Il contrabbandiere

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Il contrabbandiere
Il contrabbandiere
Alessandro Torti
Vorübergehender
-
Il contrabbandiere
Un romanzo di
storia alternativa
Edizione Samizdat
Genova – 2009
Copyright  2004 – Orti di Carignano
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Edizione digitale:
http://www.ortidicarignano.it/samizdat/
Edizione Samizdat
per conto degli Orti di Carignano salita San Leonardo 5/9
-5-
Introduzione
Cosa sarebbe successo se Hitler avesse invaso
l’Inghilterra, sconfitto Stalin e quindi vinto la guerra?
Il grande Reich sarebbe esteso fino agli Urali, parleremmo
tutti tedesco e avremmo qualche problema con il terrorismo
ebraico.
In questa linea temporale viviamo in un mondo
globalizzato, parliamo tutti inglese e il nostro problema è il
terrorismo arabo.
Non pare che ci sia poi quest’immensa differenza, quindi
proviamo a leggere una storia con dei personaggi reali che
si muovano e agiscano in questa cornice alternativa per
vedere come si comportano.
Genova, 2 luglio 2009
-7-
Capitolo I
L’Interstadt viaggiava, ormai da alcune ore, verso le terre del
Governatorato Generale.
In lontananza, attraverso l’aria limpida della pianura, uno stormo di gabbiani si alzò in volo dalle acque azzurre del lago della
Vittoria, dove un tempo sorgeva la capitale dell’URSS. Dopo
aver volteggiato indecisi nei pressi della riva, incrociandosi a
varie altezze attorno a una massiccia rocca funebre, presero poi
la direzione di nord ovest rispetto al totenburge, che sorgeva sulla riva del lago, e la mantennero fino a che non sparirono dalla
vista.
Anche stormi di anatre selvatiche appena visibili sull’orizzonte
erano dirette ad occidente. Loro passavano invece a bassa quota
in lunghe file a V sullo sfondo di nubi gonfie di pioggia e arrossate dagli ultimi raggi del sole morente.
Un lungo e interminabile nastro d’asfalto, una striscia di bitume
inframmezzata da pali della luce e delle telecomunicazioni, correva lungo la pianura russa affianco ai binari doppi della ferro-
-8via. Cieli immensi e stesi a perdita d’occhio coprivano paesaggi
senza fine. Si moriva di solitudine in questi territori, scarsi centri
abitati e pochissimi abitanti.
Era quasi inverno, la stessa temperatura e gli stessi venti imperiosi che ora scuotevano il treno a raffiche intermittenti videro
mezzo secolo prima le armate della Wehrmacht avanzare ininterrottamente fino a ricacciare l’esercito sovietico oltre il confine naturale degli Urali. Incuranti delle nuvole, che portavano le
prime nevi della stagione, i vagoni di metallo passavano veloci,
siluri futuristi nella natura romantica, scortati da alberi spogli e
piegati dal vento.
L’intero treno era composto da alte carrozze, simili tra loro ma
di diverso tipo. Al centro si trovavano i vagoni a due piani riservati ai passeggeri ariani: per accedervi bisognava non solo essere di ceppo nordico ma anche cittadini del Reich come specificava in piccolo una targa d’ottone vicino alle porte d'accesso. La
maggior parte del treno era invece composta da vagoni misti,
pieni di lavoratori russi e rumeni, intrisi dall’odore di cipolle e
di terra.
Un odore quasi insopportabile, dolciastro e spesso unito a quello
acido del sudore vecchio di alcuni mesi. Il vociare risuonava
ininterrotto accompagnato da versi d’animali, che giravano liberi per il vagone, e dal pianto dei bambini. I vetri erano parzialmente appannati dalla condensa mentre il ritmico sobbalzare sui
giunti dei binari causava nei passeggeri più stanchi una sonno-
-9lenza particolare. Qualcuno russava a bocca aperta, creando
enormi sbuffi di respiro, mentre altri mangiavano biascicando
rumorosamente.
Alexander Britten era un soldato contadino del Reich, un Wehrbauer degli Urali, ma anche un contrabbandiere. Al momento
però stava tentando semplicemente di passare inosservato, sepolto sotto una quantità di tessuto tale da rivestire un intero campo lavoro: di lui spuntavano dai vestiti solamente gli occhi color
verde nocciola. Tre strati di abiti erano la sua armatura durante
questa sua fuga improvvisata.
Ignorando le forze in gioco aveva ritenuto più prudente, dopo
quanto era accaduto, tenere un profilo estremamente basso, quasi da emarginato. Prima di partire velocemente dalla sua fattoria
aveva deciso di camuffarsi da lavoratore russo. In caso di controllo della Polizia Ferroviaria, la Bahnsschutzpolizei, avrebbe
esibito un permesso temporaneo di viaggio, rilasciato da se stesso per il portatore del documento; un foglio identico a quelli che
preparava abitualmente per i propri lavoratori.
Sedute attorno a lui vi erano alcune grosse donne con i vestiti di
tessuto grezzo con colori sgargianti e fiori appariscenti, le ciabatte nere ai piedi e un telo in testa ne completavano l’abbigliamento. Era circondato e per non attrarre il loro desiderio di conversazione aveva deciso di rimanere immobile nel proprio angolo tenendo gli occhi chiusi come se dormisse per tutte le trenta
ore che impiegava il treno per giungere fino a Cracovia. Avrebbe sofferto la nausea e i crampi ma era fermamente intenzionato
a non muoversi. Avrebbe messo alla prova la propria forza di
- 10 carattere, come quando nell'ormai lontano 1980, assieme all’amico Heinrich, fece il picchetto d’onore per il settantacinquesimo compleanno del führer Speer. Quel giorno erano rimasti in
piedi immobili per tutta la giornata tra due bandiere ornate di
svastiche mentre sotto di loro scorreva ininterrottamente la folla
dei berlinesi in festa.
Quello sì che fu un magnifico giorno. Ancora adesso ricordava
lo sfilare di migliaia di bandiere lungo interminabili colonne di
SS in divisa nera che marciarono con il passo dell’oca sotto il
tiepido sole di marzo. Le nappe reggimentali ondeggiarono sulle
spalle di quasi centomila divise e anche i tamburini e i suonatori
di xilofoni erano gallonati e passarono davanti a tutti lungo la
via intonando allegri ritmi marziali. La folla in divisa, marciando disciplinata per la Wilhelm Platz, urlò con gioia sfilando di
fronte alla Kaiserhof, residenza privata del führer, “Per il nostro
führer Albert Speer, Sieg Heil! Sieg Heil!” mentre dal podio la
banda militare intonava l’inno nazionale: Deutschland über Alles.
Ora invece era su un treno e fingeva di dormire, anche se spesso
la sonnolenza era reale. Tutto intorno sentiva ogni tanto, anche
se l'uso di quella lingua era vietato dalla legge, discorsi in russo
filtrati dal nebuloso dormiveglia.
“Содержательницы шахты хотят что я говорю всегда Hochdeutsch; dovrei parlare sempre in Hochdeutsch secondo il mio
padrone.”
- 11 “Anche secondo il mio padrone dovrei parlare in tedesco; quando parlo russo,” replicò sprezzante una voce nel buio “dice che
mi esprimo come uno che non ha responsabilità.”
Il sedile dietro al suo invece si sentiva invece parlare un fluente
e corretto tedesco anche se con un marcato accento della zona
del Volga.
“Cinque Ostenmark al chilo per l’insalata. E dire siamo in una
zona di latifondi agricoli.”
“Colpa della siccità” rispose l’interlocutore.
“No,” insistette “è colpa dei crucchi, sono loro che causano gli
aumenti.”
“Attento a quello che dici. Per affermazioni anche più prudenti è
facile trascorrere qualche anno in un campo di lavoro. Lo sai
cosa ne pensa la polizia del turpiloquio razziale.”
Chi stava parlando alcuni posti davanti a lui Doveva essere ben
sicuro delle persone presenti; anche in tempi tranquilli come
questi bastava anche una sola parola udita dalle orecchie sbagliate e per lui sarebbe stata la rovina. La sua scheda, macchiata
per sempre, l’avrebbe perseguitato per tutta l’esistenza.
Nonostante a volte questi discorsi in tedesco risollevassero l’attenzione, non era facile tenere gli occhi aperti quando non strettamente indispensabile. A volte si chiudevano senza volere, ma
la mente continuava a lavorare così freneticamente che gli sembrava di essere sveglio. Li riapriva per un istante ma erano di
- 12 nuovo chiusi dopo qualche tempo. Il rumore ritmico delle ruote
lo ipnotizzava controvoglia. Gli sembrava di essere sveglio ma
continuava a rivedere avvenimenti che si preferirebbe scordare.
- 13 -
Capitolo II
Solamente una settimana prima Alexander aveva ricevuto una
chiamata inaspettata da un possibile cliente. Voleva utilizzare le
sue capacità di “passatore” e le sue conoscenze della regione.
Come lui, molti cittadini della vallata erano da anni abituali traversatori clandestini del confine. Era considerato oramai una
specie di pericoloso gioco goliardico per adulti; una specie di attestazione della loro virilità.
Era mattina presto. Il sole stava sorgendo dall’orizzonte tra le
fronde alberate e i picchi rocciosi e le guglie maestose di pietra
erano tinte di porpora. Spesso lo pagavano per immergersi in
questa magnifica natura quasi incontaminata e doppiare queste
immense cattedrali di roccia attorniate da innumerevoli laghi di
incredibile trasparenza che, lucenti come specchi, riflettevano il
verde cupo dei boschi e il blu intenso del cielo. Era il tipo di lavoro che preferiva; non certo fare il contadino come avrebbe dovuto.
- 14 Alexander, in quel momento, dirigeva la sua squadra di operai
affinché realizzassero le riparazioni necessarie alle recinzioni
del pascolo nord quando da una tasca improvvisamente squillò il
suo cellulare.
“Herr Alexander?”
“Dica pure.”
“La chiamo a nome di comuni amici per effettuare un trasporto
da oltrecortina; abbiamo bisogno di far giungere velocemente in
patria un pacco piccolo e fragile ma non illegale.”
Per un attimo vi fu un silenzio interdetto tra i due interlocutori.
La squadra di riparazione che utilizzava quella mattina in quell’istante si riposava sotto un noce solitario dalla corteccia grigia
e rugosa ad almeno cento metri di distanza; nessuno di loro era a
portata di voce quindi continuò a parlare con relativa tranquillità.
“Non sono abituato a lavorare così. Questa telefonata non dovrebbe neanche esistere.” -E meno male che hai detto non illegale altrimenti avrei concluso immediatamente la telefonata.“Lo so. Però mi hanno detto che, nel caso avessi avuto difficoltà, avrebbe potuto appianarle herr Otto Whinkel.”
“Mmmm” mormorò perplesso. “Mi fornisce nomi validi ... se
riuscisse anche a fornirmi cifre adeguate forse potrei accettare
questo trasporto atipico. Ma questa è ovviamente ancora una larvata ipotesi.”
- 15 “Cinquemila Reichmark alla consegna, da effettuarsi a Cracovia.” Alexander era rimasto leggermente impressionato dalla cifra. Non eccessiva ma comunque estremamente consistente per
una semplice consegna. Forse avrebbe anche potuto accettare e
quindi decise di indagare.
“Ci possono essere problemi di trasporto all’interno del Governatorato?”
“Come le ho detto, una volta all’interno del paese, non infrange
alcuna legge. È solamente un reperto archeologico e dev’essere
solo maneggiato molto delicatamente.”
“Quindi la mia consulenza servirebbe solamente a risolvere alcune difficoltà burocratiche per l’importazione?”
“Esattamente.”
Tirò fuori un pezzo di carta e un mozzicone di matita da una delle innumerevoli tasche del suo giubbotto militare e appoggiando
la carta sul palo, di cui un istante prima controllava la solidità,
iniziò a prendere appunti: “Mi dica dove e quando effettuare il
ritiro e la consegna.”
“Riceverà la merce a Kampala direttamente a casa del professor
Whinkel e la consegnerà nella capitale del Governatorato in via
Hermann Fegelein 15 il più presto che le sarà possibile.”
“Mi può anche fornire un numero telefonico presso cui poterla
rintracciare? Grazie!”
- 16 Subito dopo aver chiuso la comunicazione terminò di scrivere e
poi con calma pensosa rimise nelle tasche del giubbotto il cellulare e la matita. Ripiegò accuratamente il foglio di carta usato
per segnarsi le istruzioni ricevute e, sebbene appiccicoso di resina di pino, lo ripose al sicuro nella tasca anteriore dei calzoni.
Un lavoro redditizio e apparentemente senza particolari complicazioni. Forse avrebbe anche incontrato nuovamente quel vecchio intrigante del professor Whinkel visto che era lui a dovergli
consegnare il pacchetto da trasportare.
Il professore gli aveva già in passato garantito alcuni lavori che
si erano sempre dimostrati semplici e sicuri. Questa era un’ottima occasione per fare una gita notturna oltre Urali e portare con
se per la prima volta oltrecortina l’amico Maximilian. Prima di
partire dovevano anche fermarsi a bere alla “Taverna dell’orso”
per presentarlo agli altri contrabbandieri della regione e per farlo
battezzare con un boccale di birra in quanto novellino dei passaggi di frontiera.
Alexander era ancora solo e senza famiglia. Due settimane prima, un mattino, Alexander aveva aperto il portone a cui stavano
bussando e se lo trovò di fronte, senza alcun preavviso. Era ancora quasi buio e non si vedevano da almeno cinque anni.
Maximilian Peiper, tranquillo, si stagliava con una enorme valigia in mano contro il chiarore dell’alba. “Posso rimanere qualche tempo?” chiese scuotendo quella sua rotonda testa bavarese.
Non ebbe come risposta da Alexander neanche una parola, solo
- 17 un gesto, come se anche fosse normale percorrere così tanti chilometri senza alcun motivo apparente se non quello di rivedere
un vecchio amico.
Ad essere del tutto onesti Alexander forse l’avrebbe anche abbracciato ma quella notte aveva partorito una vacca. Era distrutto dalla fatica e voleva solo tornare a dormire. “Fai come se fossi a casa tua” mormorò nella semioscurità con la voce impastata,
“io torno a letto.”
Si conoscevano sin dalle prime classi del gymnasium e poi, dopo
aver frequentato entrambi la Führer Hitler Universität, scelsero
due carriere differenti, seppur entrambe a difesa dello Stato: uno
entrò nella Geheime Staatpolizei, la polizia segreta nota anche
con l’abbreviazione GESTAPO, mentre l’altro divenne un Wehrbauer negli Urali, un colono armato. Un contadino sul confine
della padrepatria.
Non disse, ne lasciò capire, se era in vacanza o se era venuto per
lavoro e Alexander non si dilungò troppo su come aveva arrotondato abitualmente i suoi risparmi durante quegli anni. In queste regioni è una prassi abituale praticare il contrabbando e, anche se non è ufficialmente ammesso dai telegiornali della Reichstelefunken, quasi tutti i cittadini tedeschi lo sanno. Si limitava
nei suoi viaggi a non importare droga nel Reich che, per quanto
fosse estremamente redditizia, comportava sempre il concreto rischio di essere condannato a morte qualora lo sorprendessero.
- 18 Maximilian era arrivato solo da un paio di giorni quando la sera,
durante la cena, chiese se era possibile fare una gita per visitare
le acciaierie di Magnitogorsk. Lo sapevano tutti che le acciaierie
si trovavano in territorio sovietico a partire dall’Espansione ad
Oriente del 1942. “Dai, ci facciamo una gita come quelle che facevamo da giovani con la Hitlerjugend, tanto per vedere com’è
la situazione oltrecortina.” Fu in quel momento che Alexander
capì che forse Maximilian aveva un ben preciso obiettivo in
mente e che forse avrebbe dovuto fare con lui qualche viaggio.
Aveva accennato alla cosa e preferiva girare attorno al suo
obiettivo ma quando fosse stato pronto ne avrebbero parlato.
- 19 -
Capitolo III
Gli uomini della squadra di lavoro allestita appositamente per riparare i recinti stavano così immobili da non cacciare nemmeno
le mosce che si posavano loro addosso, i vestiti erano talmente
macchiati di terra da essere quasi perfettamente mimetici anche
se in modo naturale. Alexander si avvicinò loro e si rivolse all’unico in piedi: “Nicolai, prendi tu il controllo della squadra.
Ora dovete aggiustare il tetto delle stalle; soprattutto quella ad
ovest, quella in cui entra acqua durante le piogge. Hai capito?”
“Уверено, certamente mein Herr. Certamente.”
“Allora cercate di fare un buon lavoro” concluse voltandosi e si
diresse verso la fattoria. Dietro di lui il gruppo di lavoratori iniziò a vociare. Alexander si girò e li squadrò. Il biondo Nicolai al
centro, sorrise da sotto il suo berretto sformato, così ben rasato,
come suo solito, sembrava un bambino con un giocattolo nuovo.
“Nicolai, ti prego, non metterci tutta la giornata a terminare il lavoro.” Poi, senza aspettare risposte inutili, si voltò e se ne andò.
- 20 “Che abbia capito veramente ho i miei dubbi” borbottò tra se.
“Torneranno stasera o domani con qualche scusa per giustificare
il ritardo nei lavori. Avrei dovuto dargli le istruzioni in polacco
e avrei sicuramente risparmiato tempo e fatica. Però la loro lingua non la mastico: somiglia troppo a una sequenza di rutti e
sputacchi. Forse non potrebbe neanche considerarsi una lingua a
tutti gli effetti.”
Parlare ai subumani nella loro lingua era vietato da una normativa dell’RKFDV, il Commissariato del Reich per il Consolidamento della Razza Tedesca, il Reichskommisar für die Festigung Deutschen Volkstums, ma tale direttiva era spesso infranta
per praticità ed anche perché l’ammenda prevista era quasi irrisoria, solamente quindici Ostenmark. -Al massimo mi avrebbero
deriso per il mio polacco stentato- pensò.
Risalì lentamente lungo la collina spoglia, ormai di un omogeneo color paglia su cui sorgeva il corpo centrale della fattoria.
Cercava l’amico facendo spaziare lo sguardo attorno: probabilmente si era sdraiato a leggere su uno dei prati esterni come era
solito fare da quando era arrivato. Spesso rimaneva ore seduto a
leggere sotto uno dei giovani castagni che sorgevano ai lati del
sentiero. L’invidiava per questo. Maximilian poteva permettersi
di fare quello che anche lui avrebbe amato fare, solamente che la
fattoria non si fermava mai. Sempre lavori da portare avanti se si
voleva mangiare il mese dopo. E sempre lavori faticosi e non
molto gradevoli.
- 21 L’intero podere era stato costruito da lui personalmente, una gettata di cemento dopo l’altra. Erano ormai due anni che la betoniera girava ininterrottamente.
Nei primi anni, quando si era appena trasferito nel terreno assegnatogli a prezzo politico dell’RKFDV, dovette dormire sotto
una capanna di lamiera assieme agli Unterarbeiter assegnatigli.
Nel rudere in muratura che sorgeva al centro dell’appezzamento
alloggiavano gli animali e le attrezzature. Erano tempi duri, in
cui gli animali erano più importanti delle persone; ma riuscì ad
impiantare il frutteto e gli alberi erano ormai rigogliosi e carichi
di frutti. Quest’anno era il primo anno in cui il raccolto rendeva
davvero bene; d’altronde come dicevano gli slavi questa era cernozëm, ossia terra grassa e bruna, e lo si sentiva chiaramente tenendola in mano.
Lavorava sodo da cinque anni per creare questo insediamento e
prima non c’era che terra incolta. Era il momento giusto per rivenderlo ad una famiglia di colonizzatori di seconda generazione. Ora che il raccolto gli aveva permesso di quantificare le possibilità economiche della fattoria, l’avrebbe posta in vendita.
Per lui che era abituato a vivere in una grande città era quasi impossibile rimanere a lungo nei pressi del confine orientale: si
sentiva ingabbiato a causa della distanza dal cuore del Reich. I
vicini, brava gente, niente da dire, ma erano tendenzialmente
scontrosi e si sentivano spesso investiti da una missione divina
comportandosi come poliziotti volontari. Era una piccola cittadina e tutti conoscevano ogni suo spostamento e ogni azione che
compiva. Spesso ne interrompevano l’attività per parlargli inin-
- 22 terrottamente dei fatti più irrilevanti e al tempo stesso inveivano,
come se avesse compiuto chissà quale delitto, se solamente osava attraversargli la strada. Il mese precedente addirittura il macellaio lo aveva denunciato perché gli aveva toccato il paraurti
parcheggiando.
Al termine del raccolto si era recato nella vicina città di Kuzelga
e aveva inviato un telegramma alla sezione annunci del Westdeutscher Beobachter: iniziava con la frase “Vendesi ampia fattoria sugli Urali. Coltivazioni e allevamenti avviati.” Con un po’
di pazienza contava di ricavarne oltre cento mila Reichmark. Per
lui poi ovviamente una valuta oppure l’altra era indifferente dato
che come cittadino del Reich aveva diritto per legge ad ottenere
il cambio alla pari; solamente gli stranieri si sarebbero trovati
nella difficile situazione di avere il Reichmark con un valore
cinque volte maggiore rispetto all’Ostenmark.
Nella sua mente già s’immaginava il prossimo proprietario. Un
incapace borghese di provincia che probabilmente si sarebbe dedicato ad abbellimenti estetici e avrebbe trasformato la fattoria,
come ora impone la moda, in un piccolo e classico maniero teutonico: pelli d’orso alle pareti e armature medioevali vuote a
guardia del salotto.
Man a mano che si avvicinava alla fattoria si faceva sempre più
grande la facciata grigia dell’edificio padronale che, poiché era
stato costruito esattamente al centro della collina, sembrava stagliarsi isolata dall’azzurro del cielo. Il portone blindato era chiuso, come sempre, anche se era giorno. Era una misura che tutti
ritenevano necessaria giacché l’ultimo attentato nei dintorni risa-
- 23 liva a solo dieci giorni prima. Un terrorista appartenente alla brigata “Gedeone” si era finto contadino russo in cerca di lavoro e,
dopo essere stato ricevuto in casa da un Wehrbauer sprovveduto, si era fatto esplodere uccidendo costui e tutta la sua famiglia.
Avevano tirato fuori dalle macerie otto persone quel giorno, uccise da un breve istante di imprudenza.
Al centro dell’edificio vi era, come un antico chiostro, un ampio
giardino rettangolare. Il riparo che le mura fornivano dal vento
freddo degli Urali causava una forte differenza climatica tra l’esterno e l’interno del cortile. Dall’esterno soleggiato e ventoso si
passava ad un ambiente caldo, statico e profumato grazie alle
piante aromatiche raccolte e disposte con cura nelle aiuole del
cortile. Moltissime piante di specie differente circondavano,
quasi abbracciandolo, il massiccio furgoncino italiano color verdone parcheggiato da un lato.
Approfittando del microclima creato nella corte interna della fattoria, Alexander aveva sviluppato in questi anni la sua passione
per le piante aromatiche raccogliendole nei dintorni o facendosi
addirittura spedire i semi da alcuni vivai sparsi in tutto il mondo
e contattati per via telematica tramite BeiDat, posta elettronica.
Più che una passione, una mania.
Ovunque spuntavano ciuffi di piante alcune facilmente riconoscibili, altre curiose o decisamente strane. Dal piano superiore,
in un paio di punti, scendevano a cascata le piante d’incenso con
le loro foglie bianche e verdi. Mentre alti allori svettavano infe-
- 24 stando sistematicamente le canalette di scolo dell’acqua e facendo concorrenza alla menta; alle prossime piogge, se non avesse
provveduto, l’intero giardino si sarebbe allagato.
“Max? Dove diavolo sei?”
Nessuna risposta ma le finestre, anche se gli infissi del pianterreno avevano tutti le sbarre, erano aperte e dal salone centrale si
sentiva il lettore DiskusDicht in funzione. Un DD dei “Kaiser”
suonava a tutto volume; sembrava quasi che trombe e tamburi
stessero concertando nel salone.
La scelta del gruppo poteva essere discutibile ma d’altronde il
suo ospite aveva da scegliere tra pochi autori vista la scarsa consistenza della discoteca di casa. In queste zone era infatti poco
utile comprare e collezionare nuovi DD anche perché le numerose stazioni radio del Reichkommissariat trasmettevano ininterrottamente musica leggera, soprattutto le ultime novità. Lo consideravano quasi un dovere civico.
E pensare che solamente dieci anni prima i loro ruoli erano invertiti ed era Alexander a stazionare pacifico a casa del suo attuale ospite, alla periferia di Berlino. Invariabilmente doveva
aspettare che fosse pronto bevendo il caffè in cucina con sua
madre. Un donnone dai modi sgraziati e popolani con la pelle
lentigginosa tipica delle donne di campagna. Portava i capelli,
una massa arruffata di color castano opaco, alti sulla nuca e sforbiciati quasi a caso. Lo intratteneva parlandogli invariabilmente
in maniera alquanto prolissa e con lo stretto e tipico accento berlinese delle riunioni del “Comitato Madri Ariane”, delle manife-
- 25 stazioni che il partito aveva programmato nel quartiere o di
quando era stata insignita della Croce al Merito per madri ariane
con cinque figli, la Amutter Kreuz.
Anche adesso Maximilian sembrava avere la stessa età di allora:
per lui il tempo si era fermato. Varcata la soglia Alexander lo
trovò seduto a terra, con un bicchiere di latte di mandorle in
mano e senza scarpe. Sollevò la testa e sorrise indicando una
cartina militare. “Era ora che tornassi. Ho studiato la zona per
organizzare una gita.” La bussola per orientare la mappa era lì al
suo fianco.
“Forse hai fatto bene a prepararti. Sai dove si trova Kampala?”
chiese Alexander.
“È dall’altra parte?” domandò quasi stupito dall’emozione.
“Sicuro. Partiamo stasera, visitiamo la città, preleviamo un pacchetto per conto di un mio conoscente e torniamo. Saremo di
nuovo a casa nel giro di due o tre giorni.”
“Quindi non trasportiamo nulla dall’altra parte?”
“No, Questa volta no.” rispose imprudentemente.
“Ottimo. Ci possono essere dei problemi?”
“Certo che no. In realtà mi è già capitato altre volte di andare
quasi accidentalmente oltre confine e fila sempre tutto liscio e
tranquillo come cambiare il pannolino di un bambino.”
- 26 Gli occhi di Maximilian scintillarono divertiti per un istante e
poi quasi di getto replicò al suo amico: “Allora devo stare attento all’odore?”
“Deficiente!” esclamò cercando di dargli un calcio. “Dai, alzati,
che prepariamo l’attrezzatura.”
- 27 -
Capitolo IV
Kampala era una piccola città sovietica di frontiera posta subito
sotto la gora Yamantau; tutta la sua vita era dominata da questo
picco montuoso massiccio visibile da praticamente ogni punto
della valle. Il picco, situato ad occidente, dominava praticamente
tutto il panorama e permeava di se la vita quotidiana degli abitanti.
L’anonima caserma della NKVD si trovava ad un estremo della
città mentre dall’altro la sede del Partito Comunista Sovietico
dominava la piazza in cui sorgeva. La sede del partito era un
edificio massiccio, squadrato e color salmone anche se a tratti
scrostato. Una gigantesca falce e martello di metallo color rosso
ruggine era posizionata sporgente sopra il portone centrale e pareva sempre voler cadere in testa a tutti coloro che entravano o
uscivano.
Mediamente una volta al mese succedeva qualcosa che animava
la vita del paese. Capitava che le sirene d’allarme delle torri di
avvistamento squarciassero il silenzio della notte e quasi con-
- 28 temporaneamente alcuni contrabbandieri attraversavano la città
guidando a tutta velocità e rischiando di travolgere chi non era
stato troppo veloce a buttarsi sul marciapiede. Almeno una volta
alla settimana risuonavano nella notte spari di regolamenti di
conti oppure di ubriachi che avevano festeggiato eccessivamente
un qualche loro evento privato. La notte era anche troppo animata per essere una sperduta cittadina di frontiera.
Subito prima della sede del partito un vialetto alberato, coperto
di foglie secche, abbandonava la strada principale e si dirigeva
verso una piccola casa bianca di stile coloniale nascosta tra la
vegetazione.
Il giardino attorno alla casa, curato in maniera particolare, era
punteggiato di tigli. Le loro foglie biancastre svettanti verso l’alto si contrapponevano a lunghe e spesse linee verdi di siepi ben
potate. Quando non era fuori città, a causa del suo lavoro, il padrone di casa si occupava personalmente di tagliare il prato e di
curare le piante. Come capitava spesso, anche questa domenica
un anziano aristocratico tedesco, con in testa un berretto di paglia e un paio di spessi guanti da lavoro, uscì a curare il proprio
giardino.
La sua figura esprimeva un portamento così dignitoso e d’altri
tempi che nessuno si sarebbe meravigliato se avesse indossato
un monocolo anche in questa occasione. Mentre raccoglievano
le foglie autunnali faceva a gara con il rastrello su chi dei due
fosse più magro.
- 29 Era uno dei molti profughi tedeschi che a causa della nostalgia
preferivano rimanere comunque nei pressi del confine per poter
osservare ogni mattina la propria terra d’origine in lontananza,
le pianure verdi e i campi geometrici ferventi di lavoro.
Era il 1986 quando era fuggito in URSS spinto dalle ripetute purghe che nel Reich servivano a piegare la cosiddetta “rivoluzione
culturale”. In quell’epoca venne decapitato il corpo intellettuale
tedesco facendo soprattutto strage all’interno dell’Università.
Molti insegnanti, tra cui anche il professor Otto Paul Whinkel,
che insegnò Antropologia Genetica a numerose generazioni di
studenti, preferirono emigrare con la loro famiglia, pur non essendosi mai esposti politicamente. Partì improvvisamente una
notte e la mattina seguente, quando i suoi allievi l’aspettavano in
aula, aveva oramai lasciato definitivamente la sua terra natale.
Il professor Whinkel dopo aver rastrellato il prato di buona lena
per un’ora s’interruppe e aspettò, come un rito prestabilito, la figlia. Questa, ogni volta che il padre aveva terminato di lavorare
in giardino, usciva portando un vassoio ricolmo di ogni ben di
Dio e insieme pranzavano su un tavolo circolare di pietra grigia
posto sotto un melo selvatico che sorgeva quasi dietro la casa.
L’edificio affianco sembrava abbandonato. Era immobile e
muto, ma ascoltava. Dietro le tende del primo piano erano nascosti un cannocchiale, una macchina fotografica con teleobiettivo e una macchina da presa e tutti e tre venivano utilizzati da parecchio tempo.
- 30 Dietro le finestre centrali vi era una camera piena di fumo ma
ciò non sembrava infastidire per nulla i due occupanti della stanza. Fotografie e mappe erano appese ovunque sui muri; una lavagna pieno di scritte minute faceva assomigliare l’ambiente ad
un’aula scolastica.
Uno dei due, Joahchim, era giovanile e dall’aria paciosa. Quasi
sessantenne, soffiava però come una foca a ogni parola che pronunciava. Dal suo passato di poeta e di leader del bolscevismo
russo conservava ormai solo gli occhiali tondi con la montatura
dorata. Aveva una figura sottile la cui bellezza consisteva principalmente negli occhi apparentemente enormi e nel suo pallore
quasi allarmante, però il naso all’insù aiutava gli enormi occhi
verdi e gli fornivano un notevole potere seduttivo.
Aveva indosso un vistoso, per quanto piccolo, stemma del Partito Comunista appuntato sulla giacca; una specie di punto focale
sul suo completo scuro. Spostava da alcuni minuti lentamente e
con metodo tutte le bobine impilandole vicino al registratore.
Aveva un carattere che a volte era preciso fino alla pignoleria e
non avrebbe potuto sopportare oggetti non disposti simmetricamente mentre altre volte addirittura creava sistematicamente un
imponente disordine definendolo “libera associazione di idee”.
“Il vecchio è terribilmente loquace. Capisco che la NKVD non
voglia più sorvegliarlo: non dice nulla di particolarmente interessante ma impiega svariate ore a farlo.”
- 31 “La quinta bobina” gli comunicò Rebecca dalla poltrona in cui
era sprofondata a fumare “L’abbiamo registrata ieri e secondo
me contiene un accenno all’oggetto che ci interessa. Allude a un
trasporto, parlando con una persona che non riusciamo ad identificare. Ho anche chiesto al direttore del “Centro Analisi Vocale”
di Kuibyšev, che mi doveva un favore, ma non mi ha potuto fornire alcuna identificazione positiva. ”
Joahchim allora si tolse la giacca e l’appoggiò alla seggiola; si
mise incuriosito le cuffie, schiacciando la folta massa di capelli
sale e pepe con quella striscia di plastica nera. Lavorò alacremente per un paio di minuti con i tasti del registratore poi le domandò: “Ricordi in che punto del nastro si trova la telefonata?”
“Ci dovrebbe essere un appunto sul tavolo ... mi sembra subito
dopo il duecentesimo giro.”
“Trovato” esclamò Joahchim e subito dopo sprofondò nell’ascolto di parole e fruscii d’interferenza.
“Salve Herr professor.” “Oh, salve. … Novità?” “Si. Ho organizzato il trasporto con il corriere. Ritirerà il reperto direttamente a domicilio.” “Gli devo fare qualche raccomandazione?” “No,
nessuna. Glielo consegni ben fasciato di modo che non abbia a
patire per il trasporto.” “Molto bene. La ringrazio infinitamente
per l’aiuto che mi presta. Arrivederci.”
Joahchim ascoltò ancora per un istante il segnale di libero e poi,
prima ancora che cominciasse la telefonata successiva, si tolse
lentamente le cuffie: “Hai ragione: di tutte le sue telefonate, anche secondo me, questa è quella decisiva.”
- 32 “Forse potremmo sorprendere la consegna.”
“No. Non è necessario” rifletté pensosamente. “In base a quanto
ho sentito sembra evidente che il nostro uomo deve consegnare
il reperto ad uno che non conosce altrimenti gli avrebbero fornito una indicazione, se pur minima, alla riconoscibilità del corriere. Gli faremo credere che uno di noi sia la persona che aspetta.”
“Uno di noi?” pensò ad alta voce la ragazza. “Devi essere per
forza tu. Io ho un accento yiddish terribilmente marcato per essere un corriere nazista.”
“Dovremo agire al più presto possibile, anzi addirittura stasera.
Entro nel loro vialetto e gli chiedo spudoratamente il pacco.
Spero solamente che il vecchio non si voglia intrattenere con
me. Solitamente è così cordialmente prussiano da offrire da bere
e da voler chiacchierare per ore con tutti quelli che gli fanno visita.”
“Se nel frattempo arrivasse il vero corriere?”
“Allora potrebbe sorgere qualche problema. Abitualmente i contrabbandieri tedeschi, se trovano un intoppo, prima sparano e poi
guardano che cos’era.”
“Quindi sarebbe meglio allertare una squadra dell’Haganàh per
organizzare un gruppo di fuoco che ci dia una mano?”
Joahchim rifletté sull’operazione camminando silenziosamente
per la stanza e poi scostò leggermente una tenda e osservando il
professore in giardino proseguì: “Sarebbe bello ottenere un in-
- 33 tervento ufficiale da parte del nostro esercito ma ci vorrebbe
troppa burocrazia e poi chissà dove si trova la più vicina squadra. Non ce la possiamo fare per stasera. Prova a contattare la
cellula locale della “Brigata Gedeone”. I terroristi sono sempre
disposti ad azioni patriottiche soprattutto quando li si finanzia
generosamente.”
“Si, ma ti rammento che se soltanto sentono qualcuno parlare tedesco si mettono a sparare. Saranno fedeli e addestrati ma non si
controllano molto in azione. Lavorare con loro è sempre estremamente pericoloso. Forse fai prima ad evitare i proiettili tedeschi; almeno ti arriveranno solo da una parte.”
“Lo so. La pelle che dovranno sorvegliare sarà la mia e non mi
piace svenderla. Ma come dice il poeta il tempo è tiranno. Se
agiamo stasera opereremo con maggiore sicurezza.” Si avviò
alla porta e proseguì quasi senza voltarsi “Telefona per farti dare
il cambio nella sorveglianza e pensaci tu a contattarli. Io mi occuperò invece di recuperare i mezzi di trasporto. Me ne procurerò due per il gruppo di fuoco ed uno, molto più scassato, per
me.”
- 35 -
Capitolo V
Era notte oramai, e sul lungo viale Unter den Linden una piccola
Volkswagen monovolume salì lentamente dal parcheggio sotterraneo e le sue luci per un breve istante tagliarono, come fari dell’antiaerea, la facciata dello Staatoper attraverso la nebbia serale. Il vicino fiume Spree in questa stagione causava una tale
umidità, specie da quando il suo corso era stato ampliato, che il
clima ne risentiva notevolmente. Frequentemente ampi starti di
muschio proliferavano incontrastati in alcuni punti del suo corso
rivestendo i parapetti marmorei del fiume berlinese.
