I martiri e i guerrieri di Allah. Un`invenzione islamica d`attualità

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I martiri e i guerrieri di Allah. Un`invenzione islamica d`attualità
I martiri e i guerrieri di allah :
un’invenzione islamica d’attualità
TESI DI LAUREA
D I L A U R A PAVA N E L L O S T O C C O
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indice
1. Prefazione …………………………………………………………………………………….
p. 4
2. Jihad e shahĀda : due ingredienti di composizione del fondamentalismo islamico .… p. 11
2.1 Jihad: lo “sforzo sulla via di Allah” ………………………………………………….… p. 12
2.1.1 Jihad nel Corano …………………………………………………………………... p. 17
2.2 Il concetto di “martirio”: dal significato originario alla distorsione dei “nuovi
martiri” …………………………………………………………………………………... p. 19
2.2.1 Shahīd nel Corano ………...………………………………………………………. p. 23
2.3 Shahāda: dalla parte dei protagonisti degli attentati ……..……………………………. p. 25
2.4 Martirio cristiano e martirio islamico a confronto …………..………………………… p. 28
3. I nuovi martiri : giovani, donne bambini tre generazioni votate al martirio …………. p. 31
3.1 La svolta dell’81…………………………………………………………………………. p. 34
3.1.1 Il “martirio” palestinese …………………………………………………………... p. 34
3.1.2 Il “martirio” all’occidentale ………………………………………………………. p. 35
3.1.3 Ma il suicidio non è coranico ……………………………………………………... p. 36
3.2 Le fidanzate di Allah : il ruolo protagonista delle donne nel martirio ……………….. p. 39
3.2.1 Le fidanzate cecene ……………………………………………………………….. p. 46
3.3 Altri protagonisti. I bambini e la scuola del martirio …………………………….…… p. 47
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4. Breve storia del fondamentalismo islamico ……………………………………………..… p. 53
4.1 Il ruolo dei Fratelli ……………………………………………………………………….. p. 56
5. Guerra, martirio, terrore: una rilettura della proposta di Ernesto De Martino. L’
“utopia” dell’etnocentrismo critico ………………………………………………………... p. 62
6. Bibliografia ………………………………………………………………………………….... p. 67
7. Sitografia ….………………………………………………………………………………….. p. 69
3
“Combattete sulla via di Dio coloro
che vi combattono, ma senza
oltrepassare i limiti, ché Dio non
ama gli eccessivi” (sura II, 190) 1
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Prefazione
Negli ultimi cinque anni e più precisamente dall’ 11 settembre 2001, avvenimento che ha tanto
inevitabilmente quanto inaspettatamente creato una sorta di spartiacque tra la storia del prima e
quella del dopo, si è ritornati a parlare un po’ ovunque, sollecitati soprattutto dai fiumi di
inchiostro versati nell’ansia di ricercare e raccontare il vero dell’attualità, di fondamentalismo
islamico, di terrorismo, di integralismo, di ‘guerra santa’ e dei suoi ‘martiri’. Proprio su questo
ultimo termine si è soffermata la mia attenzione, prendendo in esame soprattutto il significato e il
valore che gli è stato attribuito in massima parte dopo il 2001. Dalla mia ricerca sono emerse una
moltitudine di fonti facenti parte sia dello scenario letterale-bibliografico, sia multimedialegiornalistico che hanno promosso e diffuso a gran voce l’espressione attuale: ‘martiri di Allah’. Di
seguito cito quelle tratte dai due quotidiani italiani di maggior tiratura, La Repubblica e Il Corriere
della Sera, seguendo il criterio della rilevanza data nel titolo all’espressione “martiri di Allah” o
“kamikaze”. Ho preso in considerazione tuttavia, anche fonti minori tratte da giornali locali,
articoli comparsi in siti web o dichiarazioni stampa di Radio Radicale, la cui impronta per il forte
impatto mediatico ricercato,sembra diventare l’espressione del pensiero comune.
- La Repubblica :articolo del 22/01/2002 “Kamikaze spara a Gerusalemme 16 feriti, ucciso dalla
polizia”
In questo articolo si descrive l’attentato suicida avvenuto a Gerusalemme, avvenuto lungo la strada
Ben Yehuda, all'angolo con la King George, vicino al negozio 'Beauty Star' e a breve distanza dal
ristorante Sbarro, dove vicino alla pizzeria 'Sbarro'. Dopo varie rivendicazioni giunte in redazione,
tra cui quella di Hamas, l'emittente televisiva araba Al Jazeera ha accreditato le versione che
1 Bausani A., (1998), 2000
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l'attentatore apparteneva alle 'Brigate martiri di Al-Aqsa', una milizia collegata ad Al-Fatah, la
principale organizzazione palestinese fondata a suo tempo da Yasser Arafat.
- la Repubblica :articolo del 16/02/2002 “Israele, un sabato di sangue attentato kamikaze in
Cisgiordania”
Un altro articolo che riporta l’attacco ad una pizzeria nell’insediamento ebraico di Karnei
Shomrom, in Cisgiordania sferrato da un kamikaze, che aveva il giubbotto imbottito di chiodi ed
esplosivo. L'insediamento si trova tra le città di Qalqilya e Nablus, sotto controllo palestinese. Avi
Pazner, portavoce del governo israeliano, ha definito l'attacco "il prosieguo della campagna di
carneficina condotta da Yasser Arafat e dall'Autorità palestinese”
- La Repubblica :articolo del 12/04/2002 “il nuovo volto degli aspiranti suicidi”,di Magdi Allam
All'Università islamica di Al Azhar gli studenti fanno la fila per iscriversi all'elenco dei "Martiri
fino alla vittoria". Pongono la propria firma sotto un giuramento di poche righe che recita: "Nel
nome di Dio clemente e misericordioso, a tutti coloro che aspirano a diventare martiri sulla via di
Dio, a tutti coloro che ambiscono a incontrare il Profeta di Allah in Paradiso, a coloro che vogliono
riscattare la gloria della Nazione islamica, a coloro che vogliono far trionfare la parola di Allah,
offriamo l'elenco dei martiri". Si consolida la percezione della Palestina come "Terra di Jihad e di
Shahada", il martirio, così come lo è stato l'Afghanistan durante l'occupazione sovietica. L'hanno
sostenuto apertamente 60 ulema, giureconsulti islamici, di diversi paesi arabi in una fatwa, una
sentenza religiosa in cui si proclama che "Jihad contro Israele è un dovere islamico".
Probabilmente si tratta di uno sviluppo non meno preoccupante, sul piano delle conseguenze per la
sicurezza di Israele e per la stabilità del Medio Oriente, dell'esplosione di una sorta di "martiriomania" tra i palestinesi.
Oltre la carta scritta fonte d’informazione le trasmissioni radio e televisive. Riporto di seguito un
intervento del notissimo esponente del partito radicale Marco Pannella alla radio radicale .Così
Marco Pannella nella “dichiarazione delle minacce da parte dei martiri di Allah al partito radicale
transnazionale per il congresso di Tirana” del 27/10/2002, in Transnational and Radical Party.
Qui riporto il testo integrale della dichiarazione del partito radicale transnazionale in seguito alle
minacce ricevute da un gruppo di martiri di Allah in occasione del congresso a Tirana. Il testo è
stratificato e si può rilevare che il fenomeno minacce non sembra unilaterale, ovvero non
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riguarda unicamente obiettivi economici e politici americani, ma investe sfere più ampie ,incluso il
“ nostro” panorama italiano.
- Oggi,
27 ottobre 2002, alle ore 18.28, è giunta una telefonata di minacce al Partito Radicale
Transnazionale, raccolta dal centralino del partito e dal membro della direzione di Radicali Italiani
Antonello Marzano. Una voce di un uomo con tono calmo e freddo ha scandito, con un italiano
quasi perfetto la seguente dichiarazione :
’Siamo i martiri di Allah, sappiamo del congresso di Tirana , siete servi degli israeliani
vendicheremo le vittime palestinesi e moriremo con voi come martiri di Allah.’-
Proseguiamo con gli articoli da giornale
- La Repubblica :articolo del 11/04/2003 “Iraq, l’ultima sfida dei martiri di Allah”, Renato Caprile
In questo articolo si riportano le parole di Robert, ventenne canadese convertitosi all’Islam, uno dei
tanti martiri che decidono di immolare la propria vita per Allah e per Saddam Hussein. “ Sono
venuto qui a morire per l'Iraq, per Saddam Hussein e per la mia Palestina. Aspetto solo che
mi dicano dove e quando. Non vedo l'ora di uccidere quanti più americani è possibile”.
- Il Corriere della Sera: articolo del 19/05/2003 “Kamikaze in un centro commerciale: 4 morti”
Un attentato suicida palestinese ha colpito la città di Afula, nel centro-nord di Israele, causando la
morte di quattro persone e il ferimento di 48. L'attentato è avvenuto pochi minuti dopo le ore 17 (le
16 in Italia) e ha avuto per obiettivo il centro commerciale Shaarei Haamakim. L'attentato suicida è
stato rivendicato dalle Brigate martiri di Al-Aqsa, la milizia vicina ad Al-Fatah, il movimento di
Yasser Arafat. Lo hanno riferito fonti giornalistiche palestinesi. In precedenza, l'attentato era stato
rivendicato dagli integralisti del Jihad islamico.
- Il Corriere della Sera: articolo del 19/08/2003 “Gerusalemme. Kamikaze su un bus, 20 morti”
Un autobus è esploso in una zona centrale di Gerusalemme, vicina al confine con la parte araba
della città. Si tratta di un attentato kamikaze. L'attentatore, vestito da ebreo ultraortodosso, si è
fatto saltare in aria sull'autobus pieno di israeliani di ritorno dal Muro del pianto. L'esplosione ha
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provocato almeno 20 i morti, tra cui anche 5 bambini e oltre 80 feriti, di cui una decina gravi. Circa
40 tra i feriti, inoltre, sono bambini. L'esplosione ha danneggiato anche un altro autobus che
passava nelle vicinanze senza però causare vittime. L'attentato di Gerusalemme è stato compiuto
dal braccio armato del Jihad islamico, secondo la televisione al-Manar dei guerriglieri libanesi
Hezbollah. L'emittente ha appreso che il responsabile dell'attentato si chiamava Raed Mizq e
proveniva da Hebron, in Cisgiordania. Ma secondo fonti giornalistiche palestinesi il kamikaze
sarebbe stato un militante di Hamas, e non del Jihad islamico.
- Il Corriere della sera: articolo del 10/03/2004 “I Kamikaze eroi dei media arabi” di Magdi Allam
Con questo articolo Magdi Allam mette luce sul ruolo rivestito nella cultura islamica dai kamikaze,
sul loro crescente valore nell’immaginario collettivo, della gente comune ma anche dai più eruditi
con posizioni di potere. L’autore riporta le parole di Mahdi Abdul Hadi, direttore della Palestinian
Academic Society for the Study of International Affairs di Gerusalemme, il quale parla con la
schiettezza e il vigore di chi vuol essere il più convincente possibile: “Cosa penso dei kamikaze?
Io stesso potrei farmi esplodere da un momento all'altro. Recentemente un giovane laureato,
padre di due figli, si è fatto esplodere in Israele per vendicare l'uccisione del suo più caro
amico. Ha fatto tutto da solo. Non apparteneva a nessun gruppo religioso o politico». Poi
Magdi Allam sottolinea come anche lo stesso uso nella lingua parlata dei termini ‘terrorismo’ o
‘terroristi’ sia evitato con cura tramite sinonimi. Il che conferma come in Medio Oriente
condannare il terrorismo potrebbe tradursi nella propria condanna a morte.
- Il Corriere della sera: articolo del 17/04/2004 “Attentato kamikaze al valico di Erez”
Un altro attacco kamikaze all'origine dell'esplosione al valico di Erez, causando la morte del
kamikaze palestinese e il ferimento di quattro israliani, uno dei quali è morto all'ospedale Soroka di
Bèer Sheva. L'attacco è stato rivendicato congiuntamente da Hamas e dalle brigate Al Aqsa, il
gruppo armato vicino al movimento Al Fatah di Yasser Arafat, che hanno indicato di avere voluto
vendicare la morte dello sceicco Ahmed Yassin , il capo di Hamas ucciso alla fine di marzo
dall'esercito israeliano.
- Il Corriere della sera: articolo del 13/07/2005 “A Londra hanno agito quattro Kamikaze”
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In questo articolo viene riportato l’attentato di Londra del 7 luglio 2005 ad opera di quattro
kamikaze, tutti cittadini britannici anche se di origini islamiche. Quindi lo scenario degli attacchi si
sposta nel cuore dell’Europa e il terrorismo acquista sempre più la sua valenza internazionale.
- Gloria Capuano, “cada la benda dagli occhi dei martiri di Allah”, articolo pubblicato in Il
Dialogo,periodico di cultura, politica, dialogo interreligioso di Monteforte Irpino, 19 novembre
2005.
