Racconto esemplare. Impressioni sull`insegnamento della lingua

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Racconto esemplare. Impressioni sull`insegnamento della lingua
Éducation et Sociétés Plurilingues n°29-décembre 2010
Racconto esemplare. Impressioni sull'insegnamento della lingua italiana in Italia
Lucia FONTANELLA
Le récit exemplaire qui est proposé ici retrace de manière peut-être un peu provocatrice,
mais avec clarté, quelques nœuds problématiques de l’enseignement de la langue
italienne et des langues étrangères dans les écoles italiennes. Il s’agit de problèmes
connus depuis des décennies, mais qui restent encore aujourd’hui sans solution et qui ne
sont pas pris en compte par la plupart des enseignants, qui continuent à enseigner les
langues, l’italien en particulier, suivant des programmes trop ambitieux, considérant
l’évaluation comme l’objectif primordial de la didactique, fondant leurs cours sur des
manuels inappropriés, négligeant de se former à la didactique des langues et adoptant
des méthodes grammaticales traditionnelles non adaptées à l’enseignement d’une langue
maternelle. Le récit rappelle alors que la différence entre la grammaire traditionnelle et
une authentique « éducation linguistique » est la même qu’entre monter un cheval de
bois et aller sur un vrai cheval à travers la campagne.
The exemplary narrative told here is a somewhat provocative but clear evocation of a
few problematic questions when teaching Italian and foreign languages in Italian
schools. These problems have been well documented for many years but to this day
remain unsolved and are still not taken seriously by most teachers, who continue to
teach languages, Italian in particular, according to an overly-ambitious curriculum,
considering evaluation as the end-all of pedagogy, basing their courses on poorly
conceived textbooks, forgetting to train to be language teachers and using traditional
methods of grammar unfit to teach a mother tongue. The narrative reminds us that the
difference between traditional grammar and an authentic “linguistic education” is like
sitting on a hobby-horse instead of riding a real one over hill and dale.
Un racconto esemplare è un racconto da cui, se si vuole, si può trarre
insegnamento.
Questo racconto in Italia ha circolato molto, ma nessuno ha voluto trarne
insegnamento.
All’inizio c’è una nazione che verso la fine del XIX secolo si ritrova a
dover organizzare una lingua e una scuola per tutti gli italiani.
Il compito è davvero difficile e non resta che insegnare l’italiano come una
lingua straniera.
Il fatto è che, a distanza di quasi centocinquant’anni, si continua ad
insegnare l’italiano agli italiani (che nel frattempo qualche progresso
linguistico l’hanno fatto) come se fosse per loro una lingua straniera.
Si perde del gran tempo e i ragazzi si annoiano mortalmente. Quasi
nessuno impara più di quello che già sa.
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Che a metà degli anni Settanta un gruppo di linguisti e di insegnanti
(GISCEL – Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione
linguistica) avesse indicato con estrema chiarezza nelle Dieci tesi per
l’educazione linguistica democratica i limiti se non la dannosità
dell’insegnamento tradizionale della grammatica italiana, proponendo
nuove strade più produttive, e che poi, pochi anni dopo, i Programmi
ministeriali per la Scuola elementare e la Scuola media, abbiano totalmente
recepito quelle indicazioni, richiedendo alla Scuola italiana un
cambiamento radicale, è una delle questioni meno note agli insegnanti e ai
compilatori dei libri di testo scolastici (nel nostro caso: le grammatiche
della lingua italiana).
La questione non è nota, nonostante sia stata fatta ripetutamente presente
per una trentina d’anni, per due ordini di motivi.
Il primo ci porta alla scarsissima formazione linguistica degli insegnanti di
“lettere” in Italia; il secondo alla scarsissima propensione a conoscere i
programmi ministeriali che gli insegnanti da sempre dimostrano.
Sono due questioni fondamentali e vanno indagate meglio.
Gli insegnanti non hanno formazione linguistica perché fino a tempi molto
recenti nel curriculum universitario di Facoltà come Lettere o Magistero, le
materie linguistiche erano assenti o in netta inferiorità rispetto a quelle
letterarie, e i nessun modo “obbligatorie”. Dunque la formazione degli
insegnanti in Italia è stata fino a poco tempo fa quasi esclusivamente
incentrata sulla letteratura.