L’auto voltò a destra in direzione del Königsplatz lasciandosi
alle spalle il fiume e proseguì per mezzo isolato verso il maestoso Arco della Vittoria. In fondo alla fuga prospettica del viale,
costellato di innumerevoli piloni ornamentali, l’Arco della Vittoria era illuminato ma, nonostante questo, sembrava piccolo rispetto all’ingombrante vicino, la Grosse Volkshalle ossia la
“Grande Cupola” delle riunioni del partito. Al bivio con Uni-
- 36 versitat straße l’auto girò nuovamente a destra e dopo pochi metri parcheggiò di fronte ad un massiccio edificio bianco calcare
con il tetto in ardesia nera della Mosella.
Heinrich e Michael scesero dalla macchina e, dopo aver posto in
evidenza il disco orario, si avviarono lungo la scalinata. Entrarono decisi nell’androne della Führer Hitler Universität salutando
distrattamente il sorvegliante, seduto dietro ad un ampio bancone di marmo, portando la palma destra all’altezza della spalla.
Dietro alla guardia una gigantesca e sorridente statua di Göring
sembrava rispondere con allegria al saluto di chiunque entrasse.
Altre statue o busti, a seconda dell’importanza che avevano avuto all’interno del Partito, facevano capolino lungo le pareti. Proseguirono lungo i corridoi malamente illuminati, su cui si affacciavano ritmicamente le aule buie con le loro porte spalancate,
facendo echeggiare il suono degli stivali d’ordinanza.
Heinrich Rust indossava la divisa di gala da docente universitario per la prima volta. L’aveva sfoggiata come un orgoglioso pavone variopinto per tutta la sera durante il ricevimento organizzato dal dipartimento di Fisica Nucleare. Il suo amico Michael
Sprön invece s’era oramai abituato all’onore della propria posizione in quanto aveva ottenuto la cattedra di Archeologia Sperimentale ormai da ben due anni.
Quella sera erano tutti e due vestiti a festa come contadini sassoni che vanno in giro per la città: avevano dovuto onorare le recenti incomprensibili scoperte che sicuramente porteranno il di-
- 37 rettore dell’istituto che li aveva invitati a vincere il prestigioso
“Premio Nazionale”, la maggiore onorificenza del mondo occidentale.
Nessuno capiva bene la possibile applicazione di certe equazioni
e di alcune concettualizzazioni alla base delle loro scoperte ma
parevano tutti concordi nel trovare la profondità intellettuale del
lavoro simile a quello che ha portato il professor Heisemberg a
realizzare la fissione nucleare.
Quasi in fondo al corridoio voltarono sulla destra e si diressero
verso gli uffici. In questo nuovo corridoio si susseguivano una
serie ininterrotta di porte, ognuna con la propria targa in bronzo
e le indicazioni del nome in caratteri gotici neri. Con un colpo di
tacco Heinrich si fermò ed aprì la porta del proprio ufficio.
“Dai, entra nella mia tana” suggerì accendendo la luce. Una serie di lampade alogene disposte su un lampadario, composto da
finte candele, illuminò a giorno l’ufficio.
Michael entrò e si guardò intorno incuriosito, essendo la prima
volta che varcava quella soglia. Ampie librerie a parete tappezzavano l’ufficio del suo amico e al centro vi era una scrivania
completamente sgombra, con un anordung, un calcolatore elettronico, su di un lato. Un DEANMAG produzione di Stato e dotazione standard del Ministero dell’Istruzione, come diceva la
targa metallica. Su di essa era inciso infatti la sigla RWEV, ossia
Reichsministerium für Wissenschaft, Erziehung und Volksbildung. Un buon modello anche se i calcolatori DEANMAG, os-
- 38 sia della Deutsche Anordung Machinen Gesellshaft, erano sicuramente superati in confronto a quelli nuovi dell’industria privata dei Göring, dotati dei nuovi rivoluzionari Wander Werke.
“Non è male il tuo antro anche se bisogna scavalcare una montagna di libri per entrare” notò Michael.
“Mi sembra strano sentire lamentele proprio da te. Quando sono
entrato nel tuo ufficio per accordarmi sugli orari delle lezioni, a
momenti calpestavo un paio di reperti in ceramica. Prelevo le
nuove e–brief e andiamo via. Le leggerò a casa con calma.”
Si sedette ed iniziò ad armeggiare con il puntatore del suo anordung in modo da poter entrare nella Rete per lo Sviluppo Culturale.
“Ormai Alexander dovrebbe averci scritto” osservò soprappensiero Michael mentre con le mani dietro la schiena leggeva i titoli dei libri. “Chissà quali novità da Max e da tuo padre.”
“Padre biologico” precisò Heinrich automaticamente continuando a lavorare con la tastiera.
“Scusami. A volte dimentico che provieni da una Lebensborn.*”
“Fa nulla. Solamente che, per quanto ci possa provare, mi riesce
difficile considerarlo un padre. Non l’ho mai visto. E poi quasi
non parliamo nemmeno la stessa lingua. Come puoi immaginare
* Ente delle SS deputato all’incremento demografico e all’adozione di bambini razzialmente puri.
- 39 le fattorie dell’ordine hanno salvato noi come bambini razzialmente puri, ma hanno giustamente distrutto i nostri nuclei di appartenenza.”
“Ma che impressione provi a ricevere notizie direttamente da
lui?” chiese Michael continuando a dargli la schiena.
“Strano” rispose Heinrich lavorando con la tastiera. “Anzi morboso. È da quando frequentavo la Scuola di Perfezionamento del
Partito che penso a lui. Soprattutto quando accennavano all’importanza del sangue e della discendenza. Ma sarebbe meglio
oramai cercare di non pensarci.”
I fischi acuti del modulatore si spensero; Heinrich aspettò che la
svastica che appariva sullo schermo smettesse di pulsare. Finalmente apparve la scritta “Puoi spegnere il tuo anordung” e allora chiuse tutto alzandosi con un dischetto in mano. “Ora possiamo andare.”
- 41 -
Capitolo VI
Un coniglio bianco attraversò veloce la strada malamente asfaltata di Kampala. Si fermò in mezzo alla via, guardò a destra e a
sinistra e, subito dopo un attimo di riflessione, terminò di attraversare l’asfalto ancora tiepido. Il sole era tramontato già da un
paio d’ore quando un furgoncino coperto di fango e con i fari
velati dalla sporcizia arrivò incerto fino al bivio, quasi nascosto,
con un sentiero lastricato in pietra. Ai due lati del sentiero due
colonne in pietra erano sormontate da una trave di legno, anche
se ormai numerosi rampicanti s’intrecciavano su questo portale
nascondendolo alla vista.
Joahchim, che era alla guida, rallentò e fermò il veicolo. Controllò nervosamente l’ora aiutato dalla luce fioca di un lampione
isolato che era dall’altro lato della strada. Era teso e preoccupato, come sempre quando c’era anche solo la possibilità di correre
qualche rischio: non amava molto l’ardore e l’incoscienza giovanile. “Non vedo il gruppo di fuoco” iniziò a borbottare tra se
- 42 eppure dovrebbe già essere qui”. Tutto era immobile. Solamente
la polvere sollevata dal vento volteggiava intorno alle luci notturne di Kampala.
Fece un sospiro e inserì la marcia per fare il suo ingresso circospetto nel giardino che avevano osservato per tre mesi consecutivi. Lungo il viale, stretto per il suo furgoncino ma non per la
Skoda blu del professore, sfiorò più volte le fronde degli alberi e
dei cespugli. Fermò l’auto di fronte alla facciata della casa, vicino alla porta, spense i fari e poi il motore. Gli sarebbe piaciuto
lasciare il motore acceso ma la cosa sarebbe sembrata sicuramente sospetta. Scese e girò intorno al furgoncino controllando
velocemente la sua posizione. Alla sua sinistra gli alberi erano
più radi; vi erano solo alcuni cespugli a separarli dalla strada laterale. -In caso di problemi- decise mentalmente -parto a tavoletta e ci passo in mezzo.- Si sollevò il bavero del giaccone e
suonò al portone.
Non si sentì alcun rumore provenire da dentro la casa, neanche il
suono del campanello. -Le case in pietra hanno un ottimo isolamento dalle intemperie- pensò. -Però ci ha fatto disperare quando volevamo inserire le microspie. Ha costretto Rebecca a indossare una calzamaglia nera e ad arrampicarsi, in piena notte,
sul tetto per calarne una ignifuga dal camino.Joahchim immaginava di sentire gli occhi degli uomini del gruppo di appoggio fissi su di lui come se potessero trafiggerlo con
lo sguardo. Erano una decina gli appartenenti alla “Brigata Gedeone” che aveva visto partire con la mimetica indosso e il passamontagna in testa. Avevano preferito non mostrargli il volto:
- 43 non si fidavano neppure di lui. Ma d’altronde ciò che non aveva
visto non avrebbe potuto rivelarlo. A giudicare dai loro occhi
sembravano ragazzi giovanissimi quasi sicuramente sfornati dai
campi profughi dell’interno. Fu in quel momento che aveva iniziato ad essere ancora più preoccupato e ora si sentiva indifeso
sotto il tiro delle loro armi. Tendeva l’orecchio e gli pareva quasi di sentire nella notte il suono impercettibile delle loro dita che
scivolavano sul metallo del grilletto.
Un rumore di chiavistello tirato lo fece quasi trasalire; il padrone
di casa stava aprendo e subito dopo la porta si spalancò facendo
uscire una intensa lama di luce calda dall’ingresso che lo costrinse a socchiudere gli occhi.
“Desidera?” chiese l’anziano tedesco dalla soglia.
Dai video e dall’audio della sorveglianza s’era aspettato di trovasi di fronte a un uomo energico e gagliardo, mentre invece
vide un gentiluomo attempato dall’aspetto calmo che avrebbe
anche potuto essere un avvocato di piacevoli e gentili maniere.
“Salve. Sono il corriere” rispose con aria disinvolta battendo i
piedi infreddoliti sullo zerbino.
“Oh, Salute. Non l’aspettavo così presto.” Lo osservò per un attimo poi proseguì “entri in casa. Non stia lì fuori al freddo.”
“Preferirei partire al più presto possibile. Vorrei del buio. La
luna non tarderà a sorgere da dietro le montagne.”
- 44 “Certamente” convenne il professore tirandolo dentro per un
braccio. “Le prendo subito il pacchetto.”
Dopo avergli chiuso la porta alle spalle lo spinse in una poltrona
e gli mise in mano un bicchierino da liquore pieno di liquido trasparente non facilmente identificabile dall’odore. A questo punto si voltò e si allontanò lentamente per salire al piano superiore
come parve evidente dal rumore sordo dei gradini di legno.
Joahchim era sprofondato nella poltrona e rimase quasi interdetto. L’orologio a pendolo batté la mezz’ora in quel momento.
Una delle cose che aveva deciso fermamente di non fare mai era
appunto di non farsi trascinare in questo modo dagli eventi, e
ora si trovava chiaramente in conflitto con i propri principi.
Questa era l’ennesima dimostrazione che nella vita pratica le
massime spesso valgono poco.
Aveva arredato la casa con semplicità ma in maniera molto confortevole. -Casa calda e accogliente- osservò. Nel caminetto la
fiamma sfrigolava a causa della legna non perfettamente asciutta
e tutt’intorno lungo le pareti della stanza vi erano numerosi libri
e tutti con una massiccia rilegatura in pelle. -Sono quasi tutti
uguali- pensò e poi ricordando le intercettazioni dei mesi precedenti gli venne in mente il motivo. -Già, li ha rilegati lui personalmente. Strano come si finisce per conoscere benissimo un
perfetto sconosciuto facendo questo lavoro e poi ci si meraviglia quasi trovandoselo di fronte.-
- 45 Dal piano superiore arrivava ogni tanto qualche rumore attraverso il canniccio del pavimento che, retto da pesanti travi a sbalzo,
continuava a scricchiolare un po’ ovunque. “Eccomi, arrivo. Ho
preso il suo pacco” gridò dal piano di sopra il suo ospite. Stava
arrivando perché ne sentiva i passi pesanti scendere lungo le
scale quando improvvisamente un trillo di campanello lo fece
saltare in piedi dalla poltrona. S’avvicinò all’ingresso ma dovette retrocedere mentre il vecchio professore lo superò per raggiungere la porta.
Sulla soglia una figura massiccia e immobile, che si confondeva
con il buio retrostante della notte, salutò quasi inaspettatamente
in tedesco.
“Gruss Gott, Herr professor. Dio sia con lei. Non riconosce più
il suo vecchio allievo? Sono venuto per la consegna.”
“Ja. ...” Poi s’interruppe perplesso e si voltò lentamente verso
Joahchim con una domanda inespressa negli occhi.
- 47 -
Capitolo VII
Nell’aula il silenzio era quasi palpabile nonostante la folta presenza di studenti. Più di un centinaio di ragazzi s’erano accalcati
nell’aula di “Storia Antica”. Le lezioni interessanti impedivano
sicuramente agli studenti di scambiarsi opinioni sportive durante
le ore di studio ma un leggero brusio di sottofondo era comunque percepibile.
“Dall’interno dell’ampia penisola Scandinava, come hanno confermato gli scavi portati avanti dal dipartimento di Archeologia
Sperimentale del professor Sprön, le popolazioni di stirpe Levone fecero pressione sui meridionali Goti. Questi, sotto la guida
dei loro re (e tra questi possiamo identificare un ipotetico monarca dal nome Berig), furono spinti a emigrare, alla fine del secondo secolo. Attraversarono lo stretto e sbarcarono alla foce
del fiume Oder.”
- 48 Proprio in quel momento, quasi fosse stato evocato dalle parole
appena pronunciate da Heinrich, Michael Sprön entrò dalla porta
in fondo all’aula. A causa della struttura ad anfiteatro dell’aula
si trovò nel punto più alto con tutte le schiene degli studenti rivolte verso di lui.
Heinrich stava spiegando appassionatamente utilizzando com’era sua abitudine un’ampia gamma di espressioni gestuali e nel
corso dell’ora aveva finito col sedersi informalmente sulla cattedra. La giacca era aperta e teneva pensosamente gli occhiali in
mano quando notò il suo arrivo. Lo guardò fisso un istante con
lo sguardo perplesso del miope e si affrettò a portare a termine
la lezione. Michael osservò l’orologio e decise di sedersi in uno
degli ultimi posti. S’immerse nei suoi pensieri senza più ascoltare quelle che per lui non erano certo novità.
“Ritengo opportuno, visto che l’ora è quasi terminata, di interromperci in questo punto. La prossima lezione analizzeremo il
conflitto di questa nazione con le popolazioni autoctone degli
Ulmerigi e dei Vandali e le strutture semistanziali costruite nel
corso delle successive quattro generazioni. Se qualcuno di voi
ha qualche domanda da porre lo invito ad approfittarne ora.”
La domanda era di prassi e il breve silenzio imbarazzato da parte
dei giovani studenti permise ad Heinrich di voltarsi per riordinare i fogli che aveva sparso sulla cattedra nella foga della lezione.
Quasi mai facevano domande.
“Va bene, allora ci vedremo mercoledì alla stessa ora. Potete andare.”
- 49 Gli allievi si alzarono uno per volta prima timidamente e poi a
frequenze sempre maggiori fino a quando non furono tutti in
piedi e, con un leggero brusio, sciamarono via dai banchi dirigendosi verso la porta attraverso il percorso centrale. Mentre
passavano affianco a Michael qualcuno di loro, che lo riconobbe, lo salutò con deferenza.
Michael aspettò che tutti fossero usciti, si alzò e si avvicinò a
Heinrich che gli stava venendo incontro. “Mi hai chiamato?” gli
domandò con evidente curiosità.
“Si” rispose Heinrich porgendogli un foglio ripiegato. Michael
l’aprì e ne lesse il breve contenuto: “Segui i consigli dell’abate
Di Novart. A e M.”
“Enigmatica. Cos’è una lettera minatoria di qualche studente?”
“Credo sia di Alexander” rispose invece Heinrich. “Ieri sera non
l’ho notata perché l’intestazione non riporta l’indirizzo della
Scuola Superiore Germanica di Inzer che solitamente utilizzava
come ingresso per la nostra rete.”
“Com’è intestata?” chiese Michael.
“Università di Stoccarda – facoltà di informatica”.
“L’intestazione non mi dice nulla.” Poi una luce brillò negli occhi neri di Michael. “Aspetta, ora che ci penso a Stoccarda viveva suo nonno e ogni tanto lo andava a trovare. Evidentemente
- 50 conosce qualcuno che vi abita e che gli ha reinoltrato la posta.
Oppure più semplicemente ha utilizzato un accesso alla rete che
aveva aperto alcuni anni fa.”
“Però potrebbe anche darsi” rifletté ad alta voce Heinrich “che
la SS–Postschutz, la polizia postale, abbia sigillato l’anordung
che effettua il trasferimento dei messaggi da una rete all’altra ad
Inzer. Ma in questo caso non avrebbe avuto particolari motivi
per dovere soppesare le proprie parole. È vietato trasferire dati
da una rete all’altra ma non vi sono pene per chi eventualmente
sia scoperto a farlo; attualmente è solamente molto complicato a
causa della diversità dei protocolli in uso. Il testo invece sembrerebbe suggerire molta cautela chiedendoci di seguire i consigli
dell’abate Novart.”
“Si, ma di quale libro? L’arte di regnare, l’arte di piacere a corte, il trionfo del sesso? Quello scrisse male e di tutto.”
“Secondo me” precisò Heinrich “fa riferimento all’arte di parlare o a quella di tacere ed in entrambi, sono andato a controllare.
I suoi testi solitamente suggerisce che il silenzio è d’oro.”
“Quindi qualunque cosa sia successa ci chiedono di non cercare
di contattarli e di limitarci a tacere. Se è così non possiamo fare
altro.” Dopo qualche minuto di silenzio, quasi imbarazzato e con
la voce incerta, Michael chiese: “Non vorrei offenderti ma, vista
la situazione, non hai qualche modo per contattare tuo padre Nicolai e chiedergli se c’è qualche novità?”
- 51 “No, decisamente no. A parte la sua difficoltà a parlare in tedesco, sono io che non gradisco per nulla parlargli. Ha tradito me e
mia madre rifiutandosi di seguirci in Germania. Quando fui selezionato dall’Ufficio Centrale per la Razza e la Colonizzazione
delle SS per essere arianizzato, entrambi i miei genitori avrebbero potuto seguirmi. Solamente mia madre ha deciso di starmi vicino per crescermi come un buon tedesco nazionalsocialista. Lui
ha preferito rimanere nelle pianure del Volga, in mezzo alla puzza russa, a coltivare la terra altrui e bere Vodka. Dovrei avere
dei motivi stramaledettamente più validi di questi per azzardare
un colloquio del genere.”
- 53 -
Capitolo VIII
La strada era sterrata e tortuosa. Percorrendola, anche a bassa
velocità, il furgoncino verdone di Alexander creava dietro di se
un fitto polverone. Le pietre lo facevano spesso sobbalzare costringendoli a procedere molto lentamente. Avevano passato il
confine non appena aveva fatto buio ed ora procedevano lentamente al buio senza fari.
“Allora stiamo andando a trovare il nostro vecchio professore di
Antropologia Genetica ed Umana?” chiese Maximilian interessato.
“Già. Il vecchio Winkie si è rintanato a Kampala da alcuni anni.
Oramai non insegna più, poiché le scuole locali non amano particolarmente gli intellettuali del Reich. Si dedica al commercio,
come puoi immaginare.”
“Droga?” chiese Maximilian continuando a guardare la strada
davanti a se e simulando un disinteresse che sicuramente non
provava. La sua professione a volte lo portava a domandare oltre
il lecito.
- 54 “Per niente. Me ne avrebbe parlato se avesse esteso le sue attività in quel settore. I loro chimici sono incompetenti e quasi sicuramente mi avrebbe assunto per raffinargliela.”
“Già. I tuoi interessi per la chimica spesso ti facevano conoscere
argomenti non propriamente ortodossi. Ricordo che una sera ci
avevi offerto da bere con quello che avevi guadagnato facendo
una consulenza per una tesi sull’influsso degli allucinogeni sciamanici nella poesia dei paesi occupati.”
“Bei tempi. E sarò anche stato schedato per questi miei interessi
culturali.”
Alcuni chilometri prima si erano fermati per cambiare le targhe
e montare quelle sovietiche ed ora stavano per entrare in città.
Erano tesi ma non lo mostravano e facevano gli indifferenti
come durante una qualche prova di coraggio.
Alexander si voltò e gli diede le ultime istruzioni: “Tu rimani in
macchina. Quando scendo ti trasferisci al posto di guida. In caso
di emergenza preoccupati solamente di rientrare attraverso la
strada del picco.” Indicò verso ovest e precisò: “La stessa strada
che abbiamo percorso ora.”
“Perfetto.”
“Mi raccomando, qualunque cosa accada agisci sempre con
estrema calma, in questa zona conviene sempre muoversi con
velocità nazista.”
- 55 “Non sono idiota” replicò Maximilian, “non nuoto mica in un
brodo di salsicce. Non c’era neppure bisogno me lo dicessi.”
Sembrava imperturbabile ma in effetti era un poco seccato.
Avrebbe voluto scendere e salutare il suo vecchio insegnante e
chiedergli qualcosa che era rimasta in sospeso da molto tempo.
Il fuoristrada tozzo e alto, procedette con sicurezza nelle strade
buie. S’immerse apparentemente a casaccio in vie putride e scure, tra costruzioni che avevano l’aria di essere deserte o di celare, dietro le imposte serrate, persone che non desiderassero farsi
vedere. I passanti continuavano ad essere scarsi come mendicanti avvolti in vesti sdrucite e simili a fagotti tremanti che andavano per strada tendendo la mano.
Senza incertezze Alexander svoltò infilandosi sotto l’arco d’ingresso al vialetto privato del professore. Conosceva la strada
poiché l’aveva già percorsa un paio di volte in quegli ultimi
anni. In fondo al vialetto dovette scalare in prima per poter svoltare e quindi parcheggiò deciso di fronte alla facciata della casa,
accanto ad un furgoncino vecchio e malridotto.
“Passa alla guida e lascia il motore acceso. Ci metto solamente
un istante.”
“Salutalo anche da parte mia” chiese, prima che Alexander richiudesse la portiera.
Alexander si incamminò verso il portone illuminato dai fari del
proprio fuoristrada. Suonò il campanello e aspettò che aprisse
guardandosi intorno. Nel frattempo si mise a pensare -Sarà la
quarta volta che vengo a casa sua in questi ultimi cinque anni.
- 56 Tutte le volte che l’ho incontrato insisteva nel farmi notare che
quando aspetta visite particolari non gradisce la presenza neanche di persone fidate. Curiosa la presenza di quel furgoncino.Mentre aspettava si voltò verso il fuoristrada, fece un cenno rassicurante a Maximilian e tornò a guardare il portone battendo i
piedi sul legno dell’atrio. Doveva riattivare la circolazione perché l’essere stato seduto a lungo e il freddo della notte gli stavano facendo formicolare le gambe.
La porta si aprì e il professor Whinkel, con tutta la sua statura,
occupò l’intero vano fino allo stipite. Curiosamente non sorrise
come Alexander poteva aspettarsi. Anzi stava quasi per richiudere nuovamente la porta quando soprappensiero, o per pura incoscienza considerando che erano in URSS, Alexander lo salutò
in tedesco.
“Gruss Gott, Herr professor. Non riconosce più il suo vecchio
allievo? Sono venuto per la consegna.”
“Ja. ...” mormorò flebilmente il professore e poi si voltò. In
quell’istante Alexander capì che forse aveva appena compiuto
un errore.
Una serie ripetuta di detonazioni secche e violente, come se il
maglio di Thor il vendicatore si stesse abbattendo tutto intorno a
lui, lo fecero sobbalzare. Sgranò gli occhi incredulo e quando i
primi colpi di Kalashnikov si abbatterono sulla parete della casa,
a pochi metri da lui, nessuno di loro due ebbe più dubbi nel valutare la gravità del problema.
- 57 Alexander si buttò a terra in mezzo alle aiuole che circondavano
la casa. I traccianti disegnarono scie luminose attorno alla casa
facendo assomigliare tutta la scena ad una fotografia stroboscopica. Era come essere in un telefilm della Univesum Film Aktiengesellschaft. Sembrava d’essere piombati nel mezzo di un
qualche episodio della “Grande Espansione Patriottica ad Est”
solo che non aveva la possibilità di cambiare canale.
Riusciva a stento a respirare. Poi, dopo un istante, notò la condensa dovuta al freddo che gli usciva dalla bocca e sperò intensamente non fosse troppo visibile da lontano.
Nessuno urlava; nel silenzio irreale della notte si sentivano solamente gli spari secchi e le raffiche ininterrotte. Improvvisamente
un colpo di Panzerfaust, la cui scia partiva dal fianco sinistro
della casa, colpì il suo fuoristrada in pieno sulla fiancata. Lo sollevò di qualche metro da terra in un inferno di luce bianca prima
di farne cadere sul prato umido vetri in frantumi e lamiere contorte.
Rimase inebetito alcuni secondi, accecato dall’esplosione.
“Scheisse” mormorò tra i denti. Osservò attentamente i miseri
resti della sua automobile nel tentativo di scorgere Maximilian. Se solo muovo le foglie- pensò -mi noteranno. Ma se rimango
fermo, qui rischio di fare la fine della macchina.Con l’addome ghiacciato dalla tensione iniziò a spostarsi molto
lentamente contando senza fretta prima di ogni movimento “milleuno, milledue, milletre” così come gli avevano insegnato a
fare durante il corso di paracadutismo. Lo Sharführer istruttore
- 58 aveva così tanto insistito sull’importanza di contare nel valutare
lo scorrere del tempo, che oramai lo faceva ormai anche nelle attività quotidiane. “È l’unico modo” diceva “per essere sicuri che
siano passati almeno tre secondi, il tempo necessario a che si
apra il vostro paracadute. In ogni momento di tensione il tempo
si dilata o si contrae e se contaste normalmente potreste andare
troppo veloci o troppo lenti. Dovete imparare a contare con il
mille davanti. E d’ora in poi contate sempre per calcolare tutti i
vostri tempi, anche per girare lo zucchero nel proprio caffè.”
-Milleuno, milledue, milletre. Ci sto mettendo troppo tempo ad
allontanarmi. La siepe che circonda il giardino è lontanissima.Improvvisamente la mano destra toccò inavvertitamente un pezzo di lamiera incandescente. Scottava dannatamente. Alzò la
mano di scatto ma non fiatò. Era paralizzato per la tensione ma
si scosse immediatamente e proseguì. Ormai era quasi arrivato
all’angolo della casa.
-Milleuno, milledue.- Un gomito avanti.
-Milleuno, milledue.- Un gomito avanti.
Ormai era di fronte alla siepe e stava per decidere se provare a
passarla tenendosi basso o saltandola velocemente quando il furgoncino, che aveva intravisto davanti alla casa, quasi lo travolse
lanciato in una corsa forsennata a fari spenti. Sarebbe stato oggetto di pesantissimi insulti inespressi se non che con il suo passaggio le siepi furono sufficientemente falciate da rendergli agevole il passaggio.
- 59 -
- 61 -
Capitolo IX
La strada deserta era cosparsa di fronde strappate dal furgoncino
nella sua fuga. Le case vicine avevano già alcune finestre illuminate. Altre lo sarebbero state in poco tempo. Ancora qualche minuto e la strada si sarebbe riempita di camioncini dell’NKVD
pieni di agenti armati e molto nervosi.
Alexander tirò un respiro profondo e scattò deciso verso nord
lungo una strada secondaria scelta arbitrariamente. Era essenziale allontanarsi il più possibile da quella zona. La frontiera distava circa una ventina di chilometri da Kampala, soprattutto utilizzando un sentiero non diretto. Fino a quando non fosse arrivato
in prossimità della frontiera avrebbe corso per poi rallentare e
percorrere l’ultimo tratto prestando particolare attenzione a non
incappare nelle pattuglie di frontiera.
- 62 Correva veloce lungo i bordi di campi di grano ormai falciati e
nudi, e gli sembrava di avere un lungo coltello piantato nella
milza. Nella sua mente s’affastellavano mille pensieri incoerenti.
Era essenziale allontanarsi, più lontano dalla città si trovava e
più velocemente correva.
Appena i suoi occhi si abituarono al buio, poté accelerare ulteriormente senza rischiare di cadere ad ogni istante. Oramai ci
vedeva quasi come fosse giorno. Ogni tanto un albero isolato veniva avanti come fosse un uomo. Un attimo di esitazione. Poi di
fronte all’ennesimo albero smise di preoccuparsi. Se era destino
sarebbe accaduto.
-Hanno ucciso Max come fosse un cane, senza neanche guardarlo in faccia. Non eravamo neanche armati. Non avevamo
fatto niente, non c’era alcun motivo.- Man mano che procedeva
decise che non era il momento per pensarci. Doveva raggiungere
il confine al più presto possibile perché durante la nottata avrebbero pattugliato i sentieri percorribili con gli automezzi ma venuta la mattina si sarebbero sicuramente accorti delle tracce lasciate da un uomo a piedi. Allora sarebbe scattata la caccia all’uomo.
Si ricordò, per quanto cercasse di non pensare a lui, che Maximilian aveva partecipato a più di un mensur durante la sua giovinezza. Aveva una cicatrice, anche se non molto evidente, sulla
guancia destra e questo era un segnale lampante della sua appartenenza alla Volksgemeinschaft. Solo loro, nel mondo occidentale, considerano un segno d’onore il duello di spade.
- 63 -Se il corpo non è stato devastato dalle fiamme noteranno la cicatrice mi cercheranno con parecchia determinazione. Avere
certi segni sul corpo in questa zona del mondo è come gridare
ad alta voce in tedesco.Sarebbe stato quasi il caso di fermarsi a riposare qualche minuto, ma la giacca era ormai intrisa di sudore. Rallentò al passo e
iniziò a contare da uno; arrivato a cento riprese a correre. Avrebbe proceduto in questa maniera fino a quando non fosse stato al
sicuro. L’indomani ci sarebbe stata una spietata caccia all’uomo
di notevoli proporzioni. Doveva al più presto rientrare nel Reich.
-Chi diavolo ci ha sparato addosso? Una pattuglia sovietica?
Colleghi interessati al reperto?- Dopo una salita particolarmente
ripida, il debito d’ossigeno gli fece pensare anche che potessero
essersi scontrati con una pattuglia di Waffen SS infiltratasi per
contrastare il contrabbando. Magari erano finiti in mezzo ad una
guerra di spie.
La sua fattoria comunque non gli parve più un rifugio sicuro
poiché chiunque possa agire su un lato del confine avrebbe potuto agire anche sull’altro. Quando finalmente gli alberi si fecero
più fitti ed il terreno sempre più impervio e roccioso, Alexander
aveva ormai deciso di tornare a Berlino. La grande città offriva
indubbiamente molte più alternative a chi desidera scomparire.
- 64 Il confine cominciava ad essere sempre più vicino ma il sole stava probabilmente per sorgere. Il cielo diventò da un momento
all’altro blu chiaro e le stelle in cielo diradarono. Bisognava procedere velocemente ma con movimenti fluidi ed omogenei. Soprattutto non doveva più fare alcun rumore.
Lungo la montagna procedette seguendo una serie di punti di riferimento: l’albero sopra la roccia, l’albero incurvato, il ghiaione. Ne fissava uno, lo raggiungeva e ne cercava un altro. Raggiunta la cresta si accucciò sedendosi sotto una roccia. Il sudore
era praticamente del tutto asciugato dal vento che lo aveva colpito incessantemente tutta la notte. Ma proprio per questo la sua
temperatura corporea tendeva ad abbassarsi sempre di più.
Le mani erano intirizzite ma non poteva batterle da nessuna parte per non fare rumore. L’orecchio destro era quasi completamente insensibile. Quando strofinava l’orecchio con le mani un
dolore lancinante e bruciante lo stordiva, quasi si stesse massaggiando con la carta vetro.
Rivoli di ghiaccio gli scendevano lungo la schiena e non ci poteva fare nulla. Doveva salire ancora ma procedette sempre più
lentamente. Doveva evitare che la fretta gli facesse commettere
errori irreparabilmente stupidi.
Se fosse riuscito a vedere uno dei totenburge che sorgevano vicino alla sua casa avrebbe avuto una guida perfetta. La prima
volta che negli ultimi anni provava piacere nel ricordare quella
gigantesca mostruosità architettonica del dopo–espansione, un
tempio azteco perso nel nulla della pianura russa.
- 65 Quasi inavvertitamente iniziò a scendere. Aveva probabilmente
passato il confine senza accorgersene, sperò, ma non ne era sicuro. -Solamente dopo mezzogiorno, con il sole allo zenit, mi fermerò a riposare.- Però non vedeva il totenburge e quello, dalla
cresta degli Urali, si sarebbe dovuto vedere. C’era il rischio che
stesse tornando indietro verso oriente scendendo accidentalmente sul versante sovietico.
Improvvisamente si fece giorno. Il sole gli indicò inequivocabilmente la direzione e lo tranquillizzò. La pianura irregolare si faceva sempre più vicina. Non riusciva però a sentirsi del tutto al
sicuro anche in patria soprattutto non conoscendo l’identità dell’aggressore. -Appena arrivo, tiro i remi in barca, chiudo tutto e
delego qualcuno per la vendita.Non aveva alternative. -Difficile sparire in un Generalkommissariat. Devo rientrare a Berlino.- Conviene nascondersi in mezzo a 40 milioni di persone che abitavano la capitale piuttosto che
tra poche migliaia delle città colonia.
-Il modo più veloce sarebbe imbarcarsi su un aereo di linea ad
Ufa e sbarcare direttamente all’Hermann Göring Est, ma registrerebbero il nome. Percorrendo l’autobahnen non dovrei lasciare le mie generalità ma dovrei farmi prestare un’automobile. Il mio furgoncino quasi nuovo è servito per una pira funebre.- Mentre ci pensava provò per un istante un fitto dispiacere
ma lo ricacciò indietro promettendosi di recuperarlo solamente
al momento opportuno; ora aveva bisogno di mantenere la testa
lucida. Il ragionamento non doveva essere intaccato dal senti-
- 66 mentalismo se voleva salvare la pelle. Forse non era bello pensare questo, ma si sarebbe rammaricato della sua scelta opportunistica una volta al sicuro.
-Non resta che il treno. Presenta qualche rischio ma permette di
non lasciare quasi alcuna traccia del mio passaggio. Devo solamente prestare attenzione alle video registrazioni di sorveglianza della stazione. Devo nascondere il volto e cambiare abbigliamento quando scendo e salgo sul treno. Ma fa freddo e una
sciarpa sul volto può risolvere egregiamente la situazione.Ormai aveva deciso come procedere una volta raggiunta la tenuta. Iniziò quindi ad elaborare i dettagli e a riordinarli nella sua
mente analizzando ogni possibile obiezione e alternativa. Probabilmente era già in territorio amico ma ci sarebbe voluto almeno
un altro giorno prima di raggiungere il proprio terreno, sempre
che non avesse fatto scattare inavvertitamente un qualche allarme della Grenzpolizei, la polizia di frontiera.
- 67 -
Capitolo X
Una massa quasi compatta di ragazzi, pochi erano in divisa per
la verità, uscì improvvisamente da un portone imponente e, dopo
essere sciamati lungo la scalinata marmorea, si riversarono lungo l’Unter den Linden. Un branco di studenti universitari con in
mano libri e quaderni, vestiti multicolori e qualcuno addirittura
con i capelli lunghi, occuparono il viale e lo inondarono con le
loro alte grida sguaiate. Le lezioni del mattino erano terminate e
loro si fermarono alcuni istanti, creando un certo affollamento di
fronte al portone come se per loro la cosa più importante fosse
uscire dall’edificio e non raggiungere la loro meta.
Si divisero. Alcuni migrarono verso ovest lungo il viale per raggiungere la Biblioteca di Stato, alcuni si dispersero in tutte le direzioni senza alcuna preferenza mentre altri ancora attraversarono chiassosi l’Unter per dirigersi verso un noto locale sotterraneo, il “Radioso Avvenire”, le cui basse volte a mattoni nudi
avevano più volte accolto i loro cori e le loro bevute di birra
quasi calda fin oltre l’ora di coprifuoco della polizia, la Polizei–
Stunde.
- 68 Altfried incrociò sorridendo questo gruppo di giovani appena
sorpassata l’Opera di Stato, quasi all’altezza di Charlotten
straße. Era in divisa nera d’ordinanza. Cucita sopra le sigrunen
la hoheitsabzeichen, l’aquila che afferra la svastica con gli artigli, sulla manica sinistra dichiarava in maniera inequivocabile la
sua appartenenza ad un mondo totalmente differente: apparteneva al gruppo di eletti difensori della patria. Anche l’ovale di barba che si era fatto crescere intorno al mento, e che curava pazientemente con le forbici ogni mattina, lo differenziò dal gruppo di ventenni imberbi in mezzo a cui era finito e con cui procedette per qualche tempo.
In divisa sembrava ancora abbastanza giovanile pur avendo terminato da parecchio tempo il suo impegno universitario, ma se
si fosse tolto il berretto la sua età apparente sarebbe improvvisamente aumentata. La calvizie estremamente pronunciata che
aveva risparmiato solamente la zona della nuca lo costringeva
spesso ad indossare il cappello della divisa per nascondere questa perdita che per lui era fastidiosa, ma inizialmente era stata
anche dolorosa.
