia’s book, that the Black Parma pedigree was already consolidated and very much appreciated during that time due to the wealth of particulars with which it is described, compared to other breeds of pig in Italy, and due to the continuous references and comparisons made with breeds in France and the Piemont. Fact becomes history and Spigaroli, with a theory that is ever more substantiated, identifies that the changes that take place during the continuous breeding of the pig, form the origins of the Culatello di Zibello. “The pigs grew ever larger in dimension, and in the very humid plains of Parma it was no longer possible to salt and adequately conserve the pig’s huge thighs. It was in this way, I believe, that the Culatello was invented – to satisfy the practical demands of reducing the dimensions of the pig thighs that needed curing”. There is, in fact, an official document that sustains this theory, in addition to a reference to a deboned cured ham which was probably a Culatello. The word ‘Culatello’ first appears in Parma in 1735 in the ‘Calmiero della Carne Porcina Salata’ (The Calmiero of Salted Pork), a document published by the Parma Council. What is certain is that the Spigaroli family has great intimacy with this unique cured meat. Indeed, already a century ago, they found themselves producing it for the family of the great musician Giuseppe Verdi. Spigaroli continues to explain: “I worked very hard on the production of the Culatello until I finally felt the need to recover the complex characteristics of the charcuterie of the past. And it was at this point that my path once again crossed that of the Parma Black Pig. This is a pig which has an exceptional type of fat that is perfectly in keeping with the tastes of this territory. It is sweet with a a high content of fat of exceptional quality. This demonstrates how the culture of a community can steer the selection of its preferred breeds”. It is also important to note that the quality of the fat is demonstrated by the fact that the fatty cuts, such as the shoulder and back, now demand prices that are much higher than other cuts, the exact opposite of what happens to industrially-bred ‘white’ pigs. The recovery of the Parma Black Pig began at the end of the 1990s when a census called by APA (the Provincial Association of Breeders, now merged into Araer) identified a remaining population of pigs in the Apennines which featured black marks on their backs. Sabbioni, who managed the recovery of the Parma Black Pig from 2003 onwards, writes: “Some sows with extensive slate grey markings on their backs and rump were found in the countryside of Santa Margherita of Fidenza. Up until some years previously, about 30 pigs had been bred at this particular farm and a good part of their offspring were sold after they had been weaned, while the others were kept at the farm for fattening and breeding. Black or marked pigs had always been bred at this farm until such time as, when the farm was sold, the elderly owner was forced to use a ‘normal’ boar for breeding as he no longer had a black boar available. However, despite the ever-decreasing black offspring, the young sows were nevertheless selected to keep at the farm for breeding purposes. Two piglets, a male and female, were found and purchased after a tip-off by a local veterinarian in the Comune of Bardi, located in the upper Valceno area of the Province of Parma. The two were the offspring of a marked sow and a marked boar. The male was almost completely black. It was in this way that the existence of a marked boar was able to be identified. It was a bony animal that had been bred by an elderly man in the mountains of the area. Sadly, it was not possible to purchase the boar, but the elderly gentleman permitted its use for breeding on several occasions. Other young sows were subsequently found in Pellegrino Parmense, however, these featured very few markings on their backs. They had been bred by a milk farmer who, during the winter period, also worked as a pork butcher and sold salami”. “This was the beginning of a salvage operation”, continues Massimo Spigaroli, “which today, after many generations, has a thorough-bred blood line that can finally be recognised as a pedigree and which is the seventh of the black pig pedigrees currently being bred in Italy. We have to thank the wonderful disobedience of the mountain farming communities for this happy conclusion, who, from the 1960s onwards, protected the genetic blood-line by continuing to breed the black pigs. I consequently believe that the Culatello di Zibello has, at some point in the past, crossed paths with the Black Parma Pig. I think that it is impossible to mention one without mentioning the other”. In the same way, it is difficult to talk about this unique product without mentioning the Antica Corte Pallavicina owned by same Massimo Spigaroli, chef, and his brother Luciano, who has created a unique story around the Culatello di Zibello, involving the surrounding territory that is wholly dedicated to its production. It is a vision that is nurtured with an energy and with an obstinacy which has few comparisons in Italy. Going on a journey of discovery of the Culatello di Zibello and the Spigaroli family, we find ourselves located beside the Po river, in an old castle dating back to the 1300s that was constructed next to a river port in an area that ‘suffers’ heavily from dense winter fog and boiling hot summers. This castle could be considered to be located in the middle of nowhere, or maybe more romantically, in the middle of a beautiful landscape of small river dams and fields, that hides the production chain of the Culatello. Today it is a farm as well as a boutique hotel (Relais) and a restaurant, with guests coming from all over the world. The first time I entered the extensive dining-room, I noticed a large painting of the Spigaroli family and for me it was a moment of illumination. That painting, in an emotional yet discreet way, tells the story of Massimo’s mission better than a thousand words. Massimo has succeeded in creating as a focal point, the magic and the family intimacy that are the true spirit of everything that both the place and product represent. The spell has endured over the years and today it remains miraculously intact, credible even as an ‘adult project’ and enchanting whoever comes here. Massimo Spigaroli’s secret is this: to have worked, invented, dreamed and created, while maintaining the deepest respect for that magic and to have everyone who goes there, feel it. THE HIEROPHANT, PIGNOLETTO. T By Giorgio Melandri B « «The Hierophant is a card that expresses wisdom a and which incites us to actions that allow us to eexpress our own personal convictions. We refer to tthe concept of wisdom in particular when we pair tthis card with the Pignoletto. Today it is a wine tthat insists on maintaining its territorial values w with foresight and care.» Bologna and Emilia-Romagna are emerging regions in the collective consciousness of the world’s inhabitants. Here the people eat well and they conduct a lifestyle that is both envied and admired in other areas of Italy. And in Emilia-Romagna the people are also welcoming and hospitable. Even though Bologna is the region’s political capital, when perceived from a foreign perspective, it is starting to become the symbol of this region. The town has a great desire for growth, especially with regard to its gastronomic heritage and is keen to create a future for itself in this sense. And there is a wine, the Pignoletto, that perfectly represents all of this. Many years ago, there were only a few hundred hectares dedicated to the cultivation of this grape. Today there are approximately three thousand hectares. The story of this white wine has become profoundly linked to its territory so let’s try and understand its history. In Bologna, the wine-making tradition dictated the vinification of Albana and Trebbiano grapes together – both Trebbiano di Empoli and Trebbiano romagnolo. This was the ‘white wine of Bologna’. The typical red wine of the area used the Barbera and Negretto grapes as a base and in the hillside areas going towards Savignano sul Panaro, a small municipality belonging to Modena, the typical red wine was made up of Barbera and Grasparossa grapes. All over the Modena and Bologna plains there were also many other white grape types being cultivated such as the Alionza (a grape that is subject to floral abortion) and the Montuni. These vineyards were the protagonists of the tree-lined roads that characterized the landscape of the plains. And then there was the Pignoletto grape that was specifically cultivated in the same areas as hemp. Hemp requires dry terrains to grow successfully and for this reason the level of the fields was lower in the centre (concave) so that the rainwater could drain away easily. Between one hemp field and another there was the so-called ‘cavalletto’, a strip of land that had two drainage ditches on each side. In that same strip of land trees such as ash, field maple or elm bordered the fields, acting as a wind barrier that stopped the female hemp from reproducing.The Pignoletto was traditionally cultivated within the tree-lined areas. Many years ago, Pignoletto was known as ‘Pignolo’ as we can deduce from a document retrieved from the archives of the wine producers Lodi (or Lodi Corazza). The document mentions the sale of a crate of Pignolo grapes grown by Luigi Lodi who, at the time, was a well-known botanist in Bologna and the first curator of the city’s botanic gardens. The Lodi Corazza winery is located in Zola Predosa, a small municipality on the outskirts of the city where both hemp and the Pignoletto were cultivated, although the cultivation of hemp did, in fact, spread to the primary hillside areas. Enzo Garagnani, who during the 70s, together with his business partner Anderlini, was the owner of the winery ‘Al Pazz’ in Montebudello, tell us that “…they called it Pignolo and it was a popular grape with sharecrop farmers and landowners as it produced a large amount of leaves that were ideal as a wind barrier. The heart of these tree-lined areas is in Calderara di Reno. The landowners demanded Albana, but the farmers planted Pignolo! Then, slowly slowly, the rustic nature and the aromas of the wine produced from this grape began to convince people’s gastronomic sensibilities and its cultivation spread to the hills from the 1950s onwards. We were the first to write the name Pignoletto Bolognese on our wine labels during the mid seventies. And it was so successful that we acquired a DOC designation”. A curious fact is how hemp was also responsible for creating another product that became typical of the area – the goldfish! Few people know that goldfish were bred in the same pulp lakes that contained the hemp during the decaying process. In the spring, when the hemp had been removed, goldfish were bred until the hemp harvest in the autumn (when that year’s production was put to decay in the lakes again) and they were transported all over Europe by train. In fact, Bo- lognese goldfish were extremely renowned and sought after, especially in Germany. Alberto Bettini, patron of the renowned Trattoria di Amerigo located in Savigno, a small hamlet in the hills above Bologna recounts his story. “In 1967, Romagna had certified the Albana with a DOC status and from that moment on the people in Bologna and surrounding areas lost interest in this historic wine as a part of the area’s tradition. Albana became automatically associated with Romagna. I created my first wine list during the 1980s and found it difficult to locate an Albana from the Bologna Hills (or the Colli Bolognesi which is the official designation for this wine-producing area). The Pignoletto was already a popular wine and there were several wineries that produced it including Anderlini & Garagnani, Lazzari in Ponte Rivabella, Gaggioli and Negroni in Montemaggiore. The Negroni winery called it ‘Sparvo’ seeing as no-one was familiar with the name Pignoletto. Some people even referred to it as ‘Riesling Italico’ for precisely the same reason.” However, since then, the Pignoletto has gained exposure and its cultivation has increased substantially, with some excellent versions being produced today. In addition, the recent DOC designation has revolutionised its perception. The current Pignoletto DOC, registered in 2014, takes its name from a tiny community in the Municipality of Monteveglio (now known as Valsamoggia), an area that lies in the hills between Bologna and Modena. The areas included in the DOC designation are parts of the Modena hills, the Bologna hills and the territory extends eastwards, up to the beginning of the Imola and Faenza hills. In the plains, the DOC designated area includes the areas between the Panaro and Reno rivers, right up to the Romagna area and the Municipality of Faenza. It is indeed a vast area, but its cultivation area does, in fact, represent its historic area of expansion. There are three subzones within the DOC designated area: Modena, the Imola hills and Reno. In order to seal the historic status and the quality of the Pignoletto in the Bologna hills in particular, only the wine produced in this area has been designated with DOCG status, known officially as DOCG Colli Bolognesi Pignoletto. It is an important DOCG wine that enables us to profoundly understand the territory of this production area that is characterized by a mosaic of different terrains (and even different microclimates). The Pignoletto is produced in several different versions: fermo, frizzante, spumante, passito and vendemmia tardiva. It is a lively wine with lovely herbal aromas, from sage to mountain herbs and fresh oregano with hints of various citrus fruits. As a general rule, it is a polished wine and has a distinctive mineral element in the mouth, with those versions produced in the plains that have a slightly more complex body. THE LOVERS, T LAMBRUSCO SALAMINO DI S. CROCE. L By Giorgio Melandri B « «In the Tarot, the lovers, quite simply, represent a cchoice or the necessity to excercise a choice. We w would like to pair this card with the Lambrusco S Salamino di Santa Croce, a DOC designated wine tthat is testimony to Modena’s conscious decision tto divide its territory into areas of excellence. It iis a choice that encapsulates the power of a longstanding tradition.» Santa Croce di Carpi is a small community lying just outside the town of Carpi, a few kilometres from the Secchia river. Here we find ourselves in the Modena lowlands, on the border with the province of Reggio Emilia and so close to its perimeters that some parishes of the Diocese of Carpi are actually located in Reggio Emilia. The Modena lowlands are the realm of the Salamino, the grape which also gives its name to the DOC wine made from this same grape. We need to use this landscape - from the plains that are marked with many river banks and canals, a mass of bell-towers and solitary trees - as our starting point when we talk of the Salamino di Santa Croce. The landscape in this area changed remarkably, especially with the disappearance of the famous vineyard layout where larger trees or plants held up the garlands formed with the vine lianes. Subsequently, the Bellussi vine-training system arrived, a system that used wires set out in ray patterns and that was implemented extensively in the Modena area. The system leaves the plant to grow without being too inhibited and there are still many wine-producers who strongly believe in and employ this system. Today, there are other, more modern systems being employed both in the vineyards and in the wine-cellars. In order to be able to understand the history and the incredible spread of vineyards within the area, we need to talk about the wine cooperatives, the first of which was founded in Italy. The Carpi Wine Cooperative, founded in 1903, is the oldest wine cooperative in Italy that is still fully active, if we are to exclude all those in the South Tyrol which were founded when the region was still under Austrian rule. At the beginning of the 1900s a wine-producing crisis (in particular the Phylloxera parasite) threatened the vines and subsequent wine production. In order to deal with this threat, Doctor Alfredo Molinari proposed the establishment of a ‘civil society’ in Carpi, which, together with the cooperation of some wine-producers, created an alliance between the associates. The members of the cooperative shared the responsibility, both positive and negative, of the wine that was produced and were guaranteed an income for sustaining viticulture in the Modena area. This was how the Carpi Wine Cooperative was born. We find ourselves at the dawn of modern agriculture methods. Once the First World War had ended in 1918, the municipal wine-cellar became a cooperative. A gentleman named Gino Friedmann played an important role during this time. He promoted the establishment of the Nonantola Wine Cooperative, which was established in Modena on 18 May 1913. He was a visionary who, with great energy and efficiency, was able to achieve several concrete project objectives, such as the construction of the Nonantola Wine Cooperative headquarters in an area near the train station, with the express intention of taking advantage of the new Modena-Ferrara train line to transport the wine. Having grown up in wealthy family, instead of following in its white collar footsteps, he dedicated himself to tending the family’s land. It was this experience, then, that aided him in his quest to promote the establishment of a series cooperatives in the entire province. In 1920, the Formigine Wine Cooperative was established, after which, in 1923, cooperatives in Modena, Sorbara, Limidi and Settecani followed suit. The cooperative ‘model’ soon proved to be a success, to such an extent that the Itinerant Professor of the University of Modena, Professor Toni, underlines how vineyards in Reggio Emilia and Modena both cover 50.6% and 47.6% respectively of the cultivable agricultural area. Gino Friedmann was an extraordinary man who not only promoted the idea and implementation of the cooperative, but, most importantly, brought the concept of innovation to the agricultural traditions of this territory. He was Jewish and the son of an important family from Modena. He also became the mayor of Nonantola and was the very first president of the National Federation of Wine Cooperatives that was founded in 1922. However, let’s go back to the Salamino. It is, without doubt, the more refined of the Lambrusco wines and remains balanced even when the area of production moves away from the Secchia and Panaro rivers and towards the more lush soils of the lowlands. It has mellow tannins while maintaining an elegant but austere fruit influence. Its is, perhaps, a little less primitive than other Lambruschi and its overall equilibrium is its trademark. The vine also adapts to the less compact terrains of the Sorbara area where it is planted to pollinate the Lambrusco di Sorbara vine, that although wonderful, is more difficult to cultivate. The grape clusters are small and compact and look a little like a Salami, a comparison which has given the grape and wine its unique name. To end, I would like to pay homage to a great interpreter of the Lambrusco Salamino Santa Croce, Villiam Friggeri, a long-standing enologist of the Santa Croce Wine Cooperative, who sadly passed away in 2014. THE CHARIOT, COLLI DI PARMA BARBERA T by Giorgio Melandri b « «In the Tarot, the Chariot is a card that represents ssuccess, movement and motivation. T The Barbera dei Colli di Parma personifies preccisely these characteristics with its crisp acidity a and vivacity. It is a wine that is tireless, dynamic a and joyful.» ““Parma’s trademark wine is the Barbera and it always has been. I believe that it represents the most complete expression of our territory.” It was Camillo Donati who said these words to me one morning and which, even many years later, I remember with great precision. Donati, a wine producer from Parma is famous the world over for his wines that have gone through a secondary bottle fermentation process and which he produces in his wine cellar located only a short distance from Torrechiara Castle in Langhirano. “Sadly, many people ignore the viticultural history of our area, however, before the Phylloxera parasite hit our vineyards the hills surrounding Torrechiara, Arola and Barbiano were carpeted with Barbera, Malvasia Aromatica di Candia and Moscato vines. After the Phylloxera parasite was eliminated, but which had already literally wiped out the vineyards, the most important landowners decided to invest in the breeding of cattle for the production of Parmigiano Reggiano even in the hills, because it was considered less of a risk”. Another enemy of the vine may also have been the Battle for Grain incited by Benito Mussolini in 1925. Camillo Donati is not the only person who is of the opinion that the Barbera grape is of significant influence in the viticultural traditions of Parma. Giovanni Lamoretti, heir to one of the area’s oldest wineries says, “one thing is certain - the Barbera was, without doubt, the most important grape in the hills around Langhirano.” He continues, “to refer to a wine as pure - in the sense that producers made their wines with only one grape type - would not be appropriate, as each wine producer set out his vineyards in his own personal way, intermingling both grape types and biotypes. However, the Barbera, in particular the grape grown in the municipalities of Maiatico and Casatico, was the queen of the hills here and was already famous at the end of the 1800s. The wine producer Grossi, for example, supplied the royal family with the Barbera di Parma. We should also take into consideration that both Lambrusco and Fortana vines were planted in the lowland areas between one field and another. Let’s also remember that at the beginning of the 1970s, a group of wine producers attempted to create a Lambrusco Consortium in Parma, however, it never took off because there weren’t enough Lambrusco vineyards in the area”. Even though people talk of Lambrusco vines being present in Parma territory, if we are to look back, the traditional wine of the area has always been one made predominantly with the Barbera grape and blended with Bonarda. Piacenza uses the same combination of grapes which is testimony to the fact that there is an important sense of exchange and continuity between the two provinces. The situation is also repeated with white wines using Malvsia as a base. In Piacenza, the wine produced with a blend of Barbera and Bonarda is named Gutturnio. In Parma, on the other hand, it has not been blessed with a name of its own and this has significantly influenced historical events. The fact that there were no Lambrusco grapes wasn’t of importance with regard to the wine producing traditions of the area. Today, to speak of Barbera in relation to Parma seems strange, almost as though it was something out of the ordinary, however in Parma’s wine-making history this grape, above all others, was the protagonist. Diego Sorba del Tabarro, one of Parma’s most famous and illustrious restaurant owners, says, “That sparkling wine made with Barbera and Bonarda was ‘the red wine of Parma’. And I believe that it still plays the same role today. I buy mine from the artisan wine producers based in the Parma hills who have kept the tradition alive”. The renowned food and wine journalist from Parma, Andrea Grignaffini, adds his own personal side of the story. “In the city of Parma, people used to drink a sparkling, medium sweet wine made with Fortana and Lambrusco Maestri grapes. It was a simple, fruity wine. I have to admit that the people of Parma have a certain penchant for the sweeter varieties and these particular wines, typical of the local ‘osterie’, were very popular”. Summing up all these various considerations made by those people who have a profound bond with their territory, there is one single conclusion that can be made: that the wine traditionally made in the hills is that which today is known as Colli di Parma rosso – a sparkling red wine made predominantly from Barbera grapes and blended with Bonarda. It is very similar to the Gutturnio from Piacenza, which is also a sparkling red wine. However, there are many people who recollect that only the producers in the Parma hills had the tendency to produce a Barbera wine that was vinified by itself. This tradition is being kept alive by Camillo Donati and Giovanni Lamoretti, as well as some other small, artisan wine producers such as Gianmaria Cunial e Crocizia. In addition to these producers, all of who make a Barbera frizzante, I would like to mention the winery Monte delle Vigne, which is currently experimenting with an interesting still version. JJUSTICE, GUTTURNIO. by Giorgio Melandri b « «In divination, the card Justice indicates the corrrect evaulation of people and situations, but also ffairness and equilibrium. It is easy to associate tthis card to Gutturnio, a wine that has survived d due to the balance between the two grapes from w which it is made: on the one hand Barbera with its h high levels of acidity, on the other, Bonarda with iits distinct tannins.» Gutturnio is a wine that demands courage and love for its classical nature. Traditionally, the wine is sparkling but it also expresses some of its innate characteristics in its still versions. It is angular in the mouth and on the nose it expresses evident edgy fruity notes, with some earthy characteristics typical of those wines that have been fermented on their lees. The Piacenza Hills represent an important mosaic of terroirs and microclimates, spread over four beautiful valleys that are rich in history and feature an abundance of historic castles. The emblematic wine of this area is the Gutturnio, obtained from a blend of Barbera (from 55% to 70%) and Croatina, locally known as Bonarda (from 30 % to 45%). As the maturation times and vinification processes of both wines differ, the two grapes are vinified separately and then blended together at the end. The Gutturnio takes its name from a silver cup dating back to Roman times, known as the ‘Gutturnium’, which was discoverd on the banks of the River Po in Croce Santo Spirito, close to Castelvetro Piacentino. Let’s take a look at the four valleys of the Piacenza Hills: first the Arda Valley which is located on the border with Parma and takes its name from the River Arda, (although, geographically speaking, it is more a torrent) and a right tributary of the Po River. It runs along the Apennines beginning from Castell’Arquato and its ‘territory’ comprises the valleys located near the Stirone, Ongina, Chiavenna and Chero torrents. It is worth mentioning that rising from the hill on the ridge running between the Ongina and Stirone valleys, there is an imposing fortified complex known as Vigoleno Castle which is not only beautiful but has remained completely intact. It is here that the Vin Santo di Vigolena is produced, a dessert wine made with very rare autochthonous grapes and considered one of the most exquisite and valued in Italy. The Nure Valley is one of the two central valleys of the province, starting from Piacenza and running along the road, the SS 654, that passes through the same valley. Leaving the lowlands and facing the hills, we encounter the beautiful hamlet of Grazzano Visconti. There are several very important wineries that we encounter when travelling up along the ridge of hills on the right, until we come to the heart of the Nure Valley, the Ponte dell’Olio. It is this valley that probably has the longest historic wine-producing tradition in the whole of the territory of Piacenza. The Trebbia Valley takes its name from the river that runs through one of Italy’s most breathtaking valleys. The gravelly and pebbly river banks are an obligatory spring and summer sun-bathing destination for the people of Piacenza, Milano, Pavia and Cremona. The SS45 road, that begins in Piacenza and passes through Bobbio, flanks the river and arrives at the Ligurian sea. It is a road that is full of natural beauty and wonderful landscapes. Here, near Travo, but somewhat higher up, there is another historic cultivation of white grapes that has been adopted by several wine producers. Further down there is the red clay terrain that has made one wine producer, in particular, very renowned. Here we refer to La Stoppa, a Piacenza-based wine producer that has been producing wines of the highest quality for over a hundred years and which is most certainly a benchmark for the whole province. The Tidone Valley rises from Castel San