In questo articolo invece, l’autrice cerca di dare una visione critica del Jihad e dei suoi martiri alla
luce di alcune considerazioni derivanti da deduzioni logiche. Così sostiene:
“Se è vero che Bin Laden ha la forza economica di una multinazionale;
se è vero che il conio del “martire suicida” risponde sostanzialmente alla lucida spietata
scelta di munizioni di scarso costo e di grande “beneficio”;
se è vero che il profilo religioso sia una immensa coltre fumogena sul vero scontro tra un
nuovo capitalismo terroristico e un capitalismo occidentale effetto dell’unico progetto
economico che nella storia abbia prevalso nonché fin qui l’unico in grado di sfamare più
bocche possibile;
e se è vero che ciò è comprovato dall’incessante flusso migratorio verso l’Occidente e non
viceversa vero i Paesi non occidentali;
se è vero che pur prestando l’Occidente il fianco a numerosissime e non trascurabili critiche
ai suoi difetti alle sue pecche alle sue gravi contraddizioni alle sue storture si sforza però di
perseguire i diritti umani e civili e decide per suffragio popolare ( giusto o sbagliato che sia);
se è vero però che degli stessi difetti e pecche e storture sono colpevoli i popoli non
occidentali e cioè corruzione e collusioni d’ogni genere senza viceversa alcun contrappeso in
termini di diritti umani e civili; se è vero che il comportamento bancario mondiale è del tutto
omogeneo e cioè privo di ogni senso etico, se è vero anzi che l’etica di cui in Occidente tanto si
parla è ancora oggi lontanissima dal potersi sposare con gli attuali meccanismi bancari;
se è vero che non c’ è ideologia che tenga che possa reggersi in piedi senza un supporto
economico;
se è altrettanto vero che l’economia terroristica oramai abbia pervaso il mondo intero se è
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quindi vero che guerre e terrorismo siano soprattutto due realtà economiche cioè un
mastodontico business e fonte a volte di unico sostentamento;
e se , per inciso , fosse attendibile l’ipotesi che la rivolta francese degli immigrati di seconda e
terza generazione altro non esprimesse che il risultato di uno scompenso demografico;
se sono o fossero vere tutte queste supposizioni e tante altre che si potrebbero aggiungere,
ebbene si cessi almeno da parte degli Occidentali di criticare distruttivamente l’Occidente e si
cessi da parte dei leader carismatici musulmani d’ingannare i giovani musulmani facendo
loro credere di poter diventare od essere martiri di Allah a camuffamento di un progetto
economico (che di religioso non avrebbe assolutamente nulla) d’ambiziosa conquista di un
predominio mondiale a sostituzione di quello occidentale con non so quali vantaggi per
l’umanità ripeto quanto ai diritti umani e civili.”
- Il Corriere della sera: articolo del 26/04/2006 “Sinai: due kamikaze contro base Onu, 4 feriti”
Due kamikaze si sono fatti esplodere all'ingresso del campo della Forza internazionale di
interposizione nel Sinai (Mfo) a el-Gorah (non lontano dal posto di frontiera di Rafah con la
Striscia di Gaza) ferendo due militari (un neozelandese e un norvegese) e due poliziotti egiziani.
l'attacco è stato realizzato alle 11,10 quando un primo attentatore suicida è sceso da un fuoristrada
e si è fatto esplodere. Prima però era esplosa una bomba al passaggio di un veicolo dell'Mfo, senza
però provocare danni. In seguito un secondo attentatore suicida si è lanciato in bicicletta contro
un'auto della polizia arrivata sul luogo dell'esplosione facendosi saltare in aria. La Mfo è formata
da soldati di Italia, Australia, Colombia, Francia, Norvegia, Usa, Canada, Figi, Ungheria, Nuova
Zelanda e Uruguay che aiutano a monitorare gli accordi di pace tra Egitto e Israele.
- La Repubblica: articolo del 06/07/2006 “Iraq, kamikaze alla moschea sciita 13 pellegrini uccisi e
41 feriti”
L’attentato si è verificato nella cittadina santa sciita di Kufa, alle porte di Najaf, davanti alla
moschea di Matytham al-Tammar. Un kamikaze si è lanciato con un'autobomba tra due autobus sui
quali viaggiavano i pellegrini. Delle dieci vittime, cinque sono iraniane. Kufa, oltre ad essere luogo
santo sciita, è anche la principale base della milizia e dei sostenitori del giovane imam sciita
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radicale Moqtada al-Sadr, che i sunniti accusano di violenza contro la loro comunità. L'attacco
contro la maggioranza sciita del Paese - che rischia di innescare una guerra civile - era uno dei
capisaldi della strategia dell'ex leader di al Qaida in Iraq, il giordano Abu Musab al-Zarqawi,
ucciso in un raid aereo .
- Il Corriere della sera. Articolo del 3/08/2006 “ Kamikaze fa 21 morti in Afghanistan “
Qui si descrive l’attentato realizzato nel sud dell’Afghanistan da un kamikaze alla guida di
un’autobomba, che si è fatto esplodere in un affollato mercato non distante da una pattuglia di
soldati della Nato. L’agguato, uno dei più cruenti in Afghanistan dalla caduta del regime dei
talebani, è arrivato soltanto pochi giorni dopo che le forze della Nato hanno assunto il controllo
della sicurezza dalla coalizione sotto comando statunitense nella zona meridionale, la più instabile
del Paese.
Potremmo facilmente continuare monitorando altre pagine. Ci fermiamo per tentare una riflessione
su tutto questo, iniziando dal lessico.
Si cercherà dunque di chiarire in prima analisi, il significato di Jihad, strettamente connesso al
tema del shahāda, partendo dall’origine del termine per poi affrontare la sua evoluzione nel
cammino islamico e soprattutto agli occhi degli occidentali. L’analisi si soffermerà sul significato e
ruolo degli shahīd islamici attuali da martiri di Allah a guerrieri attivi in nome di Allah, per nulla
paragonabili alla figura di Husayn Ibn Alì, il martire per eccellenza in ambito sciita,e si tenterà
dunque di spiegare, grazie all’aiuto di testimonianze, di interviste e di testamenti lasciati proprio da
alcuni di questi martiri, come tale significato sia stato nell’ ultimo decennio sconvolto e
reinventato in tutti i suoi aspetti. Si procederà con un breve confronto con il concetto di martirio
nella cultura cristiana, si analizzerà poi il fondamentalismo di matrice islamica, con la sua storia e i
suoi attuali sviluppi terroristici. In conclusione, si proporrà la vera tesi del presente elaborato,
ritenendo che possa essere la sola soluzione possibile e applicabile, per affrontare la problematica
in questione.
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JIHAD E SHAHĀDA: due ingredienti di composizione del fondamentalismo
islamico
Parlare di jihad, di martirio, di fondamentalismo islamico oggi riporta alla mente immagini di
morte e distruzione trasmesse dai servizi dei vari telegiornali, parole ed espressioni che spesso
sottendono pregiudizi e stereotipi nati proprio dalla mancanza di informazione corretta e obiettiva,
anzi per lo più veicolata da messaggi politico-religiosi, carichi pertanto di significati naturalmente,
direi quasi necessariamente, codificati con accezioni negative. Tali pregiudizi si intravedono ad
esempio, quando ci si interroga sul significato di ‘guerra santa’, espressione che ci porta quasi
spontaneamente ad immaginare un esercito di infedeli in marcia verso la conquista e la
dominazione dei regni cristiani, o anche, senza andare così indietro nel tempo, ci porta a pensare
un’invasione, chi lo sa se solo cultural-religiosa e non invece anche politico-militare, possibile e
temibile nel presente a partire proprio da questa nostra Europa, per opera dei tanti e sempre più
numerosi mussulmani che vi si stanno stabilendo. Con l’espressione “guerra santa”, in realtà, si è
voluto tradurre la parola araba, più volte usata e spiegata dal Corano, di ‘jihad’. Ma non
dimentichiamo che il concetto di “guerre del signore” -che troviamo ad esempio nel libro dei
Numeri ( combattute per Elohim Yhwe che porta il significativo titolo di “signore degli eserciti”
ripetuto più di duecento volte nel testo dell’Antico Testamento. Per il cristianesimo che si pone
agli inizi esplicitamente come un movimento di rifiuto totale della pace ,il discorso è complesso . Il
modello “militare” diventa possibile se giusto a partire dal racconto inserito nella biografia di
Costantino,l’imperatore romano che adottò per primo il cristianesimo e nel segno di Cristo vinse
2
Ma ovviamente si apre un altro capitolo.
2 Evitando di scegliere nell’enorme bibliografia specialistica rimando ad un agile volume di buona
divulgazione M.T. Fumagalli , B.Brocchieri 2006
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.
Jihad : lo “sforzo sulla via di Allah”
Nel suo significato letterale questa parola si deve intendere come lo ‘sforzo’, l’impegno, in quanto
deriva dal verbo a radice trilittera “jahāda”, “sforzarsi”, o meglio ancora «sforzo teso verso uno
scopo determinato» e per questo condivide la radice con altri termini quali ijtihãd,ad esempio lo
sforzo della ricerca delle soluzioni giuridiche degli esperti nel diritto, e mujãhad, sforzo di
perfezionamento personale. La parola, che compare più volte nel Corano, indica quindi lo sforzo
che il fedele deve compiere per porsi alla sequela della volontà divina, jihãd diviene pertanto
sinonimo di sforzo individuale e interiore per approfondire le proprie conoscenze religiose, mettere
in pratica le prescrizioni coraniche ed evitare di cedere alle proprie passioni. E’ vero che lo
“sforzo” dei credenti deve tendere ad abolire la bipartizione del mondo in due spazi nettamente
separati, la “casa dell’islam” (dàr al-islàm) e la “casa della guerra” (dàr al-harb), deve cioè mirare
all’unificazione dell’ambiente umano in nome della norma divina; ma con questa affermazione di
principio si vuole in primo luogo intendere quel “giogo” della sottomissione a Dio che corrisponde
più all’instaurazione di un ordine spirituale e cosmico che non ad una concreta conquista militare
della terra. La «migliore nazione mai suscitata fra gli uomini» è tale non perché i suoi membri
rappresentino di diritto un popolo eletto, ma piuttosto in quanto è tutta tesa ad adeguarsi alla
volontà divina e a costituire l’esempio vivente in questo mondo dell’ordine che Dio 3 si è
3 Ovviamente il Dio assoluto del monoteismo islamico. Nella prospettiva monoteista il cosmo e l’umanità
sono coinvolti in un insieme coerente pensato e messo in atto dall’atto volontario di creazione di un dio
Solo, un essere trascendente,onnipotente,unico che si assume anche la posizione di legislatore e punitore.
Dobbiamo dire subito il modello simbolico che afferma per la prima volta l’esistenza di un unico dio
creatore del mondo e dell’umanità, eterno onnisciente onnipotente ,il dio del monoteismo in quanto tale, si
realizza relativamente tardi, in una situazione antropologica geografica e storica ben definita : la zona è
la siropalestina , approssimativamente i territori dell’odierno Libano,Siria,Giordania Stato
d’Israele,Palestina e l'epoca si colloca tra il VI ed il V secolo a.C. La vittoria di Elohim -Yhwe il Signore ,
appare il risultato di una lotta aspra contro i modelli simbolici politeistici, contro i molti esseri divini che
costituivano i referenti religiosi comuni del mondo vicino orientale e mediterraneo sin dalla prima età del
bronzo. Questa interpretazione del monoteismo come esito della ricerca di identità quale necessità storica
di un popolo-il popolo di Israele- è stata sostenuta utilizzando un metodo comparativo,storico-religioso e
antropologico anzi tutto da Raffaele Pettazzoni che dedicò alla ricerca sulla formazione del concetto di
Dio una parte rilevante della sua attività ingaggiando una celebre polemica contro la teoria del Monoteismo
Primordiale (Urmonotheismus )sostenuta da padre Wilhelm Schmidt che interpretava la presunta presenza
di figure di Esseri Supremi creatori e legislatori nelle raccolte di miti di popoli culturalmente “primitivi”
come memoria ,segno della “verità” del racconto rivelato del Genesi. Pettazzoni di contro sostiene che la
teoria del monoteismo primordiale era viziata sostanzialmente da un equivoco “ L’equivoco consiste nel
chiamare monoteismo ciò che è semplicemente la nozione di un essere supremo“.La citazione è tratta dal
volume di Pettazzoni “L’essere supremo nelle religioni primitive (Torino 1957 pp.16-17) - Pettazzoni
sostiene la storicità del culto del Dio Uno come dio scelto da un popolo richiamando l'attenzione sulla
esplicita la volontà di rifiuto degli dei onorati dai popoli altri,che ricorre molte volte in modo esplicito nei
testi dell'Antico Testamento. In questo senso il “monoteismo”invenzione ebraica si stacca anche dalle
impostazioni moniste,enoteiste ,ecc. cioè da tutte quelle formule di concentrazione di attributi di
eccellenza che contraddistinguono figure di grandi dei e grandi dee nei politeismi . Si stacca anche da
quello che è considerato l’antecedente più accreditato ,anche in proiezione storica, il culto solare del
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compiaciuto di dare all’universo. L’islam va in questo contesto inteso nella più ampia delle sue
accezioni possibili, vale a dire come l’espressione terminale e definitiva della verità che Dioovviamente il Dio Unico, speciale, del monoteismo - ha continuamente ribadito agli uomini.
Una verità realizzata con il compimento della missione del profeta e sancita dall’ultima in ordine
cronologico delle rivelazioni coraniche: «Oggi v’ho reso perfetta la vostra religione, e ho compiuto
su voi i miei favori, e m’è piaciuto darvi per religione l’islam» (Cor.Sura 5,3).
E’ del resto noto che, secondo un celebre e citatissimo insegnamento del profeta, il combattimento
contro i nemici esteriori non è che una “guerra minore” (al-gihàd al asghar), quella maggiore (algihàd al akbar) essendo una lotta di ordine puramente interiore e spirituale condotta contro i nemici
dell’anima.
faraone rivoluzionario Akhenaton Solo il modello ebraico formalizza in modo preciso quella che è la
funzione di fondo del monoteismo : garantire attraverso un modello teocratico unico ed univoco la qualità
unica del gruppo che a quel modello si rapporta, salvandolo dalla confusione della pluralitàIl modello del
monoteismo forte è comunque frutto di una sistemazione relativamente recente, elaborata tra il VI ed il V
a.C. dagli Uomini del ritorno, gli Ebrei deportati in Babilonia da Nabucodonosor il re babilonese che
invase la Palestina e secondo la tradizione distrusse il primo Tempio di Gerusalemme,il tempio di
Salomone.Liberati da Ciro re di Persia nel 538 a.C. gli Ebrei ritornati in patria riorganizzano in senso
radicale la teologia monoteista,introducono le leggi di santità che comportanto il controllo capillare della
vita quotidiana,imponendo un'ortoprassi,una giusta regola che è impossibile trasgredire perchè emessa da
un'entità Unica di potere assoluto. Sono le famose regole di purità che impongono le scelte alimentari
stabilendo i criteri di distinzione tra animali puri consumabili ed impuri vietati . Sono le famose regole del
Levitico e del Deuteronomio contenute nel Pentateuco, testo fondamentale della Torah ,la Legge ebraica .