Gli piaceva camminare. Camminare gli permetteva di pensare e
di focalizzare le proprie idee. Svoltò lungo Whilelm straße dirigendosi verso i nuovi uffici del VI Ämter dove era atteso dal suo
diretto superiore. Il sesto dipartimento dell’Ufficio Centrale per
la Sicurezza dello Stato ossia il Reichssicherheitshauptamt
(RSHA) era anche denominato comunemente Sicherheitsdienst
(SD) ossia Servizi di Sicurezza.
- 69 La giornata era decisamente negativa. Aveva perso forse definitivamente un ottimo agente operativo alle sue dipendenze e per
di più nel giro di poco avrebbe anche avuto alle calcagna la GESTAPO (IV Ämter dell’RSHA) non appena avessero saputo che
nella stessa azione era implicato un loro operativo.
Pensando a come comportarsi continuò a camminare fino a
quando, dopo aver superato il palazzo barocco del principe Albrecht, improvvisamente si trovò di fronte all’anonima sede dell’SD. Un condominio di uffici, un palazzo quasi anonimo in una
strada dove s’alternavano antichità imperiali e imponenti edifici
di regime. L’androne stretto e alto era decorato con un vecchio
affresco di Conrad Hommel raffigurante giganteschi uomini
nudi, squadrati nelle fattezze, che parevano impegnati in una
gara di corsa. Il soggetto era simile su entrambi i lati e sembrava
quasi invogliare gli occasionali visitatori a salire velocemente la
breve rampa di scale d’accesso.
Superati i primi gradini, leggermente nascosto alla vista, un cancello brunito chiudeva l’accesso e al suo fianco, dietro un gabbiotto di vetro blindato, una guardia in uniforme controllò con
attenzione il tesserino che gli aveva porto. Altfried firmò il registro d’ingresso e poggiò, prima ancora che la guardia lo domandasse, il suo pollice sulla piastra di scansione. Mentre attendeva
che la spia diventasse verde, per un istante, si domandò oziosamente se le verificasse con la banca dati della Rete Nazionale di
Sicurezza o solamente con quelle presenti sul suo tesserino. In
effetti non sarebbe stato una sua responsabilità diretta ma avrebbe ugualmente controllato non appena fosse arrivato in ufficio.
- 70 Aveva questo difetto fin da ragazzo: il voler controllare il funzionamento e il meccanismo di ogni cosa gli capitasse tra le
mani.
Non appena la guardia fece scattare la serratura del cancello, entrò quasi scavalcando le lastre di vetro blindato poggiate contro
il muro. Stavano per rinforzare la cancellata decorativa con
qualcosa di decisamente più efficace. Tenendo presente che
l’anno precedente, a Cracovia, il Servizio aveva perso un numero impressionante di uomini per colpa di un attacco terroristico
con gas nervini, lo meravigliava quasi vedere questa indispensabile opera di protezione procedere così a rilento.
Salì da solo lungo la rampa delle scale; l’ora di pranzo era scoccata da parecchio tempo e non si vedeva oramai più nessuno in
giro. Mentre saliva si soffermò in un pianerottolo e osservò la
telecamera che lo riprendeva sorridendo agli invisibili guardiani
che ininterrottamente, chiusi in una stanza blindata, osservavano
e controllavano ogni movimento all’interno del palazzo. Benché
la cosa fosse negata ufficialmente, era altamente probabile controllassero anche ogni rumore.
Appena giunse al terzo piano s’incamminò tranquillamente lungo lo stretto corridoio illuminato dai neon le cui luci gialle lo facevano sembrare itterico. Si fermò di fronte ad una porta anonima, bussò e senza aspettare una risposta girò la maniglia ed entrò.
- 71 Seduto alla scrivania il generale comandante del suo reparto stava scrivendo. Poggiò la penna e sollevò i suoi piccoli occhi azzurri contornati da pesanti borse e lo squadrò con intensità.
“Entri la prego. La stavo aspettando, Herr Standartenführer.”
Altfried s’irrigidì quasi sentendogli rammentare il suo grado di
colonnello. Entrò e salutò tendendo rigidamente il braccio precisamente come prescritto dal regolamento. “Sieg Heil!”
“Heil” rispose stancamente il suo superiore senza sollevare
neanche di pochi centimetri la mano dal tavolo. Rimase seduto e
lo osservò in silenzio. Sembrava quasi sapesse già che avevano
auto qualche problema. Attese qualche istante per mettere Altfried ancora più a disagio e poi ordinò secco: “Faccia rapporto.”
Altfried osservò il proprio interlocutore per cercare di tenere sotto controllo la sua sensazione di disagio. A sua volta una statuina di porcellana raffigurante un ufficiale su di un cavallo bianco,
dono personale del Reichsführer comandante dell’RSHA, lo stava osservando dal bordo del tavolo.
“Herr Brigadenführer,” esordì Altfried “in data primo novembre, in seguito ad un conflitto a fuoco tra agenti infiltrati e terroristi, abbiamo perso le tracce del reperto che stavamo sorvegliando. Un nostro agente anziano si trova in mano ai servizi sovietici; un cittadino del Reich e un sottufficiale della GESTAPO
risultano dispersi”.
- 72 Un attimo di silenzio. Difficile valutare se la notizia peggiore
fosse la perdita del reperto oppure le perdite umane. Il superiore
di Altfried nel valutare la situazione fece vagare il suo sguardo
per la stanza fino a soffermarsi sul ritratto ufficiale del Chef der
Deutschen Polizei, che era appeso sulla parete alla sua destra.
Poi gli fornì concise ma indiscutibili istruzioni, com’era sua abitudine. “Bisogna rintracciare ed impadronirsi il reperto o in alternativa distruggerlo. Le perdite umane andranno contenute ma,
se il caso, sono accettabili.” Rifletté un altro istante e proseguì
abbassando il tono e senza guardarlo in volto: “Presenti un rapporto scritto e cerchi di minimizzare ogni possibile implicazione
di questo dipartimento nelle perdite umane dovute a questa operazione. Può andare. Heil.”
Altfried salutò rigido ed uscì. Stava sudando per la tensione.
-Devo risolvere la situazione al più presto e ancora non ho idea
di come procedere- rifletté tra se. -Temo di essere sul bordo della svastica.-
- 73 -
Capitolo XI
-Anche se incappassi in qualche segnalatore della Grenzpolizei
non dovrei avere problemi. I ragazzi della stazione di Kuzelga li
conosco tutti. Anzi forse potrebbero darmi un passaggio su una
delle loro camionette.- Era consapevole delle sue condizioni fisiche. Disidratato e affamato, si sentiva oramai le gambe liquide
per la fatica e sapeva che avrebbe retto ancora per qualche ora e
poi si sarebbero lentamente irrigidite facendolo rallentare.
Il totenburge non si vedeva ancora ma era ugualmente tranquillo. Probabilmente era sceso senza accorgersene in una valle parallela. Gli sembrava d’essere ripiombato nella Hitlerjugend
quando, durante le escursioni organizzate con Heinrich e Maximilian, eseguivano il percorso ad azimut. Si ritrovavano spesso
sul costone di una montagna sapendo solamente dov’erano e
dove dovevano arrivare ma senza avere alcuna idea del tempo
che ci avrebbero messo a passare attraverso la lussureggiante vegetazione delle montagne bavaresi. La bussola e la cartina erano
strumenti che avevano imparato a usare con precisione. Come
succedeva in quei tempi, anche ora era finito in una selva intri-
- 74 cata che lo rallentò costringendolo ad aggirare ampie zone fino a
quando uscì dal bosco e vide improvvisamente in lontananza,
subito dietro un’altura, i punti di riferimento che aspettava: la
città e il totenburge. Tra i due vi era la sua fattoria ancora non
visibile per la distanza. Accelerò quindi il passo che diventava
sempre più incerto a causa della fatica.
Dopo un dosso finì proprio in mezzo alla sterrata che portava a
Kuzelga e si sedette per farsi scaldare dal sole del mattino. Non
era mezzogiorno come s’era ripromesso ma era certo d’essere
temporaneamente al sicuro e decise di riposarsi. Anzi furono le
sue gambe a decidere per lui, lo costrinsero a sedersi sull’erba
facendolo quasi cadere in ginocchio. Si sdraiò sul dorso e s’addormentò di botto piombando non gradualmente, ma d’un tratto,
nel buio del sonno.
Si svegliò immediatamente sentendo risuonare attorno a se una
serie di colpi secchi. Stavano sparando nelle immediate vicinanze. Si alzò a fatica sulle gambe ancora addormentate. -Sono arrivati-. Ci avevano messo poco a raggiungerlo.
Scattò verso un grosso larice a cui si appoggiò in maniera da nascondersi alla vista. Protetto dall’albero analizzò le possibili vie
di fuga. La luce del giorno non lo avrebbe sicuramente facilitato
nella fuga e poi aveva le gambe ancora troppo pesanti e stanche.
Altri spari in sequenza risuonarono nell’aria come una serie di
mortaretti accesi in occasione del Reichparteitag. Poi apparve
improvvisamente sul sentiero un carretto, tirato da un cavallo
stentato. Altri colpi. Alcuni rami secchi che il carretto stava tra-
- 75 sportando finivano tra le ruote spezzandosi con suoni decisi ma
che solamente il dormiveglia poteva far somigliare a spari. Fu
sommerso da un senso di tranquillità che gli inondò il cuore pur
lasciandogli in bocca uno sgradevole sapore amaro.
Respirò a fondo attraverso il naso per compensare l’apnea in cui
era inconsapevolmente rimasto e questo gli causò un istante
d’ebbrezza. Rimase sconcertato e incerto. Ma oramai sveglio
studiò quindi se fosse meglio accelerare l’allontanamento dal
confine oppure rimanere nascosto. Decise di avvicinarsi e chiedere un passaggio.
“хей, дедушка; Hei, nonno” chiamò Alexander con tono cordiale scendendo verso il sentiero; sorrideva e agitava la mano.
“дедушка, вы можете дать проход к мне в городе. Nonno, mi
daresti un passaggio verso la città?” proseguì in russo stentato
martoriando contemporaneamente la grammatica e la pronuncia.
Il vecchio rugoso si fermò e sputò sulla strada quasi in mezzo ai
suoi piedi. Lo squadrò per un istante strizzando gli occhi ancora
vigorosi in mezzo all’enorme quantità di rughe del suo volto che
lo facevano somigliare a una carta geografica. “Sali nipote malriuscito” ed estrasse da sotto il sedile del carretto una bottiglia di
coccio. Ne bevve un sorso e la offrì al suo nuovo ospite. “Slibovitz?” domandò cordiale.
Per un brevissimo istante la tentazione di bere, qualunque cosa
fosse, spinse Alexander ad allungare la mano ma poi domandò
“Acqua?” Il vecchio tappò tranquillamente la bottiglia e la ripose mormorando semplicemente “Berrai in città.”
- 76 Quando il sole fu allo zenit, ed era ormai vicinissimo alla sua
meta, ringraziò il vecchio russo e saltò giù dal carro. Proseguì
velocemente a piedi calpestando le spighe di grano che, residui
non spigolati del raccolto, marcivano nel terreno fradicio. Quest’anno l’inverno sembrava non arrivare mai e di questo era gratissimo.
S’incamminò portandosi dietro due grossi pezzi di fango nero
che gli avvolgevano gli scarponi. Proseguì deciso con sempre
maggiore energia man mano che la sua fattoria diveniva più vicina. Più che a una fattoria somigliava quasi un castello posto su
un rilievo strategico e la somiglianza non era dovuta solamente
al suo isolamento, infatti sul lato destro aveva cominciato a costruire una evidente torretta merlata.
Quasi senza accorgersene arrivò di fronte al portone blindato.
Armeggiò brevemente con le chiavi e, dopo aver disattivato il sistema d’allarme, entrò nel cortile interno. Era così stanco che la
pelle gli scottava come se avesse la febbre ma sapeva che era solamente l’effetto della stanchezza e del freddo. Avrebbe voluto
fermarsi non foss’altro che per riposarsi e togliersi di dosso il
sudore e la sporcizia, ma gli tornò in mente lo sguardo preoccupato del suo vecchio professore e l’esplosione improvvisa che
fioriva nella quieta notte russa.
Entrò nelle stalle interne e sellò Saitan, un sauro nero di tre anni
dal carattere ombroso ma robusto e resistente come il suo padrone. Gli altri due cavalli, animali da lavoro tozzi e pelosi, che
condividevano la stalla con Saitan non potevano certo rimanere
chiusi dentro e neppure poteva lasciarli liberi. Dopo aver richiu-
- 77 so la fattoria salì in sella e li guidò fino alle stalle estive, di
modo che avessero almeno un riparo provvisorio e potessero essere accuditi dai suoi contadini.
Nicolai Plinski, padre biologico del suo amico d’infanzia Heinrich, aveva costruito la sua isba distante da quella degli altri lavoranti, a fianco delle stalle. D’altronde era un supervisore polacco
e doveva mantenere un certo tono dignitoso rispetto agli altri lavoratori subumani. Appena arrivato negli Urali Alexander l’aveva cercato per metterlo a capo delle cinque famiglie di unterarbeiter affidategli dal Ministero. Per una sorta di rispetto verso la
famiglia naturale del suo amico e forse anche per convenienza
poiché era una persona fidata. Solitamente i polacchi sono abbastanza germanici da poter essere affidabili.
I due cavalli entrarono lentamente nella stalla facendo oscillare
silenziosamente la loro massiccia figura ma Nicolai, che aveva
comunque sentito alcuni rumori, uscì di casa con la rivista Fala
in mano. Una schifezza patinata di infimo livello ma d’altronde
una delle pochissime che non era scritta in tedesco e per questo
era diffusissima nel Governatorato da molti anni.
“Salve Nicolai,” disse sollevando la mano “devo partire e starò
lontano qualche giorno. Cura le bestie e i frutteti fino al nostro
ritorno.” Si calcò bene in testa il berretto a falde larghe e partì
trottando verso la palla rossa del sole al tramonto, diretto ad Ufa
dove sarebbe salito sull’Interstadt per Cracovia.
- 79 -
Capitolo XII
Il treno iniziò a rallentare ma subito dopo riprese ad accelerare.
Si fermò e ripartì a balzi un paio di volte. I binari s’incrociarono
con altri e dal finestrino s’intravedevano gli edifici di servizio
della stazione. Stava entrando lentamente nella stazione centrale
di Cracovia e i passeggeri iniziarono ad alzarsi dai propri sedili e
a prepararsi. Impacchettavano i loro bagagli, che durante il viaggio s’erano sparsi per quasi tutto il vagone, legandoli con lo spago o semplicemente in grandi tessuti dai colori vividi. Il rumore
di fondo aumentò e gli angusti corridoi si riempirono di russi e
polacchi vocianti e infreddoliti ma con insolite guance colorite e
con l’alito ad alta gradazione alcolica.
Alexander s’inserì silenzioso nella massa in attesa di scendere e
procedette incolonnato verso l’uscita, ancora chiusa, tenendo lo
sguardo basso ma temeva che dal suo contegno emanasse la dignità propria di un cittadino del Reich. Dopo alcuni minuti, in
cui ognuno dimostrò nei confronti dei vicini la propria pazienza,
il treno accelerò deciso verso la sua meta finale. “Krakow Glowny” era scritto su una serie di insegne azzurre che si avvicenda-
- 80 rono dietro ai vetri fino a che il treno non si fermò. Dalle porte
spalancate una moltitudine di persone sciamò quindi sulla banchina fumosa.
“Stazione centrale di Cracovia” ripeté nel frattempo più volte
l’altoparlante nel caso qualcuno non se ne fosse accorto. In fondo alla banchina due poliziotti in divisa fendettero il flusso dei
passeggeri in uscita e ogni tanto fermavano qualcuno chiedendogli i documenti, ma osservavano con scarsa diligenza la folla.
Erano probabilmente a fine turno e la stanchezza li indusse ad
accelerare i controlli.
Quasi tutti i passeggeri si diressero verso le uscite. Alexander si
fermò qualche istante a osservare i tabelloni luminosi che riportavano gli orari delle partenze: aveva a disposizione solamente
due ore prima che partisse il treno diretto a Berlino. Appena uscì
dalla stazione sulla scalinata d’ingresso valutò per un breve
istante la direzione verso cui dirigersi. Il piazzale Kolejowy era
pieno di gente. Si muovevano nello sfondo di alberi spogli con i
rami scheletrici rivolti al cielo come invocazioni d’aiuto disperate della natura sepolta dal cemento. Autobus vetusti affumicavano la zona e cercavano di avvicinarsi alla fermata anche se la
strada era ricolma di pedoni.
Alexander osservò attentamente le vetrine intorno al piazzale
fino a quando non trovò quello che stava cercando. Era ancora
tutto avvolto da tessuti sformati e coloratissimi con orribili ciabatte blu tipicamente russe ai piedi. L’abbigliamento che prima
lo faceva sembrare un locale integrato oramai, ai confini del territorio metropolitano del Reich, lo rendeva simile ad un profugo.
- 81 Appena intravide un modesto negozio di vestiario, i cui manichini con gesti stilizzati cercavano d’invitarlo ad entrare, vi si
diresse deciso. Oramai era anche troppo riposato, anzi aveva i
muscoli leggermente induriti a causa dell’immobilità forzata.
“Vestiti. Pantaloni, camicia e scarpe” chiese lentamente, gesticolando ampiamente sia perché probabilmente il commesso non
parlava tedesco fluentemente sia per camuffare il fatto di essere
madrelingua.
“Pantaloni a destra, camice a sinistra e scarpe in fondo” si limitò a brontolare con tono beccheggiante il commesso senza alzarsi da dietro il bancone; il suo sguardo era perso nella noia. Fortunatamente non sembrava particolarmente curioso: aspettava
semplicemente che il giorno trascorresse invece di lavorare attivamente. Il viso pallido e minuto era posto su una testa assurdamente piccola che coronava spalle tonde e braccia lunghe e leggermente sproporzionate. Non s’alzò neppure dalla sedia continuando a sfogliare la rivista, che ne monopolizzava l’attenzione,
con le sue mani flaccide.
Lasciato solo, Alexander scelse con tranquillità una serie di indumenti quasi decenti e li indossò nel camerino. Uno strato di
vestiti nuovi venne ad asciugare uno strato di sudore; decise che
si sarebbe lavato poi in treno nel giro di poche ore ma questo
non lo fece sentire meglio. Saldò il commesso con Ostenmark
contanti mettendolo leggermente in difficoltà. Più ci si avvicinava al centro della Germania e più diventava difficile pagare in
contanti invece che con l’autobank.
- 82 Solamente ora il commesso iniziò a considerare la situazione e
vedere un cliente cambiarsi completamente d’abito nel camerino
del negozio non era certo la prassi abituale. Ma la complessità
del compito di contare correttamente il resto ne distrasse parzialmente la curiosità e quindi quella sera qualora avesse raccontato
il fatto agli amici della taverna sarebbe sicuramente ricorso ad
ampie dosi di fantasia. Avrebbe voluto domandare qualcosa ma
la sua curiosità dovette rimanere inespressa a causa della velocità con cui il suo cliente si precipitò fuori.
Alexander buttò i vestiti vecchi dentro un cassonetto per le immondizie sperando che nessun poliziotto fosse nei dintorni perché buttare rifiuti fuori orario era un reato e avrebbe potuto
come conseguenza attirare sicuramente la sua attenzione.
Attraversò la piazza dirigendosi verso la cabina telefonica. Un
mozzicone di matita gli cadde di tasca quando estrasse di tasca
un pezzo di carta accuratamente ripiegato in quattro su cui aveva
segnato il numero di telefono da chiamare. Raccolse la matita e
si tolse l’orologio per deporlo sopra l’apparecchio in modo da
poterne vedere chiaramente il quadrante. Compose lentamente il
numero di telefono utilizzando la matita per non lasciare impronte. Era pronto a far scattare il cronometro per chiudere la
comunicazione esattamente dopo un minuto. Probabilmente,
poiché non è una città del Reich, sarebbe bastato come precauzione per rendere impossibile una intercettazione. D’altronde
non era oggettivamente in grado di attuarne nessun’altra.
- 83 “Salve, sono il trasportatore che aveva ingaggiato. Non sono riuscito a iniziare il trasporto a causa delle pessime condizioni ambientali. Preferisco rinunciare all’incarico e cambiare lavoro. Mi
ha compreso?”
Nel momento stesso in cui udì dall’altro capo del telefono una
risposta affermativa mise giù la cornetta e, preso l’orologio, si
allontanò dirigendosi tranquillamente verso il suo binario.
- 85 -
Capitolo XIII
Altfried entrò nel suo ufficio con addosso una notevole dose di
tensione, gli sembrava di essere tornato al Bad Tölz all’epoca in
cui frequentava la Junkersschule SS, la scuola per ufficiali superiori. Iniziò a passeggiare nervosamente nel suo ufficio; dovette
accendere la luce perché il sole non aveva ancora illuminato la
sua finestra. Solamente nel primo pomeriggio, in questo periodo
dell’anno, la luce del sole irraggiava adeguatamente i cactus che
sorgevano assiepati su di un angolo della sua scrivania dominando un vaso laccato di pregevole fattura.
Essere nella sezione ebraica della SicherheitsDienst gli creava
molti grattacapi soprattutto quando qualche terrorista dei campi
profughi riusciva a penetrare all’interno del territorio metropolitano del Reich e portava a termine qualche criminale attentato.
Doveva trovare il modo di risolvere la situazione che si era verificata al confine. Agenti operativi in zona non ne aveva e non
poteva pensare di prepararne uno per una missione del genere
senza sprecare almeno due settimane. La rete del professore non
aveva l’autonomia sufficiente per operare solamente con generi-
- 86 che istruzioni provenienti dall’estero, anche se avesse saputo
come contattarla. E inoltre avrebbero sicuramente lasciato filtrare quel senso di panico che afferra i topi quando devono frettolosamente abbandonare la nave.
Passeggiava da un lato all’altro dell’ufficio come un ragno che
stesse lentamente e metodicamente tessendo la sua tela. Ogni
tanto i pensieri, sottili fili di seta, divergevano dalla problematica principale ma era un suo personalissimo e consolidato espediente per trovare una possibile soluzione ai problemi che lo assillavano. Gli permetteva di andare dove volevano e prima o poi
sarebbero giunti ad evidenziare l’agognata meta.
Si fermò a pochi centimetri dalla parete e osservò la sua laurea
in teologia appesa sotto a quella in economia. Ne era segretamente orgoglioso e l’aveva voluta appendere nonostante le convenienze ma entrambe erano nascoste alla vista di un occasionale visitatore dalla massiccia libreria barocca che quasi certamente prima faceva parte dell’arredamento di un convento.
Come agente operativo era stato in Italia a studiare nel seminario del Sacro Cuore di Gesù e gli era rimasto nel cuore quel senso estetico così perversamente decadente. Era arrivato con documenti falsi spacciandosi per un seminarista clandestino e tornò
come prete cattolico regolarmente ordinato. Questa posizione gli
diede innumerevoli vantaggi professionali fornendogli molti agganci con terroristi e rabbini protetti dai cattolici, ma anche personali come dimostrava evidentemente la libreria fittamente intagliata. Lavorare in Italia fu una delle esperienze più interessanti della sua carriera. Caldo, sole, luce, ma soprattutto la più alta
- 87 concentrazione di opere d’arte. Gli sembrava di essere un visitatore dell’Hitlerzentrum; infatti ogni città italiana era una vera e
propria Linz in miniatura.
-Attiverò uno degli agenti del servizio intercettazione di Ufapensò. -Il capitano Peter Stein dovrebbe essere la persona ideale: giovane e dinamico ma abbastanza riservato. Devo anche
trovare qualcuno fidato che lo accompagni oltre confine. Dovrà
passare il confine senza alcun mezzo di comunicazione e farà
rapporto solamente al suo ritorno. Missione breve con minore
possibilità di fallimento.Iniziò a squillare il telefono distogliendolo dal piano che stava
già a grosse linee prendendo forma. Questo lo seccò estremamente e quindi si lanciò quasi sulla scrivania afferrando con rabbia la cornetta del telefono per farlo smettere.
“Heil!”
“Nucleo intercettazioni, Herr Standartenführer.” Come se li
avesse invocati pensando a loro. Ma la voce non era quella del
capitano Stein.
“Dica.”
“Stazione di Cracovia. Il numero telefonico che teniamo aperto
per le comunicazioni dell’operazione “tavoletta di fango”, è stato contattato stamattina alle ore undici antimeridiane.”
- 88 In un istante tutto il piano che aveva elaborato precipitò su se
stesso e si annullò mentre possibilità non previste stavano improvvisamente per affacciarsi al telefono.
“È stata rintracciata la località da cui è partita la chiamata?” domandò ansioso di notizie.
“Negativo. Possiamo solamente confermare che ha avuto origine
all’interno del Governatorato Generale.”
“Proceda pure, mi faccia ascoltare la conversazione.”
Il nastro partì quasi immediatamente e Altfried poté sentire la
voce del contrabbandiere che aveva incaricato di recuperare il
reperto dichiarare velocemente che rinunciava all’incarico.
“Un monologo più che una conversazione” pensò ad alta voce.
“Prego, Herr Standartenführer?”
“Niente. Buon lavoro. Grazie” e chiuse seccamente la conversazione. Meglio non fare trapelare ulteriori informazioni riservate.
“L’uccellino migra verso casa” proseguì parlando da solo ad alta
voce. “Non resta che appostarci intorno al nido. Magari porta
con se un ricordino non dichiarato.”
- 89 -
Capitolo XIV
Il quartiere di Kreuzberg era chiaramente un quartiere inconfondibilmente nazional popolare. Gli edifici erano stati edificati
quasi tutti successivamente alla prima svolta architettonica del
partito del 1950 quando ascese al potere il führer Albert Speer.
Ogni casermone era fabbricato in modo da circondare originariamente un giardino condominiale interno ma oramai, come era
capitato quasi ovunque a Berlino, il cortile interno era stato parzialmente trasformato in una serie di parcheggi per i condomini.
Al civico 13 l’ingresso al cortile era aperto quel pomeriggio,
come accedeva regolarmente da anni verso quell’ora. Il portinaio aveva, come suo solito, chiuso il portone e aperta la cancellata
del cortile. Con un paio di cesoie stava potando gli ultimi residui
di verde che ancora sopravvivevano tra un posto auto e l’altro.
Tutti i condòmini che avevano potuto si erano infatti riservati un
parcheggio per la propria autovettura dipingendovi in vernice
gialla il numero dell’interno sulle mattonelle grigie della pavimentazione. Trovando il portone chiuso chiunque volesse entra-
- 90 re doveva passare obbligatoriamente dal cortile e in questo
modo il portiere, pur essendo lontano dal suo gabbiotto all’ingresso, teneva sotto controllo gli accessi.
Alexander scese dallo Stadt–Bahnin, dalla metropolitana cittadina, in Schlesissches Tor proprio di fronte al portone del palazzo
di Heinrich. Un edificio moderno, un casermone classico. Era
parecchio tempo che Alexander non entrava in quel palazzo,
praticamente dalla sera in cui Heinrich aveva inaugurato la casa.
Il giorno successivo era sfilato con una divisione del Fronte del
Lavoro, il Nationalsozialisticher Arbeiterfreiwerdenbund,, lungo
le strade di Berlino e s’era imbarcato all’Hermann Göring Est su
di un Messerschmidt 262, un vecchio quadrimotore a reazione
risalente all’epoca dell’Espansione.
Era appena entrato che il portinaio, il quale era ovviamente anche Blockleiter, ossia responsabile politico del caseggiato, posò
la scopa con cui stava lavorando e si avvicinò velocemente.
“Heil.” Lo osservò attentamente. “Mi dica, chi desidera?”
Alexander, guardando la divisa del custode più che il suo volto,
rispose immediatamente senza esitare “Sto cercando Herr professor Heinrich Rust.” Risposte precise esposte con sicurezza
portano inconsapevolmente le persone a ritenere che si abbia
ogni diritto a fare quanto si chiede.
“Per quale motivo desidera incontrarlo?”
- 91 Evidentemente l’essere vestito come un polacco a festa aveva attivato tutti i meccanismi di sospetto di un buon Blockleiter. Ma
aveva già pronta una buona scusa altrimenti rischiava di essere
allontanato in modo anche poco urbano.
“Per fargli uno scherzo. Sono giorni che studiamo i costumi per
la sfilata allegorico–patriottica che stiamo organizzando con
l’Organizzazione Nazionalsocialista degli Insegnanti, la Nationalsozialisticher Deutscher Lehrerbund. Oggi, come vede, ho
deciso di suonargli al campanello vestito da subumano.”
“Ach, vedo. Uno scherzo spassoso, se mi permette.”
Alexander non gli rispose neppure e proseguì lungo il vialetto,
lasciando al suo lavoro il portinaio che si diresse quasi immediatamente verso la propria scopa e la riprese in mano per spazzare
le fronde appena potate. Le pesanti nuvole grigie che ricoprivano il cielo di Berlino facevano presagire un veloce peggioramento del tempo e lo stimolarono ad accelerare i tempi.
Alexander salì a piedi fino al terzo piano. Fin dall’infanzia gli
avevano inculcato con fermezza l’importanza di salire le scale a
piedi: infatti l’ascensore lo doveva usare solamente per portare
pesi o nel caso si fosse invalidi. D’altronde quando si aprivano
le porte apparivano coloratissimi cartelli di avvertimento “Eintritt verboten den gesund personen, Vietato l’uso alle persone
sane”.
Heinrich era sempre stato molto politicizzato fin dall’epoca universitaria in cui era stato nominato Zellenleiter, responsabile politico rionale, e l’aveva trascinato numerose volte, per questo
- 92 motivo, alle riunioni di Partito. Il suo nuovo campanello lo dimostrò una volta di più infatti suonandolo questo emetteva marziale le note dell’ Horst Wessel Lied. Heinrich aprì la porta e rimase quasi sorpreso nel vederselo comparire davanti. “Entra.
Non si può dire che non mi immaginavo saresti arrivato. Ho ricevuto la vostra lettera.”
“Già” rispose amaramente Alexander. “Dai, fatti abbracciare che
saranno cinque anni che non ci vediamo” esclamò sorridendo ed
entrandogli in casa. La porta si chiuse pesantemente alle sue
spalle come se volesse lasciare fuori ogni spiacevolezza..
“Ti trovo bene anche se un poco dimagrito. Quali nuove, dunque, dal fronte orientale?” chiese con un pizzico di malizia.
“Una storia lunga” disse perdendo il sorriso di poco prima. “Preparami un caffè intanto che ti racconto. Hai tempo?”
“Certamente” lo rassicurò Heinrich mentre entrarono in cucina.
“Già che ci siamo volevo chiederti se potessi ospitarmi per qualche giorno a casa tua.”
“Ma certo, va bene” rispose immediatamente Heinrich. “Lo sai
che nello studio ho fatto montare da quell'archeologo tuttofare di
Michael, che se ne intende, due ganci per poter appendere l’amaca degli ospiti? Stasera la tiro fuori dall’armadio.”
“Grazie. Ti ringrazio subito perché, se ricordo bene la tua amaca, domani mattina avrò la schiena a pezzi. Troppo per poter apprezzare la tua ospitalità.”.
- 93 -
- 95 -
Capitolo XV
Per tutta la giornata il vento freddo proveniente dall’altopiano
siberiano si era abbattuto sulla città. La temperatura si era abbassata fino a convincere i Berlinesi, anche i più riluttanti, a rimanere il più possibile rintanati nelle loro abitazioni. Per le strade
non c’era nessuno e, sulla cima degli edifici, i comignoli fumavano creando una serie ininterrotta di colonne grigie tra le case e
il cielo.
Con le mani intirizzite nei guanti di pelle, lo Standartenführer
Altfried bussò alla porta di un gabbiotto metallico che era da
poco tempo sorto in Stralauer Allee. Sembrava un alloggiamento edile per gli attrezzi che qualche ditta aveva posto vicino al
suo cantiere solamente che nessun cantiere era stato impiantato e
nessuno lo sarebbe mai stato.
Era in borghese, anche se così si sentiva palesemente a disagio.
Cappotto di cammello, con il bavero tirato oltre le orecchie, e
cappello di feltro a falde larghe calato pesantemente in testa per
evitare che se lo portasse via il vento. Cercava di non attrarre
- 96 l’attenzione sulla stazione di ascolto ma, nonostante tutto il suo
impegno, lo stesso modo in cui stava eretto e la rigidità con cui
bussava alla traballante porta metallica ne tradivano l’educazione militare.
Il tecnico in tuta blu che gli aprì lo salutò con un cenno della testa “Salve comandante. Mi avevano preavvisato del suo arrivo.”
Non gradiva ovviamente ricevere visite di controllo dal suo superiore quindi per vendicarsi non riuscì a trattenere una frecciata
verbale al suo indirizzo “Se gradiva spiare in anteprima avrei
potuto ritrasmetterle la conversazione direttamente su una linea
protetta.”
Altfried entrò e replicò senza nemmeno voltarsi “Sono sempre
stato dell’opinione che se non venisse utilizzata sarebbe ancora
più protetta.” Ironia sprecata anche se indirizzata verso chi impiega metà del proprio lavoro ad ascoltare linee protette e l’avrebbe dovuta almeno apprezzare.
“Quali microfoni hai attivato?” chiese al tecnico.
“Quello standard del telefono e un paio che erano stati murati
d’ufficio quando hanno rimesso a norma le linee elettriche dell’edificio, alcuni anni fa.”
“Sono entrati in casa da molto tempo?”
“Il padrone di casa non è mai uscito; è uscita di casa la moglie
da alcune ore, mentre il soggetto è arrivato da pochi minuti.”
Sollevò un paio di leve inserendo in vivavoce la conversazione
- 97 che si stava svolgendo nell’appartamento sorvegliato e proseguì
“Sono entrati in cucina dove ha iniziato a raccontare gli avvenimenti occorsi”
Altfried gli indicò la bobina che stava girando lentamente “Sta
registrando?”
“Certamente.”
“Allora quando me ne vado la bobina viene via con me; sul registro scriverai malfunzionamento temporaneo.” Poi aggiunse,
come se gli fosse passato per la mente ma non fosse neanche il
caso di dirlo, “Ovviamente durante le riparazione non sei stato
in grado di ascoltare ciò che stavano dicendo.” Poi lo squadrò
con quello sguardo fisso che usava abitualmente per comunicare
all’interessato che non aveva molte alternative.
Avuta dal tecnico la rassicurazione che desiderava ottenere, gli
voltò le spalle ignorandolo e si dedicò ad ascoltare cosa stesse
raccontando il proprio obiettivo in quel momento.
“Quindi mi sono travestito prima da contadino russo e poi, come
puoi ben vedere, da polacco e sono giunto in treno fin qui” terminò di raccontare Alexander. Stava bevendo una tazza fumante
di caffè nella cucina del suo vecchio amico anche se in quel momento avrebbe desiderato maggiormente farsi una doccia e dormire due giorni di fila. Ed era certamente indeciso su quale delle
due cose cercare di eseguire per prima, e quindi si concentrava
nell’annusare le ferrigne fragranze della miscela appena filtrata.
“Sei sicuro che Maximilian fosse ...”
- 98 “Si. Era in macchina. Appena hanno iniziato a sparare mi sono
voltato verso l’automobile che è esplosa proprio sotto i miei occhi. Certo non sono andato a controllare di persona ma non
avrebbe potuto cavarsela manco fosse stato protetto da Loki in
persona.”
Un onda di calore salì verso il volto di Alexander e gli parve di
essere immerso in un turbine di fiamme. Il panico gli oppresse
nuovamente il petto come se gli si fosse seduto sul torace un
macigno e quindi, mentre ancora raccontava gli avvenimenti, gli
si inumidirono gli occhi. Heinrich, che se ne accorse quasi immediatamente, deviò il discorso per allontanarsi da una situazione che stava per diventare imbarazzante. Portò abilmente la sua
attenzione su di un altro argomento.
“Non hai commesso alcun reato che necessiti di un ricondizionamento politico, mi pare di capire. In considerazione del mio ruolo ufficiale di Zellenleiter, oltre che di amico, mi permetto un
suggerimento: fermarti a dormire nel mio ufficio, questo per tutto il tempo che riterrai necessario. Domani, quando ti sarai riposato, cercherai un lavoro temporaneo ma ovviamente vestito da
persona civile. Conosci l’importanza di avere un lavoro. Poi
quando le acque si saranno acquietate deciderai come procedere.”
“Signor Zellenleiter Rust,” rispose con finto ossequio Alexander, “sulla linea da tenere che mi ha or ora esposto mi trova pienamente concorde. Anzi era proprio quanto desideravo fare. Solamente la prego di donare qualche vestito a questo povero colo-
- 99 no in disgrazia e di portarlo in bagno che ho tali e tanti strati di
sporcizia addosso che probabilmente verrebbero via meglio se li
togliessi con la striglia.”
“Già. L’odore che emani parrebbe confermarlo.”
Altfried chiuse il vivavoce. In base a quanto aveva appena sentito gli aveva appena raccontato ogni fatto e gli avevano chiarito
quanto era avvenuto. Più tardi, in ufficio avrebbe ascoltato con
precisione come si erano svolti i fatti.
Fece un gesto al tecnico come se gli chiedesse di avvicinarsi e
prese il nastro magnetico che questi prontamente gli porse. Se lo
mise nella tasca interna del cappotto e senza neppure salutarlo
uscì in strada, chiuse la porte dietro di se, e si allontanò silenziosamente diretto verso la sponda dello Spree.