Giovanni, a small but well-known town on the SS10 road that leads towards the initial hills of Borgonovo Val Tidone. Here we see an imposing fortified tower or castle, as well as the first vineyards along the road that leads to Ziano. Today, this is surely one of the valleys with the highest concentration of vineyards in the whole province and boasts some wellrenowned crus, such as the Montepo. Let’s return to the Gutturnio: this is a wine that was awarded its DOC designation in 1967, produced in three different versions: frizzante, superiore (still) and riserva (still). The ‘Classico’ designation which appears on some bottles of the still version, identifies a wine that is produced in the historical areas of the Tidone Valley, Nure Valley and the Chero and Arda valley, as well as the hillside municipalities of Ziano Piacentino and partially those of Borgonovo Val Tidone, Castel San Giovanni, Nibbiano, Vigolzone, Castell’Arquato, Carpaneto, Lugagnano Val d’Arda e Gropparello all reaching a maximum altitude of 350 m above sea level. In addition to the infinite number of historical references that can be found relating to the wines of Piacenza, what is important to remember is that this wine supplied an area that had the Po River at its heart. In the inns or taverns that ran along the river, Gutturnio was traditionally drunk in ‘scudlen’, a kind of ceramic white cup, still used by some people today. The wine was sold to the merchants who travelled along the river towards Lombardy, which still remains an important market for the wines from Piacenza to this day. THE HERMIT, ROMAGNA SANGIOVESE T by Giorgio Melandri b « «The Hermit is the Tarot card which represents ttime and knowledge. This is precisely what the S Sangiovese asks of us: to respect the time necessarry to make it a product worthy of our expectations a and to create a deeper understanding of the territtory in which the grape grows.» TThe Sangiovese grape is challenging: it is always austere, moody and disrespectful (as well as relatively pale in colour), whilst at the same time able to maintain the ability to elegantly and profoundly interpret its territory. When the Sangiovese grape grows on the clay soil of the first hills going in the direction of Romagna, the resulting wine has distinct floral characteristics, becoming more mineral the higher, less fertile and less compact the terrain becomes. Romagna is a true representation of mosaic terroirs and the Sangiovese is able to express all of its potential as an interpreter of both the soil and microclimate. Travelling along the Via Emilia within Romagna, we pass through one city after another. In correspondence to each city, one or more valleys rise up from the plains to the Apennines, each of which having its own distinct character and history. It appears that it is precisely from the ridge that divides Romagna and Tuscany, as recently documented by the historian Beppe Sangiorgi, that the Sangiovese grape spread across the two regions. In fact, Sangiorgi hypothesises that the birthplace of the vine, a hybrid between the Ciliegiolo and the Negrodolce from Calabria, was the Vallombrosa Monasteries located on the ridges between Casola Valsenio, Marradi and the Casentino. According to the theory of the linguist Friederich Schürr, the name Sangiovese derives from the gaps in which the monks planted their vines. In Romagna, Sangiovese has always been a simple ‘peasant’ or farmer’s wine, usually drunk within the same year in which it was made. It was sometimes vinified together with white grapes that were planted together in the same vineyards. It was only during the 1900s, in particular from the 1970s onwards, that the wine was finally seen as a protagonist of quality, with several wine producers creating a product that was able to express its full potential and capacity for ageing and for developing more complex characteristics. It is important to remember that Fattoria Paradiso in Bertinoro, Nicolucci in Predappio Alta, Castelluccio in Modigliana, Fattoria Zerbina in Marzeno and Drei Donà in Vecchiazzano were some of the foremost pioneers of this ‘Sangiovese Revolution’. Thanks to these wine producers and all those who followed in their footsteps, we are able to interpret the Romagna region through its various terroirs. In 2004, another kind of tiny revolution was initiated, resulting from my own personal intuition and that of the journalist Fabio Giavedoni. From then on, the idea was developed and extended until finally, in 2011, producers were able to add further specifications to their wine labels in addition to the original IGT geographical specifications: Bertinoro, with an additional Riserva specification Brisighella, with an additional Riserva specification Castrocaro-Terra del Sole, with an additional Riserva specification Cesena, with an additional Riserva specification Longiano, with an additional Riserva specification Meldola, with an additional Riserva specification Modigliana, with an additional Riserva specification Marzeno, with an additional Riserva specification Oriolo, with an additional Riserva specification Predappio, with an additional Riserva specification San Vicinio, with an additional Riserva specification Serra, with an additional Riserva specification Within this mosaic of terroirs, there are the limestone and sandstone areas of the higher terrains producing lighter-bodied wines with a distinct mineral influence and edgy notes, as well as the full-bodied and richer wines produced in the terrains where a purer type of clay is predominant. During the 1900s, when the demands of agriculture dictated quantity and efficiency, the Sangiovese vines were ‘forced’ from the hilltops down into the valleys, into the fertile terrains of the higher plains that are abundant in clay. Beginning approximately thirty years ago, producers in these very valleys and higher plains have been making Sangiovese with one objective in mind: quality. The hill areas, by now almost forgotten, are starting to return to their previous protagonist status because, as time has proven, it is only there that the Sangiovese wines are able to develop elegant, crisp and dry characteristics which are also ‘firm’ at times, with tannins and acidity that are able to develop and mature over time without any particular problems. Clay terrains also represent a world of variety. They are almost pure, yet not quite evolved. In the mouth the wine is fleshy but at the same time both austere and expressive and the wine’s body picks up rhythm and speed thanks to its racy acidity. The evolved red clay terrains prevalent in the Faenza area are most certainly a benchmark for the style of wine produced, although the lighter clay terrains prevalent in the Rimini area, as well as those areas with ‘lighter’ clay soil mixed with sandstone,located between Vecchiazzano and Forlì, are also worth exploring. There is also a unique type of soil to be found between Faenza and Forlì: a kind of lens molasses sand, ideally suited to the cultivation of white Albana grapes. On the ‘sea front’ or coastal areas of the Romagna hills, there is also another unique type of terroir featuring the chalky soil of Bertinoro, an area exposed to the wind where the ‘Spungone’, a limestone mother rock with marine origins, rich in minerals and fossils, continuously emerges. It is this type of soil that creates the unique identity of these particular hills. The wines hailing from Bertinoro have a dense tannic weave with great ageing potential and their elegance and distinctive personality are successfully balanced. The wine-producing areas around Rimini are also interesting with their chalky clay terrains, softly rolling open hills and climactic conditions mitigated by the influence of the sea air. This is a terroir whose wines are, at first, distinctly crisp in the mouth, but which nevertheless evolve into an interesting mellowness. Last, but not least, I would like to mention a ‘new’ territory, that of Montefeltro, an historic region which bridges Romagna and the Marche. It is here in the hills and precisely in Macerata Feltria, that Adriano Galli, owner of the Valturio winery gave birth to his vision: to recuperate a specific geographical area and dedicate it to wine-making. His profound understanding of this extraordinary terroir and subsequent interpretation of it, has resulted in the Sangiovese wines that are produced precisely in this area being second to none. With the accomplishment of his dream, Galli has provided us with the certainty that his Sangiovese wines are able to express their full territorial DNA. THE WHEEL OF FORTUNE, T PARMIGIANO REGGIANO. P b Giorgio Melandri (in collaboration with Igino by M Morini, Consorzio Parmigiano Reggiano) « «In the Tarot, the Wheel of Fortune represents b both fortunate and unfortunate occurrences, but a also the lives that we lead on a daily basis. The llatter meaning is the one that we wanted to pair w with the Parmigiano Reggiano, the cheese that we find on our tables every day of the year. In Emilia, in fact, it is the ordinary that is extraordinary.» Why is it that the wheels of Parmigiano Reggiano are so large? Their single average weight is 40 kg and handling these huge wheels is not easy. And yet, no one has ever considered reducing or modifying their size. The reason is actually very simple: this is the world’s most important cheese and its history, from the moment of conception, is a noble one. The tradition of producing Parmigiano Reggiano still survives thanks to an equilibrium that requires both weight and time. The Parmigiano Reggiano story begins in the Middle Ages when the Benedictine and Cistercian monasteries of the Parma and Reggio Emilia plains intensified their agricultural activities and remediated vast quantities of land. This motivated the establishment of ‘grancie’, farms that bred cows that were useful for working in the fields and for producing milk. An ordinary land-owning family would have been unable to handle the enormous quantities of milk produced by the ‘grancie’ and so the monasteries began to develop a method of producing a cheese with the milk available, made possible thanks to the availability of salt from the Salsomaggiore thermal springs. The monks were therefore the first producers of Parmigiano Reggiano and they were motivated to create a product that had one particular characteristic over all others: that of conservation. They achieved what they had aimed for by drying the cheese curds and increasing the size of the wheels, thus enabling the cheese to be conserved and transported even far away from its area of production. And so, the use of products from the area characterized the territory of origin and its agriculture. The oldest document in which the term caseus parmensis (Cheese from Parma) was used dates back to 1254 and was retrieved from the Archivio Storico di Genova (Historical Archives of Genova). This allows us to date the existence of Parmigiano Reggiano to at least a century before it was mentioned. Never before had a cheese been so famous in a city so far from where it was made. In the 14th Century, the Benedictine and Cistercian monasteries continued to play an extremely important role in the definition of the production technique and thanks to the fact that the cheese could be conserved and transported without problems, its sale subsequently spread to markets in Romagna, Piemont and Tuscany. The cheese departed from ports in these regions, Pisa in particular, and was transported to various locations in the Mediterranean Sea. During the 1400s, Emilia underwent further economic development with the ascent of several aristocratic families, whose power was based on the agricultural output of their land estates. Land owners and monasteries located in the Parma and Reggio Emilia plains worked together to increase milk productivity even more and consequently the production of Parmigiano Reggiano spread to wherever fodder could be cultivated and cows were able to graze. The size of the wheels increased further until they reached a weight of 18 kg each. The cheese produced in May was considered the best (known locally as ‘maggengo’) and it reached such fame as to be appreciated during the banquets of the European aristocracy during the Renaissance. During the 16th Century, Emilia appeared to be in a state of agricultural and economic expansion and of the commodities traded, cheese played a fundamental role. In addition to the monasteries and landowners who increased their investments thanks to the production of Parmigiano Reggiano, a new category of ‘producer’ was established – a middle-class merchant, cow breeder and ordinary artisan maker of cheese who continued to invest ‘in cows’, causing yet another significant increase in dedicated dairy farms. The dairy, or location where the cheese was actually produced was attached to the primary farm in order to be able commence the transformation process directly. Milk from the stables of the sharecrop farmers was also added, and they took it in turns to help the cheese maker in converting the milk into the unique golden wheels that we know so well. The dairy therefore benefited from ‘shift work’, making cheese continuously every single day, a custom that has been well established and maintained over centuries. The dairies also became an important point of reference not only for the production of cheese, but also commercially and socially. During this time, the production of Parmigiano Reggiano spread and was also established in the province of Modena thanks to the Benedictine monks. Cheese was made from May to September – the months in which the cows could take advantage of the wonderful pastures of the plains. Today, Parmigiano Reggiano is produced with the milk that arrives from dairy farms that belong to the official ‘Zone of Origin’, which includes the provinces of Parma, Reggio Emilia, Modena and a part of Bologna – more specifically the area left of the Reno river. The cows feed exclusively on fodder that is cultivated in the same territory of origin. The milk is collected in the morning and in the evening and taken to the dairy after collection. It is not subjected to pasteurisation and is therefore transformed raw, thereby maintain- ing the wealth of good bacteria and organoleptic properties that come from the grass and the fields. There are two very important producers that form part of the official ‘Zone of Origin’ and which make a Parmigiano Reggiano that is considered unique. One produces cheese made from the milk of an ancient breed of cow – the ‘Rossa Reggiana’ or ‘Red Cow from Reggio Emilia’. This cow produces one third less milk than the classic Friesian breed, but in proportion produces more of the final product. There is even a disciplinary code and a special brand dedicated to the Red Cow. You can find further information on www.consorziovaccherosse.it. The second producer that I would like to mention is the Caseificio Rosola in Zocca (located in the hills above Modena) which makes cheese from the milk of the ‘Vacca Bianca Modenese’ or ‘Modena White Cow’ which also has its own brand. This is a dairy that is considered a territorial benchmark. For detailed explanations on the Parmigiano Reggiano’s production process, please refer to the official website of the Consortium www.parmigianoreggiano.it and select the text in English. STRENGTH, LAMBRUSCO GRASPAROSSA S DI CASTELVETRO D by Giorgio Melandri b « «The card indicating Strength in the Tarot rep presents the control over one’s instincts with the a application of reason. Here it represents the rellationship between Lambrusco Grasparossa and m man and the eternal battle between the wine and tthe concept of tradition.» “We have never had vineyards that comprised of only one grape type here in this area, let alone a vineyard that was made up of only one clone! It is the madness of our time. I, on the other hand, have decided to follow in the footsteps of my father and his father before him”. I will never forget these words spoken some years ago by Vittorio Graziano, a revered producer of Lambrusco, while we were strolling through the vineyards one afternoon. In the hills of Emilia, the Lambrusco vineyards have always featured a combination of different grapetypes – with a protagonist grapetype such as the Lambrusco Grasparossa and a selection of other grapetypes that serve to enhance or add some characteristics. Barbera has always been one of the ‘enhancing’ grape types, useful for its pronounced levels of acidity that were welcome during those years when the summers were very hot. The Ancellotta grape, on the other hand, was used to guarantee a more intense colour. It was the diversity of grape types used throughout the area that gave the wine a more complex structure and the ability to adapt to the various changes in climate every year. This approach was born of the wisdom and experience of the farming communities, which, fortunately, still remain a part of the area’s cultural legacy to this day. Vittorio Graziano, a well-known producer of Lambrusco Grasparossa, is an imporant example of this wisdom and tradition and if he had not been present during the ‘darker’ years of Lambrusco production, some of these insights would have been lost altogether. Vittorio is both passionate and determined when he speaks of the tradition of a secondary bottle fermentation with the wine remaining on its lees. Vittorio Graziano’s experience is fundamental in order to be able to identify the Grasparossa’s true expression and its heritage. The book ‘Escursioni di Viticultura nel bolognese, reggiano e modenese’ (A voyage into the viticulture of Bologna, Reggio Emilia and Modena), printed in Modena in 1872 and written by Angelo Formiggini, proves Graziano’s point. It mentions ‘an excellent grape obtained from the Barbera vine in the municipality of Montefiorino, located in the highest hills of the Modena province’. This is the first time that the Barbera grape is mentioned in relation to the territory of Modena, however it does suggest that historically the grape was present. In another book published some time later, Formiggini also writes about the tendency to mix the different vines in the vineyard directly when they were planted. Furthermore, there is a reference to a production of Lambrusco Grasparossa located in Fanano, a small municipality located in the mountains above Modena that underlines the fact that the vines were successfully cultivated even at higher altitudes. We owe much to Vittorio Graziano and his long-standing experience that has been and continues to be extremely useful, especially in relation to understanding the true style and identity of the Lambrusco Grasparossa. In addition to Graziano, there are various other important wine producers who make this renowned wine, as well as many larger, classic producers that are well-known all over the world. The province of Modena is a place where the people remain in a constant limbo between two cultures – that of an extraordinary sense of entrepreneurship coupled with a farming heritage and a bond with the land that has no comparison. The crux, as Massimo Bottura never tires of saying, is the concept of “Fast Cars and Slow Food” – the paradox of cutting-edge innovation that is at peace with its past and its roots. The Lambrusco Grasparossa is the Lambrusco of the hills. There is no mention of its presence in the plains of the Modena countryside, even in any historical documentation. It is suited to the ‘poorer’ terrains and its vigour adapts easily to even the most extreme conditions. Its name is derived from the colour of both the leaf and grape stalks, even though some of the clones available today do not feature this characteristic. Mauro Chiarli, together with his brother Anselmo who are the owners of the winery Cleto Chiarli Tenute Agricole, are currently working on retrieving both the colour characteristic of the leaf and grape stalks as well as the original attributes of the grape itself from old clones. The Grasparossa grape ripens late in the year, a typical characteristic of this grape, and it is due to this that the tradition of producing a sparkling wine has become a trademark of the wine’s identity. The fermentation process stops during the cold weather (and in the past was deliberately slowed down through various rudimentary filtration methods, using sackcloth in particular). The fermentation process begins again in the spring with the warmer weather, giving the wines their sparkle until the outside temperatures increase. The Lambrusco Grasparossa has a distinctive character and its bold tannins are its primary feature. The fruit is austere and those who produce the more interesting versions today have had the courage to reduce the wines somewhat, adding complexity. Today, the challenge regarding this ‘wine of the hills’ is that of retrieving its true legacy and identity which the 1970s almost completely eliminated with an idea of wine-making then that was carried out according to a set technique or ‘recipe’ and that at the time was considered reassuring. As the years go by, the wines are regaining their character, tannins, austerity and dryness. There are even wineries such as the Fattoria Moretto, that vinify the grapes from each vineyard on the basis of a deep understanding of the characteristics of each different terroir – a habit that is rare in the world of Lambrusco production, but very im- portant as it restores the classical nature and the personality to the archetypal Grasparossa wines. And once again, we have to look to the past in order to innovate and move towards the future. THE HANGED MAN, PROSCIUTTO DI PARMA T by Giorgio Melandri b « «In the Tarot, the Hanged Man card represents b betrayal and suffering, but also the overturning of ssituations. We wanted to play on this concept with tthe Prosciutto di Parma, as it is the curing proccess (by hanging) that turns the meat, delicate and ffragile at the beginning, into a product that can be cconserved for long periods.» The historian Massimo Montanari writes that in documentation found in Italy and written from the 8th century onwards, the forests were evaluated not according to their surface area, but on the basis of the number of pigs that could ‘fatten’ by feeding on the ‘fruits’ of the woods - acorns, the nuts from beech trees as well as other fruits or nuts both from trees, bushes or the earth itself. This was certainly a complete turnaround from the Roman tradition, which adhered to the opinion that the exploitation of natural areas was barbaric. Meat already formed part of European culture and from the 1500s onwards, when the Reformation rejected, amongst other things, the dietary regulations that had been imposed by the Catholic Church, it was considered a legitimate source of nourishment. As regards the breeding of pigs, we need to take into consideration that the Padana plains were originally covered with forest, in particular oak trees. It was also an area where there was a great deal of water. In Parma, in particular, there were (and still are) two other important elements that played a role in the production of Prosciutto: the salt that was obtained from the thermal waters of Salsomaggiore and the dry air that blew through the valleys and that rose from the plains into the Apennines. It was a combination of all these elements that made the production of Prosciutto di Parma possible. Even when the immense deforestation programmes were implemented and the nature of agriculture and the landscape changed, the tradition of breeding pigs and salting the meat was nevertheless kept alive. At the end of the middle-ages, the great ‘Parma Charcuterie’ tradition was assigned with a special corporation named Lardaroli, which had been inspired by the much more powerful ‘Arte dei Beccai’, a corporation founded in Florence, dedicated to the fourteen ‘minor’ arts including butchery, fishery and the management of taverns. The story of the Prosciutto di Parma is therefore one that goes back centuries and the way that the product is made today is the result of those same centuries of experience. The Prosciutti are made using the pigs’ larger thighs, usually weighing over 12kg. They are then heavily salted and cured by being hung and air-dried. The appearance of the Prosciutto has become typical and it is always without the trotter and the classic shaping typical of other cured hams that leave the head of the thigh-bone open . Once the Prosciutti have been cured for the specified amount of time, they are inspected by specialists who pierce them with a needle made from a horse’s bone to examine the smell. Only the hams that pass this test can be heat-branded with the Parma logo that features a five-pointed crown and which is also the logo of the Prosciutto di Parma Consortium founded in 1963. The only ingredients that may be used to produce the Prosciutti are the posterior thighs of the pig and salt – and of course the curing time which is a minimum of ten months. Today, there are approximately 200 producers of Prosciutto di Parma, almost all concentrated in the Langhirano area, located in the Parma valley. Here we can often find old buildings that were dedicated to the curing process, which have windows on all sides in order to be able to ‘air’, regardless of the direction in which the wind blows. The territory of production, according to the product specification criteria imposed by the Consortium, is the area in the Parma province located approximately 5km south of the Via Emilia. The area reaches an altitude of up to 900m above sea level and is bordered to the east by the Enza river and to the west by the Stirone torrent. It is only in this area that the climactic conditions are considered ideal for the ‘dryingout’ process (in Italian ‘prosciutto’ means ‘dried out’), or rather the natural curing process that gives the Prosciutto di Parma its sweet flavour. The pigs, on the other hand, may originate from other regions: Piemont, Lombardy, Veneto, Emilia-Romagna, Tuscany, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo and the Molise. To end, I would like to pay homage to the Milanese delicatessen owners, as it is thanks to them that the Prosciutto di Parma is so revered today. It is they who were able to manage these large Prosciutti and to slice them in the most perfect manner. And it is these great masters who changed the history of this product during the 1900s. DEATH, COPPA PIACENTINA. D by Giorgio Melandri b « «Even though Death is considered by the Cattholic Church as a simple change in the state of o one’s condition, from an earthly being to one that iis hopefully superior, in the Tarot this card quitte simply represents the concept of change. The C Charcuterie from Piacenza, with its long curing p process that makes it beautifully refined in taste, is ssubjected precisely to this change.» An amulet dating back to Roman times and exhibited at the Civic Museum of Piacenza testifies the presence of pigs in the Piacenza area even many centuries ago. As was also the case in Parma, large amounts of pigs were able to feed (and fatten) here, due to the significant quantity of natural water resources available and the forests that were dominated by oak trees, providing large amounts of acorns. The presence of salt was of also utmost importance, however, and this was found in the thermal waters of Salsomaggiore Terme, a small town in the hills located just south of Fidenza, near Parma and Piacenza. Even today, although the Province of Parma manages the town’s administration, from an ecclesiastical point of view the town belongs to the Diocese of Piacenza. However, we need to go back some years - to the 14th Century to be precise - in order to find evidence of the sale of cured meat in the Province of Piacenza. We can deduce from the old town statutes that the sale of preserved meat was reserved exclusively for the members of the then Cheese Corporation, some of who had a regular stand at the market in the Piazza del Duomo. Some time later, when the consumption of this type of meat had already increased, a dedicated corporation known as the ‘Lardaroli’ was founded. This was how a tradition was born that has continued over the cen- turies. In this area a special and very important professional role was created – that of ‘norcino’ or pork butcher, known as ‘massalein’ in the local dialect. The buying and selling of cured meats became of significant importance in the area and this is proven by the fact that a notary was called upon to authorise the butchering of pigs. This is clearly stated in the book ‘La cucina a Piacenza e in Italia nei Secoli’ (Centuries of Cooking in Piacenza and Italy), written by the historian