I programmi ministeriali non vengono letti perché si ritiene che i libri di
testo (che godono di una fiducia illimitata da parte degli insegnanti) li
seguano; e dunque un insegnante, quando ritiene di essere in ritardo
rispetto a quanto offre l’indice della sua grammatica, è contestualmente
convinto di essere in ritardo sul “Programma”.
Se gli insegnanti avessero letto anche una sola volta e distrattamente i
programmi ministeriali, avrebbero scoperto con enorme piacere che,
proprio secondo quelle indicazioni, nessuno, mai, potrebbe essere in
anticipo o in ritardo sul programma.
E questo perché le cose stanno in modo del tutto diverso.
Solitamente un insegnante si sente come rinchiuso con la sua classe in una
stanza che deve far conoscere millimetro per millimetro; ed ecco da dove
nasce l’ansia di non riuscire ad esplorare tutto.
In realtà i programmi ci richiedono di uscire dalla stanza e di andare a
spasso per il mondo, con l’attrezzatura giusta: binocoli, telescopi, lenti,
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microscopi, libri e altre fonti da consultare, e soprattutto le nostre tante e
diverse intelligenze, che messe insieme sono davvero una grande risorsa.
Non si può essere in anticipo o in ritardo, perché il mondo è grande e non si
può certo conoscere tutto.
Ecco, questa mancanza di sistematicità (se pure controbilanciata da metodi
e strumenti di alta qualità) hanno dato l’impressione di superficialità e di
inconcludenza. E va detto che tanto meno sei esperto in un’area, tanto più ti
mancano confini e percorsi tracciati.
Un altro ostacolo alla diffusione dell’educazione linguistica (contrapposta
alla grammatica tradizionale) è stato da subito il fatto che l’attenzione si
dovesse spostare dalla valutazione al lavoro in comune.
“Valutare meno, lavorare di più insieme”. Parole di grande efficacia e buon
senso che non piacciono alla Scuola italiana, che si fonda sulla valutazione.
Ma non sulla valutazione del reale avanzamento delle proprie conoscenze,
piuttosto sulla valutazione fine a se stessa.
Valutare la curiosità, la fantasia nella ricerca, l’indipendenza di pensiero, la
capacità di progettare ricerca e di svolgerla, non è difficile, ma ancora una
volta è richiesta sicurezza di sé.
Formazione specifica e sperimentazione sono stati gli obiettivi che la SIS
(Scuola di specializzazione per gli Insegnanti della Scuola secondaria) si è
prefissata nei dieci anni di vita.
Fra un mese (scrivo nel dicembre 2009) l’esperienza delle SIS in Italia
finirà definitivamente. All’attuale ministro la SIS è piaciuta ancor meno
che ai precedenti.
A noi pare incredibile che proprio non si voglia considerare l’insegnamento
come un mestiere, da impararsi lavorando con una pluralità di persone
implicate, a diverso titolo (ma credibilmente) nella formazione di un
insegnante. Le SIS lavoravano in questa direzione e non dovevano essere
chiuse.
Ma torniamo alla grammatica tradizionale e all’educazione linguistica.
Che la grammatica tradizionale non possa migliorare l’uso è stato spiegato
e rispiegato. A me piace in particolare citare Linguistica ed educazione
linguistica. Guida all’insegnamento dell’italiano, di Monica Berretta
(Torino, Einaudi, 1978), che trovo esemplare. E poi mi piace fare degli
esempi che a mio parere dovrebbero essere molto convincenti, ma che non
hanno mai convinto nessuno:
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immaginate di avere una brutta postura e di andare da un medico che vi
consiglia di imparare a memoria i nomi di tutti i muscoli, e che poi vi fa
fare degli esercizi per controllare che li sappiate. La vostra postura
migliorerà?
Oppure imparate i nome dei denti sperando che si raddrizzino, oppure
ancora……..
Non è evidente che è la stessa situazione proposta dalla grammatica
tradizionale, che si limita a dar nome, a etichettare?
Sapendo che una certa parola è un sostantivo, o un aggettivo, o un verbo, o
un soggetto, o che altro, parlerò e scriverò meglio? No, davvero no.