Camminare gli permetteva di studiare le situazione. Era come un
teatro e lui cercava di spiare dietro le quinte.
-L’agguato non è stato organizzato dai nazisti e neppure dai sovietici. D’altra parte era un gruppo troppo numeroso e organizzato per essere dei semplici rivali in affari. Tra le ipotesi non
resta che la presenza di una cellula della congiura ebraica.
Considerando l’importanza politica del reperto, sarebbe stato
certamente possibile, anzi probabile.Il reperto ora sarebbe potuto essere in mano a chiunque. Decise
di aumentare i controlli sul suo obiettivo e poi, non appena le
autorità sovietiche avessero rilasciato il professor Whinkel, lo
- 100 avrebbe messo sotto controllo senza contattarlo. Quello che sarebbe stato utilissimo nel caso la cellula terroristica ebraica fosse
venuta allo scoperto sarebbe l’infiltrarla con un agente.
- 101 -
Capitolo XVI
Sono in coda. Una lunga fila d’uomini nudi e privi di volto.
Sono tutti ordinatamente in fila e si procede un passo alla volta.
Decido di sporgermi, anche se non lo fa nessuno, per osservare e
comprendere cos’è che causa questa fila. Sono due uomini in camice e con un volto: stanno all’inizio della coda. Con un forcipe,
castrano velocemente gli esseri della fila. Probabilmente io non
appartengo a questa file perché forse ho un volto.
I residui dell’operazione vengono gettati in un secchio ai loro
piedi. Da sotto il camice vedo chiaramente che gli spuntano stivali lucidissimi come quelli da parata.
È quasi arrivato il mio turno e sono subito dietro alla persona in
quel momento veniva operata dai due Herrenvolk. Non ho paura, ma non gradisco essere operato per il momento. Non ho alcun timore e con tutta tranquillità li supero inosservato e ignorato, e proseguo a camminare reinserendomi nella fila con tutti gli
eunuchi.
- 102 Intorno a me tutto era scuro, probabilmente blu scuro. Oramai la
luce è sempre più intensa anche se non illumina nulla, sembra
che l’intero ambiente sia avvolto dal velluto. Il sole stava per
sorgere ed è probabilmente alle mie spalle, perché ora lo sentivo
scottarmi la schiena.
La luminosità divenne quasi accecante.
Così accecante che alla fine Maximilian fu costretto ad aprire gli
occhi. Il sogno svanì lentamente sfilacciandosi nella sua coscienza. Un’immagine confusa prese lentamente forma, mentre
strizzava infastidito gli occhi.
Si sentiva ancora stordito e gli pareva di dondolare come se si
trovasse in barca. Un pallido riflesso marrone assunse i contorni
sempre più netti ed evidenti nel pallido chiarore della stanza in
cui si trovava. Intorno a lui apparve una camera di tronchi che
sembrava l’abitazione di un guardacaccia e non la cabina di una
nave.
Solamente legno e pietra e le fessure in mezzo ai tronchi erano
chiaramente cementate con zolle di terreno. Nella stanza vi era
una stufa cilindrica, un tavolo di legno con una sedia dal canniccio parzialmente sfondato e una mensola su cui spiccavano il
“Mein Kampf” di Hitler e il “Mytus” di Rosemberg. Non vi era
null’altro, a parte il letto su cui era adagiato Maximilian. Non
era preoccupato, anche se avrebbe dovuto esserlo considerando
quello che era successo e a rammentarglielo aveva la schiena
che gli bruciava ancora.
- 103 L’ambiente era familiare, quasi rassicurante. La stufa emanava
un calore eccessivo che lo colpiva sul fianco sinistro mentre il
fianco destro, dal lato della parete, era ghiacciato. L’odore di
cibo caldo e grasso ondeggiava ancora nell’aria; qualcuno aveva
recentemente cucinato in quel piccolo locale. Il sole doveva essere immobile. Erano ormai ore che rimaneva fisso nello stesso
punto del cielo.
La sera prima, quando era cominciata la sparatoria, aveva fatto
appena in tempo ad aprire lo sportello che il mondo intorno a lui
era impazzito e una ventata calda l’aveva scaraventato sul prato
con un colpo deciso sulla schiena. La pressione dell’aria l’aveva
poi tenuto schiacciato a terra togliendogli il respiro come se una
possente mano d’aria lo avesse schiacciato sull’erba.
Era rinvenuto che sanguinava da varie parti, probabilmente a
causa delle schegge. Il tempo era confuso e subito dopo, o dopo
alcune ore, si era diretto verso la casa. Forse non vi arrivò mai.
Comunque sia qualcuno sicuramente lo aveva portato lentamente in spalla verso questo rifugio in cui ora si trovava. Questo almeno gli parve di rammentare. Era al sicuro oppure era in arresto, e l’avevano posto in un ambiente falsamente rassicurante
per stimolarlo a parlare. Magari gli avevano iniettato anche
qualche droga euforizzante.
Fuori sussurrava con un ritmo meccanico ed incessante un generatore elettrico d’ovvia costruzione sovietica: ogni tanto perdeva
un colpo per la pessima qualità tecnica del prodotto. Ci troviamo
chiaramente in territorio nemico.
- 104 -Non ho nulla da rivelare- pensò Maximilian ma decise che sarebbe stato meglio accertarsi della situazione all’esterno della
capanna in prima persona. Si alzò in ginocchio sul letto ed osservò il bosco intorno alla capanna che l’ospitava. Le molle del
letto cigolarono mentre fuori il rumore del generatore continuava a pulsare ritmico.
Nello spiazzo davanti al bosco una figura infagottata, tuttavia familiare, era intenta a spezzare la legna con un’accetta. Erano ormai anni che non la vedeva ma la trovò sempre affascinante e
per un istante gli sembrò fossero passati pochi giorni dal loro ultimo incontro. Sentì un’acuta punta trafiggergli il cuore ma, prima che il cervello potesse rendersi conto del motivo, la sensazione sparì quasi senza lasciare traccia.
- 105 -
Capitolo XVII
Un palazzo di mattoni rossi posto su una base di pietra bugnata a
diamante si parò inaspettatamente di fronte ad Alexander. Era
ornato, sulla facciata superiore, da una serie di colonne in pietra
striata che ne aggraziavano la foggia. Nelle vicinanze lo sciabordio dello Spree era sovrastato dal rombo dei motori degli automezzi che a quell’ora invadevano il centro di Berlino e si precipitavano come un branco impazzito di animali in ogni direzione
possibile.
Una volta varcato l’ingresso lo circondò improvvisamente un silenzio denso che spesso aveva trovato insopportabile quand’era
negli Urali. Ora, nel buio freddo di quest’androne, lo apprezzò.
Osservava attentamente una lunga teoria di targhe bronzee appese alla parete in cerca di un’indicazione. Tutta una serie di uffici
governativi aveva sede in quel palazzo, ogni piano, infatti, era
evidenziato e seguiva una lunga lista di uffici. Alexander, leg-
- 106 germente a disagio negli stretti vestiti prestatigli dell’amico, era
solo nell’androne e con gli occhi sollevati leggeva sottovoce le
varie targhe.
“Secondo piano: Volkswohlfarth, Previdenza Sociale; Deutsche
Arbeitsfront, Fronte del Lavoro. Terzo Piano: Ufficio di Collocamento. Ahhh, trovato!”
Si diresse verso la rampa marmorea di scale ed iniziò a salire
lentamente tenendosi diligentemente sulla destra, anche se al
momento non stava scendendo nessuno. Giunto al terzo piano
seguì l’indicazione “Registrazione lavoratori in cerca di nuova
occupazione” e girò a destra inoltrandosi nel corridoio.
C’era pochissima gente in giro sul piano quella mattina. Di fronte allo sportello non c’era nessuno. Non molti apprezzano a pieno l’Ufficio di Collocamento, soprattutto se avevano scarsa capacità d’adattamento. Si mormorava che capitasse frequentemente, forse per una specie di ripicca anti–intellettuale del sistema, che stimati professori e promettenti laureati si siano trovati
in organico nel dipartimento di Nettezza Urbana. Solitamente,
per loro sfortuna, era politicamente sconsigliabile rifiutare, senza validi motivi, un lavoro offerto dalla struttura del partito.
La mattina, prima di mettersi nelle mani del sistema, aveva messo un annuncio anche sul Völkischer Beobachter ed aveva telefonato ad un’agenzia immobiliare per delegare ufficialmente la
vendita della propria fattoria.
- 107 Subito dopo aveva deciso di inserirsi nel sistema di collocamento pubblico e di dichiarare allo Stato la sua attuale residenza.
Ogni possibile gruppo avrebbe potuto essere responsabile della
sua attuale disgrazia, ad eccezione della propria patria: anche
qualora avesse sbagliato le proprie valutazioni in questo caso
avrebbe ritenuto giusto accettare il proprio destino qualunque
esso fosse. D’altronde lo confermava anche il motto famoso tra
le Totenkopfverbände: “A ragione o a torto è la mia patria”,
Recht oder Unrecht, Mein Vaterland.
Di fronte all’impiegato compilò velocemente la scheda. Era
composta di sei pagine che richiedevano una serie meticolosa di
dati personali. Dietro al vetro, intanto, l’impiegato, in camicia
bianca e giacca della divisa aperta, continuò lentamente il proprio lavoro. Era magro, anzi praticamente secco, capelli scuri
ma corti, abitudine che aveva sicuramente assunto nell’esercito
da cui doveva essere stato congedato a causa delle ferite riportate. Sul volto aveva, infatti, una profonda cicatrice violacea che
spiccava sulla pelle devastata e una benda copriva il suo occhio
destro.
Scrisse riempiendo diligentemente ogni spazio libero con tutti i
dati personali richiesti.
“Alexander Britten nato il 14 maggio 1969. Abstammungsbescheid rilasciato a Stoccarda. Ultimo impiego: Wehrbauer.”
- 108 A questo punto era leggermente preoccupato dal fatto che l’impiegato, il quale quasi sicuramente era stato in servizio nelle regioni di confine, lo potesse giudicare e lo considerasse un disertore. Magari avrebbe potuto indirizzare la sua pratica in maniera
inadeguata se non addirittura malevola.
Dovette scrivere i nomi di tutti i suoi bisnonni giusto per accertare che fosse otto ottavi ariano nonostante avesse già dichiarato
il proprio Abstammungsbescheid, ossia certificato comprovante
l’identità ariana. Ci mise quasi mezz’ora a descrivere la propria
vita nei dettagli cominciando con gli studi effettuati fino a giungere ai passatempi preferiti.
Terminò dopo alcune ore e si diresse all’uscita; varcata la soglia
ritornò finalmente all’aperto e si diresse verso il “Radioso Avvenire”. Camminava lentamente cercando di rilassarsi: era ormai
troppo tardi per compiere ulteriori passi e troppo presto per affrettarsi verso il pranzo.
Prima di uscire, quel mattino, s’era messo d’accordo con Heinrich, che l’ospitava nel suo studio, che avrebbero pranzato assieme in quel locale, uno dei più apprezzati dall’intellighenzia berlinese. Menù fisso e prezzo calmierato: queste, probabilmente,
oltre al fatto che si mangiava sempre bene, era la formula che
aveva fatto la fortuna di questo locale con i muri in pietra e le
volte a botte.
- 109 Rammentava con nostalgia quando, alcuni anni prima, divenne
il loro ritrovo per dopo le lezioni, e in quel luogo profano fecero
scorrere fiumi di birra scura, specie quando serviva loro a facilitare la digestione di würstel e crauti.
Sulla porta un piccolo cartello scritto con un pennarello rosso diceva: “cercasi aiuto cuoco”. Guardò dentro. Heinrich non era ancora arrivato e quindi decise di offrire il proprio nominativo per
quel lavoro.
Non appena la porta si chiuse dietro di lui si diresse deciso verso
il bancone di mescita. Il bancone era presente fin dalla nascita
del locale ed aveva incise, sul noce massiccio delle tavole, scene
conviviali classiche e germaniche.
“Senti,” disse rivolgendosi a un ragazzo in tenuta da cameriere
che stava preparando alcune birre, “ho letto entrando che cercate
un aiuto cuoco. Sono interessato al lavoro.”
Il ragazzo interruppe di spillare la birra “Adesso il capo non c’è.
Lasciami un numero di telefono o un curriculum. Gli e lo consegno quando arriva.”
“Non ho con me alcun curriculum al momento. Ti lascio il mio
numero di telefono” propose Alexander mentre gli scriveva su
un quadrato di carta il proprio nome ed il numero di telefono di
Heinrich. Il proprio cellulare l’aveva abbandonato alla fattoria.
A causa di una crisi di paranoia aveva temuto lo potessero rintracciare.
- 110 Heinrich entrò in quel momento assieme ad alcuni suoi allievi
che lo seguivano attenti e impettiti come se fosse il loro cane pastore. “Ehi, Alexander, Ci sediamo a mangiare?” disse congedando il suo seguito con un leggero gesto della mano. “La sala
in fondo” indicò Alexander.
- 111 -
Capitolo XVIII
Era una giornata insolitamente calda per essere il novembre degli Urali. Il freddo proveniente dall’altopiano siberiano giungeva
molto lentamente la mattina presto, come una marea mediterranea, per poi ritirarsi a ondate di fronte al sole. Il cinguettio allegro di un cardellino risuonò lontano quasi annunciando pace e
tranquillità, ma poi il suo cinguettio sparì come inghiottito dalla
distanza.
Un fitto bosco di altissime conifere abbracciava e al tempo stesso isolava, circondandola, la radura su cui sorgeva la capanna in
cui era rinvenuto Maximilian.
Sullo sfondo le rocce frastagliate degli Urali si ergevano a picco
verso il cielo in mezzo alle punte verdi e gialle degli alberi. Il
sole pallido si era levato all’orizzonte già da qualche tempo, e
pareva riscaldare ogni cosa. Ma era una falsa impressione.
- 112 Se fosse uscito per sgranchirsi le gambe e per godere del falso
tepore si sarebbe rapidamente ricreduto e sarebbe stato costretto
a rientrare nuovamente con tutta la velocità possibile. Prestandoci attenzione riusciva ad avvertire fin da dentro la capanna il
freddo diabolico dell’aria rarefatta, quasi cristallina.
Pur tenendo gli occhi aperti gli tornarono alla memoria le scene
della sua fuga, l’auto colpita, l’immagine della casa mentre cadeva spinto a terra senza più forze. Tutto quanto, poi, si confondeva nella sua testa e la fitta del suo animo fu per un istante più
dolorosa di quella del corpo.
Maximilian visualizzò il panorama e poi voltò le spalle alla finestra. Si sedette sul letto appoggiandosi al muro di tronchi ma il
grezzo della corteccia lo fece trasalire. Puntò quindi i pugni sul
pagliericcio e si alzò dirigendosi verso il tavolo, su cui vedeva
svettare un vecchio modello di caffettiera russa. Sperò sinceramente che fosse piena.
“Oh Dei, grazie.” mormorò sollevando il coperchio della caffettiera. Rimase incerto se riempire la tazza e sedersi a riconfortare
il suo spirito, oppure se andare incontro alla sua ospite.
Decise che ormai i tempi erano maturi; aprì la porta che sembrava composta più da fessure che da assi di legno e la chiamò.
“Katharina.”
“Ti sei svegliato, finalmente” disse entrando nella capanna. “Hai
idea dei problemi che hai causato a me e a mio padre?”
- 113 La voce aveva quella dolcezza e morbidezza che affascinavano
quasi chiunque avesse avuto mai la fortuna di sentirla. Gli sembrò così palpabile che pensò per un istante di vedere dalla sua
bocca colare e quasi fluttuare il miele ambrato, e questo lo fece
sorridere soddisfatto. Aveva ancora quel ciuffo laterale grigio
che venavano i suoi fluenti capelli corvini. Si era sempre domandato se per caso non li decolorasse appositamente. Da quando si conobbero la prima volta, quindici anni prima, quel ciuffo
era sempre rimasto uguale.
Era appena entrato alla Führer Hitler Universität quando dovette iscriversi ad una serie di organizzazioni come ad esempio alla
Lega degli Studenti Tedeschi, la Deutscher Student Bund. Un
pomeriggio i suoi amici lo trascinarono a bere un caffè a casa
del professor Whinkel e lui fu trascinato come risucchiato da un
vortice all’interno del gruppo. Il professore riceveva tutti i giovedì pomeriggio nel suo salotto in maniera informale e quindi
sembrava quasi d’essere in una intimità familiare.
Fu durante quelle riunioni pomeridiane che vide Katharina per la
prima volta. Capitava alcune volte che portasse qualche oggetto
al padre: entrava quindi nella stanza in cui erano tutti intenti a
discutere su un qualche argomento estremamente culturale. Varcava la soglia silenziosamente come una vestale, si avvicinava
all’orecchio del padre posandosi sulla sua spalla come una farfalla e, dopo aver bisbigliato qualcosa ed avergli consegnato
quanto doveva, si allontanava. La prima volta che capitò si sentì
il cuore lieve come un uccello che stesse per spiccare il volo e
divenne quindi un frequentatore assiduo di quelle riunioni.
- 114 Il professore permetteva alcune volte alla giovane figlia di seguire, se ne aveva voglia, quelle loro riunioni a metà tra il filosofico e il cameratesco. Si beveva e si parlava, si rideva e si discorreva. Il più delle volte di argomenti frivoli ed inutili. Alcune
volte di politica, di filosofia o di storia. Spesso di nulla.
Fu in quelle occasioni che Maximilian maturò una decisione su
cui poi modellò molte delle sue azioni. Qualche mese dopo ne
parlò con Heinrich una sera che stavano cercando di infrangere
con molta convinzione la Polizei–Stunde, l’ora di polizia in cui
era prevista la chiusura dei locali pubblici.
“Lei ancora non lo sa. Noi ci metteremo assieme.”
“Lei chi? Non vorrai dire la figlia del professor Whinkel?” Chiese Heinrich sgranando gli occhi e poggiando il boccale.
“Certamente” assentì con la testa Maximilian.
“Ah. Quando ti farai avanti?”.
“Quando sarà il momento giusto.” Dopo quelle parole aspettò
con pazienza quasi due anni facendo rimanere molti suoi amici
perplessi. Poi dovette aspettare ancora, perché un’afosa mattina
d’agosto lei e suo padre lasciarono il paese. Il professore purtroppo era un animale troppo politico per non finire coinvolto,
anche se marginalmente, nella purga del 1986.
I viali si riempirono di manifestanti quell’estate e la tensione era
quasi palpabile tanto era densa. I processi si susseguivano ininterrotti presso il Tribunale del Popolo, il Volksgerichtschaft, e i
- 115 risultati erano evidenti osservando la lista degli insegnanti in organico che variava di ora in ora. Chi poteva espatriava e qualche
raro coraggioso o incosciente fece autocritica dei propri errori
direttamente in televisione con gli occhi fissi e sbarrati mentre
intorno a lui il mondo sembrava impazzito.
Fu un estate terribile per molti.
- 117 -
Capitolo XIX
“Hai idea dei problemi che hai causato a me e a mio padre?” Iniziò lei brutalmente fin dalla soglia. La sua figura scura incorniciata dal rettangolo luminoso della porta la faceva somigliare ad
una Valchiria. Maximilian rimase spiazzato. Non si aspettava
questa esplosione.
In verità non si era mai del tutto seriamente prospettato quale
possibile reazione avrebbe potuto avere. Era sempre andato
avanti verso la propria meta come se stesse semplicemente dirigendo su di un obiettivo militare. Non aveva considerato neppure per un istante che avrebbe avuto a che fare con un essere
umano e con il suo comportamento; questo imprevisto lo lasciò
interdetto.
Fece per alzarsi ma il suo gesto improvviso gli strappò un lamento. La ferita ancora aperta irradiava dolore lungo tutta la
schiena impedendogli di pensare. Reagì dando l’unica risposta
logica che gli balzò in mente: “Davvero non capisco cosa sia
successo. Mi sono fatto accompagnare fin qui per cercarti e sa-
- 118 pevo che se mi avessero scoperto avrebbero potuto scaraventarmi in un lager siberiano ma ti assicuro che non immaginavo mi
avrebbero sparato addosso. D’altronde, se avessi saputo che
avrebbero fatto tiro a segno su di me, mi sarei portato almeno un
giubbotto antiproiettile. Sai, a volte posso essere molto previdente.”
Katharina sistemò l’accetta appendendola alla parete e, voltandogli le spalle, si tolse il giaccone. Dalla porta una leggera brezza portò dentro alcune foglie secche che tappezzavano il largo
spazio attorno alla capanna. Sembrava quasi che non lo stesse a
sentire ma un leggero alzarsi delle sopracciglia, se Maximilian
l’avesse potuto notare, avrebbe chiaramente indicato che sentiva
e valutava ogni sua singola frase.
Si voltò verso di lui e tornò ad affrontarlo “Interrompimi se sbaglio. Tu hai frequentato assiduamente i caffè pomeridiani che si
svolgevano in casa nostra. Nell’ultimo periodo della nostra permanenza a Berlino venivi praticamente tutte le settimane e ti sedevi sempre nel divanetto a destra.”
“Esatto.”
“Parlavi poco” continuò lei “e quando dicevi qualcosa poteva
sempre dare da pensare. Ma non possedevi il carisma per sostenere certe verità che spesso, quindi, passavano inosservate.”
“Vedo che ricordi molto bene quei momenti. Li hai analizzati
meglio di quanto potrei fare io stesso. Ci terrei affinché tu sapessi che quando ve ne siete andati improvvisamente e senza saluta-
- 119 re nessuno ci siamo rimasti molto male. Io in particolar modo.
Quel giorno decisi che appena possibile sarei venuto per aiutarti,
se necessario, e per stare al tuo fianco.”
Una dichiarazione repentina e brutale che lasciò interdetta la
giovane donna. Una dichiarazione studiata per lungo tempo:
spesso in quegli anni Maximilian ne aveva anche valutato l’effetto osservandosi allo specchio. Ne aveva calcolato ogni sfumatura.
Katharina ruotò su se stessa e si allontanò dandogli le spalle
come se dovesse fare qualcosa di importante. Utilizzò il tempo,
che questo gesto gli guadagnò, per studiare una risposta. Rovesciò il caffè nella tazza: un gesto sbagliato. Un gesto evocativo
anche per lei, che portava con se i pomeriggi berlinesi ancora
adesso rimpianti. I pomeriggi di alcuni anni prima che, avvolti
dalle nebbie del passato, apparivano mille volte più gradevoli
del bruciante presente.
“Tu non capisci” gli disse Katharina porgendogli la tazza appena
riempita. “Io purtroppo sono fuori dal corpo vivo e pulsante del
Reich. Io ormai devo vivere qui, in esilio per mia stessa volontà.
La mia vita è ormai segnata da questa terra.”
“Non è vero. E non ci credi nemmeno tu. Basta vedere i libri che
tieni nascosti in questo tuo rifugio.” Indicò la mensola in lontananza su cui giacevano i due volumi fondamentali per un tedesco ma che in Unione Sovietica le avrebbero potuto creare problemi a non finire con la NKVD.
- 120 Maximilian prese la tazza con la mano destra ma con la sinistra
le bloccò il polso. Poggiò la tazza in terra e la guardò negli occhi
e provò un’altra carta a lungo studiata. “Senti, mia cara,” iniziò
con una espressione seria ma che faticava a trattenere il sorriso
“tempo addietro sono stato iniziato alle segrete conoscenze dell’alto Ordine dei Cavalieri del Dragone. Uno spirito guida mi ha
pervaso di poteri stocastici. Ora, osservando le linee della tua
mano, posso vedere chiaramente inciso il tuo passato e delinearsi il nostro futuro.”
Iniziò quindi con l’indice della mano destra a sfiorare il suo palmo come se ne stesse seguendo le linee.
“Qui chiaramente è visibile una separazione che rappresenta una
liberazione.”
“Senti ...” cominciò lei titubante.
“Ti ascolto solamente se dici -Si- oppure -Proviamo-.”
“E va bene. Se ci tieni così tanto, proviamo. Ma non sono del
tutto convinta di quanto sto facendo. Soprattutto tu farai un cattivo affare.” Ma anche se diceva che non era d’accordo, i suoi occhi parevano quasi luccicare per l’emozione.
Ottenuto finalmente ciò che voleva, il motivo per cui aveva preso due mesi di ferie dal servizio e si era lanciato in questa avventura oltre confine, finalmente Maximilian poté rilassarsi.
- 121 I muscoli si decontrassero e il suo cuore piombò in una strana
serenità come la superficie di un lago in una notte senza vento
ma la sua mente si rimise in moto per cercare di risolvere la situazione in cui si era andato a cacciare.
- 123 -
Capitolo XX
“Il posto è tranquillo?” chiese Maximilian ora che era stato rassicurato del buon esito della sua missione personale. “Si. Siamo
distanti almeno dieci chilometri da ogni presenza umana. Dato
che sei sveglio però devo medicarti, perché hai la schiena malridotta. Sembra ci siano passati sopra camminandoci con i ramponi da ghiaccio.”
Prese da una cassetta del filo e un ago. Dopo aver lasciato l’ago
sulla stufa a sterilizzare iniziò a pulire con una pezza imbevuta
di disinfettante la schiena di Maximilian. “Ora cucio, se senti
troppo dolore fermami.” Prima che il poveretto potesse rendersi
conto di quello che stava succedendo, Katharina gli diede alcuni
punti di sutura per chiudere il largo sfregio che gli solcava la
schiena. Sussultò solo inizialmente al dolore pungente sulla
schiena mentre la sua compagna cucì pazientemente e rapidamente le labbra gonfie e tumefatte della ferita come se fosse un
lavoro che era abituata a svolgere.
- 124 Il silenzio era assoluto anche perché chi non stava cucendo cercava di sopportare il dolore con tutto l’impegno che ci si aspettava da un vero uomo. E sopratutto cercava i non mordersi la lingua o le labbra per non urlare.
Terminata l’operazione, dopo un sospiro di sollievo, si voltò e
continuò: “Per un po’ saremo anche al sicuro ma ricordati che,
oltre che cittadino tedesco, sono membro della GESTAPO e
quindi appartengo d’ufficio alle SS. L’Unione Sovietica non è
certamente il posto più adatto in cui darmi alla macchia.”
La guardò negli occhi e giocò tutto il suo futuro per la seconda
volta in un’unica proposta: “Se vuoi che rimanga qui con te posso andare a costituirmi come disertore politico. Ma prima di partire ho controllato la tua posizione nella banca dati centrale della
RSHA ed non vi è nessuna pendenza o accusa contro di te. Tuo
padre invece ha la scheda parzialmente riservata e ci voleva un
altro livello di accesso per potervi accedere completamente. Se
garantisco io per te presso le autorità sono sicuro che non ci saranno problemi.”
“Mi stai praticamente prospettando concretamente la possibilità
di rientrare in patria senza correre alcun rischio. La proposta
chiaramente mi alletta moltissimo ma prima di risponderti devo
prendere tempo per riflettere. Sei in grado di dirmi se dovrò fare
riabilitazione politica?”
- 125 Maximilian scosse la testa: “No. Casi simili che ho studiato mi
inducono a credere che basterà compiere il Landjahr, l’anno di
lavoro agricolo obbligatorio. L’avresti dovuto portare avanti
come membro della Lega delle Giovani Tedesche, la Bund
Deutcher Mädel, e invece l’hai saltato trasferendoti all’estero.”
Sul tavolo, da un lato, vi era un pacchetto di carta marrone. Katharina, notando che il suo sguardo era andato a cadere sul pacchetto gli spiegò “Questo era ciò che mio padre doveva consegnare al tuo accompagnatore. Alcune persone dall’altra parte del
confine saranno estremamente innervosite, a dir poco. Sarà meglio portarglielo quando andrai ... quando andremo dall’altra
parte.”
Maximilian rimase in silenzio e poi chiese: “Persone ad alto livello?”
“Questo si. Certamente.”
“Hanno cariche ufficiali nel partito o nello Stato?”
“Non saprei. Ora esco per andare a vedere come sta papà. Lui
certamente lo saprebbe, però non gli posso chiedergli nulla perché lo sta interrogando la NKVD. Se la dovrebbe cavare abbastanza bene, ma è meglio non smuovere troppo le acque.”
“Certo che mi farebbe comodo sapere come muovermi. Più che
altro però, vedi se riesci a capire chi ha tentato di farmi la pelle
ieri sera.”
- 126 Maximilian la seguì con lo sguardo, dalla soglia aperta, mentre
si allontanava nel bosco; la osservò mentre imboccava veloce il
sentiero e dall’alto una pioggia di raggi luminosi, filtrata dalle
chiome degli alberi, finiva con l’illuminare sempre più debolmente il suo rapido passaggio.
Non appena fu uscita Maximilian si voltò e aprì il pacchetto. Gli
apparve in mano una piccola tavola di argilla cotta la cui superficie era solcata da numerosi piccolissimi segni come piccole
zampe di galline: un reperto archeologico spuntato alla luce dalle lontane sabbie del tempo. Lo poggiò sul tavolo e lo osservò
perplesso. “Ma guarda un po’!” mormorò meravigliato. Scrutò
in giro e trovò una matita, ma per quanto s’impegnasse non gli
riuscì di trovare nessun pezzo di carta.
Alla fine prese il volume di Rosemberg, lo aprì e vi strappò l’occhiello osservando ad alta voce: “Sei quasi intonso. Mmm, bèh
almeno finalmente servirai a qualcosa.” Si sedette al tavolino e
cominciò a copiare disegnando con precisione ogni dettaglio
della tavoletta che era parzialmente rotta da un lato e fitta in
modo quasi impossibile di segni cuneiformi.
La sera calò rapidamente immergendo la valle nella penombra, e
la capanna fu presto immersa in quel silenzio irreale che solitamente cade sulla natura quando gli animali notturni stanno per
lasciare le proprie tane e per dedicarsi alla loro furtiva caccia.
Un silenzio che si trova solamente al confine tra le ultime luci
del giorno e l’oscurità della notte.
- 127 Maximilian terminò di ricopiare la tavoletta e nascose il foglio.
A questo punto, dopo essersi preparato così una possibile assicurazione sulla vita, iniziò a pensare come allontanarsi indisturbato dal territorio dell’Unione Sovietica. Ricordava a malapena
la disposizione topografica della zona. A nord–ovest le montagne con le loro cime più alte piegano verso il Reich per poi proseguire verso sud scemando di altezza. Sarebbe stato sicuramente meglio trovare qualcuno disposto a guidarlo attraverso la
frontiera perché, per quanto solitamente la fortuna lo aiutasse,
avrebbe potuto finire in mano alle pattuglie della polizia di frontiera. Se fossero state quelle sovietiche sarebbe stato peggio, ma
anche quelle nazionalsocialiste gli avrebbero potuto creare immensi problemi.
Dopo averci riflettuto a lungo ritenne opportuno contattare qualcuno che lo potesse aiutare. Doveva contattare qualcuno di fidato e comunque, forse proprio per questo motivo, che non avesse
alcun legame con il suo ufficio. E sapeva come e a chi rivolgersi.
Avrebbe potuto trovare abbastanza agevolmente sul mercato
nero locale i numeri e i codici per accedere, tramite la linea telefonica, a una Anschlagtafel Gefuge, una comunità virtuale in
cui, come su un tabellone, ognuno inseriva i propri messaggi e
poteva leggere quelli di tutti gli altri. Avrebbe chiesto al loro sistema di inoltrare una sua lettera. Il flusso dei dati sarebbe stato
certamente controllato e avrebbero rilevato il telefono utilizzato
per la chiamata, ma dal tracciamento della trasmissione dei dati
al momento in cui, rilevando l’anomalia, l’avrebbero iniziato a
cercare lo avrebbe separato probabilmente alcune ore.
- 129 -
Capitolo XXI
La piccola cittadina di Kampala era piena di vita quella mattina.
Tutti per strada commentavano quello che per loro era l’avvenimento più impressionante ed eccitante degli ultimi mesi, ossia
un violento conflitto a fuoco tra sconosciuti nel bel mezzo della
loro cittadina e scatenarono al massimo la loro fantasia. Ognuno
ne dava la interpretazione che preferiva. Spie, criminali tedeschi,
contrabbandieri o spacciatori di droga iniziarono a popolare i
loro discorsi quotidiani.
Poco distante dalla zona dov’era avvenuto il fatto, in un spoglio
ufficio di una anonima palazzina, alcune persone discutevano
anche loro dell’avvenimento ma erano estremamente agitate.
“Incompetenti, pazzi, idioti e maniaci” brontolò Joahchim alzando gli occhi e le mani al cielo come un antico patriarca in preghiera. “Si può sapere cosa diavolo,” e dopo questa espressione,
senza interrompere il flusso del discorso, eseguì un chiaro gesto
scaramantico “cosa diavolo passava per la testa dei tuoi uomini?
- 130 Sono forse stati contagiati dalla mania infantile per i videogiochi
che si sono messi a sparare su tutto ciò che si muove? Grazie a
Dio avete eliminato solamente le talpe del giardino.”
Joahchim stava rimproverando come un ragazzino colto in fallo
il comandante della colonna locale delle Brigate Gedeone e questi mostrava evidentemente di non gradire. La sua testa completamente rasata luccicava incassata tra le spalle e i suoi occhi gli
lanciarono uno sguardo tagliente come il filo di una spada. Di
fronte a lui Joahchim ruggiva il suo disappunto e la sua criniera
brizzolata vibrava all’aria facendolo assomigliare ad una belva
pronto ad assalirlo ma questi gli rispose con feroce determinazione “Ma suvvia, balebos, non si è fatto male nessuno.” Joahchim lo squadrò e il suo sguardo fu più eloquente delle parole irritate che seguirono.
“Solo per volontà dell’Altissimo. Non certo grazie alla vostra
professionalità. Voi a momenti mi facevate fuori se non fossi
stato abbastanza veloce nel buttarmi a terra.”
“Oh, merda,” obiettò il comandante dilatando il torace con un
profondo sospiro “voi dell’Haganàh avete sempre di che lamentarvi. Ma poi quando avete del lavoro sporco chiamate sempre la
Brigata.”
Si alzò e mantenendo fisso lo sguardo verso Joahchim pur muovendosi lentamente per la stanza come soppesando le parole, parole pesate contate e divise, proseguì: “E poi io sarò anche incompetente ma voi non siete meglio di me, certo. Siete entrato
in quella casa per avere il reperto, e ne siete uscito a mani vuote.
- 131 Smettetela quindi di sentirvi superiore anche se discendete da
una stirpe di rabbini. I miei ragazzi sono nati nel fango dei campi profughi di Katayka e di Tikhaya. Ogni sera e ogni mattino
pregano ferventemente con i teffilin al braccio sinistro e con la
kippà in testa però al loro fianco è sempre presente la cintura
esplosiva che aspettano con ansia di usare.”
Sarah intervenne per stemperare l’indignazione di Joahchim e
per evitare dicesse, nella rabbia che lo pervadeva, qualcosa di
cui potesse pentirsi. “Ormai il bue è scappato. Magari c’è un
modo per richiamarlo indietro e farlo rientrare, ma è inutile
chiudere la stalla.”
Entrambi gli uomini, che erano in piedi ai due lati del tavolo e
con le mani poggiate sul bordo, si zittirono e la osservarono attentamente. Forse la sua quieta giovinezza stava superando la
saggezza dell’età. Rimase seduta senza neanche alzare gli occhi
e proseguì focalizzando maggiormente il problema: “Gli obbiettivi prioritari della missione erano trovare e impadronirsi del reperto. L’ultimo ad averlo visto e tenuto in mano, a quanto ho
sentito dire, è il professore. Dobbiamo fare in modo che ci dica
nuovamente dove si trova ora.”
“Facile a dirsi” le rispose e nel frattempo si avvicinò a una delle
finestre che illuminavano la stanza e vi si dondolò di fronte osservando sotto di lui un malinconico e asfittico prato cittadino.
Ci abbiamo impiegato mesi continuando a pedinarlo e intercettando le sue comunicazioni e i suoi discorsi prima di poter procedere con un certo grado di sicurezza. Ora, dopo gli interroga-
- 132 tori dei sovietici, sarà più abbottonato del solito. Anche perché
sarà stato sicuramente messo sotto sorveglianza anche da parte
dell’NKVD. E lui se lo immaginerà certamente.”
“E la figlia?”
“È sparita” rispose il comandante puntando i pugni chiusi sul tavolo con un gesto di impazienza.
“Cosa vorrebbe dire che è sparita?” chiese preoccupato Joahchim “Dobbiamo rintracciarla.”
“Pensi che abbia lei il reperto?” domandò Sarah con interesse.
“Ci metterei la mano sul fuoco, mia cara.” Si voltò nuovamente
verso la finestra ed osservò pensoso fuori dalla finestra e poi
sempre dando le spalle ai suoi interlocutori sbottò in una risata
soddisfatta. “Il suo rifugio. Se non ha già preso il largo, sarà sicuramente rintanata là dentro.”
Con cortesia inaspettata si rivolse al comandante della colonna
locale della Brigata Gedeone e sorridendo sornione: “Puoi far
sorvegliare la capanna da qualcuno senza che gli prenda l’irrefrenabile desiderio di raderla al suolo?”
“Sarà fatto, capo. Però non c’è bisogno di stupida ironia.”