Stefano Pronti. The notary confirmed that the pig butchered weighed no less than 250 kg, but he also verified the amount of animals butchered, probably for fiscal reasons. “The target market for our charcuterie – Coppa, Pancetta Arrotolata, Culatello, and Salami (the latter historically known as ‘zambudelli’) all produced in the communities that flank the Po River, was Lombardy and Milan in particular.” It is Roberto Belli, President of the Consorzio Salumi Tipici Piacentini who provides us with this information. “In Milan, the charcuterie sellers from Piacenza also brought their famous ‘cacio’, a cheese that was to become the renowned Grana Padano in later years. It was a product that could complement their selection of charcuterie, which the sellers from Parma (who were Prosciutto specialists and limited to this product) did not have. Coppa and Pancetta did not form a part of their product selection either. Even today, the Milanese speak of ‘roba de Piasenza’ or ‘stuff from Piacenza’, to indicate the high quality charcuterie of our territory”. Even though the primary market for the purchase of cured meats was Lombardy, thanks to the promotional work carried out by a skilful diplomat and passionate gastronome from Piacenza, the Cardinal Giulio Alberoni (1664-1752), they also became famous much further afield in the first few decades of the 1700s. Alberoni, who was born in Piacenza, which at the time formed part of the Duchy of Parma, was an illustrious character who even managed to promote the local charcuterie in the Royal Spanish and French courts. In fact, Giulio Alberoni was an Italian Cardinal and statesman who was in the service of Philip V of Spain. During the War of the Spanish Succession, Alberoni laid the foundation of his political success through the services he rendered to Louis-Joseph, duc de Vendôme, commander of the French forces in Italy, to whom he had been sent by the Duke of Parma. When the French forces were recalled in 1706, he accompanied the duke to Paris where he was favourably received by Louis XIV. The Duke took advantage of both Alberoni’s diplomatic talents and his business acumen when it came to dealing with important issues of an economic nature. In 1711 he followed Vendôme into Spain as his secretary and he was very active in aiding Philip V in gaining the throne of Spain. After the death of the Duke of Parma in 1712, Alberoni’s reputation was such as to be appointed consular agent for Parma at Philip V’s court where he soon became one of the king’s favourite members of his entourage. When Queen Maria Luisa of Savoy died in 1714, with the help of Princess Marie Anne de La Trémoille who was very influential in Philip’s court, Alberoni arranged a marriage between the widowed King Philip V with Elisabetta Farnese, niece of Francesco, Duke of Parma. The new queen exercised her power in favour of Alberoni, whose position within court rapidly advanced and within not much more than a year, Alberoni was made Prime Minister, and subsequently a duke and a member of the King’s council. He was appointed Bishop of Málaga some time later, then Cardinal by Pope Clement XI, under pressure from the court of Spain. In addition to his status as a remarkable soldier, his influence also reached the stomachs of the Spanish court and the European aristocracy. He was a great gourmet who advised the court not only on table manners and menus, but also on the products to be served. Several of those were the cured meats from Parma and Piacenza. The Coppa Piacentina, together with the rolled Pancetta and the Salame Piacentino, is one of the three PDO products hailing from Piacenza. Historically, the size of each product is on the larger side, in fact Coppa that is less than 2.5 kg in weight is not even salted. Its taste is slightly sweet and a little spicy with a fat that is both abundant and complex. The Coppa Piacentina is probably one of the most refined cured meat products from Emilia Romagna. The style of this cured meat is typical of Piacenza and it is both delicate and elegant and very different from the cured meat products made in Romagna which are small and spicy. TEMPERANCE, FORTANA. T by Giorgio Melandri b « the Tarot, Temperance represents moderation and «In aadaptability, chastity, purity and every type of relattionship especially since in this context, water is inextriccably linked with wine. Fortana is a champion of adapta tability and in the Bosco Eliceo territory, challenges the cconcept of grape cultivation, with vines actually planted oon sand. The card also bears homage to the ‘Coppia F Ferrarese’, a typical, hard bread from Ferrara.» The fascination surrounding Fortana, here traditionally called ‘Uva d’Ora’ or the golden grape, is extraordinary. It is both an ancient and primitive grape that has adapted to growing on the poorest of sandy terrains, often directly in contact with the salt water streams that stem off the coastal areas and that lead via the Po di Goro river mouth to the Reno water outlets. Once, a pale red wine was made in this area which was harsh with very distinct mineral flavours, edgy acidity and aggressive tannins, but at the same time aromatic and accessible. It was always called the ‘wine of the forest’ due to the presence of the Eliceo Forest – rife in Quercus ilex but more commonly known as evergreen oaks, which extended over a vast area. Today, the forest areas are restricted to small ‘islands’ such as the Mesola forest or the small San Giuseppe di Comacchio forest. Fortana is the queen of these terrains and is planted ungrafted, partly as the sands protect it from the Phylloxera parasite and partly because the grafted vines have difficulty in confronting the extreme climactic conditions of the Po Delta. Emanuele Mattarelli, a local wine producer explains, “you have to imagine a landscape that was once completely different to what you see now, where water covered the whole area. The vines grew in the small inlets of sand which separated the sea from the brackish waters. This was always the case until around the year 1000, when the Pomposa monks started to cultivate the vines”. And in fact, there are statements made in the book by Marcello Bertelli ‘L’Uva d’Ora’ or ‘The Golden Grape’, that testify how the Benedictine monks of the Pomposa Abbey cultivated the vines in the sandy terrains known as the ‘insula pomposiana’ which were located around the monastery. There are various legends that exist surrounding the origins of the grape. The most famous, and perhaps most romantic, is the one that recounts how the young Renée of France who, in 1528 came to marry Alfonso d’Este, brought with her some of the vines from the Côte D’Or in the Bourgogne region in France and had them planted in the sandy dunes on the coast of Ferrara. “Nothing could be further from the truth”, says Mauro Catena, agronomist and enologist. “The Fortana grape has southern Italian origins and is probably a Neapolitan grape. This is proven by its need for sun and light and how it grows and behaves in warmer climates. Furthermore, it is a primitive grape that does not mature easily and is very close in nature to the wild grapes. However, it is incredibly rustic and is extremely productive”. The fact is that the Fortana grape grew in large areas of the Padano plains, starting from Parma, where it is known as ‘Fortanina del Taro’ and spreading to Modenese territory where it was planted in the middle of Lambrusco vines. Marisa Fontana an expert ampelographer who has been studying this area for many years says, “to tell the truth, there are two type of Fortana grape. One which is smaller, known as ‘Fortanina and one larger one. The vines are completely different and classified respectively as CAB1 and CAB13 in the official nursery catalogues”. The people of Comacchio remember the Fortana grape as the larger one, today still planted ungrafted and maintaining the original European rootstock. What is certain is that this particular territory was overwhelmed by land being remediated and by changes in the route of the Po river. First of all, in 1570 an earthquake shifted the main mouth of the river 40 km to the north. Then, at the beginning of the 1600s, the Venetians opened the ‘Porto Viro cut-off’, an important hydraulic work which diverted the course of the Po di Venezia, known at the time as the ‘Po di Corbola’ or Po del Mazzorno’, from the Po da Cavanella in the ‘Sacca di Goro’, excavating a canal of 7km in length that currently forms part of the Po di Venezia that we know today. Water has always been at the heart of this story, even during the twentieth century, when a large part of the Valli di Comacchio, one of Italy’s most fascinating ecosystems was remediated. We should remember, however, that Comacchio was once only reachable by boat until the middle of the 1900s. Here we are confronted with a wine that has a fascinating but difficult identity and that is linked to a single territory but nevertheless extremely out of the ordinary. It is a heroic wine that lives in an equilibrium between the land and the sea. Even today, when visiting the area, we are overwhelmed by the beauty and poetry of the landscape made up of river dams and water inlets and huge expanses of water reeds and birds in flight. It is also an area that on the one hand is difficult to cultivate, but on the other is generous, providing us with the wonderful PGI Rice from the Po Delta, game and fish from the valley, cross-cut carpet shell clams from the Sacca di Goro, fish from the sea and vegetables cultivated on the sands, starting with that extraordinary garlic produced in Voghiera (PDO) as well as carrots, pumpkins and watermelons. Last but not least, I would like to mention a forgotten grape-type that is in the process of being recuperated – the Russiola. Comacchio tradition dictates that it be vinified by itself. It always provided the first wine of the year which was consumed even before Christmas. Vintners made and are once again making a rosé wine with the Russiola grape that has a racy acidity but that is as ‘salty’ as sea water. It is another wine thatcan be perfectly paired with eel and snails. IIL DIAVOLO, MORTADELLA BOLOGNA di Giorgio Melandri d « «In the Tarot, the Devil is a card that forces us tto confront situations that make us fearful and o obsessive, as well as the pleasures of the flesh. We w would like to play on this by using Mortadella Bol logna as our protagonist, a symbol of transgress sion that is both seductive and irresistible.» Mortadella Bologna is a world famous charcuterie M product that is often known simply as ‘Bologna’. Alberto Capatti and Massimo Montanari write about this unique product in their book ‘La Cucina Italiana”. “When we speak of food traditions, it could be taken for granted that we mean traditions that are inherently linked to belonging to a particular territory - so to a specific geographical area’s products and recipes. However, when we consider the concept in this way, we forget that ‘identity’ can also (or perhaps most of all) be defined as being something different, particularly with respect to others”. If we are to consider this in relation to gastronomy then, the idea becomes clear: ‘local’ identity is born on the basis of the concept of ‘exchange’, that is to say when and the extent to which a product or recipe is subjected to other cultures and regimes. If on the one hand the concept of self-consumption in an economy that could be considered even partially self-sufficient corresponds to the intimate appreciation of food and its rituals, on the other hand it detracts from market demand and the ability to judge the quality of that particular product from outside that territory. So, a product that is considered exclusively ‘local’, in fact has no geographical identity in the sense that its local identity is born of its ‘delocalisation’. ‘Mortadella from Bologna’, (or more simply ‘Bologna’), is defined as such only when it leaves the area in which it is made. The deep-fried stuffed olives known as ‘olive all’ascolana’ (from Ascoli Piceno) assume this classification only once they pass the borders of their birthplace – only to return to their hometown, like a boomerang, with that same classification. Mortadella is made with 100% pork that has been finely ground and mixed with ‘lardelli’ or small cubes of fat and then mildly flavoured with spices. It is then shaped by being stuffed into a natural or artificial casing and cooked for many hours at a low temperature. It is a simple but extraordinary sausage that is unmistakeable in aroma and flavour and has been eaten as a morning or afternoon snack by generations of Italians. Before we begin to talk about its history, I have two considerations that I would like to share: the first is that no one produces Mortadella at home, which is, however, the case for Salami, Prosciutto and Coppa. This does not necessarily mean that it is an industrial product per se, but underlines the fact that to make Mortadella it needs professional know-how and specialist equipment. And if its international fame and success are only due to the spread of the industrial versions, often of excellent quality, it is also true that Mortadella is now being made by artisan producers who take the selection of the ingredients and the production processes to their own extremes. From large industrial producers to small artisan producers, it is a product that satisfies the demands of different markets and consumers, from the discerning gourmet to the very hungry child who comes from school and wants a snack. The second consideration is that more and more people are serving Mortadella cut into small cubes, a cut that does not do justice to its wonderful aroma. Mortadella should be served thinly sliced, even better if it sliced just before being served, as tradition in the finest delicatessens dictates. Let’s talk about its history: we find references to Mortadella in cookery books that go as far back as the 1300s even if it is highly probable that many different types of ‘Mortadella’ existed that were made with veal and even donkey meat. Its production and the application of the seal guaranteeing its quality and authenticity was carried out by the ‘Corporazione dei Salaroli’ (a medieval ‘corporation’ of people who processed pork and used salt to preserve it). The corporation is one of the oldest in Bologna, whose crest already featured a pestle and mortar in 1376. And this brings us to the logical conclusion that it is the mortar itself (mortaio in Italian) that gave the name to this cold cut. The first Mortadella recipe is probably the one published in 1376 by Cristoforo da Messisbugo (Steward of the House of Este in Ferrara and a famous Renaissance cook), in his book ‘Libro Novo’. He speaks of a Mortadella made of liver as well as meat. His recipe speaks of spiced and flavoured ground meats and then stuffed into an intestine. Another recipe that dates back to 1644 is found in Vincenzo Tanara’s famous Bolognese treatise ‘L’Economia del Cittadino in Villa’. Mortadella during this period was a luxury food item and on the occasion of Pope Urbano VIII’s Jubilee, it had already assumed such a prestigious status so as to be guaranteed to the tourists who visited the town, “who payed for it four times that of Prosciutto”. From then on, Mortadella became inextricably linked to the town of Bologna, with the result that it bears the same name. Today, Mortadella is produced with lean pork and ‘trippino’ or tripe. I would like to share the recipe of one of Bologna’s most famous and reputable artisan producers, Pasquini & Brusiani. “The principle ingredient of Mortadella is lean pork meat. We almost exclusively use the shoulder muscle. Another fundamental ingredient is ‘trippino’ or the pig’s stomach. It is this ingredient that primarily determines the taste and consistency of Mortadella. The third key ingredient are the ‘lardelli’ or small white cubes that can be seen. Despite the name, the product that we use does not come from ‘lard’, but rather from the neck of the pig. This part demonstrates superior characteristics during the cooking process. The ‘lardello’ is first cut into cubes then washed with hot water to remove the outer layer of fat which would otherwise stop it sticking to the meat when it is sliced. The lean part of the pork and tripe are finely ground until a kind of paste is formed. The meat paste and ‘lardelli’ are mixed together with the other ingredients - salt, pepper and spices. The final mixture is then transferred to a machine which stuffs it into either a natural or artificial intestine, a process that is carried out in a vacuum machine so as to eliminate any air bubbles from the mixture. The Mortadella is then formed into various sized ‘sausages’ weighing from between 1kg to 14kg. The ‘classic’ size is 12kg. It is then cooked at a low temperature for 24 hours”. THE TOWER, COLLI DI PARMA MALVASIA E T COLLI PIACENTINI MALVASIA C by Giorgio Melandri b « «The Tower represents a threat to our homes and iin the Tarot, in particular, it represents a crisis. W When our anger causes us overcome our enemies, iit can also represent the concept of victory. It also ssignifies temptation, love at first sight, and a brea ak from the past. We would like to pair this card with the Malvasia di Parma e Piacenza, in this case representing a break from the past and from the grape’s history in its native Candia before it reached Italian soil. The border between Parma and Piacenza has been and continues to be somewhat undefined. As we cross from one to the other, both areas have been ‘contaminated’ with the same products, the same wines, the same traditions. In an article published in the newspaper la Libertà, Giancarlo Spezia, a university professor and owner of a company making machines for wine production, writes of a common desire of the people of Piacenza to unite with the town of Lodi (which currently forms part of the Lombardy region). Spezia writes, “I was surprised – but maybe I shouldn’t have been – how some people suggested the political annexation of Piacenza with Lodi and consequently with Lombardy. I wouldn’t even have entertained the idea for a second, but alas, I do not keep up with trends and this Pindaric flight is not typical of my way of thinking. In spite of having passed the best years of my life in Milan where the Polytechnic moulded me, I have always felt truly Emilian, right down to my very core. However, here we are not dealing with a case of fatuous idealism. We Emilians are different from the Lombards. In reality, the borders that were physically eliminated during the Italian unification over one hundred and fifty years ago, still exist to a certain extent. We need only to travel a few kilometres north or cross a bridge and we can find contrasting customs. We also find a different version of the same language spoken - with different accents and cadences. However, what demarcates these borders the most are the gastronomic traditions, those that thankfully continue to unite families who respect and communicate them. So, all of a sudden, when you move north along the Valtidone where the Molato Dam is located, you will enter into what was once the ‘old’ Piemont where you will no longer find Tortelli ‘with a tail’, but a more anonymous and dull substitute of meat-filled ravioli with a sweet-sour flavour typical of the ‘other side’ of the Po river. Some of these flavours, for example those of Tortelli Cremaschi that have amaretto biscuits crumbled into the filling, do not belong to our Emilian traditions in any way. However, in reality, the difference lies not in the lack of a single definitive dish, but in a particular type of complex taste which we develop from childhood through to adulthood and that differentiates us Emilians both from the Lombards and the ‘old’ Piemontese, who are now situated in the current area of the Oltrepò Pavese.” These words spoken by Spezia are wonderful and they definitively position Piacenza in Emilia – a fact that should not be taken for granted, despite the territorial continuity of many foods and customs. The Malvasia Aromatica di Candia is one of these commodities – and perhaps one of the only products where we can decipher a ‘code’ that is common to both provinces. And perhaps this code is not even restricted to these two provinces, considering that the Malvasia Aromatica di Candia grape is also cultivated (and its wine produced) from the beginning of the Val d’Enza in the province of Reggio Emilia. There are several food products that are common to the various provinces along the Via Emilia between Bologna and Piacenza and the Malvasia grape is one of them. The Barbera grape, which plays an important role in the wine-making traditions of all the hillside territories from the Piacenza valleys to the Bologna hills, is also testimony to this fact. We can assume that the origins of the Malvasia Aromatica di Candia, as the name suggests, are from the Aegean Sea, more precisely from the Greek island of Crete (whose historic name is, indeed, Candia). However, another validated theory is coming to light, based on the fact that the name, rather than linking to the arab word ‘al-khandaq’ (moat) left as a legacy by the Ottomans during their rule in Crete, more simply has Latin origins, with the word Candia deriving from the Latin candidus, meaning white. Roberto Miravalle, President of the Consorzio Tutela dei Vini Piacentini tells us how “…we went to look for Malvasia grapes in Crete, but the few plants that we found there turned out to be of Italian origin. What is truly interesting emerges from studies carried out by Attilio Scienza of the University of Milan and Serena Imazio of the University of Modena and Reggio Emilia. They discovered that the Malvasia Aromatica di Candia is, in fact, not only genetically distant from all the other 18 white Malvasia clones found in Italy but also from the more simple Malvasia di Candia cultivated in Lazio. At this point, one could even hypothesise that the grape is autochthonous and, even more daringly, a hybrid with Lambrusco grapes, a theory that could be proven by the presence of some common and similar genes. This may only be a hypothesis, but it surely demonstrates that the history of this grape goes back many, many years.” The Emilians have always believed that only sparkling wines should be paired with charcuterie, however, in recent years there have been various wine producers that have drastically turned tradition on its head. The first is Lodovica Lusenti, a small artisan producer in the Val Tidone, located in the province of Piacenza, who makes the Malvasia Emiliana. This wine undergoes a secondary fermentation in the bottle and is not disgorged – a method of producing sparkling wines in Emilia that is considered ‘ancestral’. The Malvasia Emiliana is a multifaceted wine that has distinct notes of white flowers and flintstone. In the mouth it is dry and expresses a marked mineral presence. The Malvasia Emiliana has completely redefined how the Malvasia Aromatica di Candia is perceived. Another wine producer who has changed our perceptions of this grape and how it is vinified is Camillo Donati, located in the Parma hills. He produces La Mia Malvasia with the same secondary fermentation technique. Lodovica Lusenti and Camillo Donati are the benchmark producers of this type of wine that expresses an extraordinary complexity without betraying its popular character. The innovative aspect of modern wine-making methods compared with the more traditional ones lies in the total (100%) use of the Malvasia Aromatica di Candia grape. Historically, the grape had always been blended with other white grapes, as the wines of Giulio Armani, owner of the small winery Denavolo (located in Travo, Val Trebbia) demonstrate. On the meagre and gravelly soils of the area, Giulio only cultivates and vinifies white grapes (Ortrugo, Malvasia di Candia Aromatica, Trebbiano Romagnolo, Marsanne – here known as ‘Sciampagnino’) as is the tradition on this side of the valley. He produces his wines using long maceration processes, of which he is the undisputed master. The resulting wines are complex, multifaceted and powerful on the nose and dry, vibrant and crisp in the mouth. To end, I would like to mention the most important wine that has been produced in recent years – Ageno – made by La Stoppa, a winery based in the Piacenza hills and probably one of the oldest wine producers making high quality wines in this territory. La Stoppa makes a wine consisting predominantly of Malvasia di Candia Aromatica grapes to which small amounts of Ortrugo and Trebbiano grapes are added. They are then all macerated on their skins. Ageno represents a new frontier for the aromatic qualities of the Malvasia grape which, in this case, express both complexity and longevity. It is a ‘must-drink’ wine that revolutionises the history and traditions surrounding the Malvasia grape, enriching it with new possibilities. THE STAR, REGGIANO LAMBRUSCO T By Giorgio Melandri B « «The Star card in the Tarot has several meanings: sspirit, birth, seductive pleasures, harmony in the g generic sense and purity. It also represents art. T The Reggiano Lambrusco is precisely this – a perffectly balanced and harmonic wine that was born o of a community that made convivial pleasure into a an art. » The landscape that defines the Reggio Emilia lowlands speaks a language of its own – a kind of melancholy poetry to be discovered along the never ending, seemingly identical roads that pass through a myriad of villages and over countless bridges. Every now and again, we see a bicycle that appears to be standing still. Sometimes people travel alone even in the thickest of winter fog or during the hottest of summer days, with single landmarks as a reference point, such as the poplar trees located on the many river banks or the bell towers. Much of this territory’s essence is hidden, beginning with the collective ritual of butchering pigs or harvesting grapes. Everything is concealed and one tends to imagine a wealth of something, anything, hidden in the strangest of places. And if you consciously look for that something or anything, you may even find it. The writer from the small town of Correggio in the province of Reggio Emilia, Pier Vittorio Tondelli, helps us to understand this territory and what wine means for the people of the communities of Reggio Emilia in his book ‘Racconto del Vino’ (The Story of Wine), published in 1988. In the book he recounts a homeward train ride. “The other day, during my journey, when I kept seeing the farmers and the local women intently washing, rinsing and drying bottles, then putting them all in line on a rack in the sun, I said to myself ‘there’s a new moon coming soon’. When I arrived home, I also found my father and my mother too busy to say ‘hello’ or ‘how are you?’. They were taking it in turns to carry the clean bottles into the cellar. However, since our apartment was on the sixth floor of the building, they were frenetically carrying out their activities between the kitchen, the landings, the elevator, the building stairs, the garage and then finally the small passageways in the basement. What was interesting about all of this, was that all the other people who lived in the apartment block were doing exactly the same thing.”