Ed è per questo che si ritiene la grammatica tradizionale inutile e dannosa
(la dannosità deriva dal fatto che per farti imparare quella non ti fanno
imparare ciò che sarebbe utile).
Dunque non serve a nulla? Poche cose non servono a nulla, e anche la
grammatica tradizionale a qualcosa serve, ma non a migliorare l’uso. E il
miglioramento (nel senso di potenziamento) dell’uso è invece il primo
obiettivo richiesto dai nostri programmi ministeriali.
Che cosa ci propone invece l’educazione linguistica?
Prima di tutto ci propone un’idea di grammatica allargata a tutte le
componenti implicate in un processo comunicativo. Proprio tutte.
Poi ci consiglia di privilegiare ciò che è più vicino e dunque più adatto
all’età del nostro pubblico: il parlato, il non verbale, gli aspetti pragmatici,
la linguistica della varietà (l’Italia ha una situazione particolare che non
può essere trascurata) in tutte le sue forme. Anche la grammatica della
lingua scritta, ma senza miti e tabu.
Si parte dall’osservare il sistema linguistico di ciascuno, si commenta, lo si
fa diventare “programma”, lo si compara con quello degli altri, si traggono
conclusioni, si cercano conferme sui libri (meglio quelli scientifici che le
grammatiche scolastiche) e poi ci si concede di lavorare nelle direzioni che
più ci interessano.
L’etimologia, la motivazione, la storia della lingua, la geografia linguistica,
l’onomasiologia, i prestiti linguistici, le famiglie linguistiche, le famiglie
semantiche, gli elementi componenziali dei significati, le marcature
linguistiche, l’uso che facciamo della lingua, e mille altri temi, tutti utili,
tutti interessanti.
Dobbiamo affrontarli come singoli temi, attraverso spiegazioni, esercizi e
verifiche? Assolutamente no. Di nuovo, no! Dobbiamo lavorare “di prima
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mano” con i nostri ragazzi. Meglio se anche per noi sono esempi che non
abbiamo ancora studiato. Solo così potremo essere autenticamente curiosi e
interessati.
A noi compete la certezza dei metodi e degli strumenti. Poi possiamo
procedere scegliendo a caso. Nell’arco di un anno ci accorgeremo di aver
lavorato un po’ su tutto.
Ma le famiglie………
Le famiglie di fronte ad un lavoro di questo tipo sono ben liete. I figli
tornano a casa e raccontano, le coinvolgono nelle loro ricerche, ciò che
accade a scuola ha finalmente un legame con la vita di tutti.
Avete mai visto un ragazzino che raggiante vi spiega il complemento di
causa efficiente? Forse esiste un individuo del genere, ma non credo
rappresenti i suoi coetanei.
Perché una bella prospettiva di questo tipo non si è fatta strada?
L’abbiamo già detto: mancanza di formazione, scarsa propensione a
chiedersi che cosa vuole da noi quello che ci fornisce regolarmente lo
stipendio, concorrenza dei libri di testo scolastici.
Parliamo di questi ultimi. Per la Scuola italiana sono una vera calamità:
sono troppo di tutto. Troppo difficili, troppo pieni di informazioni,
tipograficamente troppo stancanti, e infine ostinatamente troppo restii
all’educazione linguistica.
Le case editrici dicono: a noi importa vendere; se gli insegnanti volessero
l’educazione linguistica proporremmo l’educazione linguistica, ma siccome
vogliono la grammatica tradizionale, quella proponiamo.
Il circolo è viziosissimo e può essere spezzato solo da un intervento forte:
migliore formazione degli insegnanti o maggiore controllo dello Stato.
E’ davvero stupefacente infatti quanta credibilità abbiano i libri di testo per
il solo fatto di esistere.
Ci hanno ormai, giustamente, abituati ad essere dei consumatori attenti e
critici, ma sembra di dover constatare che in alcuni settori questa criticità ci
fa difetto. Il settore dei libri di testo è uno di questi.
Perché accade? Io credo per due motivi: un’eredità di insicurezza nella
nostra lingua che ci portiamo dietro da quell’unità d’Italia da cui siamo
partiti, ma anche una certa dabbenaggine.