- 133 -
Capitolo XXII
Il vapore lattiginoso e pieno di intensi odori della cucina veniva
convogliato nelle cappe dagli aspiratori che con il loro rumore
assordante costringevano spesso il cuoco ad urlare le proprie
istruzioni. Un uomo massiccio, alto, con enormi braccia rosee ed
un enorme addome saltava nella padella degli spinaci con lo zibibbo. I suoi gesti si arrotondavano man mano che procedeva
nell’esecuzione del suo lavoro e divennero quasi soffici, simili a
quelli di un gatto.
Si girò lentamente come per fare le fusa e poi abbaiò alcuni secchi ordini “Tu, abominio subumano, Sbrigati a terminare la preparazione dei dolci. I piatti devono lasciare il tavolo tra non
meno di un minuto.”
Alexander guardò dentro un pentolone per controllare il livello
della Gulaschsuppe e segnò sul tabellone, vicino al nome del
piatto, il numero delle porzioni ancora disponibili. Due portate.
Controllò l’ora per verificare quanto tempo mancasse alla chiusura ufficiale delle cucine perché per quella sera iniziava a sen-
- 134 tirsi stanco. Poi preparò alcune porzioni di Strudel come gli aveva ordinato il suo nuovo capo giacché era lui l’abominio appena
rimproverato.
Canticchiava sottovoce una canzone infantile che gli risuonava
nella mente proprio in quel momento senza che riuscisse a rammentare esattamente quando l’avesse imparata. Il rumore di sottofondo di pentole e il ronzio delle cappe ne copriva le stonature
e questo era decisamente un bene per le orecchie dei suoi colleghi.
Un giovane lavapiatti lavorava con lena in fondo alla cucina attorno ad un cubo metallico da cui usciva una enorme quantità di
vapore bollente. La lavapiatti industriale era più simile ad un
moderno drago metallico che ad un elettrodomestico.
Lunghi banconi d’acciaio malamente illuminati ed enormi fornelli luccicanti sormontati dalle cappe aspiranti erano ricolmi di
ogni genere di attrezzature abbandonate. Svariate posate, pinze,
terrine, piatti e ciotole erano sparpagliate sporche e in stato di
abbandono in ogni luogo perché la serata era quasi terminata.
Anche un pentolone d’acqua bollente giaceva abbandonata su un
fornello spento e da lì troneggiava con tutta la sua maestosità.
Un tabellone mostrava lo stato delle ordinazioni che di volta in
volta i camerieri le raccoglievano in sala; era pieno zeppo di biglietti all’inizio della serata. Poi man mano che il piatto usciva
dalle cucine il biglietto relativo veniva accartocciato e buttato
- 135 sul pavimento. Ora solamente due biglietti svettano ancora sul
pannello ad indicare che quasi tutti erano stati rifocillati ampiamente e il loro lavoro giungeva al temine.
Solitamente il locale era frequentato da studenti universitari.
Bravi e chiassosi ragazzi che prima o poi sarebbero diventati eccellenti membri del partito. Sempre che prima non si facessero
avvelenare in ristoranti come il “Radioso avvenire”. Nel buio
della sala gli amici di Alexander avevano quasi terminato la
cena e aspettavano che li raggiungesse. Ogni tanto allungavano
il collo, soprattutto quando qualcuno entrava o usciva dalla cucina, e cercavano con finta noncuranza di osservarlo al lavoro.
Presto li avrebbe raggiunti perché era quasi terminato il suo orario di lavoro. Molti clienti erano già usciti e gli ultimi stanno allontanandosi proprio ora. Il locale avrebbe chiuso ufficialmente
nel giro di un’ora ed Heinrich sembra intenzionato a rimanere
seduto proprio fino all’ultimo minuto.
Alexander smontò, appese il grembiule e si diresse al loro tavolo. “Forza, siediti che ci beviamo qualcosa assieme” gesticolò
Michael indicandogli la sedia libera.
Heinrich poggiò il boccale di birra rossa e spostò una sedia vuota verso Alexander che giungeva dalle cucine. S’era tolto il
grembiule azzurro che usava per lavorare ma indossava ancora
gli zoccoli bianchi. Si sedette pesantemente con un sospiro di
sollievo. Era stanco perché non si era ancora abituato al ritmo
- 136 del suo nuovo lavoro e sprecava molte energie inutilmente. Stava fermo in piedi tutto il giorno e questo, la sera, gli pesava molto più del pessimo odore di cibo che si portava addosso.
Si era seduto tra i suoi due amici e si lamentò senza rivolgersi a
nessuno dei due in particolare “Ragazzi, pensavo che la mia vita
fosse stata faticosa ma questi primi giorni di lavoro mi fanno
rimpiangere quelli della semina delle patate. Mi sento le gambe
dure come se fossi un maratoneta.”
Heinrich sorrideva come un gatto che avesse visto il topo ma
non si sbilanciò. Fu Michael a chiedergli: “Ricordi che l’altro
ieri, durante le libagioni funebri, insistevi nel voler denunciare
l’incidente che vi è capitato dopo aver accidentalmente sconfinato.”
“Certo,” assentì col capo “e sono convinto tuttora che sia la scelta migliore. Maximilian era nella GESTAPO e quindi apparteneva alle SS. Prima o poi qualcuno mi verrà ad interrogare sia che
mi abbia indicato come destinazione del suo viaggio sia che non
l’abbia fatto. Risaliranno a me perché risulto residente a Kuzelga e sono sicuramente schedato come suo amico d’infanzia.
Certamente potrei aspettare che mi vengano a chiedere spiegazioni senza mettere in moto alcun meccanismo kafkiano ma sapete, come cattolico ho un forte impulso a confessarmi. Passo la
vita immerso in due pulsioni: senso di colpa e desiderio di confessarmi. Se ne elimino uno, con ogni probabilità attenuo l’altro.”
- 137 Michael lo osservava sollevando le sopracciglia come se non
riuscisse a capire a fondo quello che aveva detto. Ma d’altronde
era un pragmatico materialista e per lui le cose più importanti
erano il lavoro, le donne e il gioco d’azzardo. Quando giocava a
carte la sua faccia diveniva una lastra di marmo ma questa volta
non riusciva quasi a tenere dentro di se quello che provava e dai
suoi occhi trasparivano evidenti contentezza e soddisfazione.
“Dai, diglielo. Non tenerlo sulle spine. tutto sommato mi dispiace vederlo così mogio. Pare un cane bastonato.”
- 139 -
Capitolo XXIII
Era una notte limpida ma soprattutto fredda quella che era scesa
su Berlino. Pareva che l’intera Siberia si estendesse languida sul
continente fino a lambire l’Europa. Nessuno era fuori casa quella sera.
Un’auto di servizio della GESTAPO era parcheggiata lungo la
Himmler straße e al suo interno l’autista e il suo compagno stavano ad aspettare in silenzio prima di riprendere il pedinamento.
L’autista si stava bevendo un succo di frutta con un gigantesco
bicchiere di plastica colorata e poco lontano da lui si vedeva in
lontananza aprirsi ogni tanto la porta del “Radioso Avvenire”.
Vocianti clienti imbacuccati uscivano e battevano i piedi sul
marciapiedi, prima di incamminarsi nella notte. Lunghe volute
di vapore uscivano dalle loro bocche come cirri primaverili.
“È lui?”
- 140 “No” rispose secco per l’ennesima volta il collega. Controllava
l’identità di tutti quelli che uscivano dal locale osservando scrupolosamente una fotografia che illuminava con una torcia elettrica; poi tornava a sprofondarsi nel sedile e ad attendere.
Sopra di loro, al terzo piano dello stesso edificio, il loro superiore stava sorvegliando l’interno del locale tramite telecamere e
microfoni nascosti. Se avessero alzato la testa probabilmente
avrebbero agevolmente individuato l’unica serie di finestre illuminate.
Era in casa di un agente di polizia che al momento era in missione fuori città. L’avevano occupata come una banda di Vandali
portando dentro ogni genere di attrezzature elettroniche. Era un
appartamento spoglio e funzionale: non un solo soprammobile;
mobili moderni con le loro linee semplici dimostravano lo scarso gusto estetico dell’anonimo poliziotto. Gli avevano invaso la
casa tre giorni prima, dopo avergli chiesto il permesso telefonicamente, e avevano inondato di sistemi di sorveglianza il sottostante locale chiamato con cattivo gusto “Radioso Avvenire”.
Altfried aveva gettato il berretto sul letto mentre la giacca l’aveva diligentemente appesa sulla spalliera di una sedia per mantenere la piega. Passeggiava dietro al povero tecnico osservando
inquieto gli schermi che mostravano l’interno del locale da ogni
possibile angolazione. Pareva un leone davanti ad un cristiano.
“Herr Standartenführer, la prego si calmi. Appena ci sarà qualcosa di interessante l’avvertirò immediatamente. Si sieda un attimo e mi lasci lavorare con un po’ di tranquillità.”
- 141 “Ha ragione, mi scusi se la disturbo. Sono un leggermente teso.
Mi sembra di essere un ragazzino al suo primo appuntamento.”
“Appena inizia la festa provvederò ad informarla. Manca certamente ancora qualche minuto. Si vada a prendere una tazza di
Tea in cucina.”
Quando tornò, Altfried si sedette di fronte agli schermi e porse
una seconda tazza fumante al suo sottoposto che lo ringraziò. Si
aggiustò gli occhiali sul naso e iniziò ad osservare attentamente
la sala del ristorante. “Guardi,” disse il tecnico indicando uno
schermo “sta uscendo dalla cucina. Il nostro giovane cuoco ha
terminato di lavorare per stasera. Si avvicina al tavolo dei suoi
amici.”
“Bene. Stringa l’inquadratura su di loro e apra l’audio, che voglio sentire cosa si dicono.”
“Cos’è che dovrebbe dirmi?” chiese Alexander appoggiando il
bicchiere sul tavolo con più energia del dovuto. Il vino tracimò
bagnando la tovaglia di carta ma nessuno se ne preoccupò. Stirò
la schiena e guardò fissamente Heinrich: “Lo sai che ti apprezzo
infinitamente e prometto che appena trovo un posto ti restituisco
lo studio. Ora però, prima che finisca di bere ...”
“O di bagnare il tavolo.” pungolo Michael.
“Già. Insomma, prima che sia vuoto il bicchiere si può sapere
che cavolo mi devi dire che sembri Loss l’ebreo se continui a tenerti tutto dentro.”
- 142 “Ho ricevuto una BeiDat molto interessante. Un misterioso utente ha contattato la Anschlagtafel Gefuge, un gruppo di discussione, di una città del Protettorato e ha lasciato nella casella della
posta elettronica da inoltrare sulla rete del Reichsministerium
per le Scienze, l’Istruzione e l’Educazione Popolare una lettera
per me.”
Heinrich porse il foglio che avevano stampato ad Alexander che
si mise a leggerlo con attenzione a mezza voce: “Soggiorno
quasi terminato. Deambulo. Presto Rientro. Ancora qualche settimana e potrebbe accadere che qualcuno mi freghi il pane dalla tavola. Se possibile datemi un passaggio il giorno del tuo
compleanno dove con Alexander cambiammo la targa. Nessuno
s’è accorto di nulla?”
“Nel Reich no. Hanno ricevuto un contatto telefonico come tanti
altri. Sono ragionevolmente sicuro che riescono già a intercettare i dati in arrivo dall’Unione Sovietica. Però non c’è scritto
niente di compromettente.”
“E dall’altra parte?”
“È diverso. A loro basta incrociare l’elenco degli autorizzati con
le chiamate dati verso il Reich. Ma non sanno che cosa contiene
il messaggio. L’elaboratore knecht, che riceve i dati, era nel Reich. E poi molti adolescenti lo fanno ogni giorno e quindi non ci
faranno molto caso. Almeno spero.”
Alexander annuì ripetutamente come se volesse convincersi della verità di quelle parole. Poi inclinò la testa verso Heinrich e
disse con un filo di voce: “Grazie.”
- 143 “Beh come ti senti ora?” Ma non ebbe bisogno di alcuna risposta
perché l’espressione dei suoi occhi era più eloquente delle sue
parole. Michael proseguì “Ho già avvisato uno dei miei assistenti che dovrà sostituirmi a lezione per due o tre settimane.”
“Immagino che, quando gli hai detto che saresti andato all’estero avrà pensato che scendevi in Italia per una vista fuori stagione
al casinò di Venezia.”
“E probabilmente, se facciamo affidamento alle tue intenzioni,
aveva ragione. Lo volevi fare, no?”
Michael rimase in silenzio, un silenzio imbarazzato ma eloquente per chi spesso viene imprigionato dal demone del gioco.
Heinrich si guardò attorno e proseguì. “Dovremmo partire al più
presto. Prendiamo tutto il materiale che ci può servire e andiamo. Abbiamo bisogno di un mezzo, di soldi, di attrezzature da
montagna e da campeggio e di una cartina della zona.”
Alexander aggiunse “Dovremmo anche organizzare una copertura credibile. Quando abitavo a pochi chilometri dal confino
avrei potuto sostenere plausibilmente di essere sconfinato per errore ma ora non ci crederebbero. E poi” disse indicando con il
dito Heinrich “considera che come tedesco genetico potresti
avere molti più grattacapi di noi se ci fermano.”
“Ho già pensato a tutto. Chiamiamo Robert Marschler, al liceo
si faceva sempre i cazzi propri ma ora è vice amministratore delegato della Deutsch Stenöl.
- 144 Se vuole ci potrebbe fornire un fuoristrada e la copertura necessaria facendoci figurare come tecnici che devono studiare dove
far passare un nuovo oleodotto.”
Il silenzio calò mentre studiavano la sua proposta. Alexander accennò lentamente con il capo come per manifestare il proprio assenso. “Ottimo. Mi sembra un’ottima idea.”
- 145 -
Capitolo XXIV
Altfried stava riflettendo su quello che aveva appena udito e
riordinava nella mente i tasselli di ciò che sapeva. Gli sembrava
di essere tornato nuovamente in Italia quando collaborava alla
creazione delle vetrate della chiesa di Santa Caterina. Allora un
anziano artigiano locale aveva preparato il disegno con i telai di
piombo e subito dopo era toccato a lui, che si trovava sotto copertura, ritagliare prima e poi disporre le formelle di vetro da
fondere nel graticcio metallico.
Ogni colore nel giusto posto. Pezzi informi di vetro colorato da
disporre con pazienza fino a quando, dopo aver terminato, l’artigiano infornò l’opera e poi il risultato venne montato nell’incavo
della finestra. Alla fine solo quando il sole la illuminava da dietro ci si poteva rendere conto a fondo della bravura con cui erano riusciti a disporre le tessere.
Sul tavolo ora aveva, al posto delle formelle, i fascicoli personali delle persone coinvolte in questa faccenda. Cinque cittadini tedeschi, un agente operativo, i fascicoli di dieci terroristi ebraici
- 146 che erano probabilmente presenti in zona e i faldoni con le informazioni sullo ZOD, la Brigata Gedeone, sui Martiri di Katayka e
altre formazioni minori.
Il tavolo sarebbe stato sommerso dai fascicoli, ma ognuno era
ben impilato fino a formare quattro gruppi differenti. Altfried si
alzò e prese dalla libreria, su cui era disposta una scacchiera di
marmo bianco e verde, alcuni pezzi del gioco. Poi iniziò a disporli sul tavolo rimanendo dall’altro lato della scrivania. Ogni
pezzo rappresentava una persona. “Il re nero e due alfieri” mormorava man mano che li poggiava sui fascicoli “che ieri sera
hanno pranzato di gusto, il cavallo con la torre e la regina sono
ancora oltrefrontiera sorvegliati da vicino dal re bianco.”
“Vediamo un po’ dov’è finito il mio pacchetto. Quando i due re
e la torre sono andati a trovare il cavallo questo l’aveva ancora
in consegna.” A questo punto spostò i pezzi e li avvicinò al cavallo. “In seguito il re nero arriva a Berlino e dice di non averlo
preso.” Iniziò a passeggiare per la stanza pensieroso quando improvvisamente gli balenò in mente un pensiero.
Si fermò di fronte alla scrivania, sollevò la cornetta e aspettò che
il centralino gli rispondesse. “Reparto operativo su linea protetta, Sturmbannführer Zerstenner.” Mentre aspettava che il suo interlocutore rispondesse si sedette e spostò i pezzi.
“Sturmbannführer Zerstenner.”
- 147 “Buongiorno signor Maggiore, sono lo Standartenführer Altfried. Avrei bisogno di una perquisizione molto discreta e del
pedinamento di un paio di persone al confine dell’Unione Sovietica, nel territorio degli Urali.”
“Jawohl, mein Standartenführer. Credo che alcuni nostri agenti
operativi potrebbero essere disponibili.”
“Bene. La ringrazio molto. Le invio l’autorizzazione e la descrizione dell’operazione tramite BeiDat.”
“Molto bene. Il rapporto operativo?”
“Me lo invii tramite lo stesso canale” rispose annuendo come se
qualcuno lo potesse vedere.
Chiusa la comunicazione infilò la mano sotto il tavolo e quando
trovò l’interruttore lo schermo che era su un lato del suo tavolo
si illuminò e Altfried, spostando gli incartamenti e i pezzi degli
scacchi da un lato, accese con un telecomando un lettore DiskusDicht che iniziò a far filtrare dagli altoparlanti la musica cristallina dei Concerti Brandemburghesi di Bach.
Für: Sturmbannführer.Zerstenner
RSHA
Text: Mi sarebbe necessario condurre due operazioni: una perquisizione discreta e una sorveglianza. In assenza di miei agenti operativi
dislocati in zona le sarei molto grato se mi permettesse di utilizzarne
alcuni dei suoi.
Subito dopo aver chiuso e inviato la prima lettera si sfregò il
pizzetto pensoso e poi iniziò a scriverne un’altra.
- 148 Für: Dipartimento.Ebraico
RSHA
Text: Richiedo perquisizione di un appartamento ad uso abitativo sito
in Stralauer Allee 13/15 e degli uffici dei professori Heinrich Rust e Michael Sprön siti nella Führer Hitler Universität.
Für: Dipartimento.Tecnico
RSHA
Text: Richiesta di localizzazione satellitare per il cellulare con numero
997-4786743.
Aveva provato a chiamare alcune volte il telefono di Alexander
per provare ad agganciarlo ma risultava sempre spento. Sospettava che probabilmente non lo avesse neanche portato con se
ma, se invece l’aveva e se non aveva estratto la scheda dal telefono, lo avrebbe potuto seguire senza pedinarlo troppo da vicino.
“Molto bene. Vediamo ora come procede questa partita” mormorò tra se.
- 149 -
Capitolo XXV
Il terreno assumeva ogni giorno una tinta sempre più giallastra
dovuta all’appassire dell’erba ed anche gli alberi cambiavano
impercettibilmente colore. L’estate era indubitabilmente terminata senza quasi che se ne accorgessero e l’inverno era alle porte. Maximilian e Katharina stavano percorrendo uno stretto sentiero abbandonato che li avrebbe portati alla radura in cui sorgeva il loro rifugio. Procedevano spediti attraverso la fitta foresta
di abeti, attraverso cui filtrava a stento il sole morente.
“Certo che sei bravo a maneggiare queste diavolerie elettroniche” commentò lei ammirata. “Io non avrei saputo neanche scrivere il messaggio, figurati a spedirlo nel Reich. Sei sicuro che
sia arrivato?”
In un’altra occasione Maximilian non avrebbe neanche risposto
a domande talmente inutili. Quando si cimentava in qualche attività era solitamente cosciente e consapevole di quello che stava
facendo. Soprattutto con un anordung che è notoriamente una
macchina stupida e che esegue fedelmente i comandi che gli
- 150 vengono forniti. Era l’essenza stessa della perfezione assoluta
nel rapporto di causa–effetto. Gli errori avvengono solamente se
chi lo usa non ne conosce l’esatto funzionamento: era come avere a che fare con un martello, se lo sai usare funziona sempre.
In quel momento però era particolarmente allettato dai complimenti e si lasciò trascinare dalle sue lusinghe mentre solitamente
quelle di chiunque altro l’avrebbero fatto innervosire. “Arrivare
è arrivato” le rispose senza particolare inflessione. “L’anordung
di cui mi servivo ha accusato l’avvenuta ricezione. Bisogna solamente che ora i miei amici leggano il messaggio e lo capiscano.”
“Sei sicuro che questo tuo amico di Berlino, a cui hai scritto, riesca in questi pochi giorni a venire fin qui e a tirarti fuori?”
“Se c’è qualcuno che può farlo, questo è lui. D’altronde è una
delle poche persone che se ti assicura che farà qualcosa è affidabile. Ci ha sempre detto che potevamo contare su di lui in qualsiasi caso. Ora conterò su di lui, e sono certo del suo aiuto.”
Quando rientrarono nella capanna era ormai notte fonda da alcune ore. Quella sera stessa Maximilian si sentì finalmente tranquillo per la prima volta da quando aveva intrapreso questa sua
impresa personale. Aveva l’impressione di avere finalmente raggiunto la sua meta. Quella sera Katharina, per la prima volta da
quando aveva pronunciato il suo impegno, gli tenne la mano
spontaneamente.
- 151 Improvvisamente Maximilian sentì le sue labbra che si avvicinavano, il suo respiro che si fondeva con il proprio in un bacio improvviso e a lungo desiderato. L’abbracciò e la baciò come se
non avesse mai baciato nessun’altra donna nella sua vita, con
l’energia pulsante che gli sprizzava dal cuore i cui ritmi battevano a salti, ora sordi e ora lievi. Lei gli cinse il collo con le braccia e, senza mai staccare le labbra dalla sua bocca, aderì tremando leggermente al suo corpo.
Si distesero così, semplicemente sul pagliericcio di fieno della
capanna e rimasero uno nell’altra. Si abbandonarono sulla paglia
che riempiva un ruvido telo e si fusero stringendosi a lungo e
scambiandosi respiro e intimità per un tempo senza fine. Maximilian si adagiò e quella sera fu pervaso dal profumo dei suoi
capelli che si confondeva ormai con l’odore dell’erba secca.
A quella sera seguirono altre sere. A quella notte altre notti.
Sembrava una fiaba destinata ad un lieto fine. A volte esistono
anche nel mondo reale. Maximilian quindi, man mano che i
giorni trascorrevano, continuò a preparare minuziosamente il
loro percorso di ritorno. Studiò la cartina fino a conoscerla a memoria, curva di livello dopo curva; preparò il cibo necessario, i
vestiti e ogni altra cosa che potesse venirgli utile.
In quei giorni, sopratutto quando il sole calava all’orizzonte, si
stringevano tra loro e lui era felice del loro piccolo giaciglio.
S’avvicinava sempre di più il giorno che avevano fissato per il
loro appuntamento di ritorno, e il tempo trascorreva inesorabile
- 152 in quello che si può quasi definire un idillio. I giorni parevano
volare come farfalle diafane su prati fioriti di gioia, e il dirupo
della fine si avvicinò sempre di più.
Quando finalmente arrivò il giorno in cui dovevano partire Maximilian era prontissimo, aveva già il sacco in spalla. Lei sorrise
con un tale imbarazzo che Maximilian, dal centro della stanza,
aggrottò le sopracciglia. “Andiamo?”
“No. Io non vengo con te.”
Non capì quasi quello che stava dicendo e rimase perplesso da
questo improvviso cambiamento di programma. Mille spiegazioni s’affastellarono nella sua mente fino a che lei non proseguì.
“Ho ottenuto quello che stavo cercando” gli comunicò mostrandogli quello che pareva essere un piccolo pennarello senza tappo. Un test di gravidanza.
Non riuscì a capire di preciso ma sentì che il mondo si sgretolava lì attorno a lui e dall’edificio della realtà cadevano calcinacci
a non finire. Non bestemmiò ma uscì ugualmente con una forte
esplosione verbale; indurì il proprio volto e si preparò ad affrontare qualunque cosa stesse per arrivare.
“Sono incinta” proseguì lei “e quindi salirò ai vertici della graduatoria nelle Volkisliste, la lista dei tedeschi etnici residenti all’estero in regola per essere assimilati al Reich. Tu sei un membro delle SS e quindi mio figlio sarà perfettamente ariano per più
di sedici sedicesimi e questo, quando mi presenterò alla frontiera
e mi appellerò al Comitato del Reich per la Protezione del Sangue Tedesco, mi darà diritto automatico al ripristino della citta-
- 153 dinanza e al sussidio temporaneo.” Chiuse il suo discorso dandogli un bacio “È stato bello e sarebbe anche più bello se potessimo avere un futuro insieme. Ma tu con me non puoi.”
L’abisso sembrava stesse per chiudersi su di lui ma non c’erano
possibilità di recuperare le proprie posizioni. I discorsi sembrarono decisamente superflui. L’uscire dal paese gli sembrava, ora
che era da solo, ancora più difficile. Inoltre non ci teneva per
nulla a proseguire su quella strada.
- 155 -
Capitolo XXVI
La fulminò con uno sguardo di passione ferita e delusa ma senza
dire nulla. Si diresse verso la porta e partì. Lasciò dietro di se la
porta aperta, come se l’invitasse a seguirlo, ma non volle fermarsi neanche un istante a discutere o a riflettere. Un conto è
l’essere rifiutati e un altro è l’essere sfruttati.
Aveva poche scelte e lo sapeva bene poiché in quelle settimane
le aveva analizzate attentamente una ad una con il suo tipico
scrupolo. Dopo aver varcato la soglia ed aver lasciato alle sue
spalle quella che, ingenuamente, aveva pensato potesse essere la
sua anima gemella, fu colpito da un’angoscia improvvisa e pungente. Un’angoscia che gli devastò la mente mentre camminava
meccanicamente verso nord, su una mulattiera abbandonata da
anni. Seguì l’itinerario deciso in maniera automatica affrontando
i pendii iniziali con rabbia. Grondava sudore mentre il risentimento e la disperazione che lo pervadevano gli annebbiavano la
consapevolezza e la lucidità. Gli occhi bruciavano un poco a
- 156 causa del sudore che gocciolava dalla fronte e gli colava lungo il
naso fino a posarsi sulle labbra superiori con il suo tipico sapore
salmastro.
Aveva la morte nel cuore e avrebbe fatto qualunque cosa per
cambiare quello che era successo, ma non poteva. Quello che
era peggio non era l’essere stato usato per quei pochi giorni, ma
l’essersi ingannato da solo con un ricordo menzognero per tutti
quegli anni. Lentamente, come una marea, ogni suo pensiero si
ritirò dalla sua mente, svanì ogni ricordo e sentì che gli mancava
tutto. Nel vuoto che si venne a formare la sola prospettiva desiderabile era raggiungere i propri amici all’appuntamento che lui
stesso aveva fissato. Non poteva tardare.
Fu nell’istante stesso in cui finalmente consolidò la propria decisione che si rese conto che forse avrebbe potuto e dovuto procedere con più cautela. Non poteva continuare a camminare in territorio ostile come un orso infuriato. Mise immediatamente in
pratica tutti gli insegnamenti ricevuti durante i corsi d’addestramento. Smise improvvisamente di fare rumore e procedette attento sulle masse di foglie secche che tappezzavano il sottobosco. Sollevava guardingo il piede fin quasi all’altezza del ginocchio, per evitare di trascinarlo tra le foglie, e facendo questo movimento lento e innaturale sembrava quasi una gru che proceda
attenta sull’acqua alla ricerca di cibo. Avanzava lentamente ma
almeno silenziosamente, prestando la massima attenzione ai rumori attorno a lui.
- 157 Le tenebre della lunga notte invernale si avvicinavano e rendevano suggestivi, quasi terrorizzanti, gli scheletri spogli degli alberi sotto cui procedeva. Ogni tanto qualche ramo, come fosse
una mano rinsecchita, tentava di afferrarlo o di farlo rallentare
bloccandolo per qualche istante. Da lontano l’inseguivano i latrati dei cani randagi provenienti dalla piccola città infossata nella valle alle sue spalle. Era un abbaiare attutito dal berretto di
lana che ne avvolgeva il capo, intorno a lui ogni percezione stava quasi ovattandosi. Il sole stesso era sprofondato dietro ad una
serie di cime, facendo piombare improvvisamente le campagne
circostanti nell’oscurità: come durante il mitico Raganog, sembrava impossibile potesse risorgere il giorno dopo.
Cominciò a nevicare e piccoli cristalli di neve, appuntiti come
aghi, gli punsero ripetutamente il volto e le mani. Poi l’irritante
nevischio si tramutò in fiocchi grandi, soffici e fitti che danzavano vorticosamente attorno alla sua sagoma spettrale. La neve
portata dal vento vagava sui monti, tra le foreste d’abete e i picchi aguzzi, mentre un vento freddo da oriente squarciò le nuvole
svelando per pochi istanti il disco della luna. Il volto di Maximilian ne fu illuminato dalla sua luce diafana e sembrò ormai una
maschera di funebre con le palpebre immobili e gli occhi spenti,
come in un’antica fotografia.
Era stanco e preoccupato. Doveva muoversi in fretta: aveva ancora un solo giorno per raggiungere il luogo dell’appuntamento
e, se avesse dovuto aspettare, cibo solamente per tre giorni. Le
condizioni meteorologiche erano tali da destare preoccupazione.
- 158 Se smetteva di nevicare prima del suo arrivo sul luogo le sue impronte sulla neve sarebbero state come un cartello indicatore con
la freccia rivolta nella sua direzione.
Ogni tanto si fermava ad ascoltare e ad osservare tutto intorno. Il
silenzio era interrotto solo dal fischiare del vento e il panorama
era oscurato da una continua nevicata, ma aveva come la paranoica impressione di essere inseguito. Per ben due volte durante
il giorno gli era parso di notare nella stessa zona, subito dietro a
lui, gli uccelli volare via come fossero stati disturbati.
Proseguì lungo la riva di un ruscello seguendo il sentiero che si
scorgeva a malapena. Quel sentiero era fiancheggiato da querce,
alcune grandi altre piccole, e da una serie di giovani ontani con
le cortecce pallide e sfogliate. Dappertutto regnava un senso di
solitudine che l’avrebbe quasi fatto tornare sui suoi passi. Ma
proseguì ed era felice di aver pianificato quel tragitto perché, se
avesse smesso di nevicare, avrebbe potuto continuare la risalita
verso il luogo in cui l’aspettavano camminando nell’acqua. Se
anche non lo stavano ancora seguendo forse non era il caso di
lasciare orme dappertutto.
Si fermò solamente quando si sentì crollare dalla stanchezza e
s’accasciò esausto come una falena che avesse sbattuto sul lume
per tutta la notte. Sotto la riva del ruscello, uno sbalzo di roccia
gli offrì riparo quasi inesistente e Maximilian dormì, quella notte, di un sogno pieno d’incubi.
- 159 -
Capitolo XXVII
Michael stava guidando nel traffico congestionato del centro di
Berlino. Con un unico movimento fluido aprì la comunicazione
e si inserì l’auricolare.
“Si? Sto arrivando, sono sotto casa tua. A proposito ho comprato
del lardo, giusto per lubrificare il pranzo e farlo scorrere meglio.” Alla sua stessa affermazione assentì a se stesso e rise
sguaiatamente com’erano soliti fare tra di loro. Una sorta di rituale di gruppo a cui erano oramai affezionati. Chiuse la comunicazione e ricominciò a guardarsi attorno alla ricerca di un parcheggio.
Parcheggiare in quella zona a quell’ora era un’impresa, quindi
preferì inserirsi deciso sulle strisce blu fermandosi sulle scritte
Baar Bezahlen a fianco della colonna in cui era la biglietteria
automatica. Pagò velocemente per tre ore, tanto quello era all’incirca il tempo che prevedeva di fermarsi a casa di Heinrich. Si
diresse in quella direzione quasi correndo con in mano il pacchetto marrone contenente la preannunciata prelibatezza.
- 160 Certo era un programma ambizioso quello che stavano per portare avanti: sconfinare oltrecortina e tornare indietro. Per lui Maximilian era quasi uno sconosciuto e non avrebbe voluto esporsi
troppo. Si conoscevano solamente da pochi anni ma Heinrich gli
aveva chiesto di andare e lui sarebbe andato. Una specie di
scommessa contro il sistema e contro se stesso, ed era quasi sicuro di poter vincere. Se riusciva ad uscire con un attivo quando
sconfinava nella Francia di Vichy, a giocare nei casinò di Marsiglia, sicuramente non avrebbe avuto difficoltà in una situazione
con maggiori probabilità, come questa.
“Chi è?” domandò dal citofono Heinrich.
“Chi vuoi che sia, se ti ho detto pochi minuti fa che ero sotto
casa tua sarò io, no?”
“Manda su il lardo. Tu te ne puoi anche andare. Ahhh...” ghignò
l’amico al microfono.
Il portinaio stava mangiando e il portone era chiuso ma sicuramente l’aveva sentito entrare attraverso la porta visto che abitava affianco all’ingresso e che le mura erano di cartapesta. Anzi
probabilmente l’aveva anche intravisto dal vetro trasparente che
dava sull’ingresso di casa sua e che gli permetteva di controllare
l’androne anche quando non era ufficialmente in servizio.
Heinrich aveva uno strano modo di scherzare con loro ma almeno questo comportamento ti metteva immediatamente a tuo agio
spezzando le barriere della convenienza politica e sociale. Entrare in casa sua causava la sensazione di entrare in un circolo iniziatico in cui molte frasi in codice erano legate a pregresse espe-
- 161 rienze. Ma spesso esperienze non vissute assieme alle stesse persone a cui in quel momento erano rivolte. Il ripeterle spesso e
ossessivamente le faceva sentire quasi familiari.
L’affermazione categorica che il lardo “lava”, volendo significare che lubrifica e sottintendendo l’intestino, era nata chissà
quando e chissà dove; era stata ripetuta ogni volta che si erano
visti e questo ebbe come conseguenza che ora tutti loro fossero
divenuti entusiasti consumatori di lardo.
Arrivato alla porta di casa la trovò aperta per quanto accostata.
Entrò e si diresse deciso verso la sala da pranzo da dove giungevano rumori di piatti e grida. Visti gli elevatissimi decibel che
facevano vibrare la casa, dovevano già essere tutti presenti. Probabilmente nel gruppo sarebbe mancato Franz che, da quando
era stato inserito nella squadra olimpionica di vela delle SS, aveva iniziato a fare regate di allenamento in giro per il mondo e
non l’avevano quasi più visto.
Fino a quel giorno si erano sempre incontrati abbastanza frequentemente, solamente Alexander era stato isolato da loro anche se erano andati a trovarlo abbastanza spesso durante quegli
anni. Ma il viaggio aereo era una emorragia economica anche
per loro. Certo guadagnavano bene, ma alcuni di loro non erano
ancora sposati e quindi erano soggetti ad un esoso regime di tassazione doppia che gli prosciugava ogni anno il conto corrente.
“Vedo che ci siamo quasi tutti” esclamò Michael salutando i
presenti. Erano già arrivati Alexander e Robert. Robert Marschler, vice amministratore delegato della Deutsch Stenöl, lo sa-
- 162 lutò con quella sua tipica disinvoltura dei movimenti che ne rivelava la vivacità e l’energia di cui tra l’altro era ampiamente
provvisto. Un leggero strato di capelli castani alti giusto un paio
di centimetri ma, nonostante questo, lucidi ne incorniciavano la
carnagione luminosa che evidenziava la buona salute della sua
figura quasi emaciata. I suoi due occhi scuri scintillavano sopra
un vivace sorriso e il suo sguardo ardito e perennemente in sfida
col mondo sostenne insolentemente quello di Michael che lo distolse.
Robert non lo sapeva ancora, ma avrebbe dovuto fornire mezzi e
documenti per la loro impresa. Un fuoristrada, la giustificazione
per il viaggio, documenti di riconoscimento e se il caso anche
denaro. Oltre a Robert quella sera erano presenti anche Heinrich
e, a capotavola, Alexander che era occupato come sempre a ruminare qualcosa, ogni tanto allungava la mano, ogni tanto beveva qualcosa.
Heinrich levò alto il suo bicchiere “Ci siamo tutti. Bagnandolo
con questo buon Borgogna, che da tempo conservo in attesa della giusta occasione, dichiaro ufficialmente formato il Gruppo di
Recupero Maximilian Peiper.”
“Mentre porto in tavola la zuppa di crauti e patate, Alexander vi
riassumerà gli eventi” disse rivolto a Robert “e le possibili soluzioni che potremmo adottare” e sparì veloce verso la cucina prima ancora di aver terminato di parlare.
- 163 -
Capitolo XXVIII
Il colonnello Altfried era seduto al buio nel suo ufficio. Da lì
dentro riusciva a muovere sempre con perfetta sincronia i suoi
pezzi. Lo schermo dell’anordung illuminava il tavolo e il suo
volto facendolo apparire più pallido del solito ed evidenziandone l’incavo degli occhi. Il resto della stanza era immerso nel
buio e solamente dalla finestra entrava una fievole luce gialla
dei lampioni stradali.
“Sono riuniti tutti nella stessa casa” mormorò tra se come se si
rivolgesse ad un interlocutore invisibile. Appena uno di loro fosse uscito, gli agenti della squadra di sorveglianza l’avrebbero
avvertito con una BeiDat usando il cellulare. Un’altra squadra
stava invece perquisendo in quello stesso momento gli uffici di
tutti i sorvegliati.