. Tondelli describes a community of people busy carrying out tasks that constitute a ritual that, in turn, is a kind of celebration of their identity. He continues, “…this activity was not only linked to their own personal pleasure or to the satisfaction of being able to offer guests a decent glass of wine some months later, or even to be able to offer something that they had helped to make with their own hands and with some effort, but, I believe, it represented for them the true essence of the lives that they were living. It all formed part of a collective memory, of people who had passed away in the meantime, but who many years previously had carried out the same tasks, thereby celebrating the same ritual, all be it in a completely different environment - in the open air of a farmyard and in the shadows of old stone houses. By carrying out these ‘rituals’ together, they no longer embodied the accountant, the surveyor or the doctor, but were rather descendants of their homeland, in the same way that when I get off the train and smell all those scents hanging in the air, I have a profound awareness of being absorbed by and amalgamated with that fog and with those countryside mists that hang over the fields and roads some days of the year. Ultimately, my roots are nowhere else but in that farming community”. Pier Vittorio Tondelli was born during the mid-fifties in that crucial moment of our civilisation’s evolution when our agricultural society gave way to an industrial one. Like all young people of his generation, he loved rock music, American culture and urban living, but he did, at one moment in time, feel the need to reconcile himself with his roots. He writes, “…we need to understand those activities and rituals that people foolishly abandoned when they left the countryside for the cities and which consequently disappeared over the space of a generation. Our true objective is this: to try and understand ourselves, to investigate the activities that constituted our rituals, to recount the people and the culture that we were a part of. We need find that place once again, not necessarily with nostalgia, but where we can understand how wine was an innate and even unconscious part of people’s existence”. Tondelli’s words ring with a profound sense of being a true Emilian, generous and open, exactly like the people who come from here. The Lambrusco Reggiano encompasses all of this. It is culture and identity, but most of all it is the symbol of a community. The primary grape of this DOC designated wine is the Lambrusco Salamino that has both elegant and well-balanced tannins, even when the production quantity increases towards the plains. In reality, the production criteria authorises the use of many other types of Lambrusco grape, from Lambrusco Marani, Lambrusco salamino, Lambrusco Montericco, Lambrusco Maestri, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa to Lambrusco Viadanese, Lambrusco Oliva and Lambrusco Barghi. Despite this, the wines which contain a higher percentage of Lambrusco Salamino are much more convincing. Alberto Medici of the famous Lambrusco winery Ermete Medici explains, “We choose to use only 100% Lambrusco Salamino for our Concerto wine because it is the grape that guarantees the best quality - it expresses a wonderful mellowness, fruitiness and elegance”. The Salamino grape used for the Lambrusco Concerto, the world’s most famous Lambrusco Reggiano, comes from the vineyards owned by the family at the Tenuta La Rampata, in an area that is located at the base of the Reggio Emilia hills forming the beginning of the Enza Valley. A testimony to the difference between the hillside areas where the Lambrusco Grasparossa grape dominates, and that of the plains where the Salamino expresses wonderfully elegant wines with a fleshy fruitiness, is a little-known but important DOC wine known as the Colli di Scandiano e Canossa. Its superiority is thanks to the use of the Lambrusco Grasparossa grape. The hills which rise behind the Via Emilia in the province of Reggio Emilia have interesting and diverse terrains. The lower hills have a heavy clay content with those less compact soils that are poorer in minerals being restricted to the higher hillside areas. We find ourselves in the heart of the famous territory of Matilde of Canossa (1046-1115), a powerful female feudal ruler and the chief Italian supporter of Pope Gregory VII during the Investiture Controversy. She dominated all the territories north of the Church states in northern Italy and defended the area with a complex of castles, including those of Pianello, Rossena, Canossa, Sarzano and Carpineti. These hills now are home to a selection of smaller wine producers who have once again embraced the ancestral method of Lambrusco production, fermenting the wine on its lees. The wines are not disgorged and this method means that the wines acquire distinct and complex earthy aromas, typical of those wines that are more primitive in style. THE MOON, LAMBRUSCO DI SORBARA T by Giorgio Melandri b « «The Moon is a complex card that has many mea anings. Among the most important are those that rrepresent femininity and mystery. Depicted in placce of the lights are two bottles of Lambrusco di S Sorbara bound with string, as was typical when tthe wine underwent a secondary bottle fermentattion and was not disgorged. The Sorbara is probab bly the most feminine of all the Lambruschi and its mystery is due to an incredible strength of identity achieved by adhering to the philosophy that ‘less is more’. Its history is also linked to the moon, especially since the farmers used to follow the phases of the moon to decide the day on which they would carry out the bottling process, normally 10 days after the full moon in March.» The Sorbara is a Lambrusco that is different to all the others and has a very distinct identity. It is generous in its acidity, pale in colour, has austere aromas that remind us of violets and rose and the pronounced mineral element in the mouth renders it unmistakably elegant. The history of this grape is different to all the others and it is probably this, among all the other Lambrusco vines, that is closest to a wild grape vine. The enologist and agronomist, Mauro Catena writes about the origins of Lambrusco vines in his essay ‘Il Lambrusco, la lunga storia di un vino di successo’ (‘Lambrusco, the long history of a successful wine’), published in 2008. We need to be aware that the domestication of the vine came about in various locations and the process that transformed the Vitis vinifera silvestris into the Vitis vinifera sativa is linked to the history of different environments and communities. We can be certain that the Lambrusco species of grape is the result of the work carried out in one of the domestication centres where the plant was transformed into a hermaphrodite plant causing the shape of its leaves and seeds to be modified. The size of the grapes themselves increased, but the acidity contained therein decreased. In the case of Lambrusco, the continuation of its cultivation in a humid and cool environment played a more important role than the isolation of some species. However the humid and cool environment previously mentioned was not suited to the domesticated vines that migrated to Italy from much warmer and drier European and Middle-Eastern climes. Lambrusco vines, in particular, are considered to be very close to the Vitis Vinifera Silvestris species. Their genetic history has been analysed, confirming that they were probably evolved in a secondary plant domestication centre in northeast Italy. It appears that the environmental limitations to which the plant was subjected probably advanced the evolution of the Lambrusco vines without (or nearly without) being influenced by the genetics of those varieties originally cultivated. The opposite was true, however, for many other European species. We can therefore conclude that during the long man-induced domestication process, vines with different genetic characteristics inherited from their earliest predecessors became inextricably linked to an area where they could be successfully cultivated. This fact was sufficient to confirm the Lambrusco Grasparossa’s undisputed status as an autochthonous grape. If we limit ourselves solely to an analysis of an organoleptic nature, it would appear that the Lambrusco di Sorbara (more acidic and aggressive on the palate, pale red in colour and aromas that remind us mainly of violets and rose with some hints of cherry and blueberry) has maintained more characteristics typical of an original wild grape compared to the Lambrusco Salamino grape (more balanced with a lovely intense ruby red colour and hints of violet thanks to the abundance of anthocyanins, with a fruity aroma that remind us of strawberries, cherries and raspberries and a delicate and smooth finish) or the Grasparossa grape, which, of the three, seems to have been subjected to a more pronounced genetic influence outside of its area of origin, rendering it more similar to a traditional red wine (intense red ruby colour, pronounced tannins and aromas dominated by sour cherry, blackberry, blueberry and hints of nut). The oldest document where a reference to Lambrusco wine can be found dates back to 1670. It mentions a list of wines, among which three large wicker covered wine bottles (of ca. 40 litres each) filled with Lambrusco and sent to Rome and Tivoli to supply Cardinal Rinaldo d’Este’s wine cellar. Since then, the various Lambrusco species (and the wines) have changed, but the one that has evolved the most is the Lambrusco di Sorbara. Today, this grape has become the champion of Modena and those wine producers that make a quality product vinify it by itself, despite the fact that it is cultivated together with the Salamino grape. Mauro Catena writes, “The plant has flowers with short stamen, which from a physiological point of view are female, but it has male features that render it sterile. This means that in specialist vineyards, the presence of a pollinator is necessary and the one used most frequently to this end is the Lambrusco Salamino. The grape clusters are not particularly compact and often also include unripe green grapes (some remain very small and only a few millimetres in diameter as a consequence of the vine’s genetic deviation that causes floral abortion, but which enhances its powerful acidity that is more mineral in nature and only comparable to that of great Champagnes). The Lambrusco di Sorbara is a vine that is very vigorous and erect in its structure and has abundant vegetation. It can therefore be twined using a number of different twining methods. There are some problems that appear with the fertility of the base buds; the short pruning of the vines compromises their productivity. When vinified alone, the Lambrusco di Sorbara is a wine that is not particularly intense in colour, however it is characterized by a modest tannic component that may sometimes seem aggressive and which is accompanied by a high level of acidity. Its aroma is distinctly floral with notes of rose and violet accompanied by some fruity notes and dominated by the aroma of smaller berries such as cranberries, blueberries and cherries. The Lambrusco di Sorbara grape is particularly suited to the production of Classical or Ancestral Method Spumanti. Today, there are four clones of the grape that have been certified so far”. Its behaviour with regard to secondary bottle fermentation surely makes this wine one of the protagonists of the Lambrusco tradition. In 1893, Professor Giosuè Carducci, wrote a letter to the editor Cesare Zanichelli, in which he complains of an unfortunate delivery of some bottles of Lambrusco. “Alas, of the bottles I received, six were broken. Those men from Modena should put more hay in the box – otherwise there is much too much damage”. From the middle of the 1800s to the mid 1900s, the most popular method of obtaining a naturally sparkling Lambrusco, in the industrial sense, was by carrying out a secondary fermentation in the bottle. This method of vinification produced a sparkling, cloudy wine, ‘sur lie’, that wasn’t disgorged and where the main period of secondary fermentation was not carried out in the wine cellar at all, but by whoever purchased it, either the primary consumer or owner of an osteria. The oldest example of where the secondary bottle fermentation was not carried out directly in wine cellar where the wine had been produced, but in another location altogether, was the Trattoria dell’Artigliere in Modena. And it was the success that the Trattoria had with this process that paved the way for the establishment of Emilia Romagna’s very first communal wine-cellar that began producing Lambrusco frizzante in 1860. The better wines were disgorged of their lees, preferring methods that would reduce the quantity of quality wine lost, initially using isobaric decanting machines that were developed by Martinotti at the end of the 1800s. Now, however, both for sparkling Lambruschi and Classical Method Spumanti, the yeast sediment is disposed of once it has fallen to the bottom of bottle (into the bottle top) that has previously been turned upside down. After this, the neck of the bottle is frozen and the sediment removed. The quality of the Lambrusco di Sorbara is establishing itself as one of excellence and it is constantly surpassing itself. It also provides the Sorbara area with an additional distinction – that of a perfect understanding and interpretation of its territory. An article by Martino Zuccoli that appeared in the Gazzetta di Modena on 11th June 1862 tells us that the wine comes from “…a land known as Villa di Sorbara that produces most exquisite wines, but that has a small surface area of vines making it difficult to export even a small quantity”. And this is how, for the first time ever, the idea of a Lambrusco ‘cru’ was conceived, which, (and not coincidentally) happens to be a Sorbara. In 1934, P.L. Cazzuti wrote in his ‘Note enologiche sul Lambrusco di Sorbara’ (Enological Notes on the Lambrusco di Sorbara) “We must acknowledge that we are talking about the best kind of wine, the most important and renowned Italian spumante. There are various different Lambrusco grapes being cultivated. This is the famous Lambrusco with the violet aroma, a species that is indigenous to Sorbara, a small community belonging to the Municipality of Bomporto. It is the nucleus of Lambrusco production and is located 14 km from Modena. The vineyards are compacted into an area between the Secchia and Panaro rivers. The compressed soil in the ‘Classico’ area was the result of flooding by the two rivers, in particular the river Secchia. The base soil type is predominantly made up of sand that is porous and rich in potassium. When the grapes are cultivated on clay-based soils, however, the wine assumes a darker and more intense colour, moving away from its typical characteristics. It also has a higher level of acidity than normal”. It is here that we are able to make a more precise reference to the concept of ‘terroir’, probably for the first time ever in the world of Italian wines. He adds, “The subsoil is very sandy in all areas and very porous. The roots of the vine are therefore not restricted and can grow freely. It is grey in colour with some areas that are slightly yellow and it has excellent drainage characteristics.” And once again the concept of terroir appears in a short essay by Professior Tito Poggi published in 1884 (written in 1879), with the war against the Phylloxera parasite as its subject. “Thankfully for us, many parts of Secchia and Panaro rivers have sandy shores, along which vines grow in many of the flood beds, producing grapes that are both abundant and of exquisite quality”. And so there is a wonderful bond between the sands that are the true protagonists of this terroir, and the rivers that are its beating heart. In his celebrated essay on the Lambrusco from Modena, Francesco Agazzotti also speaks of this bond. “The plains are the Lambrusco grape’s true territory and it is of excellent quality. There are the flood beds on the right of the Secchia river, near to the Villa di Sorbara. These flooded territories with sandy soils that are light and porous have two advantages: first, that the water does not stagnate too much around the vine’s roots and second, that the roots can benefit from constant aeration, universally considered to be so important to the cultivation of these vines that it has inspired a proverb – the roots of the vine should hear the sound of the church bells”. Today the terroir remains the same and the DOC legislation dictates that those municipalities producing the Lambrusco di Sorbara wine in the Modena province must take advantage of the looser soil that is preferred by the vine. These include the entire municipalities of Bastiglia, Bomporto, Nonantola, Ravarino and San Prospero and a part of the municipalities of Campogalliano, Camposanto, Carpi, Castelfranco Emilia, Modena, Soliera and San Cesario sul Panaro. THE SUN, ROMAGNA ALBANA T By Giorgio Melandri B « «The sun is a card signifying truth, clarity, succcess, youth and life. It is also a card which rem minds us of man and his masculinity, in the same w way as the unexpected tannins of this unique white g grape do. Romagna Albana is a wine with an exttremely strong identity, vibrant and full of energy, a accompanied by a wonderful acidity. It demands a truthful interpretation of its identity in order to express its ability to age with dignity whilst at the same time demonstrating its strength and vitality.» Albana is a white, autochthonous grape from the Romagna area, already mentioned at the beginning of the 1300s by Pietro De Crescenzi (born in 1304), a Bolognese jurist turned horticulturalist and agriculturist. The grape has been a part of the oenological history of the Romagna hills that begin in Dozza and end in Bertinoro, evolving over time and adjusting itself to form a total of five different biotypes that have perfectly adapted to the various areas of cultivation. For the farmers of the Romagna area Albana was a wine that was able to survive the long, hot summers. Consequently, it became a wine that was culturally and practically very important in their homes. Historically, the Albana grape spread throughout the northern part of Romagna to Bertinoro. It demonstrates an extraordinary ability to accumulate sugar without relinquishing its crispness and it also possesses a level of acidity that is second to none. It is a generous grape that grows in long, golden clusters and can reach a sugar content inconceivable for other Italian grape types. To this very positive characteristic, we can add others: a skin rich in tannins and polyphenols, which, conversely, can complicate matters during the production process in the wine cellar. It is a grape that is different from any other – marrying power with a vulnerability to oxidisation. It is rich in aromas and full-bodied, while also angular in the mouth. Farmers have been safeguarding their Albana vines for centuries, however, the grapes vinified during the eighties and nineties made banal wines that were overly simplified due to the intervention of oenologists who were unable to interpret its true nature. Fortunately, in recent years and thanks to the dedication of many small wine producers, Albana has once again been able to express itself in its own true language, capable of indulging in a kind of diversity that makes it one of the wines in Italy with the highest potential for personal expression. We can describe the Albana’s reclaimed identity as multi-faceted and complex, courageous even. The same could be said for the Albana Passito. Producers have, in recent years, stopped ageing it in oak barrels with the aim of once again embracing the wine’s complexity, which is inextricably linked to its natural tannins and angular acidity. These are wines which encompass aromas from those of dried fruits – figs, apricots and passion fruit - to those of herbs, capers and citrus-fruits, while still maintaining a distinct tannic presence. The aroma emanates from the glass to form an enveloping voluptuousness in the nose, while in the mouth the wine is dry and ‘old’ in the nicest sense of the word. With this new generation of wine producers and their territorial and autochthonous wines, we are finally able to read the identity of each terroir expressed by the different terrains and altitudes. There are the Albana wines made in the hills of the Faenza (Brisighella and Modigliana) that have a significant mineral presence and are both austere and edgy in the mouth, and then there are the Albanas produced in the lower hills (Dozza, Imola, La Serra, Santa Lucia, Oriolo dei Fichi, Marzeno, Forlì, Bertinoro). The wines from the various terrroirs can be divided into two large families: those which are more reminiscent of flowers and those that have a higher expression of fruit. This was a division created by the agronomist and oenologist Marisa Fontana who mentioned it for the first time at a convention in Bertinoro in 2011. I would like to quote her directly: “The terrain of Imola, of the Senio Valley and of the Serra, all of which boast decarbonated soil, is less alkaline and features a significant amount of chalk. These characteristics create a wine with distinct fruity notes – in particular apricot - while the soils in the areas of Faenza and Forlì which are, in general, richer in limestone and feature sand residues, make wines that are more floral in aroma, with distinct hints of sage. The hints of fruit re-emerge in Bertinoro, but in a more timid manner”. “This is an interesting way of reading the different terroirs which go hand in hand with the three Albana biotypes present in Romagna”. Francesco Bordini, agronomist and wine maker echoes Marisa Fontana’s thoughts on the matter. “The average-sized Albana from Gaiana di Dozza and Castel San Pietro makes a wine that has distinct fruity hints, while the Albana grape which grows in long, forked clusters and which is typical of the Faenza area (Serra and Compadrona) is richer in floral and herbal aromas. The Albana Gentile from Bertinoro grows in short clusters and is suitable to low-growing vines in that territory”. This is a valuable overall interpretation, from which we can begin investigating into the true identity of this grape that truly represents an accurate expression of its territory. JJUDGEMENT, BRISIGHELLA EXTRA VIRGIN OLIVE OIL B By Giorgio Melandri B « «Judgement is the card indicating the knowledge o of things, people and situations. It is this knowledg ge that allows divine justice to make accurate jjudgements. The three figures who are shown cclimbing out of the tombs on the universal day of jjudgement generally depicted on the card, for us rrepresent the three hills of Brisighella – the Venetian fortress, the Watch Tower and the Monticino Sanctuary. These, in turn, represent our territory. The olive oil of Brisighella was, in fact, conceived thanks to the profound relationship between man and his environment, and his ability to understand and interpret the local olive trees of Brisighella – trees from which no secrets can be hidden.» Travelling along the state road 302, connecting Faenza to Florence and crossing the Lamone Valley, we can enjoy a unique landmark in Emilia-Romagna: the olive tree terraces. There are 100,000 trees officially registered providing the olives for Italy’s first PDO (Protected Designation of Origin) extra virgin olive oil, known as ‘PDO Brisighella’. This tiny area producing the certified oil is the only one remaining of the extensive olive groves that could once be found all over the Romagna Apennines. The Bolognese Hills were also prolific producers of oil and there are several sources and various place names that testify to this. It was probably during one of the coldest periods of the Little Ice Age (1300 – 1900), also known as the “Maunder Minimum” (ca. from 1645 to 1715), that the olive trees disappeared from the Apennine landscapes, leaving only small clusters of trees that survived in tiny areas with a special microclimate. Probably thanks to the combined influences of the low-lying Apennine saddle of the Colla Pass and the air currents blowing from the Tyrrhenean sea, this was not the case for the olive trees located in Brisighella Modigliana. An additional factor was surely the presence of the Vena del Gesso ridge that runs along the whole area protecting it from harsher weather and creating an exceptional microclimate. It is also certain that the local olive trees from Brisighella and Ghiacciola were able to survive extreme winter conditions due to their unique vegetative cycle. They resisted centuries of cold weather and were consequently able to offer this small area in Romagna one of the most revered examples of extra virgin olive oil of Northern Italy. With its grassy and zesty notes and hints of herbs and artichoke, the extra virgin olive oil of Brisighella is unmistakeable. It is both elegant and bitter in the mouth and does not feature the peppery flavours typical of the oils of Rufina and the Chianti Classico. The production of olive oil in the Lamone Valley goes back many centuries, as can be demonstrated by the discovery of a rudimental olive press dating back to the second century A.C, unearthed during excavations carried out during the 1950s in Pieve del Tho. There are three notary deeds which mention olive groves in the Lamone Valley in the ‘Schedario Rossini’, a collection of material documenting historical facts and figures relating to Faenza and its surrounding area compiled by Giuseppe Rossini (1877–1963) and preserved in the Biblioteca Comunale in Faenza (the council library). These are dated 24th May 1479, 2nd September 1499 and 29th September 1499. In 1594, Monsignor Andrea Giovanni Calegari, Bishop of Bertinoro (1527-1613), talks of the beauty and fertility of the Lamone Valley in a letter addressed to the Doctor of the Grandduke of Toscana Hieronimo Mercuriale of Forlì, and, in particular, the abundance and the large size of the olives which made an excellent impression on whoever ventured from Florence to Faenza , “….the air, the water, the wines, the oil – and oh, the fruit that grows here is so delicious that the people of Romagna have to envy no other regions in Italy….” The historian Francesco Maria Saletti from Brisighella (1596-1674) also exalts the beauty of the Lamone Valley in various parts of his work “A Commentary on the Amone Valley”, which still remains unpublished to this day. The work brings to light how oil and wine were two typical and outstanding local products of the area. There are further documents preserved in the historical notary archives in Brisighella which mention the olive groves from the 1500s to the end of the 1800s. Even Antonio Metelli (1807-1877) in his ‘History of Brisighella and the Amone Valley’ speaks of the hills protecting the olive trees and the “mild climate producing olives so perfect as to be able to extract the finest oil”. The left side of the Lamone Valley, therefore, today as in the past, is the heart of this extraordinary PDO product and perhaps it would be right to indicate Rontana as its true centre. For it is here that there is a profound interconnection between the limestone terrain and the olive groves, creating a geographical point of reference that represents the product’s genuine identity. The ‘cru’ oils that were used to make this iconic olive oil that revolutionised the history of PDO products were listed in the historic sketches of Brisighella where the concept of the product’s geographical point of reference and its true identity has also been depicted. “Nerio Raccagni, patron of the restaurant La Grotta di Brisighella, inspired us to produce a bottle of oil where the whole supply chain was carefully detailed. It was 1975 and the CAB (Agricultural Cooperative of Brisighella), started to bottle the oil that had, until then, been sold in demi-johns. We thought of numbering the bottles, with each one featuring a certificate of origin signed in the presence of the Notary Baruzzi. This was how the extra virgin olive oil from Brisighella that Nerio Raccagni so passionately promoted among the finest restaurants in Italy was born. He was also one of the founders of AIS (the Italian Association of Sommeliers) and was able to meet many of the country’s most famous restaurateurs through his restaurant La Grotta. It is Franco Spada the long-standing president of the CAB and the historical memory behind the oil of Brisighella who tells the story. In 1972 the cooperative encountered an important turning point. Teo Tredosi and Floriano Venturi convinced the associates to invest in an avant-garde oil press. And so the famous ‘Sinolea’ arrived - an innovative press for its time. From then on, the separation of all the ‘crus’ and the subsequent possibility to taste each and every pressing in order to make the final selection of oil became the production rituals that made the name Brisighella great. “In 1995, the oil was the very first to be certified PDO in Italy and it was then that we understood that there was no point in us certifying our own product as there was a law and prestigious certification body that did it on our behalf”, continues Franco Spada. “However years of experience of producing olive oil allowed us to profoundly understand and interpret our territory. And the old ‘crus’, to be honest, never betrayed us”. Producing extraordinary oils from the local grapes at his farm the Tenuta Pennita in Brisighella, is Gianluca Tumidei, one of today’s most important producers of oil from Romagna. He agrees with Franco Spada, “The old farmers never got it wrong. I manage the historic cru from Valdoleto, located between Fognano and Zattaglia and when I press the olives my adrenalin levels hit the stars. The aromas which emanate from the freshly pressed olives is incredibly pure and of an intensity without comparison. It is a lively oil, clean and bright. And it is this oil