Allo stesso tempo la condizione di impurità legata al sangue del mestruo e del parto segnala la
"estraneità",la differenza della condizione femminile . Da tener presente che la redazione di queste leggi
compare per la prima volta in scrittura nell'edizione greca detta dei LXX, ad Alessandria d'Egitto ,la città
cosmopolita interculturale ,interetnica voluta da Alessandro Magno ,alla metà circa del III secolo a.C. Le
redazioni in ebraico sono di molto posteriori . I monoteismi seguenti cristianesimo e islam derivano
storicamente dal modello ebraico secondo percorsi diversi. Il cristianesimo -il secondo monoteismo- si
propone esplicitamente in antitesi alla Legge dell'Antico Testamento anzitutto attraverso il comportamento
esplicitamente "eversivo" scelto dal suo fondatore il Cristo che si proclama "figlio di Dio" mettendo a
rischio la "trascendenza" ma si proclama anche portatore di una "nuova fondazione", in esplicito contrasto
con le leggi dell'ortoprassi dal momento che vengono azzerati i tabu alimentari e viene messa da parte l'
"impurità" congenita del corpo femminile. Diverse ancora le soluzioni nel terzo monoteismo ,islamico,che
si raccorda in modo diverso con l'ebraismo e il cristianesimo . Con l’ebraismo l’Islam condivide anzitutto
una discendenza genealogica fissata dal racconto, mito,del sacrificio evitato del figlio .Dio chiede ad
Abramo come vittima sacrificale Isacco il figlio nato miracolosamente per volere divino dalla vecchia e
sterile Sara e dal vecchio Abramo. All’ultimo istante il sacrificio prova è evitato ed il piccolo è sostituito
dalla vittima animale ,il capretto. La stessa prova è riportata nella tradizione islamica per Ismaele il
primogenito che Abramo ha avuto da Agar ancella di Sara ,un primogenito non legittimo dal quale
discendono per via femminile gli Arabi Agaridi .Con l’ebraismo l’Islam condivide un’ortoprassi quotidiana
anche se molto più semplificata rispetto la rete degli interdetti prevista dalla Torah .Il divieto alimentare
principale si limita al maiale. Ma rimane l’impurità mestruale. Un tratto identitario importantissimo
riguarda la vocazione universalistica,espansionista che fa dell’islam un modello religioso di tipo
“ecumenico “ che si è espresso da subito nella volontà di uscire dai suoi confini ed imporsi .La
Gerusalemme bizantina cristiana cadde in mano islamica pochi anni dopo la morte di Mohammed nel 638
d.C. Un primo episodio della vittoriosa cavalcata che portò rapidamente l’Islam in Europa ,in Spagna dove
diede origine ad una ricca e complessa esperienza culturale .L’espansionismo è tratto condiviso dall’islam
con il cristianesimo e costituisce certamente un possibile ed inevitabile motivo di contesa. Sabbatucci D.,
2001
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In certo senso il concetto di jihad riassume la vocazione universalistica, globalizzante che l’Islam
condivide con il cristianesimo come vocazione speculare e rovescia rispetto la “riservatezza”
etnocentrica ebraica. Nell’attualità possiamo anche tradurre jihad come sforzo contro la
globalizzazione, intesa nel senso di fronte contro la modernità intesa come prodotto “occidentale”,
euroamericano, anzi piuttosto specificamente americano 4 . Contro la “modernizzazione” livellante a
senso unico il ricorso alla “tradizione”,alla “propria” tradizione espressa attraverso l’enunciato
assolutamente più forte,come dettata dalla parola trasmessa e scritta per volontà di quell’essere
Unico,totalmente Altro,Trascendente Onnipotente ,cioè Dio appare la bandiera vincente da
sventolare.
Ma sul punto che coinvolge il livello del “religioso” il discorso diventa inevitabilmente complesso.
Le scuole d’impostazione più spirituale, e soprattutto il mondo del sufismo 5 , hanno sempre
preferita porre l’accento sull’ accezione del termine corrispondente al jihãd ”maggiore”, cioè la
guerra che ogni fedele deve combattere per convertirsi ed avvicinarsi al volere di Dio. Tuttavia, è
necessario ricordarlo, nei Corano è chiaramente indicato il dovere di uniformare tutta l’umanità al
volere di Dio e quindi ogni buon fedele deve impegnarsi in una ‘missione” (da’wa) verso gli altri
uomini. Il jihãd dunque è un dovere che può essere realizzato secondo varie modalità e più
precisamente si era soliti distinguere tra jihâd dell’animo , della parola , della mano e, solo in
ultimo, della spada .
Il primo modo indica la lotta contro le proprie inclinazioni e i propri vizi, il secondo la lotta contro
la propria tendenza alla maldicenza ma anche il dovere di diffondere la verità coranica, il terzo il
dovere di aiutare concretamente gli altri incoraggiando il bene e proibendo il male, e l’ultimo
l’azione attiva di guerra contro l‘infedele. Ma nel Corano, la radice JHD compare quasi sempre in
contesti non necessariamente bellicosi.
Quando si parla chiaramente di guerra cruenta si usano più facilmente termini che sono
4 Barber B. , traduzione italiana 2001 (1996)
5 Sufismo, movimento religioso di carattere mistico e ascetico sorto nel mondo islamico a partire dall'XI
secolo, in prevalenza fra i sunniti – benché comprenda anche confraternite e membri sciiti – che non
assunse mai le caratteristiche settarie di altri gruppi, come, ad esempio, quello degli ismailiti. Per quanto
gli adepti riconducano le origini del loro movimento all'epoca di Maometto, il termine che lo denota
(Tasawwuf) comparve a Kufa, in Iraq, soltanto nel IX secolo, al tempo degli abbasidi. Esso sembra derivare
dal termine arabo suf (da cui "sufismo"), che indica l'abito di lana grezza indossato dagli asceti musulmani.
Alla fine del X secolo questa corrente aveva già diffuso confraternite di seguaci da Bassora e da Baghdad,
capitale abbaside, in tutto l'Iraq e nel resto del mondo islamico, dove rappresentava un tentativo di
interpretazione mistico-esoterica della religione di Maometto. Da principio oggetto dell'ostilità delle
correnti islamiche più tradizionaliste, il movimento ottenne dal XII secolo un riconoscimento formale
nell'ambito dell'ortodossia, soprattutto grazie all'operato e agli scritti di alcuni membri illustri provenienti
dai ceti colti del sunnismo, come il pensatore al-Ghazali. Informazioni tratte da Introduzione al Sufismo, di
As-Sulami a cura di D. Giordani, 2002. Ma vedi anche la voce sufismo nella Encyclopedia of Religion a
cura di Eliade ,ed tematica italiana .
14
riconducibili alle radici HRB e QTLI.
Il jihãd minore non è un bene in se stesso bensì un male che diventa però lecito, anzi obbligatorio e
quindi un bene, in rapporto allo scopo cui tende, ovvero abolire un male maggiore, la mancata
sottomissione al vero Dio. Infatti il jihãd tende all’espansione della vera religione e in quanto tale è
un bene, anzi un obbligo per i maschi sani, adulti, liberi. Deve essere combattuto quando vi sono
un numero sufficiente di uomini e risorse adeguate a far sperare in una conclusione vittoriosa. In
casi simili è lecito usare tutti i mezzi e gli strumenti possibili, e anche i non-musulmani, in caso di
necessità, possono essere chiamati a contribuire a diverso titolo al successo della guerra. I non
mussulmani inseriti comunque nella struttura di una comunità, un “stato islamico E in questo caso
con ogni probabilità il riferimento è ai dimmi, ebrei cristiani e “zoroastriani “ come genti del libro
beneficiari di uno statuto speciale che comunque non è mai uguaglianza di diritti.
Per il fedele i doveri religiosi, secondo il diritto musulmano, sono fard ‘ayn, ovvero obblighi del
singolo, invece il jihãd è fard kifãya, cioè un dovere obbligatorio solo collettivamente. È
sufficiente che un gruppo, anche se esiguo, lo ottemperi perché tutti gli altri siano esonerati. E’ un
dato estremamente interessante e trascurato nelle valutazioni.
Il jihãd dev’essere proclamato dal califfo 6 e l’attacco agli infedeli deve essere preceduto da un
chiaro invito alla conversione: solo dopo un esplicito rifiuto si deve procedere alla guerra, che
altrimenti è considerata un vero e proprio omicidio, punibile addirittura con la pena del taglione.
La necessità del jihãd è continua, fino alla fine del mondo- non dimentichiamo che l’islam
condivide con l’ebraismo e il cristianesimo l’attesa di una fine del mondo e di un giudizio .
Tuttavia la fine dovrebbe coincidere con il momento nel quale tutti i popoli siano stabilmente
convertiti all’islam. E’ un dato importante che andrebbe monitorato da vicino ed è certamente forte
nella prospettiva sciita.
Ne consegue che lo stato di pace con i paesi non musulmani è una condizione provvisoria, una
tregua, che non può durare indefinitamente e che può essere denunciata anche unilateralmente se le
condizioni lasciano intravedere una possibilità di vittoria da parte dell’islam. Esistono situazioni
diverse cui si applicano forme diverse di jihãd. All’esterno del territorio islamico, contro i
miscredenti e contro chi aggredisce un popolo musulmano, Maometto ha ordinato di usare ogni
mezzo: la lingua, i propri beni e la propria forza. Ma vediamo dunque di contestualizzare le parole
del Profeta ed estrapolarle da un contesto più complesso.
C’è da dire anzitutto che il Corano secondo la tradizione riconosciuta- contiene la rivelazione dei
suoi voleri che Allah ha concesso a Maometto nell’arco di 27 anni, dal 610 al 632, 7 anno della sua
6 figura scomparsa nel mondo sunnita con la soppressione del Califfato da parte di Kemãl Atatürk nel 1923
e nel mondo sciita con l’entrata in occultamento dell’ultimo Imam riconosciuto alla metà del X secolo
7 Eliade M., 2004
15
morte. Durante questo periodo di tempo la prima comunità musulmana al seguito del profeta ha
visto succedersi le tappe più significative ed importanti della sua storia, a partire dalla sua
istituzione e fino alla definitiva sconfitta delle tribù politeiste, soprattutto di meccani, che ne
avevano messo a rischio la sicurezza e l’incolumità. E’ una storia di rivelazioni, di precetti, di
insegnamenti, quella che si trova nel Corano, ma è anche una storia di guerre, di strategie militari,
di esortazioni divine all’affermazione e alla vittoria sulle tribù nemiche, sulle genti pagane ed
infedeli.
L’Arabia ai tempi di Maometto, d’altronde, era una terra abitata da popolazioni tribali,
generalmente seminomadi e politeiste nonostante i loro frequenti e pacifici contatti con le comunità
ebraiche o cristiane presenti lungo le vie carovaniere e stanziate, le prime soprattutto, nelle città
più ricche e sviluppate (a Medina, per esempio, risiedevano ben tre diverse tribù ebraiche).Per
convertire ed unire una popolazione frammentata e divisa in tante piccole comunità,politicamente
ed economicamente deboli, in un solo popolo, già legato dall’appartenenza allo stesso gruppo
etnico occorreva la “religione”, intesa nel senso forte della convergenza di tutto il sistema
simbolico condiviso nell’accettazione di una struttura unitaria totalizzante resa attiva dalla
fede
in un solo ed unico Dio. Un Dio Esistente in sé che cancella tutte le divinità fino ad allora
costruite dall’uomo, e manifesta la sua grandezza facendosi conoscere personalmente, servendosi
di un profeta, alle sue creature. Non c’è da stupirsi perciò se nel Corano si legge di Allah che incita
la sua gente a sconfiggere gli infedeli, la chiama a raccolta, le ordina di far cessare la ‘fitna’, la
persecuzione cui è da tempo sottoposta per opera degli arabi pre-islamici, e si preoccupa anche di
fissare le norme sul trattamento dei prigionieri e sulla convivenza con le genti di altre fedi qualora
queste vengano sconfitte e battute dai musulmani. Del resto anche il Dio di Israele Elohim Yhwe –
lo stesso dio- -compare come “dio degli eserciti” e promette ai suoi vittoria e castigo. Ma riuscire
ad entrare nei Giardini dell’Eden richiede sacrifici, rettitudine e soprattutto spirito di totale
sottomissione alla volontà di Dio.
16
Jihad nel Corano
Riporto ora i passi del Corano nei quali compare la parola “Jihad” a cui seguirà un breve commento
con l’intento di far ulteriore chiarezza sulla valenza del termine nella cultura religiosa islamica.
SURA II, la sura della vacca (190-194, 216-218, 244-246) 8
190 Combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono ma non oltrepassate i limiti, ché Dio
non ama gli eccessivi. - 191 Uccidete dunque chi vi combatte dovunque li troviate e scacciateli
di dove hanno scacciato voi, ché lo scandalo è peggio dell'uccidere; ma non combatteteli
presso il Sacro Tempio, a meno che non siano essi ad attaccarvi colà: in tal caso uccideteli.
Tale è la ricompensa dei Negatori. -192 Se però essi sospendono la battaglia, Iddio è
indulgente e misericordioso. - 193 Combatteteli dunque fino a che non ci sia più scandalo, e la
religione sia quella di Dio; ma se cessano la lotta, non ci sia più inimicizia che per gli iniqui. 194 Il mese sacro per il mese sacro e tutti i luoghi sacri seguono la legge del taglione; chi in
quei luoghi vi aggredisce aggreditelo come egli ha aggredito voi, temete Iddio e sappiate che
Dio è con chi Lo teme.