Era un caso, ma troppe persone con interessi storici e archeologici avevano iniziato a ruotare attorno ad Alexander. Le loro
schede personali dell’RSHA indicano che si conoscevano già da
prima, ma il sospetto e la malizia calcolatrice, che rendeva Alt-
- 164 fried uno dei migliori ufficiali della sezione ebraica dell’SD, l’avevano convinto che fosse consigliabile un’approfondita perquisizione degli uffici e delle abitazioni di tutti i principali personaggi implicati nella vicenda. Una squadra stava già operando in
questo momento preciso ma non si era aspettato di dover aumentare la lista degli obiettivi di un ufficio e un’abitazione: non
aveva previsto l’arrivo quella sera di Robert Marschel.
-La notte è giovane. Speriamo ci porti buone notizie- pensò con
una odiosissima frase fatta mentre teneva d’occhio tutte le linee
di comunicazione delle varie squadre: due di sorveglianza al
completo e una di perquisizione.
Nel sottofondo si sentivano le comunicazioni radio che i vari
membri delle squadre si scambiavano. Era routine e delle più
tranquille, ma il non essere presente sulla scena dell’azione gli
causava sempre una fortissima tensione. S’era tolto la giacca ma
nonostante questo sudava abbondantemente per la tensione.
Avrebbe alzarsi per versarsi da bere ma una bestia nera gli artigliava le viscere costringendolo a stare seduto.
Attendeva rigido con tutti i sensi vigili quando improvvisamente
le comunicazioni provenienti dai due gruppi di sorveglianza aumentarono d’intensità. Allungò la mano sul puntatore ed aumentò il volume. Le trasmissioni erano indirizzate alla centrale operativa per essere registrate e da lì al suo anordung in quanto direttore dell’operazione. Avrebbe preferito non intervenire nelle
comunicazioni in quanto erano tutti uomini esperti, ma non poteva rimanere all’oscuro di quello che stava succedendo.
- 165 “Squadra uno, soggetti in movimento.”
“Capo operazioni, sono a piedi?” domandò aprendo la comunicazione con la squadra.
“Squadra uno, stanno salendo su due automobili, una Kat blu
targata BBK728 ed una Tiger rossa targata HGF764. Direzione
Skalitzer Straße.”
“Squadra due, procediamo con movimento a distanza e a scatola
chiusa. State davanti voi.”
“Squadra uno, va bene. Procediamo.”
Dei due gruppi incaricati della sorveglianza uno precedeva e uno
seguiva, come per chiudere i sospettati in una scatola. I vari
agenti a contatto visivo con gli inseguiti si alternavano in modo
da ridurre la probabilità di essere notati. Tutto sarebbe stato perfetto ma Altfried aveva in campo agenti appena sufficienti per
seguire una o al massimo due persone mentre ora ne stavano seguendo quattro anche se, grazie a Dio, su due macchine soltanto.
Al contempo la perquisizione stava procedendo speditamente
quando quello che Altfried paventava divenne all’improvviso
realtà.
“Squadra uno, la Kat ha svoltato a destra sulla Kottbusser
Damm. Gli teniamo dietro. Squadra due agganciate la Tiger. Ripeto posizionarsi dietro e seguire la Tiger rossa. Noi ci sganciamo.”
“Squadra due, ricevuto.”
- 166 Il tempo passava ed Altfried era sempre più preoccupato. Un
alone di umido si diffondeva sotto la camicia. “Squadra due, abbiamo perso l’obiettivo. Lo cerchiamo.” Altfried sgranò gli occhi esterrefatto. -Branco di incompetenti!- pensò inferocito afferrando il microfono.
“Capo operazioni, dove dirige la Kat blu?”
“Squadra uno, Hermann Platze.”
“Capo operazioni, quante persone sono sull’auto?”
“Squadra uno, Una solamente.” Posò il microfono e iniziò a
pensare. -Sulla Kat che seguivano il Dottor Marschel sta semplicemente tornando a casa. C’è solamente da sperare che gli
altri tre vadano in una birreria a tracannare alcolici per il resto
della serata.Attese immobile nel buio e sperò che tutto procedesse per il meglio. Qualunque fosse la loro destinazione aveva a disposizione
ancora alcuni minuti per decidere come procedere. Se avesse potuto, avrebbe anche pregato per favorire la buona riuscita dell’operazione. Il tempo camminava sempre più lentamente e non
erano ancora passati una ventina di secondi quando un rumore
assordante gli preannunciò il disastro: era la linea di comunicazione della squadra di perquisizione. Immediatamente iniziò una
concitata comunicazione tra alcuni che erano fuori a sorvegliare
l’esterno e quelli all’interno dell’ufficio.
“Scheiss, non è colpa mia. Non l’ho proprio sentito arrivare.
Questo topo in camice bianco m’è arrivato alle spalle.”
- 167 “Capo operazioni, cosa succede?”
“Squadra di perquisizione, ho steso un intruso.”
“Capo operazioni, l’hai eliminato?”
“Squadra di perquisizione, no. Non credo. L’ho colpito con la
torcia elettrica ... in questo momento è ancora vivo. Come procedo?”
La situazione si stava compromettendo rapidamente. Prese nuovamente in mano il microfono e intervenne.
“Capo operazioni, quanti siete dentro l’ufficio?”
“Squadra di perquisizione, tre operativi” rispose secca la voce di
prima.
“Capo operazioni, uno di voi controlli l’intruso e gli altri due accelerino la perquisizione e cerchino di non lasciare tracce della
ricerca.”
Guardò l’ora: era tardi. Si domandò chi mai potesse girare per
l’università alle undici di sera. Era il custode anzi un ricercatore
visto che parlavano di camice. -Speriamo che non muoia,- rifletté -che questo non farebbe altro che aumentare i miei pensieri.
Però, visto che è l’ufficio di un polacco naturalizzato, anche se
succede il peggio non dovrei avere grane.“Squadra perquisizione, abbiamo terminato e ci allontaniamo.
L’intruso respira a fatica ma è vivo.”
- 168 “Bene.” mormorò tra se senza neppure prendere il microfono
abbandonato sopra il tavolo. “Non risponderò neppure. Potrei
non aver sentito. Se muore pazienza e se si salva non cambia
nulla.”
- 169 -
Capitolo XXIX
Un rumore di passi, rimbalzando da una parete all’altra, risuonò
per il corridoio deserto. Le luci, stentate, illuminavano interminabili corridoi vuoti che in breve sarebbero stati invasi dalle persone che stavano arrivando. Urla appena smorzate, mezze grida,
risate e incedere pesante facevano sembrare prossimo l’arrivo di
una comitiva di ubriachi. Voltarono l’angolo preceduti dal loro
chiasso e si diressero decisi verso una porta socchiusa.
“La porta del tuo ufficio è aperta” fece notare Michael rivolgendosi ad Heinrich. Dei tre era quello che aveva sicuramente bevuto meno ma era anche quello che faceva più rumore di tutta la
compagnia. Urla, rutti e ogni altro rumore del loro repertorio
adolescenziale erano frequentemente sulla sua bocca. Per un
istante ci fu quindi il silenzio, mentre osservava perplesso la
porta aperto del suo ufficio. Era socchiusa e una debole luce filtrava dall’interno.
- 170 “Deve essersela scordata aperta il mio assistente” esclamò tranquillo Heinrich. “Tra qualche giorno dobbiamo fare un esame di
verifica e sta ancora preparando le domande del questionario.”
Si voltò verso il resto della comitiva “sapete, essere assistente di
un professore di fresca nomina è brutto, non ti assegnano nemmeno un ufficio e non puoi utilizzare le domande preparate per
gli altri anni.”
“Hei Günter, smettila di lavorare e vattene a casa” urlò con enfasi Michael sorpassando tutti loro ed entrando nell’ufficio di
Heinrich. Conosceva quello sgobbone di Günter che era stato
suo allievo un paio di anni prima, e si aspettava di trovarlo chino
sulla scrivania. Subito emise un grido strozzato e i suoi due amici, che lo seguivano, accorsero preoccupati e lo trovarono curvo
sopra il corpo di un uomo che indossava il camice: l’assistente
Günter.
Era un giovane alto, slanciato, sui venticinque anni, che solitamente procedeva per i corridoi dell’Università con un fare curvo. Pallido ma bello, anche se il suo volto sembrava ora quello
di un morto in quanto la massa di capelli di un incredibile nero
era sparsa a circondare gli occhi chiusi e profondamente infossati.
L’uomo giaceva con la faccia rivolta al soffitto ma lungo il collo, che s’intravedeva un rivolo di sangue raggrumato. Appariva
immobile e inerte ed anche Heinrich si chinò repentinamente su
di lui e lo sollevò. “Non è morto,” esclamò preoccupato “sembra
solamente privo di sensi. Deve aver ricevuto un brutto colpo sulla testa.”
- 171 Michael era ancora inginocchiato affianco a lui e osservava in
silenzio mentre Heinrich tentava di far rinvenire il suo assistente
con buffetti e parole mormorate. Poi lo lasciò alla preoccupazione di Michael e si alzò. Indietreggiò e afferrò Alexander traendolo in disparte: “La stanza è stata quasi sicuramente perquisita.
Chissà se hanno trovato quello che cercavano.” Alexander osservò la stanza ma non notò nulla di particolare. D’altronde era la
prima volta che vi entrava. “Forse no. Magari sono stati disturbati dall’arrivo dell’assistente. Ma cosa potevano mai cercare di
rubare qua dentro?”
In quel momento Günter, ancora steso a terra e tra le braccia di
Heinrich, aprì lentamente gli occhi e si guardò attorno. Il suo
viso si rischiarò nel vedere il suo capo chino su di lui “Günter,”
chiese questi dolcemente “come stai? Chi è stato?”
“Mettiamolo seduto” consigliò Alexander. “Sembra stare meglio.” Ma le parole affettuose di Heinrich non riuscirono a mettere l’uomo in condizione di parlare. Quando finalmente riuscì a
rispondere, mormorò alcune frasi sconnesse mormorando di
oscurità, di voci e di uomini vestiti di blu e privi di volto che l’avevano colpito a tradimento. Subito dopo ricadde in uno stato di
semicoscienza. “Probabilmente,” balbettò Heinrich senza distogliere lo sguardo dal suo assistente, “lo hanno colpito quando ha
varcato la soglia. Udendo il rumore deve essere entrato e loro
sentendolo arrivare lo hanno colpito.”
“Non possiamo restare inerti senza fare nulla,” si rivolse ad entrambi Alexander “quest’uomo dev’essere portato in ospedale al
più presto. Mi dispiace perché mi è venuta come l’impressione
- 172 che possa essere stato il mio committente che sta cercando il suo
prezioso pacchetto. Una volta oltre confine dovrò anche cercare
di recuperarlo, se mi sarà possibile.”
“Dovremmo.” Lo corresse Heinrich. “Abbiamo un appuntamento improrogabile in quella zona, te lo sei scordato? Poi ovviamente verremo con te per darti una mano qualunque cosa ci sia
da fare. Un po’ come i tre moschettieri.”
“Che, però,” replicò quasi automaticamente Alexander “erano
quattro.”
“Ma noi” puntualizzò “saremo in quattro una volta raggiunte le
terre di confine. Te, io, Michael e Maximilian.”
“Va bene, va bene. E percorreremo in lungo e in largo l’impero
del male tentando di recuperare i favolosi gioielli della nostra regina” aggiunse sarcastico. “Ma ora vai a chiamare l’autoambulanza prima che mi venga voglia di mettermi a piangere. Non
siamo mica personaggi della Reichstelefunken.”
“No,” disse sollevando immediatamente la cornetta “ma un film,
lo sai, potremmo proprio farlo. La prima inquadratura è quella di
un paio di stivali da parata ai piedi di un letto.” E poi si affrettò
a fare la sua telefonata prima che qualcuno dei due potesse replicare.
- 173 -
Capitolo XXX
Il sole era già alto nel cielo e illuminava intensamente la pianura
del Wartheland, tra l’Oder e la Vistola. Tutto era tranquillo e silenzioso e il sole si mostrava a tratti tra le nubi e le cime degli
alberi. I cirri sfilacciati sfilavano lenti nel cielo e il vento freddo
d’oriente rendeva l’atmosfera trasparente come un vetro.
Una teoria ininterrotta di figure geometriche impresse nel terreno dal lavoro agricolo erano solcate dal sottile nastro nero pece
dell’Autobahnen 66. L’intero territorio somigliava a un enorme
disegno geometrico d’arte degenerata; verde e giallo sullo sfondo di un intensissimo cielo blu punteggiato ogni tanto di grossi
corvi neri che s’alzavano dai campi.
Erano in tre sul fuoristrada che procedeva velocemente e silenziosamente verso oriente. Michael dormiva sul sedile posteriore
circondato da zaini, bagagli di ogni tipo e attrezzature per il rilevamento geologico che però erano quasi completamente incomprensibili per loro.
- 174 I loro documenti affermavano indiscutibilmente a chiunque li
avessero mostrati che erano tecnici della Deutsch Stenöl che stavano eseguendo delle rilevazioni. Se li avessero intercettati oltre
confine avrebbero insistito sull’errore umano sperando nella
comprensione delle guardie di confine.
Heinrich, che stava guidando, si rivolse ad Alexander che era al
suo fianco e osservò “Hai trovato qualcosa d’interessante nel libretto d’istruzione dell’auto che stai leggendo da oltre
mezz’ora?”
“Credo di si” osservò pensieroso Alexander. “Lo sai che sono un
poco paranoico con i mezzi tecnici” spiegò senza sollevare neppure gli occhi. “Qui,” proseguì indicando un piccolo pannello
elettronico “ci sono indicate una serie di coordinate e per di più
il manuale che sto consultando specifica che questo navigatore è
in contatto con il satellite geostazionario Reisender.”
“In effetti hai ragione;” rifletté Heinrich inarcando la schiena
come un gatto appena svegliato e sbadigliando rumorosamente
“qualora ci beccassero sarebbe difficile convincere chiunque che
abbiamo sbagliato strada. Sopratutto se abbiamo un navigatore
satellitare funzionante montato sul cruscotto.”
Alexander spostò indietro il sedile e, tenendo aperto sulle gambe
il libretto delle istruzioni, sganciò il pannello frontale del fuoristrada e armeggiò con un piccolo cacciavite. “Stacco soltanto lo
spinotto; in caso di emergenza lo possiamo riattivare. Dopo la
- 175 perquisizione del tuo ufficio, che l’altro ieri sera ha rischiato di
spedire precocemente nel Walhalla il tuo assistente, non apprezzo molto che altri possano sapere dove ci troviamo.”
“Pensi che il tuo committente possa accedere ad un satellite del
Reich?”
“Se può” rispose richiudendo il pannello “ora non gli serve a
nulla.”
Quella sera si fermarono nel Reichkommissariat dell’Ostland e
passarono alcune ore della notte in una minuscola pensione vicino ad un piccolo lago che rifletteva le stelle del cielo terso e limpido. Un gruppo di cinghiali grufolava tranquillo al limite dello
spazio e fuggirono via, spaventati dall’improvviso irrompere
della loro automobile. Le grida di un rapace risuonarono quella
notte nella quiete profonda del vicino bosco mentre, di tanto in
tanto, si udiva l’uggiolato disperato di un cane che l’immenso
spazio vuoto e freddo trasformava in un lamento inquietante.
Dormirono praticamente in automobile visto che partirono quando era ancora buio. Se avessero avuto tempo, si sarebbero riposati una volta raggiunte le pendici degli Urali.
Oramai non scorrevano più campi attorno a loro, più spesso foreste incolte, oppure pianure steppose e deserte, presero il posto
delle filiere dei frutteti ordinati a cui erano abituati percorrendo
le strade del Reich. Man mano che procedevano verso la Russia
Sovietica il paesaggio caratteristicamente tedesco sparì e appar-
- 176 vero sempre più spesso, una dietro l’altra piccole cittadine dominate da chiese con campanili tipicamente ortodossi, anzi le torri
sembravano quasi proteggere le case ammucchiate ai loro piedi.
Verso sera iniziarono a intravedere i sobborghi della città di Ufa.
Incorniciata nella valle da alte rocce grigie, i suoi pendii erano
ricoperti di alberi e arbusti. Ai lati dell’autostrada sorgevano antiche case dalle pareti di pietra e con il tetto ancora in paglia e
legno, raggruppate irregolarmente. Pian piano divennero sempre
più numerose fino a che alla loro sinistra, verso nord, videro ergersi chiaramente la torre campanaria la cui forma orientaleggiante li fece repentinamente sentire come in Sud Tirolo quando,
anni addietro durante le vacanze estive, avevano visitato le terre
su cui si era insediata dopo la guerra patriottica una folta comunità cosacca.
Era la loro uscita ma avevano ancora molta strada da percorrere
e quasi tutta su strade che non avevano nulla da invidiare a una
mulattiera.
- 177 -
Capitolo XXXI
Le cime degli Urali levarono le loro vette candide di neve al di
sopra del manto boscoso e il bianco candore spiccava contrastando con il verde cupo degli abeti. Calò la notte e in poco tempo i colori sfumarono, ma la luna salendo alta fece scintillare i
suoi riflessi tremuli sulla neve proprio attorno ai pinnacoli rocciosi che si ergevano verso il cielo, come scogliere sul mare.
Immerso in quella luce magica, in cui il verde profondo dei boschi di pini e le macchie di ginepri si stendevano pigre sotto il
turchese del cielo, a Maximilian sembrò quasi di camminare
verso l’ingresso del Walhalla. Ma nonostante questa impressione mistica il nevischio gelato gli tagliò ripetutamente il viso
come schegge di vetro e la salita ripida ne rallentò l’andatura. Il
vento portò l’odore ghiacciato e pungente della resina di pino fin
alle sue narici, facendolo penetrare quasi direttamente nel suo
cervello e dandogli una sferzata simile all’aroma amaro del caffè.
- 178 Aveva camminato speditamente tutto il giorno ed era quasi arrivato, ma si sarebbe dovuto fermare per la notte. Quindi, quando
notò una capanna in cima ad una altura, la ritenne perfetta come
rifugio temporaneo.
Strizzò gli occhi per poterla osservare meglio. Dall’aspetto era
un tipico rifugio per mandriani quando conducevano gli animali
al pascolo: dietro la costruzione, sotto una specie di rudimentale
tettoia, alcune balle di fieno con che ancora emettevano il loro
pungente odore di erba fresca. Poco distante un rivolo d’acqua
era stato incanalato in un mezzo tronco scavato dove si abbeveravano le bestie e questo, pieno di muschio, traboccava creando
un’ampia area fangosa subito dopo l’abbeveratoio.
Pensò che lì dentro, probabilmente dato che la stagione era così
avanti, non vi era e non vi sarebbe entrato nessuno. Avrebbe potuto trovarvi un sicuro riparo per la notte che si preannunciava
parecchio fredda e umida. Vi si diresse, varcò cautamente la soglia e si assicurò che non vi fosse nessuno all’interno.
Certo che la capanna fosse vuota, vi si insediò felice. Un focolare in pietra, sul lato opposto rispetto alla porta, lo invogliò. Sembrava quasi parlargli tanto lo tentava, ma ritenne poco prudente
accendervi un fuoco non indispensabile dato che era così ben riparato e non correva certo il rischio di cadere in ipotermia. Non
era più tormentato, dentro il suo rifugio, da quel vento ghiacciato che insidiosamente e costantemente l’aveva accompagnato
durante il cammino. Tirò fuori dallo zaino una coperta e piombò
d’un tratto nell’incoscienza del sonno. Un sonno senza sogni e
senza preoccupazioni.
- 179 Il freddo notturno era pungente e la nebbia si trasformò durante
la notte in galaverna, creando fantasmagorici ghirigori di ghiaccio sugli arbusti, sui cespugli e sull’erba.
Quella mattina il cielo era velato da nubi alte e sottili che lasciavano trasparire la prima luce del sole come un alone biancastro e
diffuso, non molto sopra l’orizzonte. Durante la giornata rischiava di nevicare e se ne rese conto ancor prima di uscire dalla capanna poiché la caviglia, che s’era rotto anni prima, gli scricchiolava. Non faceva male, ma il rumore che produceva in torsione era un inconfondibile barometro.
Uscì rabbrividendo e s’incamminò velocemente pur con tutti i
muscoli irrigiditi. Pochi metri dopo alcuni fiocchi di neve richiamarono la sua attenzione. Si girò attorno e notò una serie di impronte sul terreno fangoso inumidito dall’acqua che tracimava
dall’abbeveratoio delle bestie e scorreva, subito sotto il terreno,
verso la valle. Gli si avvicinò e le osservò senza chinarsi per evitare che lo notassero mentre vedeva concretarsi i propri sospetti.
Le sue erano ghiacciate durante la notte ma queste erano state
fatte subito dopo che la temperatura era scesa sotto lo zero. La
sottile trama del ghiaccio era fratturata con un disegno tipico. Lo
stavano sicuramente seguendo. -Katharina?- pensò sperando.
Ma subito dopo gli vennero alla mente anche il pensiero spiacevole della sparatoria in cui aveva a stento salvato la vita.
Prese velocemente un sentiero come se fosse quello che doveva
percorrere e si allontanò dalla sua meta. Dopo circa mezz’ora di
cammino spezzò da un pino una fronda e tornò indietro di circa
- 180 trecento metri camminando fuori sentiero e cancellando con
cura ogni impronta che lasciava nel tornare indietro. Era ancora
abbastanza buio e poi gli alberi a lato del sentiero ne coprivano
le azioni. A questo punto scavò un incavo in vista del sentiero
quasi in mezzo alle radici di un grosso albero e si coprì di terriccio e di foglie secche sparendo dalla vista.
Non dovette aspettare molto che vide la zona popolarsi di figure
silenziose. Almeno tre macchie scure apparvero improvvisamente dal nulla stagliandosi nella lattiginosa luce dell’alba e procedevano in ogni direzione come bocce impazzite lanciate da un
giocatore maldestro ed impaziente.
Sicuramente erano armati e quindi pericolosi. Quando arrivarono nel punto in cui s’interrompevano le tracce e divenne evidente che li aveva scoperti, sbottarono in richiami rabbiosi e ordini
semisoffocati che echeggiavano nella valle con le loro tonalità
slave. Accento yiddish: terroristi dei campi profughi. Un brivido
freddo gli passò lungo la schiena mentre la realtà del rischio che
stava correndo gli impattò nello stomaco lasciandolo quasi senza
fiato.
La situazione paradossalmente stava rapidamente deteriorandosi. Non appena i suoi inseguitori si fossero allontanati si sarebbe
diretto alla sua meta velocemente anche perché stava già nevicando. Presto i fiocchi sarebbero stati abbondanti e avrebbero
potuto causare un manto eccessivamente traditore dal punto di
vista delle tracce.
- 181 Ben presto non ci sarebbe stato più un velo di neve da spazzare
via, ma un manto profondo in cui a stento riuscire a sollevare i
piedi.
Non desiderava per nulla sentire la campana suonare per lui.
- 183 -
Capitolo XXXII
Il bosco al tramonto faceva risplendere i colori dell’autunno,
mentre subito fuori dal limitare degli alberi era già pieno inverno; edere e liane serpeggiavano lungo i tronchi delle querce;
s’alternavano ampie zone verdi e lunghe corde marroni.
Passato il bosco Maximilian si ritrovò allo scoperto su un’ampia
distesa innevata, neve farinosa e soffice. Il sole spandeva un abbacinante chiarore che il riflesso rendeva ancora più intenso e
insopportabile. C’era neve quasi ovunque, e la doveva evitare
per non essere facilmente rintracciato: si guardò attorno perplesso, alla ricerca di un percorso che gli permettesse di aggirare la
pianura.
Il sole era alto nel cielo ma il vento batteva violento facendo turbinare vorticosamente del nevischio, questo ne riduceva la visuale impedendogli di valutare correttamente la propria posizione. I piedi erano doloranti e gli pulsavano, mentre le mani erano
oramai insensibili.
- 184 Maximilian decise di fermarsi sul bordo della pianura quando si
rese conto improvvisamente che proprio lì alcune settimane prima s’erano fermati lui e Alexander a cambiare la targa della
macchina sostituendola con una sovietica. Il bosco creava una
strana insenatura nello spazio proprio al confine tra i due mondi
e lì Maximilian si fermò immobile. Gettò via la fronda con cui
aveva coperto le sue tracce fino a quel punto evitando così di lasciare una indicazione troppo evidente sullo strato ancora leggero di neve. Man mano che i fiocchi continuavano a scendere e a
coprire definitivamente ogni sua traccia ringraziò il cielo per
l’abbondante nevicata così come prima l’aveva accolta con sgomento.
Cercò una pietra piatta e sottile ma robusta a sufficienza da servirgli come badile e in meno di un paio d’ore aveva impiantato
il suo campo in maniera da poter stare comodo e caldo mentre
aspettava l’arrivo dei suoi amici salvatori. Posizionò alcune
grosse fronde e le legò fra loro con delle liane: in breve una specie di tenda vegetale fu pronta ad ospitarlo. Davanti all’ingresso
scavò una profonda buca in cui poter alloggiare il fuoco e nasconderlo durante la notte cosicché avrebbe potuto scaldarsi evitando di essere individuato. Li avrebbe aspettati in quel luogo
fino alla data stabilita e forse anche un giorno in più, poi avrebbe varcato il confine da solo sperando di riuscire a cavarsela.
Non appena si sdraiò al riparo l’inattività iniziò a roderlo e rifletté su tutto quello che era accaduto e potrebbe ancora succedere. Nella sua testa turbinarono furiosamente due pensieri soltanto ossia lo strano oggetto che stava trasportando e la situazione ignota di Alexander che, per quanto fosse sicuro se la fosse
- 185 cavata meglio di lui, avrebbe potuto anche essere stato arrestato
dai Sovietici. Ma sempre in fondo senza riuscire ad emergere gli
rodeva, pronto a balzare in cima ai suoi pensieri, il tarlo della
delusione.
Il calore che gli infiammava l’animo, in questi momenti in cui
stava protetto sotto il suo improvvisato riparo, avrebbe anche
potuto far squagliare totalmente la neve dell’intero spiazzo che
si stendeva di fronte a lui. Le fiamme del bivacco nel frattempo
si ravvivarono man mano che vi gettava della legna, e spandevano una luce intensa e brillante. Il crepitare delle fiamme e la luce
diffondevano nel limitare del bosco un senso di pace e intimità
che mitigò in parte la sua tristezza. I guizzi delle fiamme penetravano nel suo piccolo riparo proiettando sul soffitto vividi bagliori multiformi mentre il sibilo continuo del vento risuonava
ininterrottamente tra le fronde.
- 187 -
Capitolo XXXIII
I tre soccorritori di Maximilian erano intirizziti e nonostante un
piccolo fuoco che erano riusciti ad accendere, e a mantenere
stentatamente vivo, si accostarono quasi abbracciandosi per ripararsi a vicenda dal freddo pungente. Rapidamente le fiamme
si spensero e nessuno di loro, vista l’ora tarda, pensò a ravvivarle mentre ad illuminare la vasta montagna che incombeva al
buio restò solamente il riverbero caldo delle braci.
Il fuoristrada parcheggiato dietro di loro forniva a stento un leggero riparo dalle intemperie ma la tenda in cui erano rintanati
manteneva ottimamente il calore tiepido dei loro corpi. La notte
era praticamente trascorsa e sorse il giorno in cui dovevano attraversare la frontiera e recuperare il loro amico mentre loro non
erano riusciti quasi a dormire, ma avevano sonnecchiato chiacchierando di cose stupide e guardando le fiamme in agonia.
- 188 Alexander, che la sera prima alla “Taverna dell’orso” s’era informato da alcuni suoi conoscenti circa gli orari e i percorsi delle pattuglie di confine, fece scricchiolare la schiena dato che l’umido della notte l’aveva irrigidito. “È ora di muoversi. Abbiamo
tre ore per risalire la valle in completa sicurezza.”
Subito cominciarono a preparare gli zaini.
“Ma perché diavolo non possiamo andarci in macchina” brontolò assonnato Michael ad Alexander.
“Hanno installato una serie nuova di rilevatori di vibrazione in
questa zona. Per quanto cercassimo di evitarli, il peso dell’auto
li farebbe scattare e non potremmo più tornare dalla stessa strada
da cui passiamo. Ci vorrebbe troppo tempo.”
Heinrich aveva già lo zaino addosso e le aste della barella d’emergenza che spuntavano sovrastandolo: “Dai, pigrone, la piana
dell’appuntamento dista solamente tre chilometri. Non vorrai
farmi credere d’essere un invertebrato subumano?”
Man mano che il sole saliva nel cielo e divenne sempre più
splendente, faceva brillare l’acqua dei ruscelli che attraversavano la valle come nastri d’argento. La luce diffusa omogeneamente dal cielo, dalla neve e dal ghiaccio confondeva i contorni
e i volumi affogando l’intero paesaggio in un biancore lattiginoso.
Tre figure scure risalivano la valle incassata, camminando con
difficoltà in un piccolo torrente per camuffare le proprie tracce.
Il ruscello scorreva tra i massi levigati e gorgogliava diminuen-
- 189 do la sua portata man mano che salivano. Non appena lo abbandonarono piombando in mezzo ad un folto manto nevoso sollevarono al loro passaggio una impalpabile nube di candida polvere farinosa, che il sole faceva scintillare dei mille colori dell’arcobaleno come fosse un segnale magico. Quando in un momento di pausasi voltarono, e videro questo gigantesco arcobaleno
diffuso dietro di loro come fosse un aquilone, rimasero muti per
la meraviglia, come sospesi in quell’atmosfera senza dimensioni
e senza tempo; e in quel momento l’unico contatto con la realtà
fu il fischiare monotono del vento.
Il confine era ormai alle loro spalle e stavano procedendo velocemente in modo estremamente silenzioso. La pianura dell’appuntamento era davanti a loro e vi entrarono quasi senza rendersene conto. Alexander, che era in testa, si voltò: “Siamo arrivati.”
Alle sue spalle un movimento brusco fece spalancare per l’emozione gli occhi ai suoi compagni. Senza indugio alcuno lo sorpassarono come una muta di cani da caccia all’inseguimento di
una volpe e, increduli e gioiosi, piombarono addosso a Maximilian, che parve spuntare direttamente dal terreno, e l’abbracciarono vigorosamente. Si spingevano l’un l’altro emozionati come
una torma di cuccioli che si annusano reciprocamente e guaiscono contenti.
Maximilian era sfinito e solamente l’abbraccio dei compagni gli
impedì di accasciarsi seduto per terra. Alexander lo osservò quasi non riuscisse ancora a capacitarsi che fosse davvero ancora
- 190 vivo, come se quest’atmosfera magica e irreale fosse un incubo
ingannatore e fosse destinato inesorabilmente a dissolversi al risveglio.
Gli andò incontro e lo abbracciò commosso. “Lasciati guardare!
Ma come sei conciato?” Maximilian, per quanto esausto e stremato, e non si sentiva più minacciato da difficoltà fino a poco
tempo prima quasi insuperabili, ma sentiva di avere nuovamente
in mano il controllo sulla propria sorte e per nessuna ragione
avrebbe consentito che sfuggisse nuovamente di mano.
- 191 -
Capitolo XXXIV
Un giovane militare in tenuta mimetica sbucò improvvisamente
nella radura. Era lontano ma si capiva ugualmente, in base alla
ponderata lentezza dei movimenti, che aveva molta esperienza
in operazioni di infiltrazione. Continuava a cambiare direzione,
muovendosi a zig zag, ma puntò deciso verso Altfried.
Lo Standartenführer era in borghese con in testa un berretto di
pelo di coniglio, capo di abbigliamento tipico della zona, per
contrastare adeguatamente il freddo siberiano. Un giubbotto imbottito blu faceva spiccare la sua figura in mezzo al verde del
bosco e sul bianco della pianura.
Il giovane militare, un Rottenführer in base alle mostrine da caporale che aveva sulla divisa, scattò sull’attenti fermandosi di
fronte ad Altfried “Obiettivo in avvicinamento lungo il sentiero
orientale. Tempo stimato di arrivo un ora e mezza a partire da
ora. Avranno una visuale libera sulla pianura in cui ci troviamo
tra circa un ora.”
- 192 “Grazie, Rottenführer” poi si girò e quasi indirizzandosi alla vegetazione dietro di lui “Sentito ragazzi? Prendere posizione e
completare la mimetizzazione delle postazioni.” Solamente un
leggero fruscio tra le fronde poteva dare l’impressione che avesse parlato rivolto a qualcuno.
“Sia chiaro” proseguì disinvoltamente “nessuno apra il fuoco se
non do il segnale, e nessuno abbandoni le sue posizioni senza un
mio esplicito ordine.” Non aveva ancora deciso se arrestarli, eliminarli o lasciarli andare, ignorandoli. Ci stava ancora riflettendo in piedi, stagliato sul manto candido della pianura affianco
alle due autovetture. Tutto sarebbe dipeso da come si fosse sviluppato il loro incontro e tutto l’ottimismo del mondo nulla può
contro l’avversità della sorte.
Rimase così immobile da confondersi quasi con il panorama. Se
avesse avuto il vizio deplorevole di fumare a quest’ora si sarebbe sicuramente e volentieri acceso una sigaretta, non fosse altro
che per scaldarsi. Aveva guardato lungo la cresta in lontananza
una dozzina di volte, e aveva sollevato il braccio numerose volte
per poi girarsi e confrontare l’ora con quella segnata dall’orologio nel cruscotto della sua auto.
Per fare trascorrere il tempo e ignorare la morsa del gelo svuotò
la mente e si preparò all’azione come gli aveva insegnato,
quand’era operativo in Italia, un gesuita di passaggio. Un indiano piccoletto che si chiamava De Mello. Ne ricordava ancora
con affetto la faccia scura e le ciglia folte, oltre che i detti folgoranti e la personalità illuminata.
- 193 In lontananza apparvero improvvisamente, riportandolo alla
realtà, quattro figure. Le si poteva identificare solamente a causa
del movimento, ma si facevano sempre più vicine. I quattro che
stavano scendendo a valle s’immobilizzarono per un istante
come stambecchi che avessero fiutato il pericolo. Indecisi e perplessi avevano sbandato e s’erano raggruppati. Poi, dopo un breve istante, s’erano nuovamente sparpagliati e avevano ripreso la
loro discesa.
-Tutto questo trambusto per una vecchia tavoletta d’argilla
spuntata fuori accidentalmente dai deserti iracheni e finita sul
mercato nero sovietico- pensò Altfried. I misteri del grande gioco della politica a volte gli divenivano incomprensibili. Ingannare, spiare, rubare e forse morire per una vecchia lettera. Forse
vecchia era, a dir poco, un eufemismo visto che, in base a uno
degli incartamenti che aveva letto, doveva avere più di quattromila anni. Una lettera di un re ad un sacerdote e tutti e due ormai
erano ridotti a polvere nel loro stesso deserto da moltissimo tempo.
Le sue prede, vivissime invece, erano quasi in prossimità della
pianura. Riuscì ad identificarle senza alcun problema sebbene
nessuno di loro somigliasse minimamente alle fotografie archiviate nei rispettivi fascicoli. Rallentarono mentre Altfried si
strinse le mani conserte per aumentare il caldo pur senza fare
movimenti troppo bruschi.
- 194 Aveva come la sensazione di trovarsi di fronte ad un compito
troppo arduo per le sue sole forze quando l’intera situazione
sembrò dipanarsi da sola. Era il destino che, come un gatto, giocava con un gomitolo di lana. E il filo degli avvenimenti accelerò improvvisamente.
“Herr Alexander?” chiese esitante con un largo sorriso di circostanza. Il gruppo si fermò e l’interrogato avanzò perplesso. Aggrottò le sopracciglia come se stesse cercando di ricordare.
Sollevò l’indice “Lei … Lei non è per caso il mio committente?
Mi sembra di riconoscere il tono di voce, con quell’accento così
latino.”
“Esattamente. Ho saputo che ha avuto moltissimi problemi per
quella che pensavo fosse una consegna facile e me ne dispaccio.
Sono venuto di persona a portarle le mie scuse.”
Alexander cercò di pensare velocemente a come comportarsi.
Non avevano previsto potesse essere addirittura colui che gli
aveva commissionato il trasporto e s’erano preparati ad essere
interrogati da un poliziotto di confine, magari da qualcuno facilmente corrompibile.
Erano tutti disarmati e all’oscuro della situazione. Sicuramente
la scelta più saggia sarebbe stata quella di lanciare lontano da sé
lo scottante pacco che avevano portato con se da oltrecortina. Il
disegno che ne aveva fatto Maximilian sarebbe stato un loro segreto. Una specie di assicurazione nel caso rischiasse di accader-
- 195 gli qualche altro spiacevole inconveniente da parte di qualche altro attore in questa commedia. Ma non l’avevano fatto e questo
adesso era un bene. Forse.
“Beh, già che è qua mi risparmia la fatica di venirla a cercare.
La ringrazio per le scuse e la premura ma … ce l’ha con se il denaro?”
-La mia copertura pare reggere- pensò meravigliato Altfried
mentre gli consegnavano senza nessun problema il suo preziosissimo reperto in cambio della busta con il denaro. Era quasi
impossibile che tutto avvenisse in maniera così tranquilla e pulita.