that I bottle separately”. The Lamone Valley is full of age-old trees, especially those dedicated to the production of the PDO oil of Brisighella. It is this queen of oils that must contain a minimum of 90% locally grown and pressed olives, as specified by the PDO disciplinary regulations. “Ours belong to the Adriatic family of olives such as the ‘Ascolana Tenera’ or the ‘Istriana Bianchera’ and are light in colour, while the ‘Ghiacciola’ olive is more intense in colour and I believe that it originates from Tuscany. The significant presence of Ghiacciola olive trees in the Modigliano Valley, which had always been a part of the Great Duchy of Tuscany, is testimony to its origins, I believe. There you can find olive trees that are extremely old, in particular in the towns of Ovie or Tossino. In Modigliana, the presence of olive groves decreases and they become more and more sporadic the more one moves away from limestone terrain, up until one reaches the small enclave Dovadola in the Monte Valley”. Gianluca Tumidei confirms this observation: “In Castrocaro, a few kilometres away from Dovadola, there is an olive grove cultivation locally known as ‘Quarantoleto’, which is, in effect, a Ghiacciola type of olive”. THE WORLD, THE TORTELLINO T by Giorgio Melandri b « «The World is a Tarot card designating succes. It rrefers to the outside world as well as the people cclose to our hearts. It also represents our hidden tthoughts, feelings and ultimately our innate spirit. T The Tortellino hides its filling and the various int terpretations of it in the same way as the ‘Vesica P Piscis’ (an ancient symbol of religious and spirit unity), and it is these different parts creating a tual perfect whole that represent The World in this context.» When reading the banquet menus of the 1500s and 1600s, one could think that the city of Bologna had still to invent its various pasta specialities, the Tortellino in particular. Mortadella was mentioned frequently and at that time it was considered a luxury food, even though pork and the mortar were products that had been available for centuries. Alberto Guenzi, the historian, states that while the poor had to make do with bread, wine, pulses and cured meats, the rich, on the other hand, were served with every type of wonderful food that could be found, from vegetables from the rich’s gardens to pork, veal, goat and offal. And then there was chicken, quail, pigeon, pheasant, thrush and every type of game as well as pike, sturgeon from the Po river, trout, chub, tench, the revered eels from Ferrara, lamprey, turtle, frog and crayfish. Surprisingly, fish, but not only the freshwater variety, played a very important role in the wealthy Bolognese’s eating habits. There are also many references to oysters, anchovies, sole, turbot and umbrines. At that time, the Tortellino had already been invented, as can be deduced from a quote from 1550 found in a diary belonging to the Bologna Senate which speaks of a ‘minestra de torteleti’ (a filled pasta possibly served in broth) that was served to 16 magistrates for lunch. However, there are also other references, such as one by Cristoforo Messisbugo, steward of the House of Este in Ferrara and Italian cook of the Renaissance, who, in his book ‘Banchetti, Composizioni di Vivande ed Apparecchio Generale’ (Banquets, Food Composition and Serving Indications), mentions various types of ‘fatty tortellini’. The text was published in Ferrara in 1549, one year after the death of the author. In 1570, the great Bartolomeo Scappi (the most important chef of the Renaissance period and personal chef to Pope Pius V), writes of two different Tortellini recipes in his monumental cookbook ‘The Art of Cooking’. The first recipe refers to a type of Tortellino filled with chopped capon which, interestingly, is sweet and rich in spices. There seems to be an abundant use of sugar, both in the filling and when served, as well as spices. He mentions rosewater being used for the pastry and then cloves, pepper, cinnamon, saffron, nutmeg, herbs and currants for the filling. In the other recipe, which was probably more popular, pork belly or even boar were used as a filling. Either way, the way in which a Tortellino ‘should’ be made was already being analysed and defined: a pastry made of eggs and flour, made into small shapes, filled with meat and cheese and then cooked in broth. Bartolomeo Scappi states that this ‘preparation’ or dish could be conserved during the winter months for up to thirty days before being cooked, and this was surely due to the abundant use of spices. The historian Massimo Montanari, on the other hand, speaks of filled pasta as a perishable food and therefore a ceremonial dish whose preparation was restricted to religious festivals. If Tortellini in broth were conceived to use up left-overs or as a rich and prized dish, what is certain is that they gained increasing fame over the centuries, only to become the symbol of Bologna’s gastronomic identity. The reason for this is due to their sophisticated complexity: dough that is rolled out very thinly, a filling that is full of flavour and the perfect proportion of filling to pastry. The Tortellino can therefore be considered a tiny work of art - the result of a manual dexterity that has been handed down over generations. When we speak of filled pasta, we not only refer to Tortellini. Travelling along the Via Emilia, the essence of the Tortellino changes, bearing witness to the gradual variations within Emilia Romagna’s food culture. In Romagna, for example, where ‘Tortellini’ are usually eaten at Christmas, they are better known as Cappelletti and they are generally slightly larger in size. Pellegrino Artusi, author of the cookbook ‘The Science of Cooking and the Art of Fine Dining (pub. 1891) specifies in his recipes that the pastry round used to make Cappelletti would be around 6cm in diameter, while that of the Tortellino would be only 4cm. Cappelletti are filled with meat and cheese in the Rimini and Cesena areas, while in Ravenna they are only filled with cheese. Travelling north along the Via Emilia from Modena to Piacenza, the filled pasta slowly increases in size: from the Tortelli filled with beet tops in Parma to the Tortelli with a ‘Tail’ (referring to their shape) in Piacenza, while in Ferrara and the surrounding areas, the Tortelli were – and still are – filled with pumpkin. This is a transformation that tells the story of the people, their nutritional habits and the production method of this iconic pasta. We have to consider with some ridicule, therefore, the fact there is in existence a document that has been registered with the Bologna Chamber of Commerce, standardising the recipe and characteristics of the Tortellino*. We should nevertheless underline the fact that on a historical level it could be considered a document of considerable importance. The people of Bologna, despite the existence of a ‘standardised’ official version, are able to discuss the ‘true’ essence of the Tortellino for hours – from who prefers a raw filling, to who respects the tradition of a boiled or overcooked filling. And, if we are to take into consideration the concept of tradition, we must also mention the fact that bonemarrow, which was once one of the most important ingredients of the filling, has altogether disappeared from almost every recipe. The truth is, that a single, definitive Tortellino does not really exist, but rather many different Tortellini – perhaps even one per family. Throughout Italian history, the people have always tollerated eachother’s gastronomic differences, until these actually became an asset and a part of the country’s gastronomic heritage. Also, let’s not forget that the concept of tradition is one that takes a long time to establish itself and is open to interpretation. *The recipe of the filling for ‘definitive’ Tortellino was officially registered by the Bologna Delegation of the Accademia Italiana della Cucina and the ‘Learned Brotherhood of the Tortellino’. The deed was deposited in the presence of a Notary on 7th December 1974 at the Bologna Chamber of Commerce. The recipe of what a classic ‘Bolognese Tortellino’ consists of, ie. how it is made, was sanctioned on 19th February by the ‘Learned Brotherhood of the Tortellino’ and registered officially at the Bologna Chamber of Commerce in the Palazzo della Mercanzia in the presence of a Notary on 15th April 2008. THE FOOL, THE PIADA by Giorgio Melandri «The fool is the card that represents one’s guiding instinct, folly and the absence of reason. It may, however, also have another meaning: that of “God’s lunatic”, more commonly referred to as a saint. The line between sainthood and folly is, in fact, very fine and a consequence of extreme behaviour and often inexplicable occurrences. We have played on this double meaning to recount the story of the Piada, which can and cannot be considered a bread. It is a tribute to the instinct (and actions) of the poorest peasant women who had to survive without wheat flour, which, during the 1900s, became a venerated symbol of identity ». The Piada, also known as the Piadina, is the poor man’s bread of Romagna’s peasant communities, and probably the descendant of the ‘inferior’ grains which did not rise (spelt, millet, sorghum, rye) and which were therefore unsuitable for making bread, as well as grasspeas, chick-peas, chestnuts, corn, acorns and wheat husks. In 1801, the doctor Michele Rosa from Rimini advised peasants to make Piadine (an improvised poor man’s bread) with corn meal and ground acorns. In 1899, a health survey on the peasant diet was carried out by the Rimini Health Authority. The published survey stated that the peasant diet typically consisted of “…polenta in the form of piadine, cooked on a stove with a little animal fodder and pressed corn meal. These were cooked badly on a baking stone, browning them on the outside without cooking them on the inside”. This is probably the origin of the piada, a poor man’s alternative to bread, which was, however, made in all households, as the presence of wood ovens even in the humblest homes testifies. The historian Piero Meldini tells us that the first reference made to a food called ‘piada’ is found in the ‘Descriptio Romandiole’, a census that was compiled in 1371 for fiscal reasons by the Cardinal Angelic Grimoard de Grisac, brother of Pope Urbano V. Every year, a tax corresponding to two piade was imposed on the entire community of Modigliana. It is probable that the piade referred to during that time had nothing to do with the modern day versions, but more than likely belonged to the family of leavened breads known as ‘spianate’ in the central Italian regions and as ‘spianèdi’ in Romagna. So, the very first references to the piada, as cited by Meldini, appear in 1572 when the doctor Costanzo Felici from Rimini wrote about it in a letter to Ulisse Adrovandi. What is certain, is that the Piê or Pjìda has an identity which is anything but standardised, and which changes according to daily nutritional habits and availability of ingredients of the various communities of Romagna. As Graziano Pozzetto, gastronome and author of the book ‘The Traditional Piadina Romagnola’, claims, it is pure folly to try and stand- ardise the piada with one single or definitive recipe that represents all the different variations. The Piada represents a journey that begins in Rimini – it probably has its origins here - first going south and arriving on the border with the Marche, and then going north towards Ravenna, where the ‘contaminating’ influences from Emilia offer a product that is higher, often leavened and fried in pig fat, in the same way as the Emilian ‘gnocco fritto’. Passing over the Apennines in the direction of Umbria, the Piada becomes even higher, as a consequence of it being leavened, until it transforms into the Umbran crescia. In Montefeltro, on the other hand, crostoli are produced with exactly the same ingredients obtained from a ‘greasy’ Piada, rolled and smoothed out an additional time. These are very slight variations where the precise differences are unclear, as is always the case in a gastronomic context. Piero Meldini writes: “The extreme scarcity of historical sources regarding this ‘bread’ leads us to believe that until a little more than a century ago, the Piada, even though it existed, played a role of minor importance in the nutritional habits of the people of Romagna. As a result, it was absolutely insignificant as a part of their collective consciousness”. Taking this as a point of reflection, we can therefore say that it is during the 20th century that the Piada takes on the symbolic identity that it has today. Perhaps it was Pascoli who created the inextricable link between the Piada and its territory; in 1909 he defined the Piada as the ‘national bread of Romagna’, perhaps with an emphasis that could be considered a little excessive. The fact remains that from this point on, the Piada becomes the gastronomic icon of Romagna that we know today. At that time then, the product that must have been celebrated by that same Pascoli and Aldo Spallicci – was an unleavened bread made by mixing together flour, water, lard and salt, rolled out into a large, thin disc and cooked on ‘è test’ – a classic earthenware disc traditionally used for cooking piade, which every person in Romagna jealously guards in his home to this day. Obviously, the Piada can also be cooked on an iron or metal hotplate, however custom dictates that this wonderful earthenware disc is used. In Romagna there is only one remaining producer of earthenware discs located in Montetiffi in the Uso Valley. It is worth visiting this producer if only to understand with how much know-how he collects and matures the clay in order to guarantee the continuation of these iconic discs, which represent a true link with the product’s historic roots. The earthenware disc is an old, traditional object, obtained by mixing together two different types of clay and a local ground stone that guarantees its resistance to heat. To end, I would like to mention two of the most interesting dishes among many, which feature the Piada as a protagonist. The first sees the Piada as an accompaniment to the ‘rustida’, the traditional ‘poor man’s fish’ barbeque, mainly made up of ‘little sardines’ or anchovies, typically caught off the coastal areas between Rimini and Cattolica. The ‘rustida’ is not just a dish, but also a wonderful tradition which involves the fisherman gathering around the barbeque – a rudimental brazier which was used for all sorts of cooking methods – to cook the fish. The second dish, more of a ‘turf’ rather than ‘surf’ dish, consists of mixed leaves which are ‘cooked’ in coarse salt and mixed together with garlic and extra virgin olive oil and subsequently used as a filling for ‘cassoni’. These are, in fact, piade which are filled and folded over into a half-moon shape and then cooked. The mixed leaves mentioned by Giovanni Pascoli are probably bitter herbs such as wild chicory, poppy plants, and barberry. THE BLANK CARD, THE ADRIATIC by Giorgio Melandri «The Blank Card is found in many Tarot decks and is almost always left in the box, seeing as it rarely used. However, we are aware of its presence. Some people believe that when used during the act of divination, this card means that the future is in the hands of the Tarot Reader. We would like to dedicate this card to Prince Francesco Antelminelli Castracani Fibbia, the inventor of the Tarot and to the Adriatic Sea, which is one of the most important exponents of Romagna’s identity.» The Adriatic Sea, the principal element identifying the Romagna area, has no PDO or PGI products listed in the catalogue of regional food specialities of which it can boast. However, the foods that come from these waters play a very important role. Let’s start at the beginning: the initial protagonist of The Blank Card is Prince Francesco Antelminelli Castracani Fibbia who, according to the historical documentation available, was the true inventor of the Ludus Triumphorum, probably better known as the Ludus Tarochorum - a name which was given some time later - but now commonly known as the Tarot. The historian and Tarot expert, Andrea Vitali, writes, “The Prince was a descendant of Castruccio Castracani, one of the most famous ‘condottieri’ or warlords of Italian history as well as Duke of Lucca. He was born into the ‘Ghibellino’ party and was not a supporter of the Pope, his great adversary, as he led the ‘Guelphs Black Party. As a result, Castruccio considered the Pope a ‘Prince of Darkness’. Francesco belonged to the same race as his ancestors.” He invented the Tarot, a deck of cards which initially consisted of fourteen Triumphs, but which, over time, became twenty-two. Vitali continues, “The Visconti-Sforza Tarot is an example of the original deck of fourteen cards, as the other cards were created by a different person some decades later. This was also the case for other decks of Tarot cards that were created during the same period. Here we are dealing with the consolidated theory of 5 x 14, that is to say 14 cards for each suit of Spades, Sticks, Cups and Coins, plus a fifth suit, also consisting of 14 Arcana Triumphs that were used as a trump. Towards the end of the 1400s the deck of Arcana cards reached a numerous 22 cards, a number that has a profound meaning with regard to man’s relationship with God”. The Prince, quite simply, is represented by the octopus that is depicted on the card together with his noble coat of arms. It is a painting that represents the Tyrrhenean Sea (the Prince was from Tuscany) and its intelligence. The inhabitants of Romagna’s Adriatic Sea are also shown surrounding the octopus saying, as the local fisherman do, “I can live nowhere else in the same way as I can live here”. And if we were to take into consideration the prices of the famous fish auction in Cesenatico, they would be more than right. Let’s try and list the inhabitants of the Adriatic sea – or rather the typical sand dwellers of this coastline. First of all, the clam, also known as ‘la poveraccia’ or ‘the poor one’, which, from Cesenatico to Cattolica, has one of the most unique flavours in the world. Excellent Tagliolini can be prepared with these clams, typically served with a white condiment along the northern part of the Romagna coastline, and with tomato further south towards Cattolica. Then there is Sole, which is abundant in these waters and has a beautifully delicate taste and texture. It is the Sole that is the protagonist of the ‘rustida’, the fish barbeque that gathers together the fishermen around a fire called a “fuocone”. And then there are the Mantis Shrimps which can be found in huge clusters after the tide has gone out and destroyed their burrows and last, but not least, the Shrimps, which we can probably consider to be the most noble crustaceans of these waters. The Adriatic also has several seasonal fish: Turbot, which swim close to the shores when the cold winter weather begins to take its toll on the sea temperatures and Mullet which are rife from the end of August to the end of Spring. There are two varieties of Mullet typical of this region: the smaller variety, locally known as ‘agostinelle’, usually served pan-fried, and the larger variety that is delicious grilled. Squid is also rife - and let’s not forget to mention the ‘Seppioline del Redentore’ or ‘Redeemer’s Squid’ (the Venetian Festival celebrated on the Saturday preceding the third Sunday in July), which are cooked black and whole – a tradition typical of the coastal areas of Ferrara. Last, we have the Seabream, a smaller fish that is very much revered in Rimini’s food culture. This Seabream is fished in late Spring until the end of June and is usually served grilled. We can close this medley of products with one that is truly extraordinary: ‘Sale di Cervia’ or Cervia Salt. It is different from most other types of salt as it is sweet. The history of the Cervia saltworks is, in fact, linked to the concept of multiple-harvesting, a technique that is normally suitable to colder climates where the water concentrates in increasingly smaller basins until only the sodium chloride precipitates. Some salt in the water precipitates in smaller concentrations and some is eliminated with the water that is disposed of at the end of the production cycle. In this way, the salt is free of the bitter taste typical of other salts, especially those with a high concentration of magnesium. The Cervia Saltworks were originally divided into approximately 200 hundred smaller saltworks, each one run and managed by a family until 1959 when the extraction or production process changed. Only one was preserved, the Camillone Saltworks, which still produces the typical salt of Cervia. Today, the Camillone saltworks are managed by an active association of saltworkers who have succeeded in preserving an important patrimony both of the language and instruments that were typical of the local culture. Alla Rocca Sforzesca di Dozza la mostra permanente dei vini dell’Emilia-Romagna Qui sono raccolte, e disponibili all’acquisto, oltre 1000 etichette di 260 produttori della regione selezionate da una speciale commissione tecnica; sommelier professionisti sono a disposizione per consigli, suggerimenti e per condurre i visitatori alla scoperta del patrimonio vinicolo di questa terra; nel wine bar di Enoteca Regionale sono poi organizzati lungo tutto l’arco dell’anno banchi d’assaggio tematici, corsi e numerose iniziative. ORARI DI APERTURA Lunedì chiuso Dal martedì al venerdì 09.30-13.00 / 14.30-18.00 Sabato 10.00-13.00 / 14.30-18.00 Domenica 10.00-13.00 / 15.00-18.30 CONTATTI Enoteca Regionale Emilia Romagna Rocca Sforzesca 40060 Dozza (BO) Italia Tel. 0542 678089 - Fax 0542 678073 [email protected] www.enotecaemiliaromagna.it Cantine ROMAGNA Ancarani Via S. Biagio Antico, 14 48018 Faenza (Ra) Tel. 333 83 14 188 - 335 57 20 690 [email protected] www.viniancarani.it Responsabile/i Claudio e Rita Ancarani Anno di fondazione 1934 Enologo Claudio Ancarani Ettari vitati 16 Produzione annua 40.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Albana, Sangiovese, Centesimino, Famoso, Trebbiano Agricoltura sostenibile (lotta integrata) Vino 1 Romagna Albana Secco DOCG Santa Lusa 2013 Vino 2 Romagna Sangiovese Oriolo DOC 2013 Vino 3 Ravenna Famoso IGT 2014 Vino 4 Ravenna Centesimino IGT 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 176 EMILIA Boni Luigi Via San Rocco, 1195 41028 Serramazzoni (MO) Tel. 348 5501488 [email protected] www.boniluigisrl.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1: Vino 2: Vino 3: Vino 4: Luigi Boni 2002 Franco Calini 4,70 25.000 bottiglie Malbo Gentile, Chardonnay, Pinot Nero, Lambrusco Grasparossa, Cabernet, Merlot, Uva Tosca, Trebbiano Apice Rosso 2011 Bucamante 2011 Belmount 2011 Esterosa 2007 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 177 ROMAGNA Soc. Agr. Bulzaga s.s. Via Firenze, 479 48018 Faenza (RA) Zona di produzione: Via Pideura, 19 - Brisighella (RA) Tel. 0546 43174 - 335 1375120 (Alessandro) [email protected] www.cantinabulzaga.com Responsabile/i Alessandro Bulzaga Anno di fondazione 2009 Enologo Sergio Ragazzini Ettari vitati 6 Vino 1: Stramonio Sangiovese Superiore Riserva DOP 2012 Vino 2: Botrichio Ciliegiolo Ravenna IGP 2014 Vino 3: Doronico Famoso Ravenna IGP 2014 Vino 4: Coronilla Albana Secco Romagna DOCG 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 178 ROMAGNA Ca’ di Sopra Via Feligara, 15 48013 Marzeno (RA) Tel. 328 4927073 [email protected] www.cadisopra.com Responsabile /i Giacomo e Camillo Montanari Anno di fondazione 2006 Enologo Giacomo Montanari Ettari vitati 26 Produzione annua 24.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Bianco Fondata nel 1967, l’ azienda ha sempre avuto una forte connotazione viticola, segnata prevalentemente da terreni di matrice calcarea e argillosa. I vigneti sono improntati in prevalenza sul vitigno Sangiovese, che in questo territorio trova una naturale e personale espressione. Da oltre 40 anni la famiglia Montanari, proprietaria dell’azienda, si dedica con passione alla coltivazione della vite e nel 2006 i fratelli Camillo e Giacomo decidono di tradurre il grande potenziale enologico di queste terre in vino. Oggi, dai migliori vigneti di Ca’ di Sopra si ottiene una piccola produzione, di grande qualità, vinificata nella piccola cantina della tenuta. Vino 1 Crepe Romagna DOC Sangiovese Sup. 2014 Vino 2 Cadisopra Romagna DOC Sangiovese Marzeno Riserva 2011 Vino 3 Remel Rosso Ravenna IGT 2012 Vino 4 Roncodispaci’ Merlot Ravenna IGT 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 179 EMILIA ROMAGNA CAB S. C. Agricola Terra di Brisighella Via Strada, 2 48013 - Brisighella (RA) Tel. 0546 81103 [email protected] www.brisighello.net Responsabile /i Presidente Sergio Spada Anno di fondazione 1962 Enologo Franco Calini Produzione annua 40.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Trebbiano, Albana, Chardonnay Vino 1 L’Impronta dei Gessi Romagna DOP Sangiovese Riserva 2012 Vino 2 L’impronta dei Gessi Albana secco DOCG 2012 I vini proposti in degustazione sono in vendita Produzione annua olio di oliva 120 ettolitri Cultivar presenti in azienda Nostrana di Brisighella, Ghiacciola, Orfana Olio 1 Brisighella DOP Brisighello 2013 Olio 2 Nobildrupa 2014 NOTE 180 ROMAGNA Calonga Via Castel Leone 8 47121 Forlì (FC) Tel. 0543 753044 - 349 2860443 [email protected] www.calonga.it Responsabile/i Maurizio Baravelli Anno di fondazione 1977 Enologo Fabrizio Moltard Ettari vitati 8 Produzione annua 40.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Bombino Bianco, Albana Vino 1 Michelangiolo Romagna Sangiovese DOC Vino 2 Castellione Forlì IGT Superiore Riserva 2011 Cabernet Sauvignon 2011 Vino 3 Leggiolo Romagna Sangiovese DOC Vino 4 Ordelaffo Forlì IGT Sangiovese 2014 Superiore 2013 NOTE 181 EMILIA Cantina Albinea Canali Via A. Tassoni, 213 - Canali (RE) Tel. 0522 569505 [email protected] www.albineacanali.it Responsabile/i Stefano Colli Anno di fondazione 1936 Enologo Franco Roccatello Ettari vitati 127 Produzione annua 300.000 bottiglie Agli inizi del ‘900 la viticoltura aveva già un ruolo rilevante nelle terre collinari a sud di Reggio Emilia; questo fu lo stimolo per i piccoli produttori ad aggregarsi e realizzare una nuova cantina a Canali. Era il 1936. Il successo fu tale che nei decenni successivi si arrivarono a contare centosettanta conferenti. Per anni rinomata per l’elevata qualità dei vini sfusi, oggi la Cantina Albinea Canali si ripropone con una gamma di prodotti di pregio destinati in esclusiva al canale tradizionale. La struttura della cantina, nata già nella mente dei fondatori come un progetto all’avanguardia, è stata sottoposta ad un intervento di restauro conservativo, in cui si sono fusi elementi d’epoca con soluzioni assai moderne per incorporare i più avanzati impianti tecnologici. Vino 1 Vino 2 Ottocentonero Lambrusco dell’Emilia IGT FB Lambrusco dell’Emilia IGT Metodo Ancestrale Vino 3 Codarossa Lambrusco Grasparossa Colli di Scandiano e Canossa DOC Amabile Vino 4 Foglie Rosse Reggiano Lambrusco DOC I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 182 ROMAGNA Cantina Bartolini Via Fermi, 7 47025 Mercato Saraceno (FC) Tel. 348 91 67 751 [email protected] www.cantinabartolini.it Responsabile/i Davide Bartolini Anno di fondazione 1925 Enologo Giovanni Brighi Ettari vitati 16 Produzione annua 100.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Trebbiano, Albana, Cabernet Sauvignon,Chardonnay L’azienda, situata sulle prime colline dell’Appennino tosco-romagnolo è una delle cantine più antiche di tutta la Romagna e può contare sulla tradizione e l’esperienza che da quasi un secolo è sapientemente tramandata di padre in figlio. Da quattro generazioni infatti la famiglia Bartolini opera nel borgo antico di S. Damiano a Mercato Saraceno, famoso per le sue origini romane e per l’eccellente uva dei suoi colli ammostata con perizia fin dal Medioevo ed è produttrice di un Sangiovese gagliardo che in epoca napoleonica raggiungeva in barili contrade lontane e che già nel 1926, come scriveva il cesenate Ludovichi, era tra i vini più rinomati in Romagna. Sono diversi anni che la filosofia dell’Azienda è rivolta verso la ricerca della massima qualità e per questo è stato avviato un importante programma di rinnovamento che prevede un monitoraggio totale che abbraccia la scelta dell’impianto, la riduzione delle rese e la raccolta selezionata fatta rigorosamente a mano. Vino 1 Ada Romagna DOCG Albana Secco 2014 Vino 2 Oro Romagna DOC Sangiovese Superiore 2013 Vino 3 Montesorbo Rubicone IGT Rosso 2012 Vino 4 Rocca Saracena Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 183 ROMAGNA Cantina Braschi Via Roma, 37 47025 Mercato Saraceno (FC) Tel. 0547 91061 328 8132869 (Vincenzo Vernocchi) 333 2216357 (Davide Castagnoli) [email protected] www.cantinabraschi.com Responsabile/i Vincenzo Vernocchi, Davide Castagnoli Anno di fondazione 1949 Enologo Vincenzo Vernocchi Ettari vitati 11,5 Produzione annua 120.