SURA VIII, la sura delle donne (39)
“Combatteteli dunque finchè non vi sia più scandalo e il culto tutto sia reso solo a Dio. Se
desistono, ebbene Dio scorge acuto quel che essi fanno.”
SURA IX, la sura della conversione (5, 29, 123)
“Quando poi saranno trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri, dovunque li troviate,
prendeteli, circondateli, appostateli ovunque in imboscate. Se poi si convertono e compiono la
Preghiera e pagano la Decima, lasciateli andare, poiché Dio è indulgente e clemente.”
“Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno estremo, che non ritengono illecito
quel che Dio e il Suo Messaggero hanno dichiarato illecito e coloro fra quelli a cui fu data la
Scrittura, che non si attengono alla Religione della Verità.”
“O voi che credete! Combattete i Negatori che vi stanno vicino! Che possano trovare in voi
tempra durissima! E sappiate che Dio è con coloro che lo temono.”
8 Bausani A., 2000, (1998)
17
I versetti 190/191 della Sura della vacca, sono molto importanti per la definizione di Jihad.Innanzi
tutto occorre precisare che tale sura non fa parte delle sure meccane ma di quelle medinesi. Le sure
così chiamate meccane vanno collocate all’inizio della rivelazione cranica e ritraggono un unico
profeta, che ancora non ha l’intenzione di formare una comunità (che verrà costituita dal 622 al
632, anno della morte del profeta). Nel periodo medinese, invece, si crea la prima comunità
dell’islam e la rivelazione continua. Dunque la sure medinesi hanno un carattere meno escatologico
di quelle meccane e una valenza prevalentemente giuridica, politica e sociale. Per quanto concerna
quindi il significato dei versetti citati in correlazione con il concetto di jihad, gli esegeti musulmani
moderni fanno notare che si sottintendono due fondamentali condizioni: non oltrepassare i limiti;
combattere coloro che vi combattono. Cioè la guerra santa deve essere solo difensiva e fatta senza
eccessiva crudeltà. La parola tradotta con ‘scandalo’ equivale alla parola araba fitna difficilmente
traducibile, che racchiude in sé l’idea di prova, tentazione, persecuzione, scandalo (appunto) ,
confusione, anarchia, ecc…
Di grande rilievo risulta il versetto 29 della Sura ΙX della Conversione, che se da una parte è prova
di una attitudine molto intollerante, dall’altra mettendo sullo stesso piano la gente del Libro e
idolatri, permette a certe scuole giuridiche (come la hanafita) di ammettere al pagamento della
gizya e considerare dhimmi anche gli idolatri non arabi escludendoli così dall’alternativa ‘ l’Islam
o la spada’.
18
Il concetto di “ martirio”: dal significato originario alla distorsione dei “nuovi
martiri suicidi”
Non tutti i credenti, tuttavia riescono a compiere uno sforzo morale così impegnativo e totalizzante
(totalizzante perchè, se realizzato ai massimi livelli, condiziona radicalmente la vita di un uomo).
O per meglio dire, sono pochi coloro che, non accontentandosi di osservare soltanto i cinque
obblighi fondamentali richiesti ad ogni musulmano (la professione di fede, la preghiera, il digiuno
nel mese del Ramadhan, l’elemosina e il pellegrinaggio alla Mecca) , si sottomettono a Dio fino al
punto da dare la propria stessa vita per testimoniare la Verità e la Giustizia che solo da Lui hanno
origine. A costoro, testimoni fino alla SHAHĀDA della Sua parola, Allah riconosce un posto
d’onore nei cieli: essi, modelli del vivere secondo i dettami di Dio così come i profeti e i martiri
che li hanno preceduti, saranno tra i più vicini al Signore e godranno da subito della gioia del
paradiso senza dover attendere il Giorno del Giudizio. Quello di martirio è un concetto tanto
importante quanto facilmente mistificabile all’interno della tradizione teologica islamica ma è
strettissimo il suo legame con il concetto di jihad .
Certo si può lottare anche senza diventare martiri; ma testimoniare di essere pronti anche al
sacrificio finale per la causa della giustizia, sacrificio che non deve essere inteso soltanto come
morte fisica, ma che può significare anche la rinuncia interiore e spirituale a tutto ciò che distoglie
il credente dallo sforzo sulla via di Allah, Tutto questo è già fare jihad in modo pieno e completo.
I cronisti occidentali li traducono volentieri i martiri islamici con “kamikaze”: termine preso in
prestito dai fatti avvenuti alla fine della seconda guerra mondiale in Asia 9 , quando infatti gli
americani, nell’autunno del 1944, - in un momento strategicamente decisivo per la conclusione del
conflitto- allestirono una poderosa forza navale con lo scopo di strappare le Isole Filippine al
dominio giapponese. Senza quest’ importante baluardo strategico il Giappone sarebbe stato ben
presto in grave pericolo. Alla luce di ciò, le autorità militari giapponesi costituirono un reparto
speciale: il corpo dei kamikaze. Era previsto che ogni membro di quest’unità di combattimento
avrebbe sacrificato la propria vita, nel corso di una missione aerea d’attacco, contro una portaerei
nemica con l’obiettivo di privare le navi americane della protezione aerea, aumentando, in tal
modo, le probabilità di vittoria giapponese nello scontro finale. Si riprese allora il ricordo di un
fatto avvenuto sei secoli prima: i Mongoli avevano tentato di invadere il Giappone ma una
tempesta aveva disperso la loro flotta e il Giappone fu salvo. I Giapponesi del tempo interpretarono
il fatto come un intervento divino e la tempesta fu denominata Kamikaze (vento degli dei)
10
. Nel
9 Ferretti V., 1996
10 Nello shintoismo infatti, si prevede l'adorazione dei kami , un termine che si può tradurre come divinità ,
19
ricordo di queste antiche vicende il nome fu rinnovato. Il fenomeno durò però solo qualche mese e
terminò con la fine della guerra 11 . Però occorre precisare che il fenomeno del pilota-suicida non è
autenticamente nipponico. L’idea di far precipitare veicoli, carichi d’esplosivo, sulle navi da guerra
nemiche era già stata ventilata in Italia durante il ventennio fascista (1922/1943). In piena crisi
abissina , l’Inghilterra aveva inviato nel Mediterraneo una parte della Home Fleet allo scopo di far
indietreggiare la marina italiana, che riconoscendo la propria inferiorità allestì un corpo speciale di
volontari piloti della Regia Aeronautica, col compito di andarsi a schiantare con i propri aeroplani,
contro la fiancate dagli incrociatori inglesi.
Il termine Kamikaze è del tutto improprio per indicare quindi il fenomeno attuale dei combattenti
suicidi islamici sia perchè si riferisce a un contesto culturale del tutto diverso sia perchè si tratta di
fatti molto diversi: i giapponesi agivano in un contesto di guerra "regolare" e dichiarata mentre i
combattenti islamici colpiscono civili in un contesto che definiamo generalmente "terrorismo" 12
spiriti naturali o semplicemente presenze spirituali. Alcuni kami sono locali e possono essere considerati
come gli spiriti guardiani di un luogo particolare, ma altri possono rappresentare uno specifico oggetto o un
evento naturale, come per esempio Amaterasu , la dea del sole. La parola Shinto venne creata unendo i due
kanji : shin che significa "dio" (il carattere può essere anche letto come "kami" in giapponese) e tō che
significa Tao ("via" o "percorso" in senso filosofico ). Quindi, Shinto significa "la via degli dèi". Poco a
poco dall’adorazione dei Kami degli imperatori deceduti si passò all’adorazione dello stesso
Imperatore, considerato Kami nella sua vita terrena. Minacciato dall’espansione dell’Occidente, il
Giappone si sentì costretto a rinforzare la propria identità nazionale, mentre l’Imperatore veniva
relegato in secondo piano dai famosi Shogun, che detenevano il potere. Nel 1867 l’Imperatore Meyi,
con un colpo di stato, si assicurò il controllo del paese e rinnovò politica e religione. Lo Shinto
divenne religione di Stato. Lo Shinto costituì fondamento ideologico per i piloti suicidi: Kamikaze
“vento divino“. Ogni soldato che moriva in guerra diveniva Kami ed onorato nei templi. Dopo la
sconfitta del Giappone , nell’agosto del 1945, l’ Imperatore negò la natura divina del sovrano e lo
Shinto fu soppresso come religione di Stato, ma lo Shinto popolare resistette ed acquistò proseliti.
Il culto si svolge nelle case e nei templi dei quali ancora ventimila esistenti. Sono quattro gli
elementi fondamentali del culto: la purificazione che serve per eliminare la presenza del male e
dell’ingiustizia. L’impurità è associata alla malattia ed alla morte. Ogni cerimonia religiosa inizia
con la purificazione. Riti semplici come sciacquarsi la bocca e versare un po’ d’acqua sulle dita. Il
sacrificio; si corre il rischio di perdere il contatto con i Kami e di incorrere in incidenti e
disgrazie se non si fanno offerte di denaro, cibo e bevande. Preghiera che si apre di solito con un
inno di lode al Kami e di ringraziamenti.Il pasto sacro che è la conclusione della cerimonia
chiamata naorai, assieme ai kami. I presenti ricevono un assaggio di riso, servito dai sacerdoti. Nella
maggior parte delle case si trova un piccolo altare, kamidana, su cui sono disposti oggetti
simbolici: un amuleto per i kami, uno specchietto, una candela ed un vaso con ramoscelli dell’albero
di sakaki. Il rito inizia sempre con il lavacro delle mani ed il risciacquo della bocca. Indi si
deposita davanti all’altare un’offerta di un po’ di riso ed una scodella d’acqua. Si sta in piedi o
seduti su un tappetino e si china la testa verso l’altare in segno di deferenza. Dopo breve
preghiera si piega altre due volte la testa, si battono due volte le mani, tenendole sollevate e si
termina con un inchino. Infine si portano in tavola le offerte commestibili e si consumano. Sin dal
tempo in cui il Giappone era una società rurale si è praticato il culto delle anime degli antenati,
culto che, ancora oggi, è molto osservato con imparabile devozione. Tratto da Cuccioli M., 1948
11 Brancati A.., 1989
12 Secondo una definizione generale, si tratta di una forma di violenza politica esercitata da gruppi
internazionali o agenti clandestini non statali, che presenta cinque caratteristiche fondamentali: è
premeditata e il suo fina è quello di creare un clima di esasperata paura e terrore; è diretta ad un pubblico
più vasto di quello colpito direttamente; si manifesta con attacchi apparentemente casuali ma dall’alto
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ma che potremmo anche dire “guerra non convenzionale”. Si tratta più precisamente di Martiri , di
“shahīd”, termine coranico che significa “testimone”, senso comunque della parola greca martys .
In arabo il termine deriva dalla medesima radice trilittera della parola shahadah, che indica,
particolarmente, la professione di fede musulmana. Dunque, il martire (shahīd) è colui che
“testimonia” la fede(shahâdah). Nel Corano, la radice verbale shhd appare numerosissime volte, in
primo luogo,appunto, come attestazione del dogma religioso fondamentale. Il martirio non può
essere spiegato in termini di intercessione o mediazione, perché questo significherebbe dire che i
martiri cercano la morte solo per poter intercedere per i peccatori nel Giorno del Giudizio; l’Islam
rigetta il concetto di intercessione o mediazione senza che vi sia la personale responsabilità di
ognuno per la propria salvezza. Uno shahīd è dunque una persona che vede e testimonia la verità
ed è pronta a dare la sua stessa vita per essa. In questo modo, sacrificando se stesso per la causa
della verità e della giustizia, egli diviene un modello , un paradigma ed un esempio per gli altri, e
degno di essere seguito. In questo processo, la parola chiave è VERITA’ , GIUSTIZIA, il suo
riconoscimento, la sua dichiarazione esprime la lotta, anche pacifica, anche interiore e spirituale,
affinché comunque quel messaggio possa prevalere. Nell’Islam l’uomo ha bisogno di essere
“guidato alla verità” e dunque al giusto comportamento sempre conforme alla legge di Allah ; i
profeti che portano il messaggio di Dio , diventano essi stessi modelli, testimoni e "shahīd" poiché
incarnano quel messaggio. Mohammad e tutti gli altri profeti, dunque, hanno guidato l’umanità
alla verità , e sono stati i modelli del vivere secondo i dettami di Dio. I loro discepoli furono
anch’essi modelli e sono modelli tutti coloro che combattono perché la verità, la giustizia e la
volontà di Dio trionfino. Nell’ Islam, ogni individuo, uomo o donna, è responsabile delle sue
azioni. Niente e nessuno può intercedere tra il peccatore e Dio. L’Islam rigetta l’incarnazione in
un uomo dell’essenza divina, - quindi non può accettare il dogma paradosso centrale che fonda la
diversità del Cristianesimo - ma ammette pienamente la possibilità per un uomo di diventare
l’esempio vivente del codice di vita di Dio. Così lo sciismo 13 fonda il modello vero del martire
significato simbolico, spesso contro civili; gli atti di violenza commessi sono visti dalle società che li
subiscono, come fuori dalla norma, ovvero come un momento di rottura delle norme sociali; lo scopo è
quello di influenzare il comportamento politico e sociale. Il terrorismo (secondo la definizione di W.
Laqueur in ‘Il nuovo terrorismo,fanatismo e armi di distruzione di massa ’) si differenzia dal “terrore di
stato”, poiché quest’ultimo è “lo strumento di emergenza cui un governo ricorre per mantenersi al potere”,
il primo è “lo strumento cui ricorrono determinati gruppi per rovesciare un governo accusato di reggersi per
mezzo del terrore”.