“Ho aggiunto una gratifica per compensarla del tremendo disagio che le ho involontariamente causato.”
Da un momento all’altro sarebbe sicuramente successo qualcosa
che avrebbe infranto questa perfezione, se lo sentiva nelle ossa.
Un dettaglio, una macchia che si sarebbe ingigantita fino ad infrangere l’ordinata realtà e a lasciarli tutti morti a macchiare di
sangue purpureo quella candida pianura.
Quando tornò in se e allontanò le fantasie morbose che gli ruotavano vorticosamente nella sua testa, il fuoristrada infangato con
in evidenza la sigla Deutsch Stenöl sui portelloni si stava allontanando a balzi in direzione della città di Ufa.
Aveva in mano un pacchetto di carta marrone ma la sua mano
stava sudando e lo infradiciava. Ne aprì un lato per controllare
di non essere stato ingannato, ma era sicuro del contenuto. Sape-
- 196 va leggere troppo bene negli occhi delle persone. Forse gli aveva
nascosto qualcosa ma non lo stava ingannando. Appena chiusa
la pratica avrebbe cercato di scoprire cosa non volevano fargli
sapere.
- 197 -
Capitolo XXXV
La nebbia serpeggiava sull’acqua dello Spree e si diradò mentre
il sole, al tramonto, incendiò la superficie del fiume illuminando
le distese nevose che ne coprivano le rive. Lo Spree scorreva
placido quella sera. Sembrava fosse più quieto del solito, quasi a
cullare i sogni dei germani reali che riposavano in piccoli gruppi
sulle sue rive. Da lontano, e al buio, i germani somigliavano a
un gruppo di gatti accovacciati nel riposo notturno ma, non appena si muovevano, le loro ali ne evidenziavano l’identità.
In lontananza e quantunque fosse buio si poteva vedere al lieve
chiarore della notte stellata la sagoma della Karinhall che si stagliava ad evidenziare il suo contemporaneo essere nella città di
Berlino e al tempo stesso isolata e circondata dal fiume.
Su di un muretto marmoreo, che arginava il corso del fiume e su
cui erano incise una grande quantità di svastiche, fronde di quercia e nodi celtici, quattro figure erano sedute sotto il cerchio di
luce gialla prodotto da un lampione.
- 198 Il loro fiato condensava in grosse nuvole di vapore acqueo ma
preferivano parlare fuori, all’aperto e ben coperti, piuttosto che
rischiare di essere ascoltati tramite una qualche diavoleria elettronica che potevano essere, ed erano frequentemente usate da
una moltitudine di persone. Quello che ignoravano era oramai in
tutti i lampioni stradali erano inseriti a partire dagli anni settanta
un microfono e una telecamera, anche se al momento quelli alloggiati nel lampione sotto cui si trovavano erano entrambi
spenti.
Era quasi mezz’ora che parlavano, e la conversazione li aveva
distolti da ciò che avveniva intorno a loro. Michael si era fatto
quasi estrarre le parole di bocca a forza. Parlava contro voglia, e
ben presto divenne chiaro il perché.
“Capite che la decifrazione delle scritture cuneiformi non è il
mio settore. Considerando le vicende che sono legate a questo
disegno, e soprattutto tenendo presente che non avrebbe dovuto
neanche esistere questa nostra assicurazione, ho dovuto operare
con molta circospezione. Ho consultato i testi senza che risultasse in nessuno schedario e inoltre non ho potuto chiedere la consulenza di nessuno.”
Heinrich lo ascoltò con un silenzio interessato ma Alexander era
quasi insofferente per questo preambolo “Abbiamo capito, ma
sono almeno tre settimane che ci tieni sulle spine. Vorrei sapere
se è per causa mia che Max stava per lasciarci le bucce oppure
no.”
- 199 “Quando ti infiammi diventi estremamente pittoresco, questo te
lo devo riconoscere. Per rispondere comunque alla tua domanda
direi che la mia opinione è che faremmo bene a tenere un profilo
decisamente molto basso e a non mostrare a nessuno questa copia.
L’originale era molto antico, stimerei che risalga a dopo la costruzione delle mura della città sumera di Ur. Era una lettera del
signore di quella città, Urukagina. Questo permette di datarla al
2300 avanti Cristo. Si chiede formalmente al mittente, che è un
alto sacerdote di Ellil di Nippur, re degli dei, di allontanare da
sotto le mura della città il popolo degli Amorrei, una tribù nomade proveniente da ovest. Evidentemente tra questa tribù e il
sacerdote dovevano esservi buoni rapporti.
Heinrich rimase pensoso. Qualche collegamento si stava facendo strada nella sua mente. “Gli Amorrei sono citati anche nella
bibbia, mi pare di ricordare.”
“Esatto. Probabilmente per un ottimo motivo considerando che
l’incarico di allontanare questi popoli nomadi ricadde su Terach
figlio di Nacor, figlio di Serug. A voler essere precisi potrebbe
essere anche più noto a noi occidentali moderni come il padre di
Abrham.”
Il silenzio piombò in mezzo a loro. Alle affermazioni di Michael
non vi furono domande infatti tutti cercavano di assimilare ciò
che avevano appena inteso e di vagliarne le possibili conseguenze.
- 200 “Hai ragione” disse Alexander scuotendo la testa con una mossa
più significativa di un sorriso. “Proporrei di lasciare questa copia unica in mano al suo autore e che ne decida lui la sua sorte.”
Alle sue parole tutti assentirono sollevati; la scelta li soddisfaceva pienamente e non li gravava di alcuna responsabilità.
Alexander si rivolse a Maximilian che aveva accolto il suo nuovo incarico di custode del suo stesso scritto senza mostrare alcuna emozione. “Adesso che è tutto finito” proseguì “me lo vuoi
spiegare perché diavolo sei venuto fin nel Reichkommissariat
della Moskovien?” Gli si leggeva in volto che aveva voglia di
parlarne con loro per sfogarsi ma, come per una sorta di pudore,
aspettò di essere invogliato come un cucciolo di cane spinto dal
muso della madre.
“Ti ricordi” cominciò “di Katharina, la figlia del professor
Whinkel?” Lo stupore li congelò per un istante. Ricordavano
tutti fin troppo bene le sue affermazioni di alcuni anni prima.
“Sei riuscito ad incontrarla? È andato tutto bene?” chiesero quasi in coro.
Sul suo volto sembrò quasi di scorgere le tracce di un grande dolore, assunse un contegno molto pensoso e i suoi occhi vellutati
scintillarono nel buio. “Per nulla. O forse si. Non saprei ancora
valutare.” Parlando si strinse le spalle con l’aria di determinazione che aveva sempre tenuto in questi casi.
- 201 “Il poco tempo che ho trascorso con lei mi ha fatto capire molte
cose. Ho scoperto che è una persona singolarmente priva di gusti
e di idee, ma soprattutto che non è in grado di distinguere un libro da una cucina a gas.”
Proseguì cambiando argomento come se non avesse più nulla da
aggiungere “Comunque ho deciso di accettare la promozione ad
ufficiale che già da molti mesi avevo lasciato in sospeso. Non
volevo accettarla perché questo avrebbe comportato un notevole
allontanamento da Berlino, ma ora credo non abbia più importanza oramai.”
Si rivolse verso Alexander con l’espressione illuminata e gli
chiese con disinvoltura “Sei sicuro di voler vendere la tenuta?
Sai, temo che sarò di stanza a Kuzelga per alcuni anni.” Assentì
con il capo. E automaticamente proseguì citando ad alta voce un
verso a loro noto che l’aveva sostenuto nei momenti in cui il
dubbio avrebbe potuto insinuarsi subdolamente in lui “Amicus
certus in re incerta cernitur”.
Alexander esterrefatto lo guardò spalancando gli occhi come
una civetta sorpresa dall’alba e aggiunse “Si, adesso capisco
perché questi due, il gatto e la volpe, mi hanno detto che stavano
progettavano un’importante scavo archeologico di almeno un
paio d’anni da quelle parti.” E con un sorriso amichevole in volto proseguì “Ho paura che ciò non porterà nulla di buono. Ma almeno, forse, ci divertiremo.”
- 203 -
La lunga notte della barbarie
Appunti di storia contemporanea ad uso dell’imperial regia
università del Quebec in preparazione al corso istituzionale
“Diplomazia III”.
- 204 -
La presidenza nord americana
Il 15 febbraio 1933 un emigrante italiano di tendenze anarchiche, Giuseppe Zangara, uccise a colpi di pistola il neoeletto presidente democratico americano Franklin Delano Roosvelt subito
prima del suo insediamento. Il vicepresidente, il texano John
Nance Garner (1868-1967), si insediò alla presidenza della casa
bianca.
L’economia nord americana era e rimase in crisi in quanto le misure prese dall’estabilisment politico non furono sufficienti ad
avviare una ripresa. Nonostante questo, nel 1937, il presidente
Garner venne rieletto, anche se di stretta misura. Solamente alla
fine del secondo mandato, nel 1941, Garner si ritirò a vita privata nel suo ranch in Texas dove rimase, lontano dalla vita pubblica, fino alla morte.
A causa della sua politica fortemente territoriale gli USA mantennero fermamente vincolate a loro Nicaragua, Haiti, Cuba e
Panama. Nello stesso periodo (tra il 1933 e il 1936) in cui, con
interventi militari, gli americani mantenevano la loro sfera d’influenza, sull’altro lato dell’oceano i giapponesi si ritirarono dal
Manciukuò.
- 205 -
Politica giapponese e fermenti
rivoluzionari
Il 2 febbraio 1936 alcuni ufficiali estremisti appartenenti alla 1°
divisione di Tokyo eliminano, con un colpo di stato, numerosi
alti dirigenti del governo. La rivolta in cui morirono il ministro
delle finanze Takahashi, il ministro del sigillo privato, ammiraglio Saito, e fu gravemente ferito il primo ministro ammiraglio
Suzuki, venne rapidamente stroncata. Quello stesso anno venne
stipulato il patto anti–Comintern con Berlino.
Il 1 giugno 1937, dopo un rapido succedersi di incaricati il principe Konoe divenne primo ministro e rimase in carica fino al
1939.
Il 7 luglio, presso Pechino, vi furono scontri tra truppe cinesi e
giapponesi in manovra (il famoso e discusso “incidente cinese”).
Approfittando di questi scontri i giapponesi dilagano da nord
verso sud e ovest; le divisioni scelte di Chiang Kai–Shek furono
sgominate a Shanghai e già nel mese di dicembre i giapponesi
occuparono la città di Nanchino, capitale dei nazionalisti .
Nell’estate del 1938, ai confini del Manciukuò, le truppe cinesi e
russe si scontrarono per 12 giorni fino alla vittoria sovietica.
In autunno cadde sotto l’avanzata giapponese Hankow (centro
del paese) e Canton (sud del paese); venne occupata la Mongolia
interna e la Cina del nord. Il governo nazionalista trasferì la ca-
- 206 pitale a Chungking. Dalla zona di Yenan (zona nord–ovest del
paese) i comunisti crearono uno stato permanente di guerriglia
antigiapponese.
A gennaio del 1939 il principe Konoe, l’eroe dell’espansionismo
giapponese, si dimise; seguirono alcuni governi deboli e dimissionari.
La rivincita tedesca e prodromi della
guerra di espansione ad ovest
Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler, già Führer del NSDAP (National Sozialistische Deutche Arbeiter Partei) venne nominato cancelliere del Reich e nell’agosto dell’anno successivo divenne
presidente della repubblica succedendo a Paul von Hindenburg.
Il 7 marzo 1936 l’esercito tedesco, con un audace colpo di
mano, si reimpossessò del territorio demilitarizzato della Renania.
Il 13 marzo 1938 i tedeschi attuarono l’Anschluss dell’Austria al
grande Reich. Dopo poco tempo (1 ottobre) vennero annessi i
Sudeti e successivamente, il 15 marzo 1939, venne invasa la Cecoslovacchia: il 16 marzo venne instaurato il “protettorato di
Boemia e Moravia”.
Durante tutta l’estate si ebbero tra Germania e URSS continui
incidenti di frontiera che portarono il 23 agosto 1939 alla firma
del patto Molotov–Ribbentrop. Subito dopo iniziò il Drang
- 207 nach Osten (espansione ad est): in seguito alla simulazione di
un attacco dei polacchi, il 1° settembre 1939 la Polonia venne
invasa da due gruppi d’armate, da nord e da sud.
Il 3 settembre 1939 Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla
Germania per solidarietà con i polacchi mentre invece il ministro degli esteri sovietico, Vyaceslav Molotov, il 17 settembre
ordinò l’invasione della parte orientale della Polonia. Il 27 settembre Varsavia si arrese alla Wermacht e venne creato il “Governatorato Generale” di cui divenne responsabile il 17 ottobre
Hans Frank.
Il 3 novembre 1939 l’America, nonostante la forte pressioni delle lobby industriali, ribadì il proprio impegno a favore della pace
confermando la validità di ogni clausola dell’atto di neutralità
del 1937 rifiutando ogni rifornimento bellico verso le forze alleate.
Il 7 dicembre 1939 a Berlino venne emesso il decreto “Nach
und Nebel” (notte e nebbia) che autorizzava l’arresto delle “persone che minacciano la sicurezza tedesca” le quali dovranno
“sparire senza lasciare traccia nella notte e nella nebbia”. Il decreto rimase valido fino al 1976 quando venne abrogato.
- 208 -
Lo sviluppo scientifico nazional–socialista
e la creazione delle armi segrete
L’equipe tedesca guidata dagli scienziati Otto Hahn (1879-1968)
e Fritz Strassmann (1902-1980) definì ufficialmente nel 1938 la
teoria della fissione nucleare e ne diede dimostrazione pratica in
un laboratorio militare.
Il famoso fisico tedesco Werner Heisemberg fu nominato direttore del Kaiser Wihelm Institut di Berlino e l’istituto venne requisito dalla Hilffswafeamt (Ufficio armi ausiliarie) dell’esercito. Werner Heisemberg e Carl Friedrich von Weizsäcker vennero messi a capo del neonato “progetto Uranio”.
Il 14 giugno 1940 durante l’occupazione della Francia l’esercito
tedesco provvide al sequestro di tutti i diamanti industriali e riuscì a requisire ben 26 bidoni di acqua pesante. Il conte di Suffolk
e agli scienziati Hans von Halban e Lew Kowarski vennero arrestati e deportati come cospiratori. Tutto il materiale di ricerca
nucleare requisito in territorio francese viene passato al “progetto Uranio”. Durante l’autunno del 1940 le officine per la produzione di acqua pesante di Rjukan (Norvegia) vennero requisite
dalla Wermacht ed entrarono a far parte del progetto.
Heinrich Himmler (1900 -1959) istituì le prime Lebensborn:
speciali fattorie di genetica e allevamento umano; le SS iniziarono il progetto di ripopolamento della Polonia con persone di discendenza ariana.
- 209 -
La messa in sicurezza dell’est: la Francia
Il 9 aprile 1940 venne avviato il “piano Weserübung” del generale Nikolas von Falkenhorst: i tedeschi sbarcarono a Bergen,
Kristiansand e Trondheim. Il 2 maggio Cristiano X, re di Danimarca, ordinò l’immediata resa della Norvegia. Il 10 maggio
cade il Lussemburgo.
Il 14 maggio Arthur Purvis, capo della missione commerciale
anglo–francese a Washington, si vide rifiutare, fino al termine
delle elezioni presidenziali, ogni tipo di rifornimento bellico in
ossequio all’atto di neutralità.
Il 10 maggio 1940 sir Winston Churchill subentrò a Chamberlain come capo del governo oltre ad essere anche primo ministro
e ministro della guerra. Truppe inglesi occuparono l’Islanda, che
pure era sovranità danese.
Iniziò “l’operazione gialla”: tre gruppi d’armata tedesca iniziano
l’attacco alla Francia. Sulla destra von Bock (lungo Olanda e
Belgio), al centro (sulla Mosa) von Rundstedt e a sinistra (lungo
la linea Maginot) von Loeb. I francesi affrontarono i tedeschi a
nord pensando ad una ripetizione del piano Schlieffen del 1914.
I belgi persero tra il 12 e il 13 maggio le principali difese. L’Olanda capitolò il 14 e la regina Guglielmina si rifugiò dopo un
paio di giorni in Gran Bretagna. Il 13 maggio il generale Heinz
Guderian superò le Ardenne e varcò la Mosa presso Sedan; il 15
- 210 maggio i tedeschi sfondarono la linea Maginot a Sedan e a nord
tra Namur e Givet; il 17 venne investita Anversa, il 18 venne
raggiunta Bruxelles e il 20 maggio cadde il Belgio.
Le colonne tedesche il 24 maggio prendono Boulogne; lo stesso
giorno Hitler, in disaccordo con il generale Rundstedt, decise di
mantenere investire ininterrotta la pressione sulle sacche britanniche con attacchi aerei e con la IV armata appena giunta a Béthune.
Il 26 maggio i tedeschi sfondarono ad est di Dunkerque. Il 29
maggio, in serata, lord John Gort capitolò con 338.000 tra inglesi e francesi (200.000 inglesi) al generale Heinz Guderian. Il 6
giugno 1940 re Haakon di Norvegia proclamò la cessazione delle operazioni militari dalla Gran Bretagna dove si era rifugiato
con il governo e la riserva aurea.
Il 12 giugno 46.000 anglo francesi comandati dal generale Ihler
(compresi gli 8.000 inglesi del generale Fortune) si arrese al generale Erwin Rommel che ne impedì l’imbarco a St. Valéry–en–
Caux cannoneggiando la spiaggia. Il 14 giugno von Küchler entrò a Parigi ed il 22 giugno 1940 il nuovo capo del governo, maresciallo Henri–Philippe Pétain (l’eroe di Sedan nella guerra
mondiale), firmò l’armistizio.
- 211 -
La messa in sicurezza dell’est: la Gran
Bretagna
Il 3 luglio 1940 gli inglesi, temendo una possibile espropriazione tedesca, dopo aver tentato inutilmente di farsi consegnare la
flotta francese l’affondarono a Mers–el–Kebir.
Il 16 luglio Hitler ordinò di iniziare l’operazione Seelöwe (Leone Marino). L’operazione Seelöwe iniziò il 14 agosto con il
“Giorno dell’Aquila” ossia con la battaglia aerea per l’Inghilterra. A partire dal 15 agosto Göring intensificò gli attacchi alle postazioni radar inglesi.
Il 3 settembre quattro spie tedesche (un tedesco e tre olandesi)
sbarcarono nelle coste meridionali ed organizzarono una rete
spionistica per fornire le informazioni sul movimento delle riserve inglesi nel quadrilatero Oxford–Ipswich–Londra–Reading.
Il 3 settembre le truppe italiane in Libia del generale Graziani e
la 5° divisione leggera tedesca di Erwin Rommel, attaccarono le
truppe inglesi del generale inglese Wavell.
Il 6 settembre la RAF (Royal Air Force) aveva ormai perso metà
dei propri piloti. Tra il 7 e il 10 settembre la RAF iniziò a collassare a causa dell’ininterrotto bombardamento di aeroporti e installazioni militari.
Il 15 settembre iniziò l’invasione del territorio inglese. Due divisioni di paracadutisti crearono scompiglio nelle retrovie. Il feldmaresciallo Karl Rudolf Gerd von Rundstedt, al comando del
- 212 gruppo d’armate A (veterane della Francia), con sei divisioni di
fanteria, s’imbarcò al passo di Calasis e investì le spiagge tra
Ramsgate e Bexhill mentre quattro divisioni attraversarono la
Manica partendo dalla zona di Le Havre sbarcando tra Brighton
e l’isola di Wight.
I 70.000 uomini della prima ondata crearono una testa di ponte e
contemporaneamente sbarcarono 4.000 uomini, a mezzo di motobarche, e un uguale numero di paracadutisti scese nella zona
del Deal–Ramsgate.
Dopo aver preso possesso della spiaggia, il gruppo d’armate A
proseguì verso il primo obiettivo: la linea che corre tra Gravesend e Southampton. Gli inglesi, forti solo di 10 divisioni operative, reagirono lentamente perché schierati in Cornovaglia dove
sospettavano sarebbe avvenuto lo sbarco.
Nelle successive due settimane 30 divisioni tedesche (in tutto
200.000 uomini), di cui 6 divisioni Panzer e 3 motorizzate furono trasportate in territorio inglese da 1292 chiatte, 353 rimorchiatori, 871 motobarche e 115 navi trasporto.
Il 19 novembre Serrano Suñer, ministro degli esteri spagnolo,
chiese ed ottenne una fornitura di 400.000 tonnellate di grano in
cambio della dichiarazione di guerra all’Inghilterra.
A fine novembre del 1940 Romania, Slovacchia e Ungheria aderirono all’asse.
- 213 A dicembre reparti paracadutati italiani e irredentisti liberarono
l’isola di Malta chiudendo così la linea di rifornimenti per il
nord Africa. Successivamente, ottenuto l’assenso spagnolo, si
diede avvio “all’operazione Felix ” per la conquista di Gibilterra
attraverso la Spagna. Canarie spagnole, l’isola portoghese di
Madeira e parte del Marocco spagnolo divennero utili basi d’appoggio per scacciare gli inglesi dal mediterraneo orientale.
Il 18 novembre 1940 Winston Churchill, su ordine di sua maestà
re Giorgio IV, firmò il cessate il fuoco valevole però esclusivamente per il territorio inglese.
Giorgio IV restò a Londra, assieme al suo primo ministro, dopo
aver firmato l’atto di abdicazione mentre il resto della famiglia
reale partì per un “viaggio” di visita ufficiale del Commonwealth assieme al governo inglese in esilio.
Churchill venne arrestato e fucilato per crimini di guerra, ufficialmente a causa del suo esplicito ordine di abbattere aerei e
navi della croce rossa durante la battaglia per l’Inghilterra.
Il colonnello delle SS Franz Six con sei Einsatzgruppen iniziò le
operazioni di bonifica politica dell’isola. Duemila personalità
politiche e culturali britanniche vennero arrestate, seguendo la
lista preparata dal generale Walter Schellenberg e inviate nei
campi di concentramento in Germania. L’ambasciatore americano a Londra Joseph Kennedy , dovette rientrare a Washington.
- 214 -
L’attrito Sino–Americano
A settembre 1940 i giapponesi, approfittando della sconfitta
francese e delle difficoltà inglese, occuparono l’Indocina francese e strangolarono così i rifornimenti americani alla Cina sud–
occidentale. Gli americani avevano infatti venduto rifornimenti
bellici per 16 milioni di dollari, tra il 1931 e il 1938, in parti
uguali a Giappone e Cina nazionalista.
A marzo Wang Ching–Wei, uno dei maggiori capi nazionalisti
cinesi, assunse la presidenza del governo filogiapponese di Nanchino. Dall’altra parte del mare, a luglio, dopo un anno e mezzo
e tre governi transitori divenne nuovamente primo ministro
giapponese il principe Konoe.
Il 5 novembre venne eletto alla presidenza americana il repubblicano Wendell Lewis Willkie (1892-1944).
A fine anno l’America preoccupata attuò una serie di pressioni
diplomatiche sul Giappone per protestare contro il suo aggressivo espansionismo verso le Filippine ma priva di ben due importanti mercati (Inghilterra e Cina nazionalista) aumentò le esportazioni verso il Giappone.
- 215 -
La situazione nel resto dell’Europa e i
preparativi dell’invasione
Il 28 marzo 1939 Madrid, e quindi tutta la Spagna, cadde in
mano al generale Francisco Franco, che era alla guida di un pronunciamento militare.
Il 9 aprile 1939 l’Italia di Mussolini invase l’Albania e fondò
l’impero in nome di Vittorio Emanuele III. Il 28 ottobre 1940 le
truppe italiane entrarono in Grecia dall’Albania ma vennero pesantemente sconfitte e costrette a retrocedere fino al mare; le
truppe tedesche dovettero quindi venire in aiuto dell’alleato italiano.
L’URSS il 30 novembre 1939 invase il territorio della Finlandia
che si arrese il 29 gennaio 1940. Il 21 luglio 1940, approfittando
della situazione critica del Reich impegnato contro l’impero Britannico, l’Unione Sovietica annetté Estonia, Lettonia e Lituania
causando le giustificate apprensioni di Berlino.
Subito dopo la resa britannica si ebbero nuove adesioni all’Asse:
il 1 febbraio 1941 la Bulgaria, il 25 febbraio la Jugoslavia che
poi si ritirò dall’impegno in seguito alla forte pressione popolare.
Il 2 marzo il generale Rashid Ali, ostile ai contratti economici in
vigore con gli inglesi, prese il potere in Iraq facendo così cadere
nella sfera d’influenza tedesca i rifornimenti petroliferi di Mo-
- 216 sul. Le forze coloniali inglesi appartenenti al “Libero Impero
d’Oltremare” in Africa e in India rimasero a questo punto separate.
Il 10-17 marzo i tedeschi presero l’isola di Cipro e iniziò un deciso sostegno economico oltre che militare a Rashid Ali. Colonne tedesche, passando attraverso la neutrale Turchia e l’Iraq, diressero verso l’India.
A Londra venne eletto il governo di occupazione presieduto da
sir Oswald Ernal Mosley: le successive trattative diplomatiche
causarono la restituzione delle vecchie colonie tedesche (Togo,
Camerun, Africa Orientale Tedesca e Africa Occidentale) al
Reich.
Il 6 marzo iniziò l’invasione di Jugoslavia e Grecia: il 17 cadde
la Jugoslavia (che venne spartita: Serbia ai tedeschi, Dalmazia
agli italiani, Macedonia ai bulgari, Banato agli ungheresi e Croazia indipendente) e il 23 la Grecia.
A Mosca il 13 aprile 1940 Stalin firmò il patto sovietico–giapponese di neutralità valido per 5 anni.
Il 24 marzo Erwin Rommel iniziò l’offensiva ad El Mechili contro le forze coloniali inglesi e catturò l’intero Stato Maggiore inglese nonché il comandante in capo britannico in Egitto e Transgiordania, generale Richard O’Connor. Il 18 aprile una brigata
inglese appartenente al “Libero Impero d’Oltremare” sbarcò a
Bassora per tentare di abbattere il regime di Baghdad e ripristinare i contatti tra le truppe di stanza in India e quelle in Egitto
ma l’esercito iracheno mantenne il controllo della situazione.
- 217 Ad aprile con la 5° divisione corazzata sfondò ad El–Alamein
contro il maresciallo Auchinleck e, grazie ai massicci rifornimenti che pervennero in seguito alla liberazione di Malta e per
lo scoraggiamento britannico in seguito alla capitolazione dell’Inghilterra, il 9 cadde Alessandria d’Egitto (Mussolini vi sfilò
in parata trionfale su di un cavallo bianco) e successivamente
Porto Said e il Cairo.
Il 10 maggio venne completata “l’operazione Otto” che, iniziata
il 1 ottobre, prevedeva il miglioramento di strade e ferrovie verso la Russia in vista di future operazioni militari. Il 3 giugno la
marina tedesca iniziò a minare le acque del Baltico onde evitare
che la flotta russa possa fuggire verso il mare del nord.
Il 7 luglio gli USA si impadronirono dell’Islanda (“Operazione
Indigo”) mentre il 21 giugno Damasco si arrese agli anglo–francesi della resistenza.
L’espansione ad ovest: la prima ondata
Alle quattro del mattino di domenica 8 giugno 1941 iniziò “l’operazione Barbarossa” (direttiva 21); 190 divisioni tedesche e 35
divisioni degli stati satelliti iniziarono l’invasione dell’URSS. A
nord il gruppo di armate di von Loeb (35 divisioni), al centro
(zona polacca) il gruppo di von Block (48 divisioni) e a sud (Galizia, Ungheria e Romania) il gruppo di von Rundstedt (30 divisioni).
- 218 I tedeschi si aprirono un varco a nord di Grodno tra il fronte sovietico nord ovest, comandato dal generale Vorošilov, e il fronte
occidentale comandato da Timošenko. I sovietici iniziano ad effettuare il trasferimento delle fabbriche indispensabili al di là degli Urali (Sverdlovsk, Kurgan, Celyabinsk, in Siberia o nel Kazakhstan). Il 12 giugno i tedeschi raggiunsero Dvinsk; il 15 cadde Leopoli, il 17 agosto Riga.
Da Berlino il ministro Ribbentrop insistette affinché i Giapponesi attaccassero la Russia ma questi rifiutarono preferendo aumentare la loro espansione in Indocina. Il 1 luglio Alfred Rosemberg venne nominato Reichminister per i territori occupati
dell’Ostland.
Il 24 giugno cadde Pskov. L’aviazione ricevette istruzione di tagliare le vie che consentivano ai russi di ritirarsi in modo da costringerli al combattimento sul campo. Il 29 agosto cadde Vitebsk. Tra il 2 e il 13 luglio i tedeschi completarono l’accerchiamento di Smolensk. Il 15 luglio l’esercito sovietico creò la linea
difensiva Ršev–Vjasma per proteggere Mosca.
Il 1 agosto colonne tedesche occuparono la Crimea, la regione
industriale di Kharkov e i bacini carboniferi del Doneck; seguì
l’attacco, attraverso lo stretto di Kerc’, in direzione Batum. L’8
agosto cadde Gacina e il giorno dopo Cudovo tagliando la linea
ferroviaria con Mosca.
Il 14 cade Dnepopetrovsk. Il 18 agosto i tedeschi conquistarono
Mga e le fabbriche di carri armati sovietiche vennero trasferite a
Celjabinsk e Sverdlovsk. Il 20 agosto le fabbriche di lamiere co-
- 219 razzate di Mariupol vennero trasferite a Magnitogorsk. Il 22
agosto venne attaccata e travolta la “linea Stalin” approntata 500
Km dietro il primitivo confine russo.
Il 24 agosto Leningrado venne assediata ed il 25 agosto iniziano
i preparativi per l’operazione Taifun (Tifone) contro Mosca; il
28 ottobre il generale von Leeb riuscì a sfondare le difese periferiche di Leningrado e catturò l’aeroporto, unica via di comunicazione della città, facendo cadere le difese della città.
Il 6 settembre, ritirandosi da Kiev, il generale russo Kirponos
perse 600.000 uomini in una imboscata. Il 7 settembre Guderian
e von Kleist entrarono a Kiev. I 100.000 russi insaccati ad Odessa si arresero. Il 13 settembre i tedeschi operando congiuntamente dal territorio russo (Doneck e Crimea) e dall’Iraq raggiunsero la zona petrolifera di Maikop, di Grozny e di Baku (sul
Caspio); Rostov (25 settembre) e la ferrovia di Murmansk.
Il 20 settembre partì l’operazione Taifun; l’ala destra della Heeresgruppe centro (2° armata corazzata, Panzergruppe di Guderian) sfondò a Gelichov e poi diresse a Tula; la 2° a Brjansk e la
4° armata con il IV Panzergruppe sfondò l’ala destra ad est di
Roslavl.
Il 1 ottobre i russi abbandonarono Vjasma perdendo i 660.000
uomini del generale Timošenko; il 2 ottobre cadde Kalinin. Il 5
ottobre 1941 a Mosca fu la giornata del “Bolscioi Drap” (il
grande panico) poiché i tedeschi erano a pochi chilometri dalla
capitale. Il governo evacuò a Kuibyšev ma Stalin rimase a Mosca fino all’ultimo per animare la difesa ad oltranza.
- 220 Il 2 cadde la città di Kharkov, il 5 caddero Rzev, Belgorod, Stalino, Taganrod e Tarusa. Il 16 Volokolamsk.
Tra il 6 e l’8 ottobre iniziarono le prime piogge; il 16 ottobre vi
furono le prime nevicate. Il 7 novembre il terreno che nelle ultime due settimane era pantanoso gelò e permise l’avanzata rapida
dei carri; il feldmaresciallo Fedor von Bock con la IV armata
diede inizio alla “battaglia di Mosca” difesa da Zukov con 100
divisioni su un fronte di 150 chilometri. Vi furono da entrambe
le parti grandi drammi ed episodi di vero eroismo con temperature di 12 gradi sotto zero. Mosca venne investita da 51 divisioni
tedesche e Guderian, sfondando tra Kaschira e Riazan riescì a
chiudere l’accerchiamento della capitale e l’insaccamento delle
truppe che la difendevano il 21 novembre.
Le truppe finlandesi catturarono il porto di Arcangelo. Nonostante il concentrarsi sul confine di divisioni giapponesi alcuni
reparti di truppe siberiane vennero spostati verso il fronte occidentale.
Stalingrado era completamente accerchiata dalle 23 divisioni
della VI armata tedesca comandate dal generale von Paulus. Stalin vietò al generale Čujkov (62° armata) di lasciare Stalingrado.
Von Paulus, isolata la città, passò oltre il Volga.
A inizio dicembre, con le prime gelate, il Panzergruppe di Guderian cercò uno sfondamento a sud est per evitare di essere accerchiato a Mosca a sua volta, e operando in concerto con la VI
Armata insaccò le forze sovietiche, guidate da Nikita Sergeevic
Krušev (1894-1971), contro il Volga.
- 221 -
La ricerca nucleare durante la guerra
Ai primi di settembre il ministro degli armamenti Fritz Todt, che
era stato chiamato nel febbraio 1940 a centralizzare e rendere efficace il lavoro dei prigionieri del Reich, morì in un incidente
aereo. Gli successe Speer che divenne dopo poco “Plenipotenziario Generale per gli Armamenti nel Piano Quadriennale” e
venti giorni dopo un decreto del Führer subordinò l’economia
tedesca alla produzione di armamenti. La responsabilizzazione
degli industriali e la sburocratizzazione del ministero, portati
avanti dal ministro Speer, raddoppiarono la produzione bellica
nel giro di un anno.
Nell’autunno 1941 Göring prese le redini del progetto “Uranio”
unificando le ricerche sotto la direzione di Walter Gerlach presso il laboratorio Auergesellschaft a Oranienburg (15 Km da Berlino). L’America, che aveva avviato progetti simili, visti i costi
elevati, non li promosse con l’adeguata energia. Il 6 maggio
1942 Speer diede ampi finanziamenti allo sviluppo nucleare tedesco a causa delle pressioni di Otto Hahn e Werner Heisemberg al fine di poter fornire di pile atomiche, nel giro di due o tre
anni, i sommergibili.
In seguito all’interpretazione di Otto Frisch (1904-1970) e Lise
Meitner (1878-1968) per cui l’instabilità era dovuta alla cattura
di un neutrone, si riuscì nel 1942 ad ottenere la prima reazione a
catena. Hidelberg effettuò la prima fissione atomica nella pila
dell’Università di Berlino.
- 222 Il 9 giugno Göring divenne il capo “rappresentativo” del Deutscher Reichsforscchungsrat (centro nazionale ricerche).
L’espansione ad ovest: la vittoria e le sue
conseguenze
Hermann Fegelein, fratellastro di Eva Braun, al comando di un
reggimento di cavalleria SS si fece onore eliminando ogni fenomeno di banditismo al confine tra Biellorussia e Ucraina nel periodo tra il 1941 e 1942. Il colonnello delle SS Franz Six, reduce
da simili attività in territorio inglese, iniziò le operazioni di bonifica politica. Il 14 dicembre 1941 30.000 operai e ingegneri
alle dipendenze di Albert Speer iniziarono la ricostruzione degli
impianti ferroviari russi in Ucraina.
La forza d’espansione mise in campo 256 divisioni di cui 179
sono tedesche e 61 alleate (22 rumene, 14 finlandesi, 10 italiane,
13 ungheresi, 1 slovacca e 1 spagnola).
L’Heeresgruppe B (gruppo d’armata) del feldmaresciallo List espugnò
nel giugno 1942 Stalingrado e sfondò, l’armata siberiana insaccata contro il Volga, in collaborazione con il
IV gruppo d’armata di Brock che
scese da Mosca. I sovietici ripiegarono a fine luglio sugli Urali lungo
la linea di difesa “Gloriosa Rivoluzione”.
- 223 -
A nord i sovietici vennero fronteggiati dal generale Heinrici, che
mantenne un fronte statico lungo gli Urali con pochissimi uomini; al centro–sud Guderian avanzò senza problemi rilevanti verso la steppa.
Erwin Rommel nel frattempo eliminò ogni resistenza anglo–
francese in Siria, Palestina e Transgiordania (Direttiva n° 32 11
giugno 1941).
A settembre 1942, pressati anche da truppe giapponesi ad oriente che ne saggiavano le difese, si ebbe la resa sovietica alle forze
del Reich. Il documento ufficiale di capitolazione venne firmata
da Iosif Stalin a Kuibyšev, al confine del bassopiano siberiano,
quando ormai i Panzer tedeschi erano a 50 chilometri dalla città.
Ministro per le zone occupate fin dal 16 luglio 1941 fu nominato
Alfred Rosemberg che rimase in carica fino al termine delle
ostilità. Successivamente vennero istituiti i quattro Reichkommissariat nelle Ostgebiete (aree orientali occupate) ossia
Ostland [Estonia, Lituania, Lettonia, Biellorussia], Ucraine
[Ucraina, governato da un plenipotenziario], Kaukasien [Caucaso, governato da un plenipotenziario] e Moskovien [zona di Mosca]).
Il Caucaso fu diviso in cinque Generalkommissariat: Georgia,
Arzerbaigian (Baku), Caucaso del nord, Krasnodar, Orgionikidze e due commissariati principali per l’Armenia e la zona dei
Calmucchi.