Come possiamo non pensare, quando abbiamo fra le mani un libro di testo,
che sia qualcosa di diverso da un qualsiasi prodotto commerciale.
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Le case editrici e gli autori sono da compararsi ad una marca di merendine,
o di detersivo, che produce e spera di vendere. Nulla ci garantisce che il
prodotto sia conforme alle necessità. Dovremmo avere garanzie sulle reali
competenze degli autori, e dovremmo meditare a lungo sul fatto che le
“grammatiche” proposte dai linguisti non hanno avuto alcun successo.
Case editrici e autori si autocertificano la qualità del prodotto, e pare che
tutti ne siano convinti, senza alcuna criticità.
Se poi la classe va malissimo, magari si dà la colpa al libro, e lo si cambia,
ma senza molta convinzione.
La preoccupazione per l’inadeguatezza dei libri di testo circola da qualche
decennio in Italia, soprattutto a cura dei linguisti preoccupati proprio della
difficoltà linguistica, che mette davvero a dura prova i ragazzi.
Permettetemi il rimando a qualcosa che è anche mio, per non insistere oltre
su questo argomento: L. FONTANELLA – L. REVELLI, L’inadeguatezza dei
libri di testo, in Scegliere e usare il libro di testo. Riflessioni ed esperienze
nella scuola dell’obbligo, a cura di M.A.GALLINA, Milano, 2009, pp. 141153.
Un ultimo argomento, che deve essere bene esplicitato: l’educazione
linguistica rende tutti i nostri, diversi, modi di parlare e scrivere
ugualmente intererssanti e utili. Osservandoli e confrontandoli noi
costruiamo “programma”, programma serissimo.
E quando dico i nostri modi di parlare e scrivere intendo proprio i modi di
tutti, e tanto più sono diversi, tanto più sono utili a capire come funzionano
le lingue.
Ma anche in questo occorre, secondo me, della sana scientificità.
L’educazione linguistica a un italiano madrelingua (o a chi ha raggiunto
una buona competenza) non può essere confusa con l’insegnamento di una
lingua come lingua seconda, pur permettendo molto lavoro in comune.
Ho sempre cercato di proporre anche percorsi formativi degli insegnanti
sostanzialmente diversi.
Ma allora la didattica comparativa, le belle analisi tipologiche che
coinvolgono tutta la classe e tutte le grammatiche, i bagni
dell’onomasiologia in giro per il mondo, sono solo buone intenzioni che ci
fanno solo sentire bene ma che di fatto non si riescono a realizzare?
No, sono davvero percorsi comuni possibili e utilissimi, ma che dobbiamo
far percorrere tenendo sempre d’occhio le diverse, diversissime
competenze e necessità di ciascuno.
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Il vantaggio della didattica comparativa è che mentre propongo la gamma
dei possessivi a un arabo (che deve proprio impararseli) posso evitare di far
fare gli esercizi di riconoscimento a un madrelingua (che li sa da quando
era poco più che in fasce) ma posso farlo riflettere sul fatto che il nostro
sistema romanzo/indeuropeo di connotazione della proprietà è solo uno dei
possibili…
E così per ogni altra situazione comunicativa (ricordandoci sempre anche il
“non verbale” che ci procura davvero i primi e più importanti giudizi
sociali).
Le nostre classi, le nostre scuole sono ormai dei serbatoi preziosissimi di
competenze linguistiche diverse per tipi, natura e livelli; a noi dunque sta di
imparare ad usarle come strumenti che meritano un grande rispetto.
Da molti anni andiamo in giro per le classi a far vedere che queste cose si
riescono davvero a fare, con successo, piacere di tutti e soprattutto
imparando tutti, ogni giorno, qualcosa di nuovo.
Ecco, la differenza fra far grammatica tradizionale o educazione linguistica
(e tipologia contrastiva, ecc. ecc.) è un po’ come la differenza fra andare su
un cavallo di una giostrina o su un vero cavallo a spasso per la campagna.
Come vedete il racconto esemplare avrebbe potuto insegnare qualcosa
(almeno maggiore prudenza e rispetto per le difficoltà dei ragazzi, o per la
loro – e la nostra – noia), invece non abbiamo proprio notato che sia
successo se non molto di rado.
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