13Con il termine Sciismo si indica la principale branca minoritaria dell' Islam .I musulmani sciiti devono il
loro nome all'espressione "shīat Alī" (fazione di Alī), sovente abbreviata semplicemente in "Shīa". Si sono
divisi dai Sunniti in seguito all'assassinio perpetrato dalle forze califfali omayyadi ai danni di al-Husayn
b. Alī , figlio di Alī b. Abī Tālib , avvenuto nel 680 a Karbalā’ , in Iraq , diventata per questo la seconda
città santa sciita dopo Najaf in cui fu sepolto suo padre, primo Imām sciita e quarto califfo
dell'Islam.Gli Sciiti si differenziano dai Sunniti sulla questione della guida ( imamato ) della comunità
islamica (Umma ), dal momento che considerano unica legittimata a regnare la Famiglia del profeta
Muhammad (Ahl al-Bayt ), mentre per i Sunniti qualsiasi fedele di media capacità religiosa, non
21
islamico quando la dinastia degli Omayyadi si impone nel governo con Yazid,e il rischio di uno
snaturamento dell’islam agli occhi degli oppositori diviene perciò sempre più impellente e degno di
soluzione. E’ in Husayn Ibn Alì che si concentrano le speranze di insurrezione perché diretto
discendente della famiglia del Profeta, in quanto nipote da parte della figlia Fatima, moglie di Ali,
il primo imam sciita e quarto califfo ortodosso, a sua volta genero e cugino di Maometto. Nel 680
d.C. alla guida di un esiguo esercito di fedeli, Husayn insorge contro il califfato Yazid ma viene
scoperto e trucidato con tutto il suo seguito a Kerbala. Il suo martirio diviene così l’emblema dello
sciismo duodecimano ( dei dodici imam ), tanto che ogni anno per tutto il mese di muharram si
celebra l’anniversario della sua morte con riti di flagellazioni e con rappresentazioni teatrali che
ricordano le tappe del suo martirio.
La morte di Husayn, chiamato dagli sciiti “ il principe dei martiri”, però, a differenza delle
interpretazioni che a partire dai sunniti a lui contemporanei fino ad oggi hanno voluto rievocare
per animare ogni rivolta attiva contro il potere usurpatore è da intendersi come l’esempio di chi
fece sacrificio totale di sé senza consapevolezza di vittoria. Questa si avrà poi dopo la morte con la
dimostrazione dell’illegittimità di un potere ingiusto. Egli non fu tuttavia un martire semplicemente
perché fu ucciso ingiustamente, o perché fu un giusto caduto sotto le spade degli iniqui. Questo
avrebbe in qualche modo, se non sminuito, almeno circoscritto il carattere universale del suo
sacrificio. Husayn fu un martire perché affrontò volontariamente la morte, perché scelse di
immolarsi per difendere i diritti della casa del Profeta e per rivendicare la giustizia contro il torto.
In tal senso egli è un mazlûm, uno che ha subito ingiustizia, anzi “il mazlûm” . “Mazlûm” è uno
degli attributi che caratterizzano gli imâm [sciiti], ed è appaiato a shahîd e qualche volta ne prende
anche il posto. Ciò corrisponde alla visione teologica e agiografica del tempo degli imâm, una
visione che vede in loro dei martiri, vittime pure (ma‘sûm) perché essi sono puri per definizione. Il
loro ruolo è quello di portare una testimonianza che è espressa dal cosciente sacrificio della vita. Il
loro valore acquista un significato talmente elevato e straordinario da rendere non effettivo persino
il rituale islamico di lavare il corpo del martire (qosl ) poiché è il suo stesso sangue a purificarlo,
sangue divenuto per atto del martirio più vicino al divino. Questi uomini sacrificano la propria vita
necessariamente discendente del Profeta, può guidare a pieno titolo un governo islamico.Col tempo gli
Sciiti si sono differenziati dai Sunniti anche su alcuni istituti giuridici ammettono, ad esempio, la
legittimità del matrimonio a tempo prefissato (muta ) e considerano che dal Corano raccolto all'epoca del
califfo Uthmān b. Affān siano stati espunti alcuni passaggi e una sura intera che indicavano la
successione di ‘Alī a Muhammad), ma il fatto che non si siano differenziati dai Sunniti negli aspetti
dogmatici non consente che si parli per essi di eresia , ma solo di una variante dell'Islam. Lo Sciismo,
minoritario in termini assoluti (10% massimo dei fedeli musulmani di tutto il mondo), è maggioritario in
Iraq, in Libano e in alcune aree del Golfo Persico e del tutto prevalente in Iran , dove lo sciismo fu
forzatamente imposto dalla dinastia dei Safavidi ( 1501 - 1722 ).
22
a testa alta, guardando negli occhi il carnefice perché sono soli davanti alla morte.
Totalmente diversa dunque questa versione di “martire-testimone di fede” da quella raccontata e
documentata dai mass-media occidentali e islamici negli ultimi decenni sotto il titolo di “nuovi
martiri”.
Shahīd nel Corano
Come per il concetto di jihad, anche per il concetto di shahīd riporto i passi del Corano dove tale
termine compare più volte e illustro successivamente la relativa valenza e specificità.
SURA III, la sura della famiglia di Imran (157-158, 169) 14
“ E sia che siate uccisi sulla via di Dio o siate morti, il perdono di Dio e la Sua misericordia
sono migliori di tutte le ricchezze e, che moriate o siate uccisi, tutti sarete adunati dinanzi a
Dio.”
“E non chiamare morti coloro che son stati uccisi sulla via di Dio, anzi, vivi sono, nutriti di
grazia presso il Signore.”
SURA IV, la sura delle donne (17, 67)
“Ma voi non li uccideste, bensì Dio li uccise, e non eri tu a lanciare frecce, bensì Dio le
lanciava;e questo per provare i credenti con prova buona, poiché Dio è ascoltatore credente.”
“Non è degno di un Profeta il possedere prigionieri prima di aver duramente colpito sulla
terra i nemici di Dio. Voi volete i beni del mondo, ma Dio vuole per voi quelli dell’altro, e Dio
è potente e sapiente.”
SURA IX, la sura della conversione (41, 111)
“Lanciatevi dunque in battaglia, armati con armi leggere, armati con armi
pesanti!Combattete con i vostri beni e con le vostre persone sulla via di Dio!Questo è il meglio
14 Bausani A., (1998), 2000
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per voi, se voi lo sapeste!”
“In verità Iddio ha comprato ai credenti le loro persone e i loro bini pagandoli coi giardini del
Paradiso: essi combattono sulla via di Dio, uccidono e sono uccisi. Dio l’ha promesso, con
promessa solenne e obbligatoria, nella Torah e nell’Evangelo e nel Corano. Or chi v’ha più di
Dio fedele ai patti? Rallegratevi dunque del contratto di vendita che avete concluso. Questo è
il Successo supremo.”
SURA XLVII, la sura del Muhammad (35)
“Non siate deboli! Non offrite pace al nemico finchè avete il sopravvento! Dio è con voi, e non
vi frusterà nelle vostre opere!”
I versetti 157/158 e 169 della Sura della famiglia di Imran sono i primi che trattano del compito
dello shahīd e della sua ricompensa nel Giardino di Allah. Non conta dunque aver provocato la
morte o l’essere stati uccisi, se ciò è avvenuto in nome della testimonianza dell’unicità di Allah.
La Sura della Conversione con i versetti 41 e 111 si presenta agli occhi del fedele un chiaro appello
alla legittima battaglia contro i non credenti per il trionfo della verità di Allah. Si può notare come
nel Corano ci sia un crescendo nell’invito al jihad e a divenire in vita shahīd per il proprio bene e
per il bene altrui.
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SHAHĀDA , dalla parte dei protagonisti degli attentati
Di notevole aiuto, a mio avviso,per il tentativo di comprender l’ideologia del martirio e del Jihad
risulta il punto di vista della gente comune, del popolo, delle vittime e dei protagonisti degli
attentati.
A tal fine riporto alcuni brani dell’intervista a Umm Nidal, madre dello shahīd Muhammad Farhat,
pubblicata il 5 giugno del 2002 dal quotidiano londinese in lingua araba Al.Sharq Al-Awsat:
D: "Lei ha avuto un ruolo nell’innestare questo spirito in Muhammad?" Umm Nidal: "Allah sia
lodato, io sono una mussulmana e credo nella Jihad. La Guerra Santa è uno degli elementi della
fede ed è questa che mi ha incoraggiato a sacrificare Muhammad nella Jihad per amore di
Allah. Mio figlio non è stato distrutto, non è morto; sta vivendo una vita più felice della mia. Se i
miei pensieri fossero stati limitati a questo mondo, non avrei sacrificato Muhammad". "Io
sono una madre compassionevole verso i miei bambini ed essi lo sono nei miei confronti e si
prendono cura di me. Poiché amo mio figlio, l'ho incoraggiato a morire come martire per amore
di Allah... La Jihad è un obbligo religioso che incombe su di noi e noi dobbiamo eseguirlo. Io ho
sacrificato Muhammad come parte del mio obbligo".
"Questa è una cosa facile. Non c'è
disaccordo [tra gli studiosi] su questi argomenti. La felicità in questo mondo è una felicità
incompleta; la felicità eterna è la vita nel mondo a venire, attraverso il martirio. Allah sia
lodato, mio figlio ha ottenuto questa felicità". D: " ' Imad ' Aql ha vissuto con voi ed è stato
ucciso nella vostra casa. La sua personalità ha influito su Muhammad?" 15
Umm Nidal: "
Muhammad aveva sette anni quando il martire 'Imad 'Aql viveva a casa con noi. Muhammad si
è unito alle [Izz Al-Din] Al-Qassam Brigades all'età di sette anni. Malgrado la sua giovane età,
era [un] assistente di 'Imad 'Aql, il comandante di Al-Qassam nella Striscia di Gaza. Mentre i
suoi fratelli erano assenti, lui guardava la strada e prendeva messaggi da 'Aql per i mujahideen.
Il martire Muhammad era l'allievo di Imad. Muhammad ascoltava 'Imad e lo osservava
pianificare le operazioni ".” 'Imad ha vissuto con noi per 14 mesi ed ha avuto una stanza nella
nostra casa dalla quale pianificava le operazioni. I mujahideen venivano da lui e pianificavano e
delineavano tutto, e il piccolo Muhammad era con loro, a pensare e pianificare. Questa è stata
l’origine della passione di Muhammad per il martirio". "Questa è stata l'atmosfera in cui la
passione per il martirio si è sviluppata nell'animo di Muhammad. Come madre, naturalmente, io
ho incoraggiato la passione per la Jihad nell'animo di Muhammad e in quello di tutti i miei figli,
15 Durante la prima Intifada, Umm Nidal aveva nascosto per più di un anno nella casa di famiglia 'Imad
'Aql, il comandante dell'ala militare di Hamas "Izz Al-Din Al-Qassam Brigades".
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tutti appartenenti alle Al-Qassam Brigades. Mio figlio più grande, Nidal (31 anni), è ricercato
ora dagli israeliani. Il mio secondo figlio si è preparato per un'operazione di martirio, ma è stato
scoperto, arrestato e condannato a 11 anni di prigione. Ho un altro figlio, [Mu'min Farhat], che
è la scorta dello Sceicco Ahmd Yassin".
"L'atmosfera a cui Muhammad era esposto era piena
di fede e di passione per il martirio. Io sostengo che la fede di un uomo non raggiunge la
perfezione se non arriva al sacrificio di se stessi...".
Q: "Come l’ha salutata Muhammad, prima di compiere l'operazione?”. Umm Nidal: "
Muhammad era desideroso di compiere qualsiasi operazione di martirio... Mi ha giurato che
l'unica ragione per cui amava la vita era la Jihad. Mi diceva che se il suo turno per la Jihad
non fosse venuto, avrebbe lasciato l’ala militare del movimento, avrebbe preso la sua arma e
sarebbe andato al campo di battaglia a combattere per conto suo".
"Ci ha provato molte volte.
Usciva sulla strada di Al-Muntar, prendendo la sua pistola e le sue bombe, ma l’opportunità non
si presentava. Tornava con il sangue bollente perché non era riuscito a compiere un'operazione.
Agitava la sua arma e mi diceva: 'Mamma, questa è la mia sposa'. Amava così tanto la sua
pistola". " Mi informava, 'sto andando ora [a un attacco] . Non mi posso controllare’. Io gli
rispondevo: ‘Avrai ancora una grande opportunità. Sii paziente, pianifica bene, in modo da non
sacrificarti invano. Agisci con la mente, non con le emozioni...' "."Il giorno dell'operazione, è
venuto a informarmi: ' Adesso, madre, parto per la mia operazione'. Si è preparato per
l'operazione con due giorni di anticipo, quando è stato filmato il video. Mi ha chiesto di essere
fotografata con lui, e durante la ripresa brandiva la sua pistola. Ho personalmente chiesto di
fare il film in modo da poterlo ricordare"."S’è preparato per compiere l'operazione e, quando è
arrivato all'area, ha passato lì la notte con i suoi amici. Ero in contatto con lui e gli ho chiesto
com’era il suo morale. Mi ha detto che era molto felice. Infatti, ho visto la sua faccia più felice
che mai”.
"Si è preparato per la sua operazione con freddezza di nervi, completamente calmo e
fiducioso, convinto che l'operazione avrebbe avuto successo". "Ma mi sono preoccupata e ho
temuto molto che l'operazione non sarebbe riuscita e che sarebbe stato arrestato. Ho pregato per
lui quando ha lasciato la casa e ho chiesto ad Allah di far riuscire la sua operazione e di dargli
il martirio. Quando è entrato nell’insediamento, i suoi fratelli nell'ala militare [di Hamas] mi
hanno informato che era riuscito a infiltrarsi. Allora ho cominciato a pregare Allah per lui.