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Albana, Pagadebit Cantina Braschi produce da vigneti in Bertinoro e Mercato Saraceno e aderisce al progetto di filiera vitivinicola di ENOICA. Vino 1 Romagna Sangiovese DOC Bertinoro Riserva cru Il Costone 2012 Vino 2 Romagna Sangiovese DOC superiore cru Il Costone 2013 Vino 3 Romagna Sangiovese DOC San Vicinio Monte Sasso 2013 Vino 4 Romagna Albana DOCG secco Campo Mamante 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 184 EMILIA Cantina della Volta di Christian Bellei & C. S.p.A. Via per Modena, 82 41030 Bomporto (MO) Tel. 059 7473312 - Fax 059 7473313 [email protected] www.cantinadellavolta.com Responsabile/i Angela Sini, Christian Bellei Anno di fondazione 2010 Enologo Christian Bellei Ettari vitati 14 Produzione annua 120.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Pinot Nero, Chardonnay Vino 1 Lambrusco di Modena Spumante DOC Metodo Classico 2010 Vino 2 Lambrusco Rosè di Modena Spumante Vino 3 Rimosso Lambrusco di Sorbara DOC 2014 Vino 4 Il Mattaglio Brut Vino Spumante di Qualità DOC Metodo Classico 2010 Metodo Classico s.a. I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 185 EMILIA Cantina di Carpi e Sorbara Via Cavata, 14 41012 Carpi (MO) Tel. 059 643071 [email protected] www.cantinadicarpiesorbara.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 NOTE 186 Legale rappresentante Fausto Emilio Rossi 1903 2.500 (di proprietà dei soci) 2.300.000 bottiglie / 400.000 hl Lambrusco di Sorbara, Salamino di S.Croce, Ancellotta, Marini, Maestri, Groppello Ruberti, Cabernet, Pignoletto Lambrusco di Sorbara DOP Omaggio a Gino Friedmann fermentazione in bottiglia 2014 Lambrusco Salamino di S.Croce DOP 1903 2014 Lambrusco di Sorbara DOP Omaggio a Gino Friedmann metodo Charmat 2014 Pignoletto Colli Bolognesi DOCG 928 2014 ROMAGNA Cantina Forlì Predappio Sac. Via Due Ponti, 13 47122 Forlì (FC) Tel. 0543 477231 [email protected] www.cantinaforlipredappio.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Direttore Dott. Monti Roberto 1908 Maurizio Ortali, Bruno Ranieri 3.500 200.000 bottiglie Trebbiano, Sangiovese, Albana, Chardonnay, Cabernet Abbiamo scelto di produrre vino perché per noi il legame con la terra è vita, e perché ogni giorno vediamo concretizzare i nostri sogni. Il nostro territorio è fortemente vocato alla viticultura , e ci consente di ottenere vini non omologati e con un carattere deciso. Amiamo inoltre coniugare la tradizione e la tecnologia per produrre vini che rispettino il territorio ed i vitigni e che diano piacevolezza al loro assaggio. L’azienda in una parola: LA TRADIZIONE CONTINUA. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Romagna DOC Sangiovese Superiore Volo D’aquila 2013 Vino Spumante Extra Dry Misvago s.a. Romagna Albana Spumante DOC Tratti D’oro 2014 Romagna Albana DOCG secco Tratti d’Autore 2014 NOTE 187 EMILIA Cantina Formigine Pedemontana Via Radici In Piano, 228 41043 Corlo di Formigine (MO) Tel. 059 55 81 22 [email protected] www.lambruscodoc.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 NOTE 188 Matteo Torelli 1920 Iacopo Michele Giannotti 500 1.200.000 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC, Pignoletto DOC, Ancelotta, Malbo Gentile, Trebbiano, Trebbiano di Spagna, Lambrusco Salamino, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Marani… Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC Rosso Secco Rosso Fosco 2015 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC Rosso Amabile Rosso Fosco 2015 Spumante Pignoletto DOC Brut In Principio 2015 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC Rosso Secco biologico Passione 2015 ROMAGNA Cantina San Biagio Vecchio Via Gaetano Salvemini, 55 48018 Faenza (RA) Zona di produzione: Via Salita di Oriolo 13, 48018 Faenza (RA) Tel. 339 3523168 (Andrea Balducci) 349 0553598 (Lucia Ziniti) [email protected] www.cantinasanbiagiovecchio.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Andrea Balducci 2005 Andrea Balducci 5 in produzione 14.000 bottiglie Albana, Sangiovese, Centesimino, Malvasia aromatica di Candia, Trebbiano della fiamma Una piccola cantina per 5 ettari di vigne sulla splendida collina di San Biagio Vecchio. Un’attenzione esclusiva ai vitigni autoctoni e al frumento antico Gentil Rosso. Un amore smisurato e incondizionato per l’Albana di Romagna Vino 1 SabbiaGialla IGT Ravenna Bianco 2014 Vino 2 Romagna DOC Sangiovese Oriolo 2013 NOTE 189 EMILIA Cantina Settecani Castelvetro Soc. Agr. Coop. Via Modena, 184 41014 Settecani di Castelvetro (MO) Tel. 059 702505 [email protected] www.cantinasettecani.it Responsabile/i Fabrizio Amorotti Anno di fondazione 1923 Ettari vitati 360 Produzione annua 1.000.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP, Pignoletto, Trebbiano Vino 1 DiVino Lambrusco Grasparossa di Vino 2 Vini del Re Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP 2014 Castelvetro DOP 2014 Vino 3 Pignoletto Modena DOC 2014 Vino 4 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 190 EMILIA Cantina Sociale di Puianello e Coviolo s.c.a. Via C. Marx 19/A - 42020 Puianello (RE) Tel. 0522 889120 [email protected] www.cantinapuianello.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Presidente Vittorio Azzimondi 1938 Matteo Vingione 240 1.100.000 bottiglie Lambrusco Grasparossa, L. Montericco, L. Barghi, L. Salamino, L. Maestri, L. Marani, Malvasia, Spergola Cantina Puianello ha scelto da tempo di puntare sulla selezione delle uve conferite dai 240 Soci, valorizzandone le diversità e privilegiando la tipicità delle stesse. Essendo i terreni vitati in prevalenza nella fascia collinare che da Scandiano sale fino a Canossa, è possibile contare su condizioni di terreno e microclimatiche di favore, in grado di segnare maggiormente la base dei nostri vini. Fondata nel 1938 a Puianello di Quattro Castella, la cantina è rimasta negli oltre settanta anni di attività nella stessa Sede, divenendo una sorta di “Casa del Lambrusco”, un punto di riferimento per il territorio anche grazie ai continui investimenti in cantina. Dunque, anzitutto attenzione alle uve e garanzia della loro provenienza, pur facendo seguire la volontà di incidere su di esse dalla campagna alla cantina, grazie anche alla doppia Laurea in Agronomia ed Enologia dell’Enologo - Matteo Vingione. L’esperienza nella vinificazione di vini frizzanti ha così permesso di valorizzare varietà autoctone come il Lambrusco Montericco e il Lambrusco Barghi, sempre alla ricerca delle “giuste” sensazioni da offrire al proprio pubblico: piacevolezza, una buona beva e la sensazione di assaporare una varietà lambrusca ogni volta diversa, continuando con L. Grasparossa, L. Salamino, per citarne alcuni. Negli anni sono poi stati compiuti sforzi importanti con le uve di Malvasia di Candia Aromatica, Spergola e non solo, a dimostrazione che Cantina Puianello può offrire un percorso enologico davvero ampio. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Rocca Bianello Colli di Scandiano e di Canossa DOC Spergola 2014 Contrada Monticelli Colli di Scandiano e di Canossa DOC Lambrusco Grasparossa 2014 Contrada Borgoleto Reggiano DOC Lambrusco 2014 L’incontro Reggiano DOC Lambrusco Barghi 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 191 EMILIA Cantina Sociale di San Martino in Rio s.c.a. Via Roma, 123 42018 San Martino in Rio (RE) Tel. 0522 69 81 17 - 0522 69 53 42 [email protected] www.cantinesanmartino.com Responsabile/i Roberto Baccarani Anno di fondazione 1907 Enologo Fabrizio Bocedi Ettari vitati 1.000 Produzione annua 100.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Lambrusco Salamino, Sorbara, Grasparossa, Marani, Maestri, Ancellotta Vino 1 Lambrusco di Sorbara DOP Rocca Estense 2014 Vino 2 Lambrusco Salamino S. Croce DOP Vino 3 Reggiano Lambrusco DOP Nero Di Corte Rocca Estense 2014 2014 Vino 4 Reggiano Lambrusco DOP Rosato Spumante Rosa di Corte 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 192 EMILIA Cantine Ceci Via Provinciale 99/99 A 43056 Torrile (PR) Tel. 0521 810252 339 73 26 240 (Elisa Maghenzani) 336 64 57 061 (Luca Bignardi) [email protected] www.lambrusco.it Responsabile/i Famiglia Ceci Anno di fondazione 1938 Enologo Alessandro Ceci Produzione annua 2.500.000 bottiglie Vino 1 Otello 1813 Nero di Lambrusco 2014 Vino 2 Otello 1813 Malvasia 2014 Vino 3 Terre Verdiane 1813 Lambrusco 2014 Vino 4 Spumante Tre di Terre Verdiane 2014 NOTE 193 ROMAGNA Cantine Intesa Agrintesa Soc. Coop. Agr Via G. Galilei, 15 - 48018 Faenza (RA) Zona di produzione: Via Provinciale Faentina, 46 47015 Modigliana (FC) Tel. 0546 619111 [email protected] www.cantineintesa.it Responsabile/i Muccinelli Elisa Anno di fondazione 1999 Ettari vitati 44 Produzione annua 350.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Trebbiano, Merlot Vino 1 Poderi delle Rose Romagna DOC Sangiovese 2014 Vino 2 I Calanchi Romagna DOC Sangiovese Superiore 2011 Vino 3 Loveria Romagna DOCG Albana Passito 2012 NOTE 194 EMILIA Cantine Lombardini srl Via Cavour 15 42017 Novellara (RE) Tel. 0522 654224 [email protected] www.lombardinivini.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Produzione annua Marco Lombardini 1925 Marco Lombardini 800.000 bottiglie Vino 1 Reggiano DOC Lambrusco Rosso Secco Nubilaia 2014 Vino 2 Reggiano DOC Lambrusco Rosso Secco Campanone Rosso 2014 Vino 3 Reggiano DOC Lambrusco Rosato Secco Campanone Rosato 2014 Vino 4 Reggiano DOC Lambrusco Rosso Secco Il Signor Campanone 2014 NOTE 195 EMILIA Casali Viticultori S.r.l. Via delle Scuole, 7 - Loc. Pratissolo 42019 Scandiano (RE) Tel. 0522 855441 347 4564662 (Biolzi Romano) [email protected] [email protected] www.casalivini.it Responsabile/i Gavioli Dr. Gian Paolo Anno di fondazione 1900 Enologo Fabio Pizzi Ettari vitati 50 Produzione annua 700.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Spergola, Sauvignon, Malvasia dell’Emilia (tot. 3.5 ha) Fare vino oggi. Un impegno costante, una grande attenzione per i dettagli, un coinvolgimento profondo che a volte sembra non lasciare spazio a nient’altro. In Casali noi viticultori abbiamo la sensazione di fare vino da sempre, affidandoci a un sapere antico e più che mai attuale. Siamo curiosi, e sappiamo che il confronto è il sale della vita, perché fa nascere idee nuove e belle. Forse è proprio questa disponibilità a metterci in gioco che alimenta l’eclettismo con cui oggi viviamo il mondo del vino. Ma ciò che resta fondamentale è il fatto di poter contare su una tradizione secolare, un territorio vocato e alcune preziose varietà autoctone. Tutto il resto sembra venire da sé. Vino 1 Campo delle More Colli di Scandiano e di Canossa DOP Malbo Gentile Frizzante Dolce 2014 Vino 2 Pra di Bosso Reggiano DOP Lambrusco Vino 3 Albore Secco Colli di Scandiano e di Canossa Secco 2014 DOP Spergola Frizzante Secco 2014 Vino 4 Ca’ Besina Colli di Scandiano e di Canossa DOP Spergola Spumante Metodo Classico 2007 NOTE 196 ROMAGNA Castelluccio Soc. Agr. srl Via Tramonto, 15 47015 Modigliana (FC) Tel. 0546 942486 [email protected] www. ronchidicastelluccio.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Commerciale Italia Roberto Fiore 1981 Vittorio Fiore 14 85.000 bottiglie Sangiovese ha 12,00, Sauvignon Blanc ha 1,50, Cabernet Sauvignon ha 0,50 Romagna DOC Sangiovese Superiore Le More 2014 Vino 2 IGT di Forlì Sangiovese Ronco dei Ciliegi 2009 Vino 3 IGT di Forlì rosso Massicone 2009 Vino 4 IGT di Forlì Sauvignon blanc Lunaria 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 197 EMILIA Cavaliera Via Cavalliera 1/B Castelvetro di Modena 41014 Modena Tel. 059799835 - Cell. 335 5479028 [email protected] www.cavaliera.it Responsabile/i Simoni Lorenzo Anno di fondazione 1996 Enologo Enzo Mattarei Ettari vitati 5,5 Produzione annua 20.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Lambrusco Grasparossa, Pignoletto, Vino 1 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Trebbiano, Malbo DOP bio 2014 Vino 2 Lambrusco Grasparossa Rosato di Castelvetro DOP bio 2014 Vino 3 Pignoletto di Modena DOP bio 2014 Vino 4 Rosso Cavaliera 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 198 EMILIA Cavicchioli U. & Figli Via Canaletto, 52 41030 San Prospero (MO) Tel. 059 812412 [email protected] www.cavicchioli.it Responsabile/i Sandro Cavicchioli Anno di fondazione 1928 Enologo Sandro Cavicchioli Ettari vitati 90 Produzione annua 10.000.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Lambrusco Sorbara, Lambrusco Salamino, Lambrusco Grasparossa, Pignoletto La storia delle Cantine Cavicchioli comincia nel secolo scorso. Da allora, di padre in figlio, l’esperienza e la passione si sono tramandate negli anni. L’obiettivo resta quello di valorizzare il Lambrusco di qualità: quello genuino e frizzante delle origini. Vino 1 Rosé del Cristo Lambrusco di Sorbara Vino 2 Vigna del Cristo Lambrusco di Sorbara Vino 3 Col Sassoso Lambrusco Grasparossa di DOC Brut metodo classico 2011 DOC 2014 Castelvetro DOC 2014 Vino 4 Pignoletto Spumante Modena DOC Brut I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 199 ROMAGNA Caviro Soc. Coop. Agricola Via Convertite 12 48018 Faenza (Ra) Tel. 0546 629111 - 629397 Fax 0546 629319 [email protected] www.caviro.it Responsabile/i Dir. Generale Sergio Dagnino Anno di fondazione 1996 Enologo Giordano Zinzani Ettari vitati non coltivati direttamente Produzione annua 180 milioni di litri vinificati dalle cantine associate Caviro, Cooperativa Agricola fra le prime 10 aziende vinicole mondiali, è sinonimo di qualità: merito, da un alto, dell’impegno di oltre 12.000 viticoltori che fanno capo a 32 cantine sociali in 8 regioni italiane e che producono attraverso una filiera certificata unica per profondità, dimensioni e presidio. E, dall’altro, della capacità di coniugare grandi volumi e produzioni di qualità; una lunga tradizione, una profonda esperienza enologica e una costante spinta all’innovazione e al dinamismo nel diversificare la gamma e nell’esplorare nuovi mercati nel mondo. Vino 1 Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva TerraGens 2012 Vino 2 Romagna DOC Sangiovese Superiore Romio 2013 Vino 3 Pignoletto Frizzante DOC Romio 2014 Vino 4 Romagna Albana DOCG Secco Romio 2014 NOTE 200 ROMAGNA Celli snc Azienda Agricola di Sirri & Casadei Viale Carducci, 5 47032 Bertinoro (FC) Tel. 0543 445183 [email protected] www.celli-vini.com Responsabile/i Mauro Sirri, Emanuele Casadei Anno di fondazione 1965 Enologo Emanuele Casadei Ettari vitati 29 Produzione annua 290.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese 15 Ha, Albana 7 Ha, Pagadebit, Trebbiano, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Cagnina L’azienda Celli è di proprietà delle famiglie Sirri & Casadei (Bron & Rusèval) dal 1965. Sin da allora le accurate selezioni delle uve, provenienti dalle aree più vocate del comune di Bertinoro, danno dei risultati eccellenti dal punto di vista qualitativo. Una ricerca costante e meticolosa di qualità, la tipicità dei vini prodotti e l’espressione del territorio sono alla base della filosofia aziendale. L’Azienda Celli è un esempio di continuità generazionale nella tradizione vitivinicola di Bertinoro. Vino 1 Bron & Rusèval Romagna DOC Vino 2 Bron & Rusèval Sangiovese-Cabernet IGT Sangiovese Riserva Bertinoro 2012 Forlì 2013 Vino 3 Bron & Rusèval Chardonnay IGT Forlì 2014 Vino 4 I Croppi Romagna DOCG Albana Secco 2014 NOTE 201 EMILIA Cleto Chiarli Tenute Agricole Via D. Manin, 15 - 41122 Modena (MO) Zona di produzione: Via Belvedere, 8 - 41014 Castelvetro (MO) Tel. 059 3163311 [email protected] www.chiarli.it Responsabile/i Roberto Saletta Anno di fondazione 2001 Enologo Franco De Biasio Ettari vitati 100 circa Produzione annua 900.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Lambrusco Grasparossa, Lambrusco Sorbara, Pignoletto Vino 1 Premium Mention Honorable Vino 2 Vigneto Cialdini Lambrusco Grasparossa Lambrusco Sorbara DOC 2014 di Castelvetro DOC 2014 Vino 3 Rose’ Brut de Noir da uve Grasparossa V.S. 2014 Vino 4 Lambrusco del Fondatore Sorbara DOC fermentato in bottiglia 2014 NOTE 202 ROMAGNA Colombarda Via Rio dell’Acqua,140 47023 San Vittore di Cesena (FC) Tel. 335 18 91 992 [email protected] www.colombarda.it Responsabile/i Fabio Magnani Anno di fondazione 1860 Enologo Giuseppe Meglioli Ettari vitati 30 Produzione annua 40.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Bombino Bianco, Merlot, Cabernet Vinificazioni in acciaio e in purezza dei vitigni autoctoni. Vino 1 Romagna Sangiovese DOC 2013 Vino 2 Romagna Albana DOCG 2014 Vino 3 Romagna Pagadebit DOC Bertinoro 2014 Vino 4 Rubicone IGT Rosato Spumante Brut Sixty-nine 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 203 ROMAGNA Condè Azienda Vitivinicola Via Lucchina, 27 47016 Fiumana di Predappio (FC) Tel. 0543 940860 [email protected] www.conde.it Responsabile/i Francesco Condello Anno di fondazione 2001 Enologo Federico Staderini Ettari vitati 77 Produzione annua 200.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese 73 ha, Merlot 4 ha Condé Sangiovese Rosato Forlì IGT 2014 Condé Sangiovese DOC 2010 Condé Sangiovese DOC Superiore 2010 Condé Sangiovese DOC Superiore Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Riserva 2010 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 204 ROMAGNA Consorzio Vini Tipici di San Marino Scarl Strada Serrabolino, 89 Borgo Maggiore - Repubblica di San Marino Tel. 0549 903124 - 342 5183450 (Paul Andolina) [email protected] [email protected] www.consorziovini.sm Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Commerciale: Paul Andolina Produzione: Michele Margotti 1979 Federico Curtaz, Aroldo Bellelli, Michele Margotti, Juan Carlos Pasquali 120 Produzione annua 600.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese 45 ha, Merlot 7 ha, Cabernet Sauvignon 5 ha, Montepulciano 1,5 ha, Biancale 17 ha, Moscato 11 ha, Chardonnay 7 ha, Ribolla di San Marino 4 ha Riserva Titano vino Spumante Brut 2014 Biancale di San Marino 2014 Sangiovese Superiore di San Marino 2013 Sterpeto 2011 Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 205 ROMAGNA Costa Archi Via Rinfosco, 1690 48014 Castel Bolognese (RA) Tel. 338 4818346 [email protected] www.costaarchi.wordpress.com Responsabile/i Gabriele Succi Anno di fondazione 1960 Ettari vitati 13 Produzione annua 15.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Merlot, Albana, Montuni, Trebbiano, Ancellotta Assiolo Romagna DOC Sangiovese Serra 2013 Monte Brullo Sangiovese di Romagna DOC Riserva 2010 GS Ravenna IGT Sangiovese 2012 Il Beneficio Ravenna IGT Rosso 2013 Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 206 EMILIA Dalfiume Nobilvini Srl Villa Poggiolo Via Madonnina, 3041 40024 Castel San Pietro Terme (BO) Tel. 051 941618 info@dalfiumenobilvini.it www.dalfiumenobilvini.it www.villapoggiolo.it Responsabile/i Davide Dalfiume Anno di fondazione 1949 Enologo pool di enologi Ettari vitati 60 Produzione annua 900.000 bottiglie di cui a marchio Villa Vitigni presenti in azienda Sangiovese 15 ha, Albana 5 ha, Trebbiano 6 ha, Pignoletto 15 ha, Chardonnay 9 ha, Cabernet Sauvignon 4 ha, Barbera 6 ha Scrigno Villa Poggiolo Pignoletto dell’Emilia IGP Spumante Extra Dry 2014 Franco Romagna DOP Sangiovese Superiore 2014 Colli d’Imola DOP Cabernet Sauvignon 2013 Pignoletto DOP Frizzante Colli d’Imola 2014 Poggiolo 120.000 bottiglie Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 207 EMILIA Emilia Wine Via 11 Settembre 2001, 3 42019 Arceto di Scandiano (RE) Tel. 0522 989107 www.emiliawine.eu [email protected] Responsabile/i Davide Frascari Anno di fondazione 2014 Enologo Luca Tognoli Ettari vitati 2.000 Produzione annua 800.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Lambruschi: Marani, Salamino, Grasparossa, Maestri, Montericco, Oliva, Malbo Gentile, Malvasia, Sauvignon, Cabernet, Spergola, Marzemino Vino 1 Migliolungo IGP Frizzante Lambrusco dell’Emilia IGP 2014 Vino 2 Vino 3 Rosaspino Rosè Lambrusco DOP 2014 Colle Ventoso Spergola Bianco Frizzante DOP Colli di Scandiano e di Canossa 2014 Vino 4: Rossospino Colli di Scandiano e di Canossa DOP Lambrusco 2014 NOTE 208 ROMAGNA Enio Ottaviani Via Panoramica, 199 47842 San Giovanni in Marignano (RN) Zona di produzione: Via Pian di Vaglia, 17 47832 San Clemente (RN) Tel. 0541 952608 [email protected] www.enioottaviani.it Responsabile/i Massimo Lorenzi Anno di fondazione 1966 Enologo Enrico Bartolini Ettari vitati 12 Produzione annua 130.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Trebbiano, Pagadebit, Chardonnay, Riesling, Merlot, Cabernet, Montepulciano Romagna Sangiovese Superiore Riserva DOC 2012 Rosso Rubicone IGT 2013 Romagna Sangiovese Superiore 2014 Bianco Rubicone IGT 2014 Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 209 ROMAGNA Fattoria Monticino Rosso Via Montecatone, 10 40026 Imola (BO) Tel./Fax 0542 42687 335 7057217 (Gianni) - 335 329076 (Luciano) [email protected] www.fattoriamonticinorosso.it Responsabile/i Gianni e Luciano Zeoli Anno di fondazione 1962 Enologo Giancarlo Soverchia Ettari vitati 23 Produzione annua 120.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Albana, Pignoletto, Malvasia, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Barbera Vino 1 Codronchio Romagna DOCG Albana secco Vino 2 A Romagna Albana DOCG Secco 2014 Vino 3 Le Morine Romagna DOC Sangiovese Vino 4 Pradello Riserva Colli d’Imola DOC 2013 Superiore 2011 Cabernet Sauvignon Riserva 2008 NOTE 210 EMILIA Fattoria Moretto Via Tiberia, 13/B 41014 Castelvetro di Modena (MO) Tel. 059 790183 - 393 9626594 Fax 059 790183 [email protected] www.fattoriamoretto.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Fausto e Fabio Altariva 1991 Fausto Altariva 10 60.000 bottiglie Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Pignoletto dell’Emilia Fattoria Moretto è una piccola realtà a conduzione familiare, nella quale si produce Lambrusco Grasparossa di Castelvetro da tre generazioni e dal 1991 anche in bottiglia. È sita nel cuore del territorio del Lambrusco Grasparossa, a circa 200 metri di altitudine, dove Fausto e Fabio Altariva coltivano con passione le proprie terre. Il podere, condotto interamente con metodo biologico, si estende in appezzamenti non contigui sulle colline di Castelvetro di Modena. I vigneti di Lambrusco Grasparossa sono allevati a cordone speronato e guyot, con esposizioni a sud/sud-est, su terreni limo-argillosi. La zona gode di ottima ventilazione, che stempera la calura estiva e preserva le piante da malattie. Le vinificazioni sono in linea con i metodi tradizionali, con tempi molto lunghi di contatto con i lieviti, per regalare al bicchiere maggiore complessità. I vini, tutti in purezza, esprimono con personalità il territorio del Lambrusco Grasparossa. Vino 1 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Secco DOP Monovitigno 2014 Vino 2 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Vino 3 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Secco DOP Canova 2014 Secco DOP Tasso 2014 Vino 4 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Amabile DOP Semprebon 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 211 ROMAGNA Fattoria Nicolucci di Nicolucci Alessandro Via Umberto Primo, 21 47016 Predappio Alta (FC) Zona di produzione: Predappio Tel. 0543 922361 [email protected] www.vini-nicolucci.it Responsabile/i Alessandro Nicolucci Anno di fondazione 1885 Enologo Alessandro Nicolucci Ettari vitati 10 Produzione annua 70.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda 90% Sangiovese, 10% Merlot e Refosco Vino 1 Romagna Sangiovese DOC Riserva Predappio di Predappio - Vigna del Generale 2012 Vino 2 Rosso Forli IGT Nero di Predappio 2013 Vino 3 Romagna Sangiovese DOC Superiore Tre Rocche 2014 Vino 4 Romagna Sangiovese DOC Superiore I Mandorli 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 212 ROMAGNA Fattoria Paradiso Via Palmeggiana, 285 47032 Bertinoro (FC) Tel. 0543 445044 [email protected] www.fattoriaparadiso.com Responsabile/i Graziella Pezzi Anno di fondazione 1950 Ettari vitati 50 Produzione annua 110.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Barbarossa, Albana, Sangiovese, Pagadebit, Cagnina, Cabernet, Syrah Vino 1 Romagna DOC Sangiovese Superiore Vigna del Molino 2014 Vino 2 Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva Vigna delle Lepri 2009 Vino 3 Forlì IGT Rosso Barbarossa Vigna del Dosso 2009 Vino 4 Forlì IGT Rosso Mito 2010 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 213 ROMAGNA Fattoria Zerbina Via Vicchio, 11 48018 Marzeno - Faenza (RA) Tel. 0546 40022 [email protected] www.zerbina.com Responsabile/i Henry-David Polacco, Maria Cristina Geminiani Anno di fondazione 1966 Enologo Cristina Geminiani Ettari vitati 30 Produzione annua 200.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Albana, Trebbiano, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Syrah Vino 1 Romagna DOCG Albana Secco Bianco di Ceparano 2014 Vino 2 Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva Pietramora 2011 Vino 3 Ravenna Rosso IGT Marzieno 2009 Vino 4 Romagna DOCG Albana Passito Arrocco 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 214 ROMAGNA Ferrucci Via Casolana, 3045/2 48014 Castel Bolognese (RA) Tel. 0546 651068 [email protected] www.stefanoferrucci.it Responsabile/i Ilaria e Serena Ferrucci Anno di fondazione 1932 Enologo Giotto Consulting Ettari vitati 16 Produzione annua 100.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Trebbiano, Bianchino Faentino, Chardonnay Vino 1 Sangiovese di Romagna DOC Superiore Vino 2 Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva Domus Caia 2012 Centurione 2014 Vino 3 Colli di Faenza DOP Bianco Chiaro della Serra 2014 Vino 4 Romagna DOCG Albana Passito Domus Aurea 2012 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 215 EMILIA Francesco Bellei & C. srl Via Nazionale, 130/132 Cristo di Sorbara 41030 Bomporto (MO) Tel. 059 902009 Fax 059 8070147 [email protected] www.francescobellei.it Responsabile/i Sandro Cavicchioli Anno di fondazione 1920 Enologo Sandro Cavicchioli Ettari vitati 100 Produzione annua 70.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Pignoletto, Lambrusco di Sorbara Bellei Brut Metodo Classico S.A. Bellei Brut Rosè 2011 Metodo Classico Bellei Brut Rosso 2013 Metodo Classico Modena DOC Lambrusco a rifermentazione Ancestrale 2014 Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 216 EMILIA Gaetano Righi Via Brodolini,24 42040 Campegine (RE) Tel. 0522 905711 [email protected] www.vinirighi.com Responsabile/i Corrado Casoli Produzione annua 300.000 bottiglie Gaetano Righi, pioniere del mondo vitivinicolo e primo presidente del Consorzio Interprovinciale Vini di Modena,”firma” i vini della classica tradizione modenese, elaborati con le tecnologie più moderne, che garantiscono alta qualità e assoluta genuinità. Ottenuti da uve selezionate nei vigneti più vocati del Modenese, coltivati nel pieno rispetto dell’ambiente, sono vini frizzanti naturali che esprimono nettamente le grandi potenzialità del territorio. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Pignoletto DOC Vino Spumante Brut Lambrusco di Modena DOC Spumante Rosato Extra Dry L’oscuro Lambrusco Emilia IGT Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC Secco I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 217 COLLI BOLOGNESI Az. Agr. Gaggioli Maria Letizia Via Francesco Raibolini, 55 40069 Zola Predosa (BO) Tel. 051 753489 - 051 750534 [email protected] www.gaggiolivini.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Maria Letizia Gaggioli 1972 Giovanni Fraulini 21 160.000 bottiglie Pignoletto, Sauvignon Blanc, Pinot Bianco, Riesling Italico, Barbera, Cabernet Sauvignon, Merlot, Shiraz L’azienda Gaggioli nasce nel 1972 quando Carlo Gaggioli acquista il Podere “Bagazzana”. Nel 1990 la figlia Maria Letizia, dopo diversi anni di affiancamento al padre, passa al timone dell’azienda e costruisce la nuova cantina, impianta nuovi vigneti e nel 2007 inaugura l’Agriturismo Borgo delle Vigne. I vigneti, ad eccezione di un ettaro e mezzo, sono tutti ad alta densità e sono stati rinnovati negli ultimi 10 anni. Da oltre 20 anni si pratica la “Lotta Integrata Avanzata” con uso esclusivo di presidi non nocivi. Preserviamo un ambiente sano per avere un’uva sana, dalla quale far nascere quel vino “amico“ che non tradisce il consumatore perché naturale, genuino e buono. La varietà più coltivata nei nostri vigneti è il Pignoletto. I vini sono realizzati con una netta predominanza di una sola uva; sono quindi Vini in purezza. La vinificazione è sempre seguita con molta attenzione e scrupolosità: - per i vini bianchi pressatura soffice, pulizia dei mosti mediante flottazione, fermentazione termocontrollata con lieviti selezionati - per i vini rossi diraspapigiatura, fermentazione termocontrollata con lieviti selezionati, frequenti rimontaggi e delestage fino al momento della svinatura. Finita la fase della fermentazione tutti i vini vengono travasati evitando il contatto con l’aria e vengono filtrati una sola volta utilizzando il filtro tangenziale capace di mantenere inalterate tutte le caratteristiche organolettiche del vino profumi compresi. La politica aziendale è quella di un utilizzo molto moderato di solfiti ed infatti tutti i nostri vini in bottiglia presentano una quantità di solforosa inferiore alla metà di quanto permesso dalla legge. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Colli Bolognesi Pignoletto Frizzante DOCG 2014 Colli Bolognesi Pignoletto Superiore DOCG 2014 Colli Bolognesi DOC Rosso Bologna Riserva Il Francia Rosso 2010 Colli Bolognesi Pignoletto Classico Superiore DOCG 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 218 ROMAGNA Galassi Maria Az. Agr. Biologica Via Casetta, 688 47522 Paderno di Cesena (FC) Tel. 338 7230288 - 335 8412002 [email protected] www.galassimaria.it Responsabile/i Maria Galassi Anno di fondazione Enologo 1994 Francesco Bordini Ettari vitati 18 Produzione annua 45.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese 16 ha, Chardonnay, Rebola 1 ha, Merlot 0,5 ha, Cabernet 0,5 ha NatoRe Romagna Sangiovese DOC Superiore Bio 2013 NatoRe Romagna DOC Sangiovese Bertinoro Riserva 2011 Smembar Senza Solfiti aggiunti Romagna Sangiovese DOC Superiore Bio 2012 Paternus Romagna Sangiovese DOC Superiore Bio 2013 Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 219 ROMAGNA Gallegati Via Lugo, 182 - 48018 Faenza (RA) Zona di produzione: Via Monte Coralli - 48013 Brisighella (RA) Tel. 0546 621149 348 8700715 - 339 8455419 [email protected] www.aziendaagricolagallegati.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Antonio e Cesare Gallegati 1996 Cesare Gallegati 6 15.000 bottiglie Sangiovese 2.5 ha , Albana 0.7 ha, Chardonnay, Pignoletto, Merlot, Cabernet Sauvigon, Trebbiano Siamo un’azienda agricola a conduzione familiare in provincia di Ravenna nel cuore della Romagna. L’azienda ha una superficie totale di circa 20 Ha ed è divisa in due unità poderali. Una unità di circa 10 Ha si estende nella pianura di Faenza ed è ad indirizzo frutticolo, l’altra unità di circa 10 Ha si trova nelle colline di Brisighella ed è piantata a vite e olivo. Le vigne si trovano sulle pendici di Monte Coralli a circa 200 m sul livello del mare, su terreni prevalentemente argillosi, in un ambiente suggestivo ricco di essenze spontanee e fauna selvatica. I principali vitigni coltivati sono quelli tipici della Romagna, il Sangiovese e l’Albana, ma sono presenti anche altre tipologie come il Pignoletto, il Cabernet Sauvignon, il Merlot, lo Chardonnay. Produciamo vini di alta qualità DOC e DOCG dotati di grande personalità, eleganza e complessità e per far ciò ci avvaliamo delle migliori tecniche di vinificazione. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Sangiovese di Romagna DOC Superiore Riserva 2009 Corallo Nero Romagna DOC Sangiovese Brisighella 2013 Corallo Rosso Colli di Faenza DOC Bianco 2014 Corallo Bianco Albana di Romagna DOCG Passito 2010 Regina di Cuori I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 220 EMILIA Garuti Vini Via per Solara, 6 41030 Sorbara di Bomporto (MO) Tel. 059 902021 [email protected] www.garutivini.it Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda 1920 30 130.000 bottiglie Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Salamino, Pignoletto I lambruschi Garuti nascono dalla lungimiranza di Dante che fondò la cantina intorno al 1920 in un lembo di terra tra i più felici per questo vitigno. Figli, nipoti e pronipoti hanno accolto e cresciuto il patrimonio di saperi, innovando e costruendo un progetto di vita e di impresa che coinvolge e unisce tutta la famiglia. I lambruschi più pregiati nascono da terroir ad altissima vocazione, presso Sorbara, nella bassa pianura modenese, in un’area complessiva di 30 ettari, all’interno della zona di denominazione d’origine del Lambrusco di Sorbara. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Lambrusco di Sorbara DOP Podere Ca Bianca Secco 2014 Lambrusco di Sorbara DOP Rosà Rosato Secco 2014 Lambrusco di Sorbara DOP Rifermentato in bottiglia 2014 Pignoletto DOP L’una Secco 2014 NOTE 221 EMILIA Gavioli Antica Cantina srl Via Carlo Sigonio, 50 41124 Modena (MO) Zona di produzione: Via Provinciale Ovest, 55 41015 Nonantola (MO) Tel. 059 545462 - 059 222014 [email protected] www.gaviolivini.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Antonio Giacobazzi 1794 Fabio Bigolin 70 40.000 bottiglie circa Lambrusco di Sorbara DOC, Lambrusco Salamino di Santa Croce DOC, Lambrusco di Castelvetro DOC, Pignoletto Lambrusco Spumante IGP Brut Metodo Classico 30 Mesi Lambrusco Spumante IGP Pas Dosè Metodo Classico Lambrusco di Sorbara DOC Rifermentazione Ancestrale Lambrusco di Sorbara DOC I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 222 ROMAGNA Az. Agr. Giovanna Madonia Via Cappuccini, 130 47032 Bertinoro (FC) Zona di produzione: Bertinoro Tel. 333 4310441 - 346 9552666 [email protected] www.giovannamadonia.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Giovanna Madonia 1992 Attilio Pagli e Leonardo Conti 14 60.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese 10 ha, Merlot 1,5 ha, Albana 2 ha, Cabernet 0,50 ha Vino 1 Neblina Romagna DOCG Albana Secco 2014 Vino 2 Fermavento Romagna DOC Sangiovese Superiore 2013 Vino 3 Ombroso Romagna DOC Sangiovese Riserva Bertinoro 2011 Vino 4 Sterpigno Forlì Merlot IGT 2007 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 223 ROMAGNA Giovannini Via Punta, 82 40026 Imola (BO) Zona di produzione: colline imolesi Tel. 338 9763854 [email protected] www.vinigiovannini.com Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Jacopo Giovannini 1965 15 70.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Albana di Romagna, Sangiovese di Romagna, Trebbiano di Romagna, Cabernet Sauvignon Cantina Biologica. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Giogio’ Romagna Sangiovese DOC Superiore 2013 Gioja Romagna Albana di Romagna DOCG Bio 2014 Giocondo Cabernet Sauvignon DOC Colli di Imola 2009 Aboccaperta Trebbiano Frizzante IGP BIO 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 224 COLLI BOLOGNESI Il Monticino Vigne e vini dei Colli Bolognesi Via Predosa, 72 40069 Zola Predosa (Bo) Tel. 051 755260 - 051 755260 338 8580238 [email protected] www.ilmonticino.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Ruggero e Sandra Morandi 2000 Giovanni Fraulini 6 40.000 bottiglie Pignoletto, DOC Bologna Bianco, Malvasia Aromatica di Candia, Barbera, DOC Bologna Rosso, Cabernet Sauvignon Nell’anno 2000, riprendendo una tradizione secolare del luogo, la Famiglia Morandi ha ripristinato vecchi vigneti e ripiantato nuovi vitigni Doc su terreni collinari particolarmente vocati a questa coltivazione. La Cantina è situata sulla collina di Zola Predosa ed offre ai visitatori l’opportunità di ammirare gli impianti dei vigneti in produzione, nonché il suggestivo panorama della città di Bologna e zone limitrofe. Si sviluppa su una superficie di 12 ettari. L’impegno costante della Famiglia Morandi, personale qualificato, moderne tecnologie, l’importante professionalità dell’agronomo e dell’enologo, sono elementi essenziali per offrire risposte adeguate a persone sempre più esigenti sulla qualità dei vini. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Bolognino Bologna DOC Spumante Brut 2014 Pignoletto Frizzante Del Monticino Colli Bolognesi DOCG 2014 Barbera Riserva del Monticino Colli Bolognesi DOC 2011 Bolognino Colli Bolognesi DOC Bologna Rosso 2014 NOTE 225 ROMAGNA Il Pratello Az. Agr. Biologica Via Morana, 14 47015 Modiglana (FC) Zona di produzione: Modigliana Tel. 0546 942038 - 335 1358728 [email protected] www.ilpratello.net Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Emilio Placci 1993 Emilio Placci 6 15/20.000 bottiglie Sangiovese, Cabernet, Merlot, Pinot Nero, Malbo, Centesimino, Chardonnay, Sauvignon blanc Azienda agricola biologica in Modigliana, ad un’altitudine di quasi 600 metri, a contendere alla natura il terreno per la vigna, tra bosco e castagneto, cinghiali e caprioli ,in una posizione unica e incontaminata, si trova Il Pratello. I terreni marnoso arenacei, la scarsa profondità, la bella escursione termica e la gestione biologica conferiscono ai vini un impronta territoriale particolarmente decisa e interessante che si esprime in grande equilibrio, freschezza e notevole longevità. L’idea è un vino naturale e tradizionale sia come conduzione dei vigneti, quindi biologico, sia nell’evoluzione, senza forzature, rispettando i tempi che la natura detta . Nel gusto del vino tutto il respiro del territorio , l’assenza di chimica e di invadenti tecnicismi, rende giustizia al tempo e alla pazienza. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Mantignano Sangiovese Forlì IGP 2009 Badia Raustignolo Sangiovese Forlì IGP 2007 Le Campore Sauvignon Chardonnay Forlì IGP 2013 Calenzone Merlot Cabernet Forlì IGP 2004 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 226 ROMAGNA Il Teatro Via Anconetano, 10 48018 Faenza (RA) Zona di produzione: Via Monte Trebbio 17, 47015 Modigliana (FC) Tel. 335 1358688 [email protected] www.facebook.com/ilteatrolaboratoriodivino Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati: Produzione annua Vitigni presenti in azienda Luca Monduzzi 2012 Marco Gallegati 2,5 3.000 bottiglie Sangiovese, Albana, Trebbiano L’Azienda Agricola “IL TEATRO” nasce come rappresentazione plastica della passione per i vitigni autoctoni romagnoli, finalizzata a dare la propria chiave di lettura della vite in Romagna. L’azienda si svolge in più aree territoriali: l’albana (ATTOI) viene coltivata in un piccolo ronco a 230 mt nei pressi di Fognano di Brisighella, il sangiovese ATTO II invece è frutto della gestione di una vigna a 180 mt presso “Strada Casale” di Brisighella. Dalla vendemmia 2014 l’azienda gestisce i poderi di “Monte Violano” e “Risanoî”sul Monte Trebbio di Modigliana. Le vigne (dai 350 ai 430 mt) producono il Trebbiano Metodo Classico “RISANO” e produrranno un sangiovese d’altura di prossima uscita. Vino 1 Vino 2 Ravenna Sangiovese IGT Atto II 2014 Ravenna Trebbiano IGT Risano 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 227 ROMAGNA La Pandolfa Via Pandolfa, 35 47016 Fiumana di Predappio (FC) Tel. 0543 940073 Fax 0543 940909 [email protected] www.pandolfa.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 NOTE 228 Marco Cirese 1941 Francesco Bordini 40 216.000 bottiglie Sangiovese, Chardonnay Pandolfo Riserva Romagna Sangiovese DOC Predappio Riserva 2011 Pandolfo Romagna Sangiovese Predappio DOC 2014 Federico Sangiovese Superiore Romagna DOC 2014 Battista Chardonnay Rubicone IGT 2014 ROMAGNA La Sabbiona Via di Oriolo, 10 48018 Faenza (RA) Tel. 0546 642142 [email protected] www.lasabbiona.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Mauro Altini 1970 Ivano Emiliani 15 50.000 bottiglie Trebbiano, Albana, Malvasia, Famoso, Sangiovese, Centesimino, Syrah L’Azienda vitivinicola e Agrituristica La Sabbiona è situata in posizione panoramica sulle splendide colline che circondano l’antica Torre di Oriolo dei Fichi, nel cuore della Romagna, a pochi chilometri da Faenza. L’azienda dispone di 28 ettari di terreno, 15 sono destinati ai vigneti. In questo territorio ricco di arte e di storia,la famiglia Altini desidera conservare gli antichi sapori e tradizioni , offrendo ospitalità in un’antica dimora rurale, ristrutturata in armonia con il passato e i confort del presente. L’amore per il vino ci ha portato a sviluppare l’attività vitivinicola, ricercando la genuinità e la qualità del prodotto. Con la selezione manuale delle uve alla raccolta, si ottengono vini di prima qualità D.O.C. e I.G.T. tipici della Romagna. La nostra attenzione è rivolta alla salvaguardia di antiche varietà di vigneti autoctoni come il vitigno rosso “Centesimino” e il vitigno bianco ”Famoso”. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Alba della Torre Romagna DOCG Albana Secco 2013 Rosso della Torre Romagna DOC Sangiovese Superiore 2013 VIP Ravenna IGT Famoso 2014 Centesimino Ravenna IGT Centesimino 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 229 COLLI PIACENTINI La Stoppa Loc. Ancarano 29029 Rivergaro (PC) Tel. 0523 958159 [email protected] www.lastoppa.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Elena Pantaleoni 1973 Giulio Armani 30 150.000 bottiglie Barbera, Bonarda, Malvasia di Candia Aromatica, Ortrugo, Trebbiano IGT Emilia Rosso Trebbiolo Rosso 2014 IGT Emilia Rosso Macchiona 2007 IGT Emilia Bianco Ageno 2011 IGT Emilia Malvasia passito Vigna del Volta 2008 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 230 COLLI DI PARMA Az. Agr. Lamoretti Strada della Nave, 6 43013 Langhirano (PR) Tel. 0521 863590 340 3897689 (Giovanni Lamoretti) [email protected] www.lamoretti.eu Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Giovanni Lamoretti 1930 Giovanni e Isidoro Lamoretti 20 100.000 bottiglie Malvasia di Candia Aromatica 6 ha, Lambrusco Maestri 1 ha, Moscato bianco di Canelli 1,5 ha, Sauvignon Blanc 2,5 ha, Cabernet Sauvignon, Merlot, Barbera, Bonarda L’azienda vinifica esclusivamente le proprie uve, ottenute seguendo il protocollo della LOTTA INTEGRATA, e raccolte a mano. L’obiettivo è produrre vini legati al territorio – la Food Valley -, caratterizzati per piacevolezza e fragranza del frutto ma nel contempo salubri e rispettosi dell’ambiente, dal bassissimo contenuto in solforosa grazie alla filiera produttiva cortissima. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Colli di Parma DOC Malvasia Frizzante 2014 Colli di Parma DOC Lambrusco Frizzante 2014 Colli di Parma DOC Sauvignon 2014 Vinnalunga ‘71 2007 I vini p proposti p in degustazione g sono in vendita NOTE 231 ROMAGNA Le Rocche Malatestiane Via Emilia, 104 - 47921 Rimini (RN) Zona di produzione: c/o Cantina dei Colli Romagnoli via Cella, 7, Coriano (RN) Tel. 0543 782683 [email protected] www.lerocchemalatestiane.com Responsabile/i Gianluca Salini (commerciale) Elena Piva (comunicazione e relazioni esterne) Anno di fondazione 1959 Enologo Enrico Salvatori, Francesco Bordini Ettari vitati 800 Produzione annua 800.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon, Rebola, Chardonnay, Pagadebit Dal 1959 i vini de Le Rocche Malatestiane sono prodotti da 500 viticoltori che coltivano direttamente 800 ettari di vigneto distribuiti sulle colline della Provincia di Rimini, dall’alta Val Marecchia fino all’entroterra di Cattolica. Il rilancio del marchio Le Rocche Malatestiane arriva nel 2011 e riparte dall’identità del nostro vino che è popolare e territoriale e dalla valorizzazione del vitigno sangiovese che maggiormente ci contraddistingue poiché rappresenta oltre il 70% delle nostre produzioni totali. Nasce così il progetto “Territori del Sangiovese riminese” con l’idea di dar voce alle tre zone di produzione identificate per omogeneità, progetto che modifica anche l’approccio in vigna ed in cantina verso un’interpretazione del Sangiovese più rispettosa delle caratteristiche del vitigno e del territorio di provenienza. Alla produzione di Sangiovese si affiancano produzioni da vitigni autoctoni come Rebola, Pagadebit e Biancame e da vitigni internazionali come Merlot, Cabernet Sauvignon e Chardonnay che hanno trovato nel territorio riminese una loro positiva espressione. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 NOTE 232 I Diavoli Romagna DOC Sangiovese Superiore 2014 Tre Miracoli Romagna DOC Sangiovese Superiore 2014 Mons Jovis Colli di Rimini DOC Sangiovese 2013 Isotta dei Malatesti Rubicone IGT Sangiovese da Uve Stramature 2013 ROMAGNA Leone Conti Soc. Agr. Via Pozzo, 1 48018 Faenza (RA) Tel. 0546 642149 [email protected] www.leoneconti.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Gianfrancesco Conti 1954 Giancarlo Soverchia 23 70.000 bottiglie Albana, Famoso, Ruggine, Sauvignon blanc, Sangiovese, Centesimino, Syrah Azienda in conversione bio dal 2014 Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Romagna Albana DOCG Secco Progetto 1 2014 Ravenna Famoso IGT LeOne 2012 Romagna Sangiovese DOC Superiore Le Betulle 2012 Ravenna Rosso IGT Arcolaio da uve centesimino 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 233 EMILIA Lini 910 Via Vecchia Canolo, 7 42015 Correggio (RE) Tel. 0522 690162 Fax 0522 690208 [email protected] www.lini910.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Famiglia Lini 1910 Fabio Lini, Massimo Lini 25 400.000 bottiglie Lambrusco Salamino Metodo Classico Bianco Millesimato Brut 2010 Metodo Classico Rose’ Millesimato Brut 2009 Gran Cuvee di Lambrusco 2012 Metodo Classico Bianco Pas Dose’ 2009 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 234 EMILIA Lodi Corazza Via Risorgimento, 223 40069 Zola Predosa (BO) Tel. 051 756805 [email protected] www.lodicorazza.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Silvia e Cesare Corazza 1997 Dr. Sergio Parmeggiani 15 40.000 bottiglie Pignoletto 5 ha, Sauvignon 1 ha, Barbera 3 ha, Merlot 3ha , Riesling I. 1 ha, Bianco (albana) 2 ha Colli Bolognesi Pignoletto Frizzante DOCG 2014 Colli Bolognesi Pignoletto Superiore DOCG 2014 Colli Bolognesi Merlot Corrado DOC 2010 Colli Bolognesi Barbera Castelzola DOC 2010 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 235 EMILIA Lusvardi Via Canale per Reggio, 2 Zona di produzione: Loc. Molino di Gazzata 42018 San Martino in Rio (RE) Tel. 335 8149599 [email protected] www.lusvardi.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Rita Covezzi 2008 3,5 35.000 bottiglie Lambrusco Salamino, Lambrusco Grasparossa CERTIFICAZIONE BIOLOGICA ICEA IT BIO 006 - H2594. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Lusvardi Brut Lambrusco dell’Emilia IGP Vino Rosso Spumante 2014 Lusvardi Rose’ Lambrusco Reggiano DOP Vino Rosato Spumante 2014 Senzafondo Lambrusco dell’Emilia IGP Vino Rosso Spumante 2014 Grato Lambrusco Emilia IGP Vino Rosso Frizzante Col Fondo 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 236 COLLI BOLOGNESI Manaresi Via Bertoloni, 14 Loc. Podere Bella Vista 40069 Zola Predosa (BO) Tel. 051 751491 335 8032189 [email protected] www.manaresi.net Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Donatella Agostoni, Fabio Bottonelli 2009 Emiliano Falsini 12 40.000 bottiglie Grechetto gentile 4,5 ha, Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Barbera, Cabernet Sauvignon La cantina Manaresi domina dall’alto i suoi vigneti, radialmente disposti, con vista su Bologna e tutta la pianura, fino a Modena e alle Alpi nei giorni limpidi. I suoli sono tipicamente ‘rossi’, argillosi con vene ghiaiose, e vantano una documentata vocazione millenaria per la viticoltura. L’azienda è dedicata a Paolo Manaresi (1908-1991), pittore e incisore del Novecento, nonno materno di Donatella Agostoni, che la conduce personalmente con Fabio Bottonelli nel rispetto del terroir e con la ricerca costante di equilibrio ed eleganza: “Fare vino per noi è fare (buona) agricoltura: ci mettiamo la faccia e le mani”. La cantina, dotata di tecnologie di ultima generazione che rispettano l’uva, è interrata sotto una casa rurale ristrutturata, con una parte originaria del primo novecento conservata inalterata. I vini sono prodotti esclusivamente con uve di proprietà raccolte a mano in cassetta con una filosofia agricola rigidamente a basso impatto e un approccio enologico attento, ma non invasivo. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Colli Bolognesi DOCG Pignoletto Frizzante 2014 Colli Bolognesi DOCG Pignoletto Classico Superiore 2014 Colli Bolognesi DOC Merlot 2014 Colli Bolognesi DOC Bianco Bologna Duesettanta 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 237 EMILIA Az. Agr. Manicardi Via Massaroni 1 41014 Castelvetro (MO) Tel. 059 799000 [email protected] www.manicardi.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Maria Livia Manicardi 1980 Dott. Valerio Macchioni 20 100.000 bottiglie Lambrusco Grasparossa di Castelvetro 14 ha, Pignoletto 2 ha, Trebbiano 4 ha La nostra azienda nasce nel 1980 con Enzo padre di Maria Livia, attuale proprietaria, che decide di portare avanti una passione personale per il mondo del vino che si trasforma, nel corso degli anni, in una ricerca sempre più approfondita della qualità di produzione. Dai primi pochi ettari inziali, siamo arrivati ad un’azienda strutturata su 35 ettari, ma che conserva ancora oggi un carattere tradizionale ed un forte legame con quella che si può, a ben ragione, definire una realtà familiare. La Manicardi, oggi, si estende sulle prime colline modenesi, su un’altitudine media tra i 250 ed i 300 metri, con un terreno ad impasto medio con presenza di argilla. Il clima si caratterizza per avere buone escursioni termiche in periodo vendemmiale. Il corpo aziendale è caratterizzato da diverse singole vigne, tra cui spicca il cru Vigna del Fiore. Pur mantenendo un forte legame con la tradizione produttiva della zona e della tipologia Lambrusco, cerchiamo di stare sempre attenti all’innovazione con l’obiettivo di avere vini di qualità. Ci piace anche sottolineare la nostra produzione di aceto balsamico tradizionale che realizziamo nella tipologia affinato ed extravecchio. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4: Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC Vigna Ca’ del Fiore 2014 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC Secco 2014 Spumante Rosè Brut Fabula 2014 Pignoletto dell’Emilia 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 238 BOSCO ELICEO Mattarelli Vini Via Rondona 23/B 44018 Vigarano Pieve (FE) Tel. 0532 43123 [email protected] www.mattarelli-vini.it Responsabile/i Anno di fondazione Produzione annua Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Emanuele Mattarelli 1964 250.000 bottiglie Rosa X Emy Spumante Rosato 2014 Bosco Eliceo Fortana Frizzante DOC 2014 Baba Fortana Emilia IGT 2013 Palina Bosco Eliceo Sauvignon 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 239 EMILIA Medici Ermete & Figli Via Isaac Newton 13/A - Loc. Gaida 42124 Reggio Emilia (RE) Tel. 0522 942135 [email protected] www.medici.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 NOTE 240 Giorgio Medici 1961 75 800.000 bottiglie Ancellotta, Lambrusco Marani, Lambrusco Salamino, Malbo Gentile, Malvasia di Candia Reggiano DOC Lambrusco secco Concerto 100% Lambrusco Salamino 2014 Spumante Brut Rosso Metodo Classico Granconcerto 100% Lambrusco Salamino 2012 Spumante Brut Rosé Metodo Classico Unique 100% Lambrusco Marani 2012 Malvasia DOC Colli di Scandiano e di Canossa secco Daphne 100% Malvasia Aromatica di Candia 2014 ROMAGNA Merlotta Via Merlotta, 1 Imola (Bo) Tel. 0542 41740 [email protected] www.merlotta.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Raffaele Minzolini 1962 Minzolini Fabio 45 450.000 bottiglie Pignoletto, Albana, Trebbiano, Malvasia, Chardonnay, Pinot Bianco, Sangiovese, Barbera, Cabernet S., Cabernet F., Merlot, Pinot Nero La Merlotta ha raggiunto da pochi anni l’importante traguardo del mezzo secolo d’attività. Oggi come allora, la proprietà è animata dalla stessa passione e dagli stessi ideali di genuinità contadina. Per segnare questa importante ricorrenza è nato il progetto di due vini di grande classe e struttura, tipicamente autoctoni, dedicati ai Fondatori. Oggi queste selezioni di Albana e di Sangiovese sono i vini che meglio rispettano le tradizioni del nostro territorio e trasmettono la passione con cui abili mani, della stessa famiglia, li lavorano da generazioni. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Fondatori GP Romagna Albana DOCG Secco 2014 Fondatori PG Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva 2012 Opus Aureum Chardonnay DOC Colli d’Imola Maturato in Rovere 2014 Opus Rubens Cabernet Sauvignon DOC Colli d’Imola 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 241 ROMAGNA Noelia Ricci Via Pandolfa, 35 47016 Fiumana di Predappio Tel. 0543 940073 Fax 0543 940909 [email protected] Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 NOTE 242 Marco Cirese 1941 Francesco Bordini 7 45.000 bottiglie Sangiovese, Trebbiano Il Sangiovese Sangiovese Superiore Romagna 2014 Godenza Sangiovese Superiore Romagna Cru 2013 Bro’ Bianco Forlì IGT 2014 COLLI BOLOGNESI Nugareto Soc. Agr. Vinicola Via Ubaldo Poli, 4 40069 Zola Predosa (BO) Zona di produzione: Via Nugareto, 6 - 40037 Sasso Marconi (BO) Tel. 051 3515111 [email protected] www.nugareto.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Mauro Masi 2011 Salvatore Maule 15 50.000 bottiglie Pignoletto 5,50 ha, Sauvignon Blanc 2,60 ha, Cabernet Franc 0,80 ha, Cabernet Sauvignon 1,20 ha, Pinot Bianco 0,80 ha, Merlot 0,80 ha, Chardonnay 0,70 ha Giullare Colli Bolognesi DOC Pignoletto Frizzante 2014 Canto Colli Bolognesi DOC Bianco Bologna 2014 Monello Colli Bolognesi DOC Rosso Bologna 2014 Petroniano Colli Bolognesi DOC Spumante Bologna 2014 NOTE 243 EMILIA Paltrinieri Gianfranco Via Cristo, 49 41030 Sorbara (MO) Tel. 059 902047 Fax 059 902047 [email protected] www.cantinapaltrinieri.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Alberto Paltrinieri 1926 Attilio Pagli e Leonardo Conti 15 90.000 bottiglie Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Salamino Leclisse Lambrusco di Sorbara DOC Metodo Charmat 2014 Radice Lambrusco di Sorbara DOC rifermentato in bottiglia 2014 Grosso Lambrusco di Modena DOC Metodo Classico 2011 Solco Lambrusco dell’Emilia IGT Metodo Charmat 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 244 EMILIA Az. Agr. Pezzuoli Via Vignola 136 41053 Maranello (MO) Tel. 0536 948800 [email protected] www.pezzuoli.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Dott. Alberto Pezzuoli 1932 120 300.000 bottiglie Lambrusco Grasparossa di Castelvetro 60 ha, Lambrusco di Sorbara 10 ha, Lambrusco Salamino di Santacroce 16 ha, Pignoletto 15 ha Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP Pietrascura 2014 Lambrusco di Sorbara DOP Pietrarossa 2014 Pignoletto di Modena DOP Pietragialla 2014 Lambrusco di Sorbara Rosè DOP Pietrarossa 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 245 ROMAGNA Podere La Berta Via Berta, 13 48013 Brisighella (RA) Tel. 0546 84998 [email protected] www.poderelaberta.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Giovanni, Nicolò e Domenico Poggiali 2009 Dr. Franco Bernabei 15 65.000 bottiglie Sangiovese, Trebbiano, Albana, Bombino Bianco Albana Romagna Albana DOCG 2014 Sangiovese Romagna Sangiovese DOC 2014 Solano Romagna Sangiovese Superiore DOC 2013 Olmatello Romagna Sangiovese Superiore Riserva DOC 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 246 COLLI BOLOGNESI Podere Riosto Via di Riosto, 12 40065 Pianoro (BO) Tel. 051 777109 [email protected] www.podereriosto.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Cristiana Galletti 1950 Mariano Pancot 16 80.000 bottiglie Pignoletto 5,41 ha, Sauvignon 2,06 ha, Chardonnay 0,96 ha, Barbera 2,72 ha, Cabernet 2,70 ha, Merlot 1,34 ha, Vite Fantini 0,66 ha Pignoletto Frizzante DOCG Colli Bolognesi 2014 Pignoletto Superiore DOCG Colli Bolognesi 2014 Spumante Rosè For You Vite del Fantini 2014 Grifone Cabernet Sauvignon DOC Colli Bolognesi Selezione 2007 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 247 ROMAGNA Podere Vecciano Via Vecciano, 23 47853 Coriano (RN) Tel. 0541 658388 - 335 256039 [email protected] www.poderevecciano.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Davide Bigucci 1990 Francesco Bordini 15 100.000 bottiglie Sangiovese 8 ha, Rebola 1,5 ha, Pagadebit 1,5 ha, Chardonnay 1 ha, Cabernet S., Merlot, Famoso, Montepulciano Vignadellerose Romagna Pagadebit DOC 2014 Vignalaginestra Colli di Rimini Rebola DOC 2014 Vignalavolta Rubicone IGP Rosso 2012 D’enio Romagna Sangiovese DOC Superiore Riserva 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 248 ROMAGNA Poderi dal Nespoli Villa Rossi, 50 - Nespoli 47012 Civitella di Romagna (FC) Tel. 0543 989911 [email protected] [email protected] www.poderidalnespoli.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Fabio Ravaioli 1929 Scipione Giuliani 130 900.000 bottiglie Albana, Sangiovese, Bombino, Cabernet, Merlot, Pinot Bianco, Chardonnay Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva Il Nespoli 2012 Romagna DOC Sangiovese Superiore Prugneto 2014 Rubicone IGT Pinot Bianco Dogheria 2014 Romagna DOC Pagadebit 2014 NOTE 249 ROMAGNA Poderi Morini Az. Agr. Alessandro Morini Via Gesuita 4/B 48018 Faenza (RA) Tel. 0546 638172 [email protected] www.poderimorini.