- 224 La Crimea venne rinominata Goteland e annessa direttamente al
grande Reich (Sinferopoli divenne Gotenburg e Sebastopoli
Theodorichshafen) e venne ripopolata con l’etnia tedesca di origine altoatesina, fatta emigrare lungo il Danubio. Da questa epica migrazione verranno poi tratte a metà degli anni 70 la serie di
telefilm “Wanderung”.
Reynard Heydrich assunse la direzione del “protettorato della
Boemia e Moravia”.
Si iniziò immediatamente lo sviluppo di una di autostradale e
ferroviaria (questa a scartamento doppio e transcontinentale) per
cucire assieme la struttura del Reich. L’autostrada rese accessibile direttamente la Crimea che divenne ufficialmente la riviera
della Germania. Anche la Croazia divenne un paradiso turistico.
La frontiera correva lungo gli Urali. Gli Urali, zona di confine,
restarono zona di attriti e di continua guerriglia partigiana che
divenne particolarmente insidiosa a metà anni settanta e ottanta.
Già nel 1941 Rosemberg pensò di far progettare alcune “città
isolate” in territorio russo ma poi si preferì procedere affidando
alle maggiori città tedesche il compito di creare loro città satellite in modo da avere una maggiore diversità e una più intensa vitalità all’interno del progetto. Leningrado, Mosca e Kiev vennero rase al suolo. Furono create quindi una ventina di città fortezze, satelliti di città tedesche, circondate da anelli di circa quaranta chilometri formati da villaggi agricoli fortificati e fattorie tri-
- 225 butarie. Sulla città di Mosca venne costruito il lago della Vittoria e un immenso Totenburge (rocca funeraria) nei pressi del
lago.
Il confine occidentale partiva dalla Manica (Olanda Belgio e
Lussemburgo vennero annesse al Reich) e dalle foci della Somme lungo le Argonne includeva la Franca Contea fino alla Svizzera. Vennero create una serie di “città portuali dello spazio germanico” da Albert Speer (Trondheim [Norvegia], Rotterdam,
Jersey [isole normanne], Casablanca [Marocco]). Nacque a
Trondheim (in Norvegia) il più grande cantiere navale tedesco:
una città di 250.000 abitanti.
Lo scoppio del conflitto Sino–americano
Il 24 luglio 1941 i Giapponesi occuparono l’Indocina arrivando
a 1300 Km da Manila. Presero Singapore catturando il generale
inglese Percival e 60.000 uomini. Gli USA ridussero al minimo
l’esportazione di rottami di ferro e petrolio grezzo verso le industrie del Sol Levante. Hong Kong e Taiwan divennero basi giapponesi. La minaccia Giapponese verso il fronte russo si fece a
questo punto più pesante.
A partire dal luglio 1942 gli USA imposero un blocco alle
esportazioni petrolifere verso il Giappone e congelarono i conti
bancari giapponesi in America.
- 226 Il 14 ottobre il capo di Stato Maggiore dell’esercito del Kwantung, generale Tojo, divenne primo ministro al posto del dimissionario Konoye.
Il 7 dicembre 1942, la seconda domenica del mese, la flotta
combinata giapponese attaccò Pearl Harbor e distrusse praticamente l’intera dotazione americana di portaerei. Il 17 dicembre
vennero attaccate le Filippine, il 19 cadde Guam, il 30 Wave.
Dal 30 gennaio 1943 il comandante dei reparti sommergibilisti
Karl Dönitz divenne grandammiraglio e comandante supremo
della marina e promosse la produzione di sommergibili da
50.000 tonnellate e si intensificarono gli sforzi per dotarli di pile
nucleari onde aumentarne l’operatività.
Il 22 gennaio 1943 l’esercito del Sol Levante prese Sudra, il 27
Timor, il 5 febbraio Giava. A marzo s’impadronì delle indie
orientali olandesi. A maggio caddero le Filippine (tenute dal generale MacArthur) e terminarono la conquista della Birmania.
La Tailandia (indipendente) si unì spontaneamente al Giappone
come alleato.
Il 2 marzo i giapponesi bombardarono la costa californiana ma
solamente a maggio le forze congiunte di Stati Uniti e Australia
riuscirono a sferrare un primo attacco contro i giapponesi nel
mar dei coralli riuscendone sconfitte.
Il 4 giugno la squadra giapponese comandata dall’ammiraglio
Yamamoto Isoroku occupò contemporaneamente le isole Midway nel pacifico centrale, distruggendo completamente la flotta
aereonavale del pacifico comandata dall’ammiraglio Chester
- 227 William Nimitz (1885-1966). La marina imperiale giapponese
sbarcò a nord nelle Aleutine (Attu e Kiska) e poi provvide ad
isolare l’Australia prendendo possesso delle isole Figi e Samoa.
L’unica linea di rifornimento aperta rimase l’India. A nord lungo le Aleutine avanzarono fino a Dutch Harbor e nel pacifico
sud occidentale fino alle isole Salomone.
Nel dicembre 1943 l’esercito imperiale sbarcò in forze sulle isole Hawaii espugnandole; furono appoggiati anche se simbolicamente dalla marina tedesca. In questa occasione il Reich dichiarò formalmente che avrebbe supportato l’alleato giapponese.
La marina tedesca potenziò la flotta producendo le prime portaerei oceaniche; gli U–boot, che diventano fondamentali nelle operazioni di blocco al largo delle coste USA, vennero rapidamente
potenziati e migliorati.
Il 21 luglio 1942 il generale Guderian venne nominato Ispettore
Generale delle truppe corazzate e, sotto la sua direzione, vennero
sviluppati i primi prototipi funzionanti di elicotteri a partire dal
1944.
Nel 1943 iniziò la produzione industriale dei cacciabombardieri bireattori Messerschmidt – 262 [velocità 800 Km/h] ideati dal professor Ernst Heinkel.
Il centro studi missilistici di Peenemünde guidato da Wernher von
Braun e diretto dal colonnello Walter Dornberger ultimò e iniziò la
produzione di missili a razzo termo–guidati, missili terra–aria
(Wasserfall o “cascata d’acqua), di missili a reazione V2 [14 metri
di lunghezza e peso di 13 tonnellate] e di un siluro sensibile a onde
sonore
- 228 L’esercito tedesco iniziò a partire dal 1944 la produzione di sommergibili tascabili con apparato motore “Walter” perfezionati e dotati di Schnorchel per ridurre la visibilità al radar. Sommergibili a
reazione nucleare entrarono in produzione solamente a metà 1945:
il primo ReichUnterseeBootNuclear varato ufficialmente fu, il 21
gennaio 1946, l’UBN–157 di 97 metri, 20 nodi di velocità massima
e stazza da 3180 tonnellate. Nel 1962 venne varato il sommergibile
nucleare “Grossadmiral Dönitz ”.
Nel 1944 iniziarono le prime operazioni navali e sottomarine tedesche sul fronte dell’atlantico per favorire l’alleato nipponico.
L’apertura del secondo fronte partì con l’invasione dell’Islanda,
che resistette isolata quasi un anno, mentre a sud le navi tedesche, partendo da Dakar (Africa occidentale), diressero verso il
Brasile che venne facilmente occupato dall’Africa Korps. Non
sottovalutando la forza d’invasione, gli americani inviarono tutte
le navi disponibili a fermarla prima che arrivasse a Natal: 6 incrociatori, 2 portaerei e 6 cacciatorpediniere con alcuni sottomarini. La quasi totalità della flotta atlantica americana venne rapidamente affondata.
Le truppe inglesi in India, comandate dal Maresciallo di campo
Auchinleck, dopo un inutile tentativo di contrastare la marcia tedesca, si arresero a Nuova Delhi al feldmaresciallo Walter Model. L’occupazione militare dell’India permise di rifornire l’impero del Sol Levante di petrolio, bauxite, ferro e coke.
Poche settimane dopo venne repressa una marcia indiana di protesta a Chandni Chauk, le Einsatzgruppen delle SS risposero alla
satyagraha tramite fucilazioni sul posto; Mohandas Karam-
- 229 chand Gandhi e Jawaharal Nehru furono giustiziati. Subhas
Chandra Bose nel 1943 creatore e capo dell’Armata Nazionale
Indiana, fu il primo capo del governo dell’India libera.
Sul continente americano iniziò la “guerra delle spie”: l’Abewehr (spionaggio dell’esercito) diretta dall’ammiraglio Wilhelm Canaris si impegnò attivamente contro il Federal Boureau
of Investigation di Edgar Hoover stimolando e gonfiando le tendenze secessioniste degli stati del sud oltre che preparando lo
sbarco delle truppe tedesche su suolo americano.
Termine del conflitto americano
In America nel frattempo era stato rieletto il repubblicano Wendell Lewis Willkie che morì lo stesso anno lasciando in carica il
vicepresidente John William Bricker già due volte governatore
dell’Ohio durante la presidenza Garner (dal 1939 al 1941); Thomas Edmund Dewey (1902-1971), già governatore dello stato di
New York, divenne vicepresidente.
I tedeschi, appoggiati dalla Regia marina italiana, invasero l’Islanda nel giugno 1944; avanzarono con tre divisioni verso la
Groenlandia. Labrador e Terranova resistettero sei mesi allo
sbarco tedesco grazie alle basi aeree di Goose Bay in Labrador e
Gander in Terranova quando l’arrivo di una massiccia flotta di
cinque portaerei (allestite in Europa nei cantieri navali di Trondheim), che portava soccorso alla Tirpitz e agli incrociatori Sharnhorst e Gneisenau, cambiò l’equilibrio delle forze. Al largo
delle coste di St. John, nella battaglia finale per la conquista di
- 230 Terranova, ciò che rimaneva della flotta dell’atlantico venne annientato. Occupata Terranova e a sud, dopo il Brasile, i Caraibi
lanciarono alla fine del 1944 da queste zone l’attacco aereo della
Luftwaffe alle coste atlantiche USA (Montreal, Boston, New
York, Filadelfia, Baltimora e Washington).
All’inizio del 1945 sbloccata completamente la situazione giapponese nel pacifico i giapponesi sbarcarono in Alaska.
Contemporaneamente allo sbarco, dalle piste di atterraggio dei
Caraibi e di Terranova, la Luftwaffe fiaccò la resistenza americana bombardando le principali città orientali e meridionali della
costa atlantica concentrandosi anche sulle le forze navali poste a
difesa della costa.
La posizione era quasi di stallo perché gli Stati Uniti, fiaccati dal
conflitto, erano tuttavia scarsamente danneggiati nella capacità
produttiva. Dopo il fallimento degli attacchi americani alle Filippine guidati da Mac Arthur il 20 ottobre 1944, nel tentativo di
portare avanti una mediazione il primo ministro generale Tojo
venne sostituito dal più razionale Saipan.
I fisici tedeschi riuscirono a portare a termine la bomba atomica.
Il 6 agosto 1945 la prima bomba atomica tedesca venne lanciata
su Washington portata dal nuovo bombardiere tedesco quadrimotore a reazione (motore stellare), prodotto da Willy Messerschmidt sul modello del precedente caccia Me – 262.
I giapponesi, sbarcati sulla costa occidentale occuparono San
Diego, Los Angeles, San Francisco, Portland e Seattle, spostandosi lungo le valli verso le montagne rocciose. Truppe tedesche
- 231 sbarcarono lungo la costa orientale a New York, Boston, Filadelfia, Baltimora, Norfolk, Los Angeles. Tutte le città erano state precedentemente bombardate dalla Luftwaffe dalle coste della
Terranova e dei Caraibi.
Gli Stati Uniti chiesero la resa senza condizioni.
Per decreto del Führer venne abolita la costituzione, sciolto il
congresso e chiusa la corte suprema. I membri del governo sopravvissuti vennero deportati con le principali personalità del
mondo finanziario, politico, della carta stampata e della chiesa.
Gli Stati Uniti furono divisi in due zone di occupazione ma poterono mantenere una parvenza di esistenza con la creazione degli
“Stati delle Montagne Rocciose” a delimitazione dei rispettivi
territori di occupazione.
New York che sarebbe dovuta essere rasa al suolo (come Leningrado) venne risparmiata per il suo alto valore come porto e centro strategico e commerciale. A Miami si insediò una base della
Luftwaffe a cui arrivava il razzo postale da Berlino ideato dall’ingegner Lippisch; Cuba divenne colonia tedesca mentre la
zona del canale di Panama passò sotto il controllo giapponese.
Il New York Times venne ribattezzato “The Popular Observer”
e venne edito sotto la direzione diretta del Ministero della Propaganda. NBC, ABC e CBS (ribattezzate Rete Nazionale 1, 2 e
3) vennero affidate ad un gruppo di collaboratori di origine tedesca. Venne attivato il campo di concentramento del New Jersey
- 232 affidato alla direzione di Adolf Heinrich Heichmann e del suo
collaboratore Henry F. Perkins (già antropologo dell’università
del Vermount e coordinatore della Vermont Eugenics Survey) .
Tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949 nei Reichsgau della Florida la mafia italo–americana, soprattutto dopo la caduta di Goring, si trasformò sempre di più in società patriottica venendo a
difendere gli interessi della piccola borghesia taglieggiata dall’esercito di occupazione. Vito Genovese, Frank Costello, Albert
Anastasia, Joseph Bonanno (detto Joe Banana) entrarono nella
lista nera della Gestapo.
Sviluppo della politica tedesca
Il 12 aprile 1941 Bormann divenne segretario di Hitler. Il 20
agosto Himmler divenne ministro degli interni; Göring fu nominato presidente del consiglio dei ministri per la difesa del Reich
e avrebbe potuto emettere leggi senza l’autorizzazione del Führer. Martin Luther (1895-1946), sottosegretario di stato dal
1941, tentò di estromettere Joachim von Ribbentrop dal ministero degli esteri e venne chiuso in un campo di concentramento.
Nel 1943 un grande gruppo di resistenza tedesco, la Weiss Rose,
venne annientato. Fuori da tutte le città del grande Reich apparvero i cartelli Judenfrei. La Endlösung (soluzione finale) nei territori del grande Reich era praticamente compiuta.
- 233 Hitler si ritirò alla fine del 1946 nella sua amata Linz assistito da
Eva Braun. Nel 1947 Hitler si congedò definitivamente dalla politica attiva a causa della sua malattia presiedendo il raduno annuale del partito a Norimberga a settembre.
Il maresciallo del Reich, Göring, per la legge 21 giugno 1941,
succedette al Führer appoggiato da Martin Bormann; agli interni
Heydrich. Il consiglio ministeriale di difesa del Reich si riunì
più volte la settimana e per l’inerzia di Hess che inviava sempre
un suo rappresentante il partito rischiò di essere tagliato fuori.
Bormann gli subentrò.
I Gauleiter del Reich facevano così capo a Bormann come funzionari di partito e al ministero degli interni come Reichsverteidigungskommissare (Commissari per la difesa interna del
Reich).
Si chiuse il 14 agosto 1948 la XIV olimpiade a Norimberga.
Tutte le successive olimpiadi si terranno, come era volontà del
Führer, nello stadio di Norimberga.
Hitler nel 1948 al funerale di Franz Lehàr, autore della “vedova
allegra” (1905), sua opera preferita, fece la sua ultima apparizione, per quanto in forma privata. Il 10 settembre 1949 Hitler morì
di embolia polmonare a causa del morbo di Parkinson, nonostante le cure del professor Theodor Morel. Militari presidiarono
gli edifici pubblici di Berlino per timore di tumulti politici; un
servizio d’ordine speciale all’aeroporto per l’arrivo delle personalità da tutto il mondo.
- 234 La cerimonia funebre, in cui il Führer venne seppellito con il
suo cane, Blondi, venne eseguita dal Raichbishof della chiesa
nazionale l’ex vescovo cattolico Theodor Immitzer di fronte a
spada e Mein Kampf. Le esequie avvennero dall’11 al 18 settembre poi il Führer fu sepolto ed il suo monumento sepolcrale venne eretto in una delle due torri della casa del partito di Linz.
Durante il trentesimo anniversario della fondazione del partito a
Monaco il 24 febbraio 1950 si ebbero le prime avvisaglie e poi
al congresso del partito (Parteitag) che si tenne a Norimberga a
settembre Himmler attaccò il “Culto della Personalità”; subito
dopo Göring dette le dimissioni per motivi di salute mentre Martin Bormann ed Heydrich furono fucilati.
Albert Speer venne eletto cancelliere del Reich e per evitare rischi simili instaurò un metodo di direzione collegiale (denominata “Der Kuppel”) di cui facevano parte
•
Reichsfuhrer Heinrich Himmler, ministro dell’interno;
•
Generale Alfred Jodl, capo dell’Wehrmachtführungsstab
[la WFSt prima dal 8 agosto 1940 era OKW Oberkommando der Wehrmacht] (sostenuto dal feldmaresciallo
Erwin Rommel (dal 28 marzo 1945 sostituì Guderian)
[Wermacht];
•
Grandammiraglio Karl Dönitz [Kriegsmarine]; da Gebhard Himmler, fratello del più famoso Heinrich Himmler, [Lutwaffe]; dall’ammiraglio Wilhelm Canaris [Abewehr, servizi segreti dell’esercito]);
•
Joseph Goebbels, ministro della propaganda;
- 235 •
Rudolf Hess, capo dei deputati del Reich e capo della segreteria del NSDAP (National Sozialistische Deutche
Arbeiter Partei);
•
Robert Ley, ministro del lavoro;
•
Joachim von Ribbentrop, Ministro degli esteri;
Dal punto di vista culturale è da rammentare il sequestro dell’enorme collezione d’arte, diamanti e pietre preziose accumulata da Göring a Karinhall e avviata alla galleria di Linz.
Sviluppo informatico ed architettonico
tedesco
Willy Heidinger fondò nel 1910 la Deutsche Hollerith Machinen Gesellschaft (DEHOMAG) rilevata nel 1922 dall’americana
CTR (Computing Tabulating Recording Company) fondata da
Herman Hollerith che poi assunse il nome di IBM. Durante il
periodo bellico, nonostante gli amministratori Hermann Rotte,
Karl Kummel e Willy Heidingerper ne simulassero la proprietà
onde evitare le normative legali tedesche in fatto di aziende sotto il controllo del nemico, la società venne posta sotto amministrazione controllata per finire col rilevare, alla fine del 1945, la
sua stessa proprietaria: l’IBM.
Nel 1937 nasce la Machinelles Berichtwesen ossia l’Ufficio Informativo Automatizzato appartenente all’Ufficio Economia Militare del Ministero della Guerra che favorì la nascita di una società di calcolatori di totale proprietà tedesca. Nell’agosto 1940
- 236 la Wanderer–Werke, costruttrice di utensili e motociclette, divenne recipiente formale per la fusione tra Bull, società francese
(originariamente svizzera anche se la parte svizzera fu assorbita
dall’IBM) e la Powers. Il controllo è della neonata società è nelle mani di Göring.
Konrad Zuse (1910-1995), docente di matematica all’università
di Saarbrucken, realizzò nel 1939 lo Z1, primo elaboratore elettromeccanico con programma su nastro perforato. In collaborazione con l’Istituto di Ricerche della Luftwaffe nel 1940 si sviluppò lo Z2 e nel 1941 lo Z3, che era un calcolatore digitale programmabile a relè e permetteva di calcolare gittate balistiche;
usava un sistema binario, virgola mobile e programma su nastro
perforato. Solamente nel 1945 lo Z4 avrà la traduzione automatica in decimale.
L’ingegnere Paul Eisler (1907-1992) ideò nel 1942 i circuiti
stampati e in seguito a questi sforzi nacque il primo calcolatore
tedesco della serie Z costruito e commercializzato dalla Wanderer–Werke. Il nuovo sistema informatico tedesco venne usato
per la prima volta nel 1950 al fine di elaborare i dati delle elezioni dei 600 deputati (un deputato ogni 60.000 abitanti) del partito al Reichstag.
BeiDat
A partire dal 1971 venne sviluppato il prima sistema
di posta elettronica (e–brief) e il suo simbolo di “Bei
Dat”. Con tale sistema la “rete di collegamento della
sicurezza nazionale” e la “rete di collegamento per
lo sviluppo economico” vennero usate sempre più
agevolmente.
- 237 Durante l’Esposizione Universale che avvenne a Berlino nel
1952 fu inaugurata la “nuova Berlino”, realizzata da Albert
Speer (che era stato fino al 1950 Generalbauinspektor). La nuova città doveva essere inaugurata appunto nel 1950 ma ebbe due
anni di ritardo a causa della guerra ed anche ora non risulta del
tutto terminata.
Le sfilate passavano sotto l’arco di trionfo (alto 80 metri) su cui erano incisi tutti i nomi dei 1.808.500 morti tedeschi durante la “Grande Guerra” del 1914-1918 e i 1.207.325 caduti durante la “Espansione ad Est” del 1939-1946. Proseguiva a nord, lungo la “grande
strada”, verso la cupola delle riunioni (diametro 250 metri, alta 290
metri, che può ospitare 150.000 uomini) al cui interno si verificava
quando era piena di gente, viste le dimensioni, un fenomeno di condensa e pioggia interna.
Sul lato opposto della piazza della “grande cupola” da una parte il
nuovo comando della Wehrmacht e dall’altro lato gli uffici della
cancelleria del Reich; tra i due la grande strada; nessun altra strada
si apriva lungo la piazza. A contatto con l’auditorium, l’abitazione
del Führer di un milione di metri quadri (due giardini compresi)
[dotata di sala da pranzo per duemila persone, otto saloni e un teatro
da 400 posti].
Lungo la “grande strada” (lunga 5 Km e larga 120 metri) numerosi
uffici di rappresentanza dei ministeri tedeschi (Interno, Trasporti,
Giustizia, Industria e Commercio, Alimentazione e Colonie) e molti
uffici: una vera strada politica e d’affari in quanto i 2/3 della strada
sono adibiti a edifici privati. Cinema, tre teatri di prosa un teatro lirico, un auditorium musicale, un palazzo per i congressi (l’Haus der
Nationen), un albergo da 21 piani con 1500 posti letto, teatri di varietà, ristoranti, una piscina stile romano grande come le terme imperiali il tutto sotto cortili interni a portici con piccoli ma lussuosi
negozi.
- 238 Al termine due strade di deflusso, ad est e a ovest, di 60 metri che
giungevano fino al raccordo anulare dell’autostrada (Autobahnen)
aprendo ad est di Berlino una nuova zona residenziale. Al termine
dei due assi sorgevano i quattro aeroporti principali di Berlino (Hermann Göring nord, sud, est, ovest). Un idroscalo sorse sul lago di
Rangsdorf mentre invece l’inutilizzato aeroporto di Tempelholf
venne posto in disarmo. I due assi si collegavano mediante cinque
anelli concentrici e altre 17 strade radiali di 60 metri assicuravano il
deflusso verso la periferia. Un sistema di metropolitane sotterranee
fu coordinato agli assi e agli anelli concentrici. Ad ovest, accanto
allo stadio “Olympia” sorse il quartiere universitario a nord del quale vi era il quartiere ospedaliero. Lungo le sponde del fiume Sprea i
musei cittadini. Al di fuori del raccordo anulare “zone salubri”,
mantenute da un funzionario forestale dotato di pieni poteri, piene
di latifoglie per ricostituire l’antico bosco fatto abbattere da Federico il Grande per finanziare la campagna di Slesia.
Nel 1954 venne inaugurata la prima centrale termonucleare del
Reich costruita ad Auschwitz.
Rapporti con gli alleati
Mussolini (1883-1955) venne assassinato da un esaltato e alla
direzione del partito gli subentrò il conte Galeazzo Ciano che attuò fin dall’inizio una politica di maggior freno e indipendenza
nei confronti dell’alleato germanico.
Il 4 febbraio 1957 il lancio del primo satellite artificiale giapponese, “Vascello Divino”, diede una scossa al compiaciuto e letargico sonno della superiorità del Reich: venne creata l’Agenzia
di Ricerche e Progetti Avanzati che spinse la corsa allo spazio e
- 239 la nascita della rete di comunicazione informatica tedesca che,
attivata nel 1969, serviva a mantenere le comunicazioni militari
anche in caso di esplosione nucleare.
Politica americana
Malcom X (1925-1960) capo del gruppo terrorista afro–americana detto le “pantere nere” venne arrestato dei tedeschi a New
York e giustiziato. L’anno successivo (1961) venne eletto presidente dell’Unione degli Stati delle Montagne Rocciose (USMR)
Joseph Patrick Jr. Kennedy aviatore durante l’invasione tedesca;
il fratello John Fitzgerald alla giustizia. Nel 1964 avvenne il primo viaggio inaugurale di Kennedy, presidente degli USMR, a
Berlino.
Bibliografia
•
Archivio delle SS Atti e documenti dell’ufficio personale
del Reichsführer delle SS
•
Archivi Nazionali del Reich:
Collezione dei documenti catturati ai russi
Serie microfilm
Registrazioni Diplomatiche
Collezione dei documenti catturati agli americani
•
Cancelleria del Reich Protokolle der Führerlagebesprechunsen NSDAP, 1960
- 240 •
Centro Documentale di Berlino:
Archiv der Marines
Archiv der N.K.V.D.
•
Dwinger, Edwin Erich La caduta dell’Est Eher Verlag,
1980
•
Greiner, Helmuth Der Zuzammenbrunch der OKW–
WFSt 1938-1943 Eher Verlag, 1963
•
Guderian, Heinz La mia vita di soldato Kampfverlang,
1983
•
Hitler, Adolf Tischgespräche (Conversazioni a tavola)
Kampfverlang, 1949
•
Kesselring, Albert Memorie di guerra Kampfverlang,
1979
•
Kriegsmarine Il servizio U–boot: operazioni e tattiche,
1939-1946 NSDAP, 1963
•
NSDAP Guida alle personalità del partito Nazionalsocialista 1938-1998 Eher Verlag, 1999
•
Rommel, Erwin Memorie del Feldmaresciallo Rommel
Kampfverlang, 1988
•
Scherff, Walter (a cura di) Archiv der Wermacht 19421946 Stato Maggiore dell’Esercito, 1956
- 241 •
Scherff, Walter (a cura di) Storia ufficiale della guerra
Eher Verlag, 1964
•
Schramm, Percy Ernst (a cura di) Der Zuzammenbrunch
der OKW–WFSt 1943-1946 Eher Verlag, 1980
•
WFSt Storia della Wermacht sul fronte orientale (cinque
volumi) Eher Verlag, 1997
- 243 -
Allegati
Struttura della Polizia
RSHA (Reichssicherheitshauptamt: Ufficio centrale per la sicurezza dello stato): comprende vari dipartimenti tra cui Orpo (polizia di ordine pubblico) e Sipo o polizia di sicurezza.
-
SIPO (Sicherheitspolizei, polizia di sicurezza) risulta composta da KRIPO (Kriminalpolizei, polizia criminale) con sede in
Werderscher Markt e GESTAPO (Geheime Staatpolizei polizia segreta di stato) con sede in Prinz Albrecht Strasse. La
Gestapo, ossia polizia segreta, si divide in polizia di frontiera
(Grenzpolizei), controspionaggio (Abwehrpolizei) spionaggio
all’estero (Ausland–Abwehr), polizia di pattuglia (Strefendienst), polizia motorizzata (Kaserniertepolizei), polizia segreta mobile (Geheime Feldpolizei).
- 244 -
ORPO (Ordnungspolizei, polizia comune).
La SD (Sicherheitsdienst, servizio di sicurezza delle SS): era divisa in varie sezioni a seconda del suo interesse: sezioni ebraica,
massoneria e la IV B 4 (soluzione finale)
Struttura delle SS (SchutzStaffel)
Al loro interno possiamo trovare:
•
SD: Sicherheitsdienst: Servizio di sicurezza
•
Totenkopfverbände: Unità teste di morto; guardie campi
di concentramento.
•
Ufficio per la razza e gli insediamenti
•
Ufficio Ahnenerbe (eredità ancestrale): Ufficio per gli studi sulla razza. Forniva informazioni sui caratteri ereditari
di un eventuale partner.
•
Waffen–SS: Unità da combattimento
•
WVHA: Wirtschafts und verwaltungshauptam: Ufficio
centrale per l’amministrazione economica
- 245 -
Gradi delle SS
•
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Oberstgruppenführer = Generale d’Armata
Obergruppenführer = Generale di Corpo d’Armata
Gruppenführer = Generale di Divisione o Maggior
generale
Brigadenführer = Generale di Brigata
Oberführer
Standartenführer = Colonnello
Obersturmbannführer = Tenente colonnello
Sturmbannführer = Maggiore
Hauptsturmführer = Capitano
Obersturmführer = Tenente
Untersturmführer = Sottotenente
Sturmsharführer = Maresciallo maggiore
Hauptsharführer = Maresciallo capo
Obersharführer = Maresciallo
Sharführer = Sergente
Untersharführer = Caporalmaggiore
Rottenführer = Caporale
Sturmann = Appuntato
SS–Mann
Giornali
•
Das Schwarze Korps: giornale delle SS.
•
Der Angriff (l’attacco) quotidiano del NSDAP.
•
Der Sturmer (la tempesta) quotidiano antisemita.
•
Deutsche Volsblatt (quotidiano del popolo tedesco).
•
Deutscher Wehrgeist mensile di problemi militari.
•
Die Brennessel: giornale umoristico.
- 246 •
Illustrierter Beobachter (settimanale illustrato) in cui H.
scriveva sotto lo pseudonimo di Rolf Eidhalt ossia fedele
al giuramento.
•
Ministerial Blatt für die Inners Verwaltung: Gazzetta ufficiale del ministero degli interni. Pubblicazione dello Stato
che riporta i decreti del ministero degli interni.
•
Nazionalsozialistische Briefe quindicinale diretto da
Goebbels.
•
Ostara (dea della primavera) mensile.
•
Panzerbär.
•
Reichsgesetzblatt: Gazzetta Ufficiale del Reich pubblicazione ufficiale in cui si pubblicano tutti ile leggi del Reich.
•
Völkischer Beobachter: giornale ufficiale del partito.
•
Westdeutscher Beobachter (osservatore dei tedeschi orientali).
Ceppi razziali
I categoria: nordico puro.
II categoria: prevalentemente nordico o falico.
III categoria: armonioso con caratteristiche alpine, dinariche o
mediterranee.
IV categoria: bastardo baltico, orientale o alpino.
V categoria: bastardo extraeuropeo.
- 247 -
Stati
Appartenenti al Reich
1. Burgundia (Belgio, Olanda e parte di Francia)
2. Francia di Vichy, guidata dal maresciallo Pétain
3. Protettorato di Boemia e Moravia (Cecoslovacchia esclusi
i Sudeti)
4. Governatorato generale (Bialystock) ossia
Generalgouvernement: governo del territorio polacco
occupato e non annesso al Reich; cinque distretti:
Varsavia, Lublino, Radom, Cracovia, Lvov.
5. Reichkommissariat dell’Ostland (Lettonia, Estonia,
Lituania, Biellorussia)
6. Reichkommissariat dell’Ucraina
7. Reichkommissariat della Moscovia
8. Reichkommissariat della Tauridia
9. Reichkommissariat del Caucaso
10. Grecia
11. Gran Bretagna occupata
12. Costa occidentale USA occupata
Alleati del Reich
1. Romania guidata dal “conducator” maresciallo Jon
Antonescu fin dal 1940
2. Ungheria con il reggente, ammiraglio Miklòs Horty de
Nagy Banya dal 1920
3. Italia, monarchia con a capo del governo il “duce” Benito
Mussolini dal 1922
4. Spagna guidata dal “caudillo” generale Francisco Franco
5. Bulgaria con re Boris che aderì malvolentieri alle alleanze
con i tedeschi nel 1941
6. Finlandia
7. Danimarca
8. Giappone sotto la guida dell’imperatore Hiroito
- 248 9. Slovacchia
10. Croazia
11. Iran
12. Norvegia guidata dal primo ministro Quisling
Tribunali del Reich (Gerichte)
•
Amtsgericht (di prima istanza)
•
Schwurgericht (corte d’assise)
•
Oberlandgericht (corte d’appello)
•
Kassationschaft (corte di cassazione)
•
Verwaltungsgericht (tribunale amministrativo)
•
Oberverwaltungsgericht (tribunale amministrativo superiore)
•
Sondergericht (tribunale speciale)
•
Volksgerichtschaft (tribunale del popolo)
•
Parteigericht (tribunale interno del partito)
•
Oberstespartigericht (tribunale superiore del partito)
•
Militärgericht (tribunale militare ordinario)
•
Standmilitärgericht (corte marziale)
- 249 -
Suddivisioni e Responsabili del NSDAP
(NS–Leiter)
Il distretto (GAU) è la “regione” elettorale del NSDAP e all’interno della Germania ne sono presenti 32. Il distretto è suddiviso a
sua volta in Circoli (Kreise) e in gruppi mandamentali (Ortsgruppen) in settori (Zellen) e in caseggiati (Blocke).
In ordine di importanza la struttura gerarchica dei responsabili
del partito è:
•
Reichleiter (nazionale)
•
Gauleiter (regionale)
•
Kreisleiter (distrettuale)
•
Oberdienstleiter (cittadino)
•
Orstgruppenleiter (di un contado)
•
Zellenleiter (rionale)
•
Blockleiter (di un caseggiato).
Scuole
Le due organizzazioni politiche della scuola sono 1) Nationalsozialisticher Deutscher Student Bund: Lega nazionalsocialista degli studenti tedeschi e 2) NS–deutscher Lehrerbund (organizzazione insegnanti).
- 250 Le scuole secondarie (giovani tra i 10 e i 18 anni) erano le Adolf
Hitler Schulen e i National Politische Erziehungsanstalten
(NPEA) o Istituti politici nazionali di educazione delle SS.
Un quarto dei migliori diplomati alle scuole secondarie proseguiva l’istruzione nei Castelli dell’Ordine.
I Castelli dell’ordine ossia Ordensburgen erano castelli dell’ordine teutonico del XIV-XV secolo riadattati e utilizzati per la specializzazione universitaria degli allievi dello Jungvolk.
L’istruzione dura sei anni: 1) Kroessinsee (in Pomerania): scienze
razziali (18 mesi) 2) Vogelsang (a Eifel): esercizi fisici (18 mesi),
3) Sonthofen: istruzione politica (18 mesi), 4) Marienburg: istruzione militare (18 mesi). Tra gli Ordensburg vi erano anche Bad
Tölz e Brunswick: sede della “Junkerschule SS” scuola per ufficiali superiori SS.
- 251 -
Indice
Capitolo I...................................................................................7
Capitolo II...............................................................................13
Capitolo III..............................................................................19
Capitolo IV..............................................................................27
Capitolo V...............................................................................35
Capitolo VI..............................................................................41
Capitolo VII............................................................................47
Capitolo VIII...........................................................................53
Capitolo IX..............................................................................61
Capitolo X...............................................................................67
Capitolo XI..............................................................................73
Capitolo XII............................................................................79
Capitolo XIII...........................................................................85
Capitolo XIV...........................................................................89
Capitolo XV............................................................................95
Capitolo XVI.........................................................................101
Capitolo XVII.......................................................................105
Capitolo XVIII......................................................................111
Capitolo XIX.........................................................................117
Capitolo XX..........................................................................123
- 252 Capitolo XXI.........................................................................129
Capitolo XXII.......................................................................133
Capitolo XXIII......................................................................139
Capitolo XXIV......................................................................145
Capitolo XXV.......................................................................149
Capitolo XXVI......................................................................155
Capitolo XXVII.....................................................................159
Capitolo XXVIII...................................................................163
Capitolo XXIX......................................................................169
Capitolo XXX.......................................................................173
Capitolo XXXI......................................................................177
Capitolo XXXII.....................................................................183
Capitolo XXXIII...................................................................187
Capitolo XXXIV...................................................................191
Capitolo XXXV....................................................................197
La lunga notte della barbarie.................................................203
La presidenza nord americana..........................................204
Politica giapponese e fermenti rivoluzionari....................205
La rivincita tedesca e prodromi della guerra di espansione
ad ovest.............................................................................206
Lo sviluppo scientifico nazional–socialista e la creazione
delle armi segrete.............................................................208
La messa in sicurezza dell’est: la Francia........................209
La messa in sicurezza dell’est: la Gran Bretagna.............211
L’attrito Sino–Americano................................................214
La situazione nel resto dell’Europa e i preparativi
dell’invasione...................................................................215
L’espansione ad ovest: la prima ondata...........................217
La ricerca nucleare durante la guerra...............................221
L’espansione ad ovest: la vittoria e le sue conseguenze. .222
Lo scoppio del conflitto Sino–americano.........................225
Termine del conflitto americano......................................229
Sviluppo della politica tedesca.........................................232
Sviluppo informatico ed architettonico tedesco...............235
Rapporti con gli alleati.....................................................238
- 253 Politica americana............................................................239
Bibliografia.......................................................................239
Allegati..................................................................................243
Struttura della Polizia.......................................................243
Struttura delle SS (SchutzStaffel)....................................244
Gradi delle SS...................................................................245
Giornali.............................................................................245
Ceppi razziali....................................................................246
Stati...................................................................................247
Tribunali del Reich (Gerichte).........................................248
Suddivisioni e Responsabili del NSDAP (NS–Leiter).....249
Scuole...............................................................................249
Indice.....................................................................................251