"Ho pregato dal profondo del cuore che Allah desse successo alla sua operazione. Ho chiesto ad
Allah di darmi 10 [israeliani] per Muhammad; Allah ha esaudito la mia richiesta e Muhammad
ha realizzato il suo sogno, uccidendo 10 coloni e soldati israeliani. Il nostro Dio l'ha onorato
ancora di più, visto che ci sono stati molti israeliani feriti". "Quando l'operazione è finita, i
media hanno trasmesso la notizia. Poi, il fratello di Muhammad è venuto da me e mi ha
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informata del suo martirio. Ho cominciato a piangere, ‘Allah è il più grande' e ho pregato e
ringraziato Allah per il successo dell'operazione. Ho iniziato a emettere gridi di gioia e abbiamo
dichiarato che eravamo felici. I giovani hanno cominciato a sparare in aria per la gioia del
successo dell'operazione, come avevamo sperato per lui”. "Dopo l’operazione da martire, il mio
cuore era sereno su Muhammad. Ho incoraggiato tutti i miei figli a morire da martiri, e lo
desidero persino per me stessa. Dopo tutto questo, mi sono preparata a ricevere il corpo di mio
figlio, il puro shahīd, per vederlo l'ultima volta e ricevere gli ammiratori che [sono venuti] da
noi in gran numero e hanno partecipato alla nostra gioia per il martirio di Muhammad...
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Martirio cristiano e martirio islamico a confronto
Il termine martire cioè “testimone” con valore esplicitamente giuridico tratto dal greco martys è
nato in ambito cristiano . È stato usato per indicare i fedeli che davanti ai tribunali pagani
testimoniavano la fede in contrapposizione ai lapsi 16 . Per un cristiano quindi, il martirio è una
eventualità da considerare all'interno della propria fede, ma non un pilastro della stessa, e significa
portare testimonianza non violenta tramite la propria vita. La Prima lettera di Giovanni dice infatti
che "Dio ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli".
Nella Chiesa primitiva si viveva con la consapevolezza che l’essere cristiano portava con sé la
possibilità di partecipare in maniera fisica alla passione di Cristo. Di fatto in numerosi casi il
battesimo di acqua si consumava anche attraverso il battesimo di sangue, e a volte questo veniva a
sostituire quello dell’acqua nei casi dei martiri ancora catecumeni (coloro che si preparavano al
battesimo). Per i primi cristiani infatti, dare la propria vita per Cristo era l'unico modo possibile
per contraccambiare il dono di Cristo che aveva dato la propria vita per loro.
Così spiega Paolo Ricca, rappresentante della Chiesa Valdese Riformata, nella sua relazione in
occasione del convegno presso l’Università Milano Bicocca il 13 novembre 2002, intitolato “Il
martirio nell’esperienza religiosa di ebrei, cristiani e musulmani”:
“Per il Cristianesimo, il martire, testimone di Cristo, dà la vita per Cristo come prova suprema di
condivisione del suo destino e Cristo vive in questa morte: attraverso il martirio, quindi, avviene
la massima identificazione del credente con Cristo.Il martirio apre le porte celesti e il martire
realizza la propria auto-salvezza.”
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che «il martirio è la testimonianza suprema resa alla
verità della fede; designa una testimonianza che va fino alla morte». Questa definizione riprende
quella di papa Benedetto XIV, considerata l’espressione più precisa della dottrina cristiana sul
martirio: «Il martirio è la morte volontariamente accettata per la fede cristiana o per l’esercizio di
una delle virtù che hanno a che vedere con la fede».
Il Vaticano II descrive così gli elementi fondamentali e costitutivi del martirio cristiano:
16 I lapsi letteralmente i "scivolati",sono coloro che con questo termine nel e rappresentavano i che
sotto la minaccia delle compirono atto di adorazione verso gli dei pagani. Nonostante anche sia morto da
“martire”, il primo martire del Cristianesimo è considerato , detto appunto il Protomartire, in quanto è
stato martirizzato prima della morte di . , per questo è l'unico martire ad avere la passio narrata in un libro
canonico, gli III IV secolo cristiani persecuzioni Giovanni Battista Santo Stefano San Giovanni Battista
Cristo Santo Stefano Atti degli apostoli
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«Il martirio, col quale il discepolo è reso simile al Maestro che liberamente accetta la morte per la
salute del mondo, e a Lui si conforma nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa dono
insigne e suprema prova di carità» (Lumen Gentium, 42).
Per questo la Chiesa ha fatto memoria dei “martiri” cioè dei suoi testimoni fin dai primissimi
momenti della sua storia come riconoscimento della Presenza continua di Cristo nella vicenda
umana. La canonizzazione dei martiri non è quindi innalzare monumenti a vecchi ed onorevoli eroi,
ma è la testimonianza del voler essere riconosciuto cristiano passivamente.
Sant’Agostino (Enarrationes in Ps. 34) dice che non è la pena della morte subita, ma la causa di
essa a rendere la persona del cristiano “martire”: se fossero i tormenti a far diventare martiri, tutti i
lavori forzati, le miniere, le prigioni, sarebbero piene di martiri e tutti coloro che sono vittime della
spada sarebbero martiri. Il martire cristiano muore per testimoniare i valori rappresentati dal
Cristo e dalla sua “nuova legge”. Nella tradizione della Chiesa gli elementi, sempre simultanei, del
martirio sono due: la testimonianza pubblica in favore di Cristo e la morte volontariamente
accettata per confermarla. L’oggetto della testimonianza non è una causa qualsiasi, ma solo quella
subita per testimoniare quanto è detto nel Credo.
Gli elementi giuridici del martirio atti al riconoscimento o canonizzazione di un martire sono stati
così identificati. Bisogna anzi tutto considerare il rapporto persecutore e martire (elementi
personali) e il momento della morte (elemento materiale). E’ necessario verificare l’accettazione
volontaria, ma non cercata apposta, della morte, e la sopportazione perseverante da parte del
martire della persecuzione e della violenza (elemento morale).
Restano ancora da verificare l’odio alla fede cristiana nel persecutore e l’amore e fedeltà a Cristo
da parte del martire (elementi formali o le cause). Per cui i criteri richiesti dalla Chiesa per le
canonizzazioni dei martiri sono molto precisi: - che siano stati uccisi in odio alla fede; - che
abbiano accettato volontariamente la morte per amore di Dio, di Cristo, della fede cristiana o delle
virtù cristiane confessate (per esempio: la verginità);
Ma non bisogna dimenticare che i primi martiri cristiani non potevano fare altro che testimoniare il
proprio credo in modo non violento, in quanto vivevano sotto l’egida dell’impero romano, dove
erano sottoposti a controlli precisi come del resto tutti i gruppi, le comunità inserite nella
vastissima pluralità etnica, giuridica religiosa dell’impero romano. La situazione cambia quando il
cristianesimo con l’editto di Teodosio I nel 382 d.C diviene la religione ufficiale dell’Impero
romano, acquistando forza e potere tali da aver la porta spalancata per la propria libera espansione
29
e diffusione. E cominciano le prime distruzioni dei luoghi di culto pagani. 17
Il momento delle Crociate, guerre armate cruente condotte dagli eserciti cristiani per combattere
gli infedeli, i popoli o le minoranze con un credo diverso dal proprio è molto successivo. 18 Ma la
Crociata rappresenta la ‘guerra santa’, quindi, l’offensiva condotta in nome di Dio e per la sua
gloria: il corrispettivo cristiano del Jihad islamico. 19 I nemici principali sono i musulmani (contro
di loro furono indette ben sette crociate), ma non sono i soli. Vi furono infatti vere e proprie
“crociate” contro pagani e contro altri cristiani eretici : come nel 1208 la crociata degli Albigesi,
per estirpare l’eresia catara. Tra il XII e il XIII secolo, la colonizzazione tedesca del Baltico
orientale che assunse il carattere proprio di crociata nel 1226.
Il martire cristiano in questa seconda fase dunque, assume una valenza simile al martire islamico.
Entrambi sono chiamati ad impugnare le armi per difendere la propria fede e tale atto, che
inevitabilmente li conduce a sacrificare la vita stessa, li avvicina a Dio, rendendoli degni di onore e
devozione.
17 Sul tema cristianesimo ed impero romano impossibile qui affrontare l’immensa problematica
storiografica . Segnalo comunque due testi in qualche modo riassuntivi,sia pure in modo riassuntivo. .Sordi
M ,2005 (l’autrice è nota studiosa di ambito cattolico) e Chuvin P., 2005 che si occupa degli effetti
immediatamente devastanti dell’insediamento al potere del Cristianesimo. Rispetto alla stessa
rivoluzionaria professione di pace delle scritture cristiane.
18 La prima crociata è quella attribuita a papa Urbano II nel 1091
19 Senza osare entrare nella problematica segnalo il testo di Maalouf , 1999
30
I “nuovi-martiri” : giovani, donne, bambini tre generazioni votate al martirio
La rivoluzione islamica dell’Iran, sia nella lotta contro il regime dello shâh che nella lunga guerra
contro l’Iraq (1980/1988), ha fatto appello al martirio per mobilitare in particolare la gioventù
iraniana. Questo fatto merita una riflessione. Infatti pur non rappresentando uno dei fondamenti
religiosi del proprio credo, il martirio è stato invocato negli ultimi due decenni dai sunniti, algerini,
palestinesi, egiziani, afghani o della Penisola Arabica, sia nella lotta contro i regimi politici sia
contro il nemico americano o francese. Al contrario il martirio della tradizione sciita, che era come
ho già illustrato la sorte di pochi eletti santi e della loro cerchia (gli imam sciiti e i loro
‘compagni’).
Il martirio modernizzato deve presentarsi come un obiettivo concreto di lotta contro le potenze del
male. Con la modernizzazione delle società musulmane, a costituirsi come punta di lancia
“martirista” non è più una piccola élite, ma una parte grande dei giovani che presentano taluni tratti
particolari. 20 Essenziale nella motivazione di questi giovani candidati alla morte sacra è il senso
della impossibilità di vivere in modo degno in questo mondo dominato dalle potenze del male. Si
tratta di giovani, appartenenti alla classe media, istruiti e con un buon lavoro, il cui reclutamento
avviene secondo quattro criteri:
• La pratica religiosa,
• L’autorizzazione dei genitori (non si accettano figli unici),
• La capacità di compiere l’attentato,
• La probabilità che il suo martirio inciti altri giovani al martirio
Traiamo da alcune informazioni i seguenti dati
Durante la settimana che precede l'attentato due assistenti vivono con il candidato, la cui attenzione
è concentrata sul Paradiso, sul trovarsi alla presenza di Allah, sull'incontrare il profeta Muhammad,
sulle huri e sulla lotta contro l'occupazione della Palestina, che è «lascito islamico» per tutte le
generazioni. Negli ultimi giorni, il candidato compie «gli esercizi spirituali», con lunghi digiuni,
lettura di alcune sure del Corano, legate al tema del martirio e al Jihad, veglie di preghiera
notturne, ascolto di lunghi sermoni. Nell'ultimo giorno, il candidato paga i suoi debiti, redige il suo
testamento spirituale su carta, su audiocassetta e su videocassetta, si fa fotografare con un'arma e il
20 Kepel (1999), 2001
31
Corano nelle mani, compie le abluzioni rituali, indossa abiti puliti, visita una moschea, recita
l'antica preghiera delle armate musulmane prima della battaglia, mette il Corano nella sua tasca
destra e indossa la cintura esplosiva. Il suo superiore lo saluta con le parole: «Allah sia con te,
Allah ti conceda il successo perché tu possa conseguire il Paradiso». II candidato risponde: «Se
Allah vuole, ci vedremo in Paradiso». Poi parte. Dopo alcune ore, preme il detonatore gridando
Allahu akbar («Allah è grande - Ogni lode sia per lui»).Dopo l'attentato la famiglia organizza per il
«martire» una festa simile a quella del matrimonio in cui si servono i piatti tipici delle nozze.
Talora è la madre che intona il tradizionale grido di gioia del matrimonio. Immediatamente, sui
muri dei Territori appaiono i manifesti che onorano il «martire». Le cassette audio e video da lui
lasciate col suo testamento spirituale circolano nei Territori, incitando altri giovani a seguire il suo
esempio.
21
Uno di questi documenti è il testamento spirituale lasciato da uno dei tanti “martiri di Allah”, il
ragazzo Sa'id Al-Hotari, prima di compiere il suo attentato suicida a Tel-Aviv 22 :
" Non esiste al mondo nulla di più grande del martirio per amore di Allah, in terra di
Palestina. Urla di gioia, madre mia, distribuite i confetti, padre mio e fratello mio, perché
vostro figlio è prossimo alle nozze in paradiso con una donna dagli occhi castani...".
Escono da una preparazione di questo tipo i martiri contemporanei dell’Islam.
Ed ecco l’elenco
Di seguito propongo un elenco di tutti i principali attentati ad opera dei nuovi martiri, in ordine
cronologico, dal primo shahīd-killer ai giorni nostri. 23
- 11 settembre 1981: un giovane fa esplodere due bombe a mano che porta sulla sua persona vicino
all’ hojatoleslam Sayed Asadollah Madani, turcofono e sannita, nella moschea principale di
Tabriz, nell’Azerbaigian, nel nord della Persia. Il giovane uccide sei persone, oltre a sé stesso e ne
ferisce altre trentotto.
- 26 febbraio 1993 : prima strage al World Trade Center di New York. Una bomba esplode nel
parcheggio sotterraneo provocando 6 morti e oltre 1000 feriti. Per l’attentato è stato condannato lo
“sceicco cieco” Omar Abdel Rahman, egiziano; il suo gruppo si legherà poi a Bin Laden.