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Alessandro Morini, Daniela Zolli 1998 Maurizio Castelli 25 100.000 bottiglie Sangiovese, Albana, Centesimino, Longanesi Morale Romagna Sangiovese DOC Superiore 2014 Sette Note Romagna Albana DOCG Secco 2013 Nonno Rico Romagna Sangiovese DOC Riserva Oriolo 2011 Savignone Ravenna Centesimino IGT 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 250 EMILIA Quintopasso Metodo Classico Via D. Manin, 15 41122 Modena Vigneti e produzione: Via Canale, 267 41019 Sozzigalli di Soliera (MO) Tel. 059 3163311 [email protected] www.quintopasso.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Roberto Saletta 2010 Franco De Biasio 12 circa 40.000 bottiglie Sorbara QuintoPasso Rosé Brut Modena DOC 2012 QuintoPasso Cuvée Paradiso Brut 2012 NOTE 251 ROMAGNA Randi Via San Savino, 113 48034 Fusignano (RA) Tel. 349 4684011 [email protected] www.randivini.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Randi Massimo 1951 Sergio Ragazzini 40 60.000 bottiglie Famoso, Longanesi, Malbo Gentile, Chardonnay, Trebbiano Burson Etichetta nera 2009 Rambela 2015 Burson Rosato Brut 2014 Rambela Brut 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 252 ROMAGNA San Patrignano Via San Patrignano, 53 47853 Coriano (RN) Tel. 0541 362111 [email protected] www.spaziosanpa.com Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 1978 Riccardo Cotarella 110 500.000 bottiglie Sangiovese Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Sauvignon Blanc Avenir Vino Spumante di Qualità Brut Metodo Tradizionale Classico 2011 Aulente Bianco Rubicone IGT Bianco 2014 Aulente Rosso Rubicone IGT Rosso 2014 Ora Sangiovese di Romagna DOC Superiore 2014 NOTE 253 ROMAGNA Spinetta Az. Agr. di Monti e Altri s.s. Via Pozzo, 26 - Loc. Santa Lucia 48018 Faenza (RA) Tel. 0546 642037 338 2277013 - 340 5363293 [email protected] www.spinetta.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Luciano Monti 1992 Sergio Ragazzini 23 50.000 bottiglie Sangiovese, Centesimino, Uva Longanesi, Cagnina, Cabernet Sauvignon, Trebbiano, Albana, Chardonnay, ecc... Regina Spumante di Qualità Extra Dry da Uva Famoso Donna Matilde Bianco da Uve Stramature Burson Ravenna IGP Uva Longanesi 2009 Bacchicus Romagna Sangiovese DOP Superiore Riserva 2010 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 254 COLLI BOLOGNESI Tenuta Bonzara Via San Chierlo 37/A 40050 Monte San Pietro (BO) Tel. 051 6768324 335 8110018 - 328 0815765 [email protected] www.bonzara.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Angelo Lambertini, Silvia Lambertini 1963 Walter Iannini 15 70.000 bottiglie Pignoletto, Sauvignon Blanc, Merlot, Cabernet Sauvignon Disponiamo di una sala eventi per ospitare matrimoni e feste, un agriturismo e un ristorante. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Bonzarone Cabernet Sauvignon Colli Bolognesi DOC 2011 Vigna Antica Pignoletto Classico Colli Bolognesi DOCG 2014 Il Rosso Bologna Colli Bolognesi DOC 2014 Bonzarino Bianco Pignoletto Frizzante Colli Bolognesi DOCG 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 255 ROMAGNA Tenuta de’ Stefenelli Viale Bolognesi 19, Forlì Zona di produzione: Via Fratta km 1,800 - Fratta Terme 47032 Bertinoro (FC) Tel. 0543 35029 - 333 2182466 [email protected] www.destefenelli.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Sergio Stefenelli 2006 10 15.000 bottiglie Sangiovese, Merlot, Cabernet Franc, Bombino Bianco, Chardonnay, Riesling Renano, Pinot Bianco Tenuta de’Stefenelli è una azienda agricola posta sulle prime colline dell’entroterra forlivese, nella zona vinicola di Bertinoro. Produce vini bianchi e rossi d’eccellenza utilizzando esclusivamente le uve dei propri vigneti e seguendo un naturale processo integrato per la trasformazione: “dal grappolo … alla bottiglia”. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Rondo’ Sangiovese di Romagna Superiore DOC 2014 Preludio Sangiovese di Romagna Superiore DOC 2013 Swing Colli Romagna Centrale Bianco DOC 2014 Opera 5 Colli Romagna Centrale Bianco DOC 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 256 COLLI BOLOGNESI Tenuta Folesano Via San Silvestro, 17 40043 Marzabotto (BO) Tel. 338 8952014 [email protected] www.folesano.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Andrea Berti 1959 Andrea Berti 7,5 30.000 bottiglie Albana, Sangiovese, Barbera, Merlot Guidesco Colli Bolognesi DOC Merlot 2011 Folesano Emilia IGP Sangiovese 2013 Gariete Emilia IGP Albana 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 257 ROMAGNA Tenuta La Viola Via Colombarone, 888 47032 Bertinoro (FC) Tel. 0543 445496 [email protected] www.tenutalaviola.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Stefano Gabellini 1998 Giuseppe Caviola 11 47.000 bottiglie Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon, Albana Oddone Sangiovese Superiore DOC 2014 Colombarone Sangiovese Superiore DOC 2012 P.Honorii Sangiovese Superiore Riserva DOC 2011 Venticinque Forlì IGT Rosso 2012 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 258 ROMAGNA Tenuta Biodinamica Mara Via Cà Bacchino, 1665 San Clemente (RN) Tel. 0541 988870 [email protected] www.tenutamara.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Leonardo Pironi 2007 Leonardo Pironi (agronomo) Ettari vitati 6,5 Produzione annua 20.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese Dalla passione per il vino di Giordano Emendatori, nel 2010, dopo cinque lunghi anni di attesa, sulle colline dell’entroterra romagnolo,a San Clemente, Rimini, nasce ‘MaraMia’, il primo vino Biodinamico prodotto in Provincia di Rimini. L’Agricoltura Biodinamica è un modo di pensare e di coltivare la terra,eticamente rispettosa dell’ambiente e del lavoro, capace di produrre cibi che nutrono tutto l’essere umano, non solo la sua componente fisica, il tutto senza utilizzo di alcuna sostanza chimica, concimi, diserbanti, fitofarmaci comunemente usati nella viticultura convenzionale. Alla Tenuta Mara si produce solo un vino, il Sangiovese, che è il vitigno tipico della zona. Assaporandolo si sente solo il sapore dell’uva trasformata in vino. La Tenuta Biodinamica Mara è una distesa di sette ettari di vitigno su un terreno in pendenza ed esposto al dolce sole della Romagna; è stata improntata ai principi della biodinamica, che si sono voluti abbracciare e fare propri integralmente, a partire dalla scelta del giusto orientamento per la messa a dimora delle viti. Infine, alla Tenuta Mara si utilizza la pratica agronomica del sovescio consistente nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere ed aumentare la fertilità del terreno: si introducono nel campo piante in grado di curare la terra ed aumentare la biodiversità; si semina per produrre nel terreno, oltre ad un’azione energetica, anche un’azione fisica, meccanica da parte delle piante seminate.Ma non è tutto… Alla Tenuta Biodinamica Mara le viti crescono accompagnate dalla musica classica: archi, fiati e accordi musicali si diffondono nell’aria e abbracciano le piante che prosperano tra le armonie di Mozart, come in una sconfinata sala da concerto. Le armonie seguono il processo di trasformazione dell’uva in vino fino alla cantina, dove risuonano i canti gregoriani, in un’atmosfera di assoluta pace e meditazione. Passeggiando per la Tenuta l’orecchio è coccolato anche dal canto di numerosi uccelli che rivestono un ruolo fondamentale per preservare l’equilibrio biologico dell’ecosistema agrario. In più la loro nidificazione è un valido indicatore della salute e della biodiversità dell’habitat. Per questo sono state posizionate 400 cassette nido per uccelli, 46 cassette rifugio per i pipistrelli e 5 pareti nido per gli insetti. Un bel modo di fare pace col pianeta. Un motivo in più per visitare la Tenuta Biodinamica Mara e intrattenersi con i suoi meravigliosi abitanti… Vino 1 Sangiovese Rubicone IGP MaraMia 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 259 ROMAGNA Tenuta Masselina Via Pozze, 1030 48014 Castelbolognese (RA) Tel. 338 6314075 [email protected] www.masselina.it Responsabile/i Andrea Celletti (enologo) Elena Piva (comunicazione e relazioni esterne) Anno di fondazione 2007 Enologo Andrea Celletti Ettari vitati 17 Produzione annua 25.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Trebbiano, Chardonnay, Pignoletto, Cabernet Sauvignon Vino 1 DOCG Romagna Albana Secco 2014 Vino 2 Romagna DOC Sangiovese Superiore 138 2014 Vino 3 Romagna DOC Sangiovese Riserva 2010 Vino 4 Spumante Brut Metodo Classico 2010 NOTE 260 ROMAGNA Tenuta Nero del Bufalo Via Canalazzo, 1 48020 S. Agata sul Santerno (RA) Tel. 0545 45341 - 348 3368674 [email protected] www.nerodelbufalo.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Turi Giuseppe 1996 Francesco Bordini 5 6.000 bottiglie circa Merlot, Chardonnay, Trebbiano, Cabernet Nero del bufalo Ravenna IGT Rosso 2013 Bolle del bufalo 2013 Bufalo bianco Ravenna IGT Bianco 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 261 ROMAGNA Tenuta Palazzona di Maggio Via Panzacchi, 16 40064 San Pietro di Ozzano Emilia (BO) Tel. 051 798982 - 335 397030 [email protected] www.palazzonadimaggio.it Responsabile/i Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Antonella Perdisa Aroldo Belelli, Federico Curtaz 15,50 40.000 bottiglie Merlot, Cabernet Franc, Sangiovese di Romagna ,Chardonnay Dracone Colli di Imola DOC Rosso 2009 Dracone Riserva Colli di Imola DOC Rosso 2008 Ulziano Romagna DOC Sangiovese Superiore 2012 Maleto Colli di Imola DOC Chardonnay 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 262 ROMAGNA Tenuta Pertinello Soc. Agr. Via Arpineto, 2 - Loc. Pertinello 47010 Galeata (FC) Tel. 0543 983156 [email protected] www.tenutapertinello.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Mancini Moreno 2000 Moltard Fabrizio 12 70.000 bottiglie Sangiovese, Albana, Pinot Nero Con i suoi 55 ettari la Tenuta Pertinello si estende sulle colline dell’Alto Bidente tra la Romagna e la Toscana. È una vera oasi, circondata da boschi di querce e carpino nero. Le sue vigne crescono ad una altitudine di 350m su un terreno sassoso, calcareo e argilloso, esposte a pieno sole a sud/sudest, costantemente ventilate in un clima caratterizzato da forti escursioni termiche e scarsa piovosità. In questo ambiente ideale si coltivano uve di Sangiovese, Albana e Pinot Nero per una produzione vinicola quantitativamente limitata di alta qualità. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Colli Romagna Centrale DOC Sangiovese Riserva Il Sasso 2009 Colli Romagna Centrale DOC Sangiovese Superiore Il Pertinello 2012 Colli Romagna Centrale DOC Sangiovese Il Bosco 2014 Vino Spumante di Qualità Extra Brut Metodo Classico di Pertinello I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 263 ROMAGNA Tenuta Piccolo-Brunelli Strada San Zeno, 1 47010 Galeata (FC) Zona di produzione: Predappio Tel. 346 8020206 [email protected] www.piccolobrunelli.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Pietro Piccolo Brunelli 1931 20 20.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah Vino 1 Pietro 1904 Forlì IGT Rosso 2009 Vino 2 Cesco 1938 Romagna DOC Sangiovese Superiore 2010 Vino 3 Il Conte Pietro Romagna DOC Sangiovese Superiore 2012 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 264 ROMAGNA Tenuta Saiano L’oasi di Montebello Via del Carpino, 8 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Via Casone, 35 47825 Montebello di Poggio Torriana (RN) Tel. 0541 628605 - 366 7862921 [email protected] www.tenutasaiano.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Jenny Castellani 2003 Francesco Bordini 10 10.000 bottiglie Sangiovese, Merlot, Cabernet, Rebola, Gianciotto Romagna DOC Sangiovese 2014 Saiano Rubicone IGT Rosso 2014 Rosanita Spumante Brut Rosè Rubicone IGT 2014 Gianciotto Romagna DOC Sangiovese 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 265 COLLI BOLOGNESI Tenuta Santa Cecilia Croara Via Croara, 7/H Loc. Croara 40068 San Lazzaro di Savena (BO) Tel. 051 6251905 [email protected] www.tenutasantaceciliacroara.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Nicoletta Madrigali 2007 Dott. Enzo Mattarei 5,5 10.000 bottiglie Pignoletto 2,2 ha, Riesling Italico 1,0 ha, Merlot 0,6 ha, Cabernet Sauvignon 0,8 ha, Barbera 0,9 ha Vini biologici certificati. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Tenuta Santa Cecilia Pignoletto Frizzante Colli Bolognesi DOCG Biologico 2014 Tenuta Santa Cecilia Pignoletto Superiore Colli Bolognesi DOCG Biologico Fermentazione Naturale 2014 Tenuta Santa Cecilia Pignoletto Spumante Colli Bolognesi DOCG Biologico 2014 Tenuta Santa Cecilia Merlot Colli Bolognesi DOC Biologico 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 266 COLLI BOLOGNESI Tenuta Santa Croce Via Abè, 33 40050 Monteveglio (BO) Tel. 051 6702069 - 340 8957468 [email protected] www.tenutasantacroce.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Giorgio Chiarli 1986 Dott. Giovanni Fraulini 30 200.000 bottiglie Pignoletto 22 ha, Cabernet 3 ha, Sauvignon 1.5 ha, Merlot 1 ha, Barbera 1 ha, Riesling 1.5 ha Sit a Montuì Colli Bolognesi Classico Pignoletto DOCG 2013 Sur lie Colli Bolognesi Classico Pignoletto DOCG 2014 Sermedo Colli Bolognesi Cabernet Sauvignon Riserva 2010 Cuvée Nettuno Colli Bolognesi DOC Pignoletto Spumante 2014 NOTE 267 ROMAGNA Tenuta Santa Lucia Via Giardino 1400 47025 Mercato Saraceno (FC) Tel. 0547 90441 331 5072098 (Paride) [email protected] www.santaluciavinery.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Dott. Paride Benedetti 2009 Dott. Giancarlo Soverchia, Dott. David Soverchia, Dott. Paride Benedetti Ettari vitati 16 Produzione annua 90.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Famoso, Centesimino Vino 1 Sassignolo Romagna Sangiovese Superiore Riserva DOC 2011 Vino 2 Albarara Cru Artigianale Romagna Albana DOCG Secco 2011 Vino 3 Famous Rubicone Famoso IGT 2010 Vino 4 Santa Lucia Metodo Classico Spumante Brut di Qualità I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 268 ROMAGNA Tenuta Santini Via G. Brodolini, 2 47853 Coriano (RN) Zona di produzione: Via Campo, 33 Coriano (RN) Tel. 0541 656527 - 338 1149085 [email protected] www.tenutasantini.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Sandro Santini 1960 L. Landi 22 50.000 bottiglie Sangiovese 18 ha, Cabernet Sauvignon 1 ha, Cabernet Franc. 1 ha, Sirah 1 ha, Merlot 1 ha Beato Enrico Romagna Sangiovese DOC 2014 Cornelianum Romagna Sangiovese Riserva 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 269 ROMAGNA Tenuta Uccellina Via IV Novembre, 14 Via Aldo Moro 23/1 48026 Russi (RA) Tel./Fax 0544 580144 [email protected] www.tenutauccellina.com Responsabile/i Hermes Rusticali Antonietta Anna Amoroso Anno di fondazione 1985 Enologo Sergio Ragazzini Ettari vitati 4 Produzione annua 6.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Uva Longanesi, Famoso, Canena, Lanzesa, Sangiovese, Albana, Pinot Nero L’azienda si specializza sempre di più nella trasformazione dei vitigni autoctoni come Uva Longanesi Famoso Lanzesa Uva d’Oro senza abbandonare quelli più tradizionali come Sangiovese, Albana, Trebbiano . Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Burson Uva Longanesi 2009 Rambela Uva Famoso Extra Dry 2014 Hermes Ravenna IGT Bianco Uva Trebbiano Vendemmia Tardiva 2013 Burson Uva Longanesi Selezionato 2008 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 270 ROMAGNA Tenuta Villa Trentola di Prugnoli Federica Via Cantamiglio, 30 47034 Forlimpopoli (FC) Zona di produzione: Via Molino Bratti, 1305 Bertinoro (FC) Tel. 0543 741389 - 333 7868577 [email protected] www.villatrentola.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Dott.ssa Federica Prugnoli 2002 Fabrizio Moltard 20 50.000 bottiglie Trebbiano, Sangiovese, Merlot Ultimo Atto Romagna DOC Sangiovese Superiore 2014 Prugnolo Romagna DOC Sangiovese Superiore 2013 Moro Romagna DOC Sangiovese Superiore Riserva 2009 NOTE 271 EMILIA Terraquilia di Mattioli Romano Via Caldana 41052 Guiglia (MO) Tel. 059 931023 [email protected] www.terraquilia.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Romano Mattioli 2004 6 35.000/40.000 bottiglie Lambrusco Grasparossa, Sangiovese, Malbo Gentile, Pignoletto, Trebbiano R. La Cantina TERRAQUILIA e le sue vigne si trovano nel comune di Guiglia (MO), inserite in un contesto naturale incontaminato. A quasi 500 metri sul livello del mare, le vigne e la cantina sono curate nel rispetto della tradizione e le escursioni termiche, favorite dalle brezze della valle del fiume Panaro, influenzano la maturazione delle uve e ci permettono di ottenere prodotti vivi, ricchi caratterizzati da acidità e sapidità marcate, dai profumi intensi e con un profilo organolettico complesso. La bassa produzione per ettaro, circa 70 qli, è volta a privilegiare la qualità delle uve rispetto alla quantità prodotta. Vinifichiamo con il nostro METODO ANCESTRALE che ha radici antiche e, con l’utilizzo di tini refrigerati, blocchiamo la fermentazione, per ottenere una RIFERMENTAZIONE NATURALE IN BOTTIGLIA senza aggiunte di lieviti o zuccheri e senza filtraggi, esaltando così le naturali caratteristiche del vitigno. Al termine della rifermentazione, i residui di lieviti danno luogo ad una naturale sedimentazione che esprime in modo tangibile il legame dei vini TERRAQUILIA con la tradizione del nostro territorio. Nei nostri vini frizzanti denominati “Zero”, dopo diversi mesi di maturazione sui lieviti, il sedimento viene eliminato con una sboccatura à la volèe, eseguita senza ghiacciare grazie ad una macchina appositamente studiata. Produciamo i nostri vini in regime BIOLOGICO, ma non ci siamo comunque fermati al mero rispetto di un disciplinare: per questo uno dei punti di forza della nostra produzione di vini è il BASSISSIMO CONTENUTO DI SOLFITI al di sotto di 40mg/l. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Falcorubens Lambrusco Grasparossa Emilia IGT 2014 Terrebianche col Fondo Pignoletto dell’Emilia IGT 2014 Spumante Terrebianche Metodo Classico 2013 Re Malbone Malbo Gentile e Cabernet Sauvignon Emilia IGT 2012 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 272 ROMAGNA Terre Contese Via Goffredo Mameli 6 Zona di produzione: Via Giovanni Mengozzi, 18 47011 Terra del Sole (FC) Tel. 338 7786208 [email protected] www.terrecontese.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Emanuele Coveri 2005 Rossano Abbona 9 30.000 bottiglie Sangiovese, Syrah, Alicante, Merlot, Montepulciano, Albana, Sauvignon, Trebbiano Le uve utilizzate per la produzione del Dogana 21 e del Terre Contese provengono da agricoltura biologica Vino 1 Vino 2 Vino 3 Dogana 21 Forlì IGP Rosso 2011 Terre Contese Sangiovese di Romagna DOP Superiore 2012 Estremo Confine Sangiovese di Romagna DOP 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 273 ROMAGNA Terre di Fiume Azienda Biologica Certificata Via Montescudo 4 Zona di produzione: Via Friano 47853 Coriano (RN) Tel. 347 3642996 - 348 8276102 terredifi[email protected] www.terredifiume.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Pompea Pivi 2000 Francesco Bordini 10 12.000/15.000 bottiglie Sangiovese, Rebola, Montepulciano, Chardonnay, Sirah, Merlot, Cabernet Azienda Biologica Certificata CCPB. In corso la pratica di iscrizione al Consorzio Vini di Romagna (CVR) Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Sangiovese di Romagna Superiore DOP Fafnir 2013 Colli di Rimini Rebola DOP Ferianus 2013 Colli di Rimini Rebola DOP Ferianus 2014 Sangiovese Rubicone IGT 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 274 COLLI BOLOGNESI Tizzano Soc. Agr. Via Marescalchi, 13 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 571208 - 051 577665 [email protected] www.tizzano.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Luca Visconti di Modrone 1961 Nicola Grando 35 150.000 bottiglie Pignoletto 12 ha, Cabernet Sauvignon 7 ha, Merlot, Barbera, Sauvignon, Riesling Italico Colli Bolognesi Pignoletto Frizzante DOCG 2014 Colli Bolognesi Pignoletto Superiore DOCG 2014 Colli Bolognesi Pignoletto Spumante DOCG 2014 Colli Bolognesi Barbera DOC 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 275 COLLI PIACENTINI Torre Fornello Az. Agr. di Enrico Sgorbati Località Fornello 29010 Ziano (PC) Tel. 0523 86101 [email protected] www.torrefornello.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Enrico Sgorbati 1998 60 Barbera, Bonarda, Malvasia Aromatica di Candia, Ortrugo, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Sauvignon, Marsanne, Syrah, Pinot Grigio Donna Luigia Malvasia DOC Colli Piacentini 2013 Ottavo Giorno Vino da uve stramature 2011 Diacono Gerardo 1028 Gutturnio Riserva DOC Colli Piacentini 2007 Enrico Primo Vino Spumante di Qualità Brut Metodo Classico 2010 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 276 ROMAGNA Torre San Martino Piazza Mattei, 17 00186 Roma Zona di produzione: San Martino in Monte, Loc. Casone 47015 Modigliana (FC) Tel. 06 89786312 - 0044 74 77949230 [email protected] [email protected] www.torre1922.co Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Iman Jouali 2001 Francesco Bordini 10 50.000 bottiglie Sangiovese, Albana, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot Chardonnay, Sauvignon Blanc Vigna 1922 Romagna Sangiovese Superiore Riserva DOC 2012 Gemme Romagna Sangiovese Superiore DOC 2014 Vigna della Signora Colli di Faenza Bianco DOC 2014 Vigna Claudia Colli di Faenza Riserva DOC 2012 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 277 ROMAGNA Trerè Via Casale, 19 48018 Faenza (RA) Tel. 0546 47034 (ufficio) 348 2685356 (Morena) 348 8089108 (Massimiliano) [email protected] www.trere.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Morena Trerè, Massimiliano Fabbri 1960 Emiliano Falsini 35 150.000 bottiglie Sangiovese, Albana, Pagadebit, Pignoletto, Famoso, Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Sauvignon Blanc Renero Colli di Faenza DOC Sangiovese 2013 Amarcord Romagna DOC Sangiovese Riserva 2012 Compadrona Romagna DOCG Albana 2014 Viola Spumante Extra Dry I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 278 EMILIA Venturini Baldini Via F. Turati, 42 42020 Roncolo di Quattro Castella (RE) Tel. 0522 249011 - 344 2227146 [email protected] www.venturinibaldini.it Responsabile/i Enologo Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Nicola Verrini Carlo Ferrini 122.000 bottiglie circa Malvasia, Candia Aromatica, Lambrusco Grasparossa, Lambrusco Salamino, Malbo Gentile, Marani, Croatina Colli di Scandiano e Canossa Malvasia DOP 2014 Reggiano Lambrusco DOP 2014 Mater Rubino del Cerro 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 279 ROMAGNA Viabizzuno agricola Via Bizzuno 15/2 48022 Bizzuno Lugo (RA) Zona di produzione: Via Baccagnano, 36 48013 Brisighella (RA) Tel. 335 5428811 - 338 5690400 vendite@ viabizzunoagricola.com www.viabizzunoagricola.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Cristina Manaresi 2005 Francesco Bordini 5 5.000 bottiglie Sangiovese 1 ha, Cabernet 1 ha, Trebbiano 1 ha, Chardonnay 2 ha Vigneto in Brisighella. Forma di allevamento a cordone speronato. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Bagliori notturni 2012 Rosso per lui 2012 Nube alta 2013 E’ mi vecc 2011 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 280 COLLI DI PARMA Vigna Cunial Azienda Elena Via Valtermina, 52/A 43029 Traversetolo (PR) Tel. 0521 342297 - 348 2891900 [email protected] www.vignacunial.it Responsabile/i Anno di fondazione Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Gianmaria Cunial 2003 15 20.000 bottiglie Malvasia Aromatica di Candia, Barbera, Sauvignon, Cabernet, Mrlot, Pinot nero, Pinot bianco, Syrah Monteroma Spumante Brut Malvasia di Candia Aromatica 2013 Valle di Sivizzano Spumante Brut Sauvignon Blanc 2014 Primorosso Barbera 2011 Riserva Syrah 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 281 EMILIA Villa di Corlo Strada Cavezzo, 200 Baggiovara (MO) Tel. 059 510736 - 338 2878501 [email protected] www.villadicorlo.com Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Maria Antonietta Munari 1998 Fabrizio Moltard 25 85.000 bottiglie Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco di Sorbara, Chardonnay, Cabernet Sauvignon L’azienda dal 1998 si sviluppa su due diverse tenute. Nel modenese dimorano i vigneti dei Lambruschi mentre nelle colline reggiane ha piantato i vitigni internazionali, Chardonnay e Cabernet Sauvignon. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Corleto Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC 2014 Primevo Lambrusco di Sorbara DOC 2014 Rosanto Spumante Rosè di Lambrusco Grasparossa 2014 Giaco Cabernet Merlot Barricato IGT Emilia 2012 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 282 ROMAGNA Villa Papiano Via Ibola, 24 47015 Modigliana (FC) Tel. 0546 941790 [email protected] www.villapapiano.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Francesco Bordini 2000 Francesco Bordini 10 50.000 bottiglie Sangiovese, Albana, Sauvignon Bianco, Centesimino, Le Papesse di Papiano Romagna Sangiovese DOC 2014 I Probi di Papiano Romagna Sangiovese Modigliana Riserva 2012 Terra IGT Sillaro Albana 2014 Tregenda Riserva Albana da vendemmia tardiva 2013 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 283 ROMAGNA Villa Venti Via Doccia, 1442 47020 Roncofreddo (FC) Tel. 0541 949532 - 333 4645911 [email protected] www.villaventi.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Mauro Giardini 2002 Francesco Bordini 7 25.000 bottiglie Sangiovese, Centesimino, Famoso, Cabernet Franc, Merlot Primo Segno Romagna DOC Sangiovese 2012 Serenaro IGT Forli’ Bianco 2014 Riserva Romagna DOC Sangiovese Longiano Riserva 2011 A Vino Rosso I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 284 EMILIA Zanasi Az. Agr. Via Settecani Cavidole, 53 41051 Castelnuovo Rangone (MO) Tel. 059 537052 [email protected] [email protected] www.zanasi.net Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Marco Uccellari 2001 Giovanni Fraulini 35 280.000 bottiglie Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Malbo gentile, Pignoletto, Trebbiano Graspaoro Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP Frizzante rosso secco 2014 Intrigante Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP Spumante Rosè Brut 2014 Pignoletto DOP Frizzante bianco secco 2014 Before Pignoletto DOP Spumante Bianco Secco 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 285 ROMAGNA Zanetti Protonotari Campi Via Villa I Raggi, 40 47016 Fraz. Colmano Predappio (FC) Tel. 0543 922390 [email protected] www.villairaggi.com Responsabile/i Gian Paolo e Francesco Zanetti Protonotari Campi Anno di fondazione 1880 circa Enologo Giorgio Balducci Ettari vitati 18 Produzione annua 10.000 bottiglie Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Chardonnay, Trebbiano, Albana, Cabernet Sauvignon L’Azienda si dispiega attorno a Villa I Raggi nella frazione Colmano a 8 km da Predappio (Romagna) e dista 16 Km da Forlì, 100 Km da Firenze, 50 Km da Ravenna e 80 Km da Bologna. Il Conte Giuseppe Campi, uomo di vasta cultura e membro attivo dell’Accademia dei Georgofili in Firenze, fondò la Cantina nella seconda metà del XIX secolo: nel 1889, il suo Sangiovese venne premiato all’Esposizione Universale di Parigi. La famiglia Zanetti Protonotari Campi ha continuato la viticoltura attraverso il ‘900 e la cantina è stata migliorata secondo le più recenti tecniche enologiche. Gian Paolo e Francesco allevano vitigni autoctoni come Sangiovese, Trebbiano e Albana e vitigni internazionali come Chardonnay e Cabernet Sauvignon su poco meno di 18 Ha ad una altitudine compresa tra i 250 e i 300 m.s.l.m. Il terreno dell’azienda è di medio impasto e tendente al sabbioso e conferisce al Sangiovese un particolare aroma con un fondo pieno e leggermente amaro, il profumo ricorda la rosa e vagamente la viola, infine la struttura è elegante. La cantina si trova sotto la villa al centro di un bosco di querce secolari. Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4 Villa I Raggi Romagna DOC Sangiovese Predappio Riserva 2012 Colmano Romagna DOC Sangiovese Predappio 2013 Le Vigne Forlì IGT Chardonnay 2014 Il Garibaldino Forlì IGT Sangiovese 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 286 EMILIA Soc. Agr. Zucchi Via Viazza, 64 Tel. 059 908934 - 339 8679017 [email protected] www.vinizucchi.it Responsabile/i Anno di fondazione Enologo Ettari vitati Produzione annua Vitigni presenti in azienda Vino 1 Vino 2 Vino 3 Silvia Zucchi 1950 Davide e Silvia Zucchi 9,5 100.000 bottiglie Lambrusco di Sorbara Lambrusco Salamino Lambrusco di Sorbara DOC Etichetta Bianca 2014 Lambrusco di Sorbara DOC Rito 2014 Lambrusco di Sorbara DOC Rifermentato In Bottiglia 2014 I vini proposti in degustazione sono in vendita NOTE 287 Catalogo di NOTE