21 Choueiri M Y., 1993
22 Da “Il fanatismo religioso dei martiri di Allah”, articolo comparso su www.nogod.it
23 Notizie rintracciate nella banca dati del sito del quotidiano La Repubblica
32
- 11 settembre 2001 : a New York in Boing della American Airlines partito da Boston e diretto a
Los Angeles con 81 passeggeri a bordo si schianta contro una delle Torri Gemelle. Dopo diciotto
minuti, un altro Boing, partito da Washington e diretto sempre a Los Angeles con 58 passeggeri a
bordo, investe la seconda Torre. Un’ ora più tardi , un terzo aereo si abbatte sul Pentagono, mentre
il volo 93 della United Airlines partito da Newark e diretto a San Francisco, precipita in un campo
della Pennsylvania, vicino a Pittsburg. Nel complesso, le vittime sono state 3021, centinaia i feriti.
E’ il più grave attentato suicida della storia, poi rivendicato da Al Qaeda.
- 8 maggio 2002 : a Karachi ( Pakistan ) un attentatore suicida si scaglia con un’automobile
imbottita di esplosivo contro un autobus della marina militare davanti all’hotel Sheraton, nel centro
della città. I morti sono una quindicina.
- 19 agosto 2003 : un camion bomba viene lanciato contro l’hotel Canal, sede del quartier generale
dell’Onu. Nell’esplosione muoiono 22 persone tre le quali anche l’inviato speciale delle Nazioni
Unite in Iraq, il brasiliano Sergio Vieira de Mello.
- 7 luglio 2005 : quattro bombe vengono fatte saltare a Londra, tre nella metropolitana e una in
autobus di superficie. I morti sono 56, tra i quali una ragazza italiana, Benedetta Ciaccia.
- 23 luglio 2005 : a Sharm el Sheik, località turistica del Mar Rosso, quattro bombe fatte esplodere
da suicidi islamici uccidono oltre 90 persone, tra le quali 6 italiani.
- 1 ottobre 2005 : Attentato a Bali (Indonesia), 23 morti e 150 feriti.
- 9 novembre 2005 : ad Amman (Giordania) tre attentati suicidi in tre alberghi frequentati da turisti
provocano 60 morti e oltre 90 feriti. Il 10 novembre al Qaida rivendica la paternità degli attentati.
- 2 gennaio 2006 : in Iraq, a Baluba e a Bagdhad muoiono 5 persone a seguito di diversi attentati
suicidi
- 4 gennaio 2006 : in Iraq un attentato suicida durante un funerale sciita a Baluba, muoiono 30
persone.
- 5 gennaio 2006 : in Afghanistan dieci vittime per un attentato suicida nella regione meridionale
dell' Uruguzan . In Iraq : due attentati a Kerbala e Ramadi provocano 112 morti. Uccisi 5 soldati
statunitensi a Baghdad e 2 a Najaf .
- 4 maggio 2006 : a Baghdad un kamikaze si fa saltare davanti al tribunale, uccidendo 8 persone.
33
La svolta dell’81
E’ con l’11 settembre 1981, dunque tutto cambia nella storia del martirio islamico: per la prima
volta, infatti, l’obiettivo non è militare ma civile e la morte dell’attentatore non è casuale, ma
ricercata. Inoltre per la prima volta, proprio il gesto estremo dall’attentatore permette di
moltiplicare la vittime e tutto avviene con alte motivazioni islamiche che si rifanno alla tradizione
martiriologica sciita, ora ribaltata in una iniziativa terroristica.
Questi ‘neo-martiri’ si possono, grosso modo, distinguere in due tipi. Il primo è quello che lamenta
una gioventù diseredata, esclusa dai benefici della modernità. Tuttavia, l’esclusione, da sola, non
induce al martirio. Sono necessari altri due fattori: in primo luogo l’umiliazione, il diniego della
dignità nella vita quotidiana; in secondo luogo una decostruzione spinta dei ruoli e dei meccanismi
di strutturazione sociale, di protezione e di mutuo aiuto comunitario. Sino a quando i meccanismi
comunitari tradizionali erano operanti e tutelavano i propri membri contro la possibilità di
realizzare il sentimento di affermazione individuale nell’espropriazione tragica di sé, il martirio
come logica della ‘bomba vivente’ era impossibile.
Il “martirio” palestinese
Se guardiamo alla realtà palestinese possiamo osservare la generazione dei padri e dei nonni dei
palestinesi era poco portata a questo tipo di martirio. I giovani palestinesi di oggi avvertono
intensamente il problema di essere un ‘sé’, pur essendo nell’impossibilità di costruirlo
positivamente nell’economia, nella politica, nella cultura. Le vie di costruzione della propria
identità sono sbarrate dalla loro situazione concreta: generalmente essi vivono in località dove i
coloni israeliani hanno accesso quasi illimitato all’acqua e ai beni di consumo (mentre per loro
l’accesso è molto limitato), hanno disponibilità di ricchezze. Vivendo in comunità disintegrate
trovano il senso di salvezza nell’islamismo mortifero. Esso restituisce loro il senso di unità agli
occhi di Allah, una realtà trascendente e onnipotente
Il martirio è in questo caso la reazione a una indegnità subita, a una identità negata, a una
inferiorità simbolica che viene rovesciata attraverso il passaggio alla morte. Esso procede dalla
sacralizzazione della disperazione che viene superata in nome di un ideale religioso interamente
ricostruito in senso che possiamo definire “apocalittico”. Da essere inferiore ai propri occhi e a
quelli degli “avversari immediati”, gli israeliani, il candidato al martirio diviene superiore grazie al
timore che ispira questo tipo di martirio.
34
Il martirio all’occidentale
Un secondo tipo di martirio è mosso da motivazioni differenti. Qui il dramma si svolge nel cuore
stesso dell’Occidente. La schiacciante maggioranza dei musulmani immigrati o stabilitisi in
Occidente si integra e finisce per sposare tranquillamente lo stile di vita della società in cui si
trova. Una minoranza si stacca, preoccupata per la propria identità, distinta da quella della
maggioranza. Questo piccolo gruppo è oppresso dal sentimento di dominio politico e culturale di
una superpotenza arrogante che occupa la Terra Santa dell’islam (insediamento dell’esercito
americano in Arabia Saudita dopo la Guerra del Golfo) o appoggia le potenze egemoniche in lotta
contro i musulmani (l’immagine di Israele in lotta contro i palestinesi). I piloti suicidi che hanno
scagliato gli aerei contro le torri del World Trade Center, fanno parte di questi nuovi “ceti medi”,
se così vogliamo definirli. Si insiste frequentemente sulle reti deterritorializzate che sovrintendono
a questo tipo di attivismo politico-religioso, ma spesso si trascura di interrogarsi sulle forme di
soggettività che stanno alla base di questo tipo di impegno suicida, che esige un grado inaudito di
abnegazione e di accecamento. Nel paese d’origine la propria identità, contaminata da un
modernismo anodino, andava, per così dire, da sé. Una volta fuori di casa, il soggiorno prolungato
in Occidente complica le cose. Nel rapportarsi a un mondo percepito come indifferente o
profondamente ostile, questi individui si trovano a essere occidentalizzati. Prendono coscienza
della loro opposizione a questo Occidente, e si politicizzano in una forma particolare: una volta
occidentalizzati, si auto-proclamano portavoce di questa coscienza musulmana infelice che accusa
l’Occidente di ostilità radicale nei propri confronti.
Più in questa parte del mondo gli individui si sentono frantumati e divisi, più identificano
globalmente la cultura occidentale intesa in senso omnicomprensivo come una unità concertata in
modo diabolico contro l’islam, nonostante l’enorme diversità delle manifestazioni culturali,
politiche e sociali occidentali. A loro volta, i media moderni contribuiscono a questo fenomeno.
Essi esibiscono spesso una “disperazione” del mondo musulmano, dando prova spesso di una
grande incomprensione. Il trattamento così disinvolto da parte dei media occidentali, dovuto spesso
soprattutto a un’incomprensione delle specificità dei musulmani, un razzismo anti-islamico più o
meno strisciante sono fatti che contribuiscono a radicalizzare non solo i gruppuscoli di musulmani
che vivono la modernizzazione occidentale ma anche i moderati che in certo qual modo vedono
l’occidente come un altro da sé comunque partner possibile di scambi.
In coloro che vivono male l’occidentalizzazione scatta un’ossessione che si esprime con l’assillo
della purezza religiosa nella radicalità del rifiuto di questo Occidente demonizzato,
contemporaneamente seduttore e corruttore. Di fatto l’occidentalizzazione distrugge nei suoi
35
fondamenti l’Islam, e ciascun individuo occidentale contribuisce a questa impresa distruttiva.
Questa è la ragione per cui la guerra totale e assoluta contro gli occidentali, nell’indistinzione tra
colpevoli e innocenti diviene un dovere religioso. Per l’esattezza, non c’è più l’innocente; tutti
siamo colpevoli di questa impurità.
Possiamo osservare che all’interno della rete dell’islamismo sovversivo i diversi gruppi operano
come le sette moderne l’«Aun» in Giappone o «tempio solare» in Europa, o ancora, «Koresh» negli
Stati Uniti .
24
E’ stato osservato che in questi gruppi chiusi il Sé si afferma nel rifiuto dell’Altro, percepito come
se fosse all’origine dei mali collettivi della comunità. Il capo carismatico, portatore di una logica di
guerra a oltranza, unifica questa comunità attraverso la morte.
Gruppi di questo tipo producano martiri nel senso estremo
La morte da martire diviene il cemento di questa “comunità mortifera” per la quale la morte di sé
ma anche dell’altro è il solo messaggio di liberazione contro un mondo corrotto. Tenuto conto della
loro soggettività, questi giovani combattenti della fede possono rappresentare il risultato di una
“occidentalizzazione ineguale del mondo”.
Ma dobbiamo renderci conto di tutta la portata di questa affermazione.
La presenza di un’ossessione della purezza e della unità nel gruppo che si accanisce a realizzare
l’unità nella morte trasforma i partecipanti non i portatori di una ragione di vita, e dunque di
civiltà, ma i portatori di fine, di annientamento.
Il mondo che desiderano, o meglio il solo mondo che credono di poter avere, è quello della morte
contro la vita.
Ma il suicidio non è coranico
Per tale motivo essi vengono etichettati con l’espressione “ martiri-suicidi ” che già di per sé suona
come una contraddizione alla luce del significato del martirio nella cultura islamica. Ma ancor di
più appare fuori luogo tale forgiatura se si considera che nel Corano non esiste alcun versetto che
contenga il verbo suicidarsi o togliersi la vita. Non compaiono, infatti, né il termine inti/âr
(suicidio) né munta/ir (suicida).
24 Chomsky N. 2003
36
Un solo passaggio, ad un primo esame, sembra essere strettamente collegato a questo tema. Il
versetto 29 della sura 4, intitolata: “Sura delle donne”, dice: “O voi che credete, non consumate fra
voi i vostri beni vanamente, ma piuttosto vi sia un traffico di comune accordo, e non uccidete voi
stessi; Dio certo sarà con voi clemente”.
Quale è il significato di questo unico versetto? Due esponenti egiziani contemporanei, studiosi del
Corano, vicini ai sentimenti della religiosità popolare, ‘Abd al-Hamîd Kishk e Mohammed Mitwallî
al-Sha-‘râwî, rappresentano, con la loro riflessione, un esempio eloquente di interpretazione del
Corano, la Parola di Dio per i musulmani.
Entrambi provengono da un contesto tradizionale, popolare e rurale che utilizza forme di
linguaggio differenti rispetto all’ambiente urbano. Il loro retroterra culturale si fonda proprio su
questo particolare tipo di espressione religiosa dell’islam, e forse proprio questa è la causa del loro
successo tra vasti strati di popolazione di modesta estrazione sociale ed in larga misura ancora
analfabeta. Questi due personaggi, pur essendo contemporanei e connazionali, provengono
comunque da esperienze diverse e riflettono sfumature diverse dell’interpretazione di questo
versetto.
Nella sua analisi Abd al-Hamîd Kishk affronta solo marginalmente il tema del suicidio. Il
significato che lui attribuisce a quel “non uccidere voi stessi” ha un solo stretto legame con il
divieto di un membro della propria comunità di fede, cioè un altro musulmano, poiché uccidere un
membro della propria comunità vuol dire, in qualche modo, uccidere il corpo al quale uno
appartiene, dunque uccidere sé stesso. Kishk insiste particolarmente sull’inviolabilità della vita di
un musulmano e sulla gravità dell’omicidio: “Uccidere è uno dei sette peccati che sono causa di
eterna perdizione, invece l’inviolabilità della vita del musulmano presso Dio è più grande di quella
del Sacro Tempio” (cioè la Grande Moschea della Mecca ).
Bisogna sottolineare che il suo commento non si discosta eccessivamente dal punto di vista di un
altro famosissimo esegeta del passato Al-Tabarî, il quale visse otto secoli fa.
Per Al-Sha-‘râwî, invece, la questione è più complessa. Tra le prime righe del suo commento usa i
due termini: suicidio e suicida, anche se queste due parole non compaiono nel Corano: “Il suicida
si toglie la vita quando si trova nell’impossibilità di affrontare un a situazione con i propri mezzi.
Il vantaggio della fede, invece, sta nel fatto che quando ti trovi in una situazione difficile e non hai
più risorse per affrontarla, dici: Dio non mi abbandonerà, Lui provvede al mio sostentamento.
Quindi, improvvisamente mi si aprono porte che nemmeno potevo immaginare”. Per questo autore,
il versetto può significare anche il divieto di suicidarsi, proprio in forza della fede. Per dissipare
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ogni dubbio, nella conclusione del suo commento, elenca quattro differenti e possibili significati. Il
primo significato, il più palese, sta nel divieto divino di suicidarsi: un divieto assoluto perché è
insito nel Corano. Il secondo ha il senso di non portare la propria anima alla rovina compiendo
azioni malvagie, un suicidio di tipo “spirituale”. Il terzo significato trova il suo fondamento nel
divieto dell’omicidio, in quanto questa azione comporterebbe l’uccisione del trasgressore, secondo
la legge del taglione compresa nella Sharî’a, dunque una forma di “suicidio indiretto”, se così
possiamo definirlo. Infine, il quarto significato si avvicina all’interpretazione classica di AlTabarî di cui ho già parlato. Le diverse interpretazioni possibili di questo versetto, in realtà,
dimostrano quanto l’argomento sia complesso e spinoso. 25
25 Tratto dal sito www.arabcomint.com
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Le fidanzate di Allah : il ruolo protagonista delle donne nel martirio
Un’ altra categoria sociale è stata ultimamente coinvolta in tali dinamiche: le donne, denominate
anche “le fidanzate di Allah”. 26 Fino a qualche anno fa la partecipazione femminile ad operazioni
di guerra era inconcepibile, in forza anche di un hadīth fondante: “Alla presenza di uomini, il
jihad non è permesso alle donne . Il jihad delle donne è il pellegrinaggio (hajj). Le donne,
inoltre, hanno il compito di portare indietro i feriti e i caduti delle campagne militari nelle
quali combattono gli uomini.” 27
Ultimamente, a testimonianza invece delle enormi proporzioni assunte dal fenomeno dei martirisuicidi, un vasto numero di donne ha offerto la propria vita alla causa islamica.
In particolare il fenomeno comincia in Palestina. Anche se in Palestina la prima donna impegnata
in azioni di sabotaggio non è una suicida ma una dirottatrice Leila Kaleb
Le forze di sicurezza di Israele segnalano oltre venti casi in cui delle donne sono state impiegate in
operazioni di sabotaggio contro obiettivi israeliani.
Le organizzazioni terroristiche sfruttano i vantaggi nell’inviare donne a commettere attentati oltre
la Linea Verde, vantaggi che si riducono essenzialmente alla convinzione che una donna appaia
agli occhi degli uomini incapace di portare morte. Una condizione essenziale all’addestramento è
l’isolamento della ragazza dalla famiglia, la recisione di tutti i suoi legami affettivi. Un altro
aspetto molto interessante riguarda il ruolo delle altre donne: è una donna, dell’età giusta per poter
essere madre della designata, a presentarsi a casa della ragazza, portandola via davanti agli occhi
dei genitori, e offrendole poi sostegno morale e incoraggiamento, conducendola per mano verso la
propria autodistruzione. Altre giovani “amiche”coabiteranno con la futura attentatrice, nel ruolo di
istruttrici, controllandola costantemente. La presenza femminile è infatti percepita dalla ragazza
come “alleata”, rassicurante, capace di mascherare il progetto terroristico con il volto protettivo
della madre, e proprio per questo prescelta per le prime fasi del reclutamento. In generale le donne
prescelte hanno vissuto lutti in famiglia devastanti ad opera di quella frangia di “infedeli” che tanto
il fondamentalismo vuole combattere , lutti che hanno strappato loro mariti o addirittura gli stessi
figli. . A testimonianza di ciò la prima in assoluto, la diciassettenne Hava Baraeva, stata trasformata
in una leggenda, risale al giugno 2000. Un video la ritrae mentre dice: «Sorelle, è giunto il nostro
momento! Dopo che i nemici hanno ucciso quasi tutti i nostri uomini, i nostri fratelli e mariti, solo
a noi rimane il compito di vendicarli. (...) E non ci fermeremo neanche se per questo dovremo
26 Khosrokhavar F. , 2003
27 Kramer M.
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diventare martiri sulla via di Allah. Allah Akhbar», (dio è grande).
Qui di seguito riporto un altro testamento, quello di Hujayra Al ‘Arabi, una delle tante donnebomba, documento che per molto tempo è stato fatto girare tra i siti della resistenza araba, primo
fra tutti Free Arab Voice.
E stato inoltre trasmesso più volte dall’emittente Al Jazeera proprio perché considerato il
manifesto di una generazione votata al martirio in nome di Allah:
A tutti i nostri martiri, passati, presenti e futuri: la vostra luce non potrà mai essere spenta
Dedicata ai miei fratelli e alle mie sorelle nella Resistenza in Iraq e nella Nazione Araba. Io non
voglio morire. Non sono innamorata della morte. Non sono nemmeno 'per metà innamorata della
dolce morte ' , come il poeta inglese. Io voglio vivere. Voglio una casa piena di bambini, e voglio
ancora fare il medico. E' dall'età di sei anni, più o meno, che sogno di fare il medico, di poter
salvare vite. Volevo fare qualcosa di vero che potesse salvare le vite della mia gente. Però , oggi
vedo che ci sono molti modi di salvare le vite, e togliere alcune vite può far parte del processo di
salvare le vite. Ecco il punto in cui mi trovo ora, pronta a togliere delle vite per salvare il mio
popolo.Il nemico dice che le bombe umane sono vigliacche, che vogliamo morire, che lo facciamo
per andare in un paradiso in cui le vergini soddisferanno ogni nostra voglia. Tanto per
cominciare, posso dimostrare che hanno torto per quanto riguarda la questione delle vergini. Io
sono donna, e non mi interessa affatto trovare piacere con altre vergini, no grazie. In realtà si
tratta semplicemente di stupida propaganda, come tante menzogne del nemico. I giovani che
diventano martiri per la nostra causa non lo fanno per conquistarsi vergini nell'aldilà . Né lo
facciamo per odio verso il nemico, anche se quell ' odio è mille volte meritato. Lo facciamo per
amore della patria e per amore del nostro popolo . Il Profeta 'Issa [ Gesù ], la pace sia su di lui,
ha detto che non esiste amore più grande di quello del pastore che è disposto a dare la propria
vita per il suo gregge. Sono d'accordo che si tratta di un grandissimo atto d'amore, e questo è
l'atto d'amore che compie ogni bomba umana. Noi diamo le nostre vite per il nostro popolo, per il
nostro futuro, perché cerchiamo di ribaltare una marea di distruzione che minaccia di spazzare
via non solo la nostra identità e la nostra eredità , ma il nostro stesso futuro. A volte, gli ingegneri
usano una bomba per cercare di cambiare il corso di un fiume. Ecco quello che fa la bomba
umana: usa una bomba per cercare di cambiare il corso di una terribile marea che continua a
spazzare via le nostre case, le nostre famiglie e le nostre speranze in un qualunque futuro. Se
riusciremo ad avere qualche effetto su questa marea, a poco a poco, se riusciremo a rallentarne il
progresso, a costringerla a prendere un'altra strada e infine a fermarla del tutto, allora avremo
avuto successo in un grandissimo atto d'amore. Una sola bomba umana può non essere altro che
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una voce che grida nel deserto, ma molte bombe umane possono cambiare il corso della storia,
spogliarla di cento anni di menzogna e di inganno e restituire alla Palestina la visione di un
futuro. Chi ascolta la propaganda nemica dovrebbe porsi una domanda: cosa ci vuole per
trasformare un normale ragazzo o ragazza in una bomba umana? In una vita diversa, in
circostanze ordinarie, tutti noi avremmo potuto essere ragazzi e ragazze molto normali. Non
dovete confondere la bomba umana con qualunque cosa di diverso da questo: un normale essere
umano, costretto dalle circostanze ad agire in maniera straordinaria. Non è facile diventare una
bomba umana. Quando si può scegliere tra una via più difficile e una più facile, la maggioranza
sceglierà la via più facile. E' spesso più facile per la natura umana trovare scuse per tradire e per
collaborare con il nemico, piuttosto che affrontare la realtà e rendersi conto che l'integrità spesso
richiede il sacrificio ultimo. E' un fatto triste che i sionisti continuino ad avere successo nella
caccia ai dirigenti della nostra resistenza, soltanto perché questi vengono traditi dalla nostra
stessa gente, da persone la cui visione è limitata alla situazione immediata, alla minaccia che
incombe su di loro. Anche se alcuni collaborazionisti sono forse soltanto persone che temono per
la sicurezza delle loro famiglie, o che hanno un bisogno disperato di cibo e di un rifugio, il
collaborazionismo è il più orrido e spregevole delitto contro il nostro popolo. Aiutare il nemico,
per paura o per avidità , vuol dire DIVENTARE il nemico. Inoltre, i collaborazionisti e coloro che
non fanno nulla, che cercano di mantenere un profilo basso per restare al sicuro, devono rendersi
conto che non esiste nessun luogo sicuro finché il nemico trionfa nella nostra terra. Lo dico
ancora: il delitto di barattare la vita di tuo fratello o di tua sorella per la tua illusoria sicurezza è
uno dei più gravi, qualunque ne sia la motivazione. L'uomo o la donna che tradisce un combattente
della libertà per l'oro o per salvare la sua pelle, merita di essere punito con la morte, perché ha
più potere di danneggiare la nostra causa di quanto ne abbia il nostro nemico dichiarato.I
vigliacchi e i collaborazionisti devono imparare che è molto meglio prendere la strada più difficile
e andare incontro alla morte alle nostre condizioni, piuttosto che rifugiarsi nell'ombra, finché il
nemico non ci trascina fuori al massacro. Il risultato in termini fisici è uguale, ma quanto è
diverso il risultato nei suoi effetti sugli altri e sul futuro!Il mio fidanzato era solito citare un
vecchio detto romano: 'Media tutissimus ibis', che vuol dire che la via di mezzo è la migliore. Ci
credeva, ed è vissuto secondo il suo credo. Vedeva il bene in tutti, e voleva credere che, alla fine,
il bene avrebbe COMUNQUE E SEMPRE prevalso sul male. Era disposto ad attendere quel giorno
con pazienza. Incarnava così il vecchio mito del 'fatalismo orientale ' che gli occidentali fingevano
concedesse loro carta bianca per abbattere le culture e le civiltà in tutto il mondo, e per imporre
le loro visioni di gloria sulla stoffa dell'universo. Bene , mio caro Muhammad, hai aspettato con
pazienza mentre il metallo sionista ti entrava negli occhi, nei polmoni e nella gamba. Hai
aspettato con pazienza il tempo che ci voleva perché ti permettessero di passare attraverso il
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check-point fino all'ospedale... un tempo che non è mai arrivato, mentre le ferite marcivano e
infine distrussero le tue carni con la cancrena. La tua morte fu tutt ' altro che pulita. Fu una morte
tristemente tipica di coloro che si lasciano diventare vittime degli oppressori. La pazienza può
essere una virtù, ma la pazienza deve abbinarsi alla determinazione di vincere questa guerra.
Senza quella determinazione, cesseremo di esistere. E' tanto semplice. Possiamo aspettare
pazientemente mentre ci eliminano ad uno ad uno, oppure possiamo andare loro incontro. Io ho
scelto di andare loro incontro. Ecco cosa significa essere una bomba umana. E' l'ultimo ricorso di
chi ha esaurito tutte le altre possibilità .La giustizia è dalla nostra parte. Il diritto è dalla nostra
parte. Perché allora continuiamo a essere vittime?Il fatto è che il mondo non ha ascoltato la voce
della giustizia, né la voce del diritto internazionale. Non ha ascoltato la voce della compassione,
né gli appelli all'umanità . E così siamo arrivati infine alla voce che non si può ignorare: la voce
della Morte Immediata. Le bombe umane prendono di mira sia le vite che le tasche del nemico. Il
nemico ha dimostrato che resterà sordo alla nostra voce, se non sente che la sua vita e i suoi
guadagni sono in pericolo. Io non ho deciso di offrirmi come volontaria per vendicare Muhammad.
Non lo faccio per vendicare qualcuno del nostro popolo che ha sofferto o che è morto per mano
del nemico. Non lo faccio nemmeno per me stessa. Mentre scrivo, vedo davanti a me una lettera
che mi ha scritto mia zia dall'Inghilterra, che mi offre una casa e sostegno finanziario per poter
studiare medicina lì. Al contrario di molti dei miei fratelli e delle mie sorelle palestinesi, la mia
vita non è stata costretta entro le mura di un campo profughi. Ho avuto altre possibilità . In un
certo senso, è proprio perché ho altre possibilità che ritengo che la mia voce sarà più forte quando
scoppierà in mezzo al nemico. Non potranno far finta che io non abbia avuto motivo di vivere. Non
mi hanno presa in trappola personalmente, ma ci hanno presi in trappola come popolo, ed è quello
che alla fine conta.Devo andare in Inghilterra, per inseguire il mio sogno di salvare le vite di
qualcuno del nostro popolo, o devo restare qui e inseguire la realtà di salvare il nostro futuro
come popolo? Essere un medico palestinese vuol dire fare rattoppi, cucire e ricucire gli stracci
della nostra esistenza finché, come tutti gli stracci, si disintegreranno e saranno buttati nella
spazzatura .Il nostro popolo deve arrivare a capire che la vita di QUALUNQUE individuo deve
essere subordinata alla causa della libertà da questa Occupazione. La questione non riguarda il
valore dell'individuo; piuttosto, è il valore del nostro futuro come popolo che deve essere supremo,
che deve andare oltre ogni altra considerazione nei nostri cuori. A cosa serve alla Palestina, se
qualcuno di noi prospera e sopravvive, quando il nostro popolo come complesso cessa di
esistere?A cosa serve l'illusoria libertà di un solo individuo, quando il popolo palestinese vive in
condizioni molto peggiori della schiavitù? Se non sappiamo agire in maniera disinteressata, per la
causa in sé piuttosto che per scopi e ambizioni individuali, la nostra causa fallirà .La bomba
umana fornisce un esempio di quel disinteresse, dimostra in maniera inequivocabile che non si può
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ritenere che nessuna vita valga più del futuro del nostro popolo. La bomba umana agisce per tutti,
non per se stesso.'Utilizzami come un'arma della tua volontà ', dichiara la bomba umana. 'Che si
sacrifichi la mia vita per il futuro di tutto il nostro popolo' .Questa decisamente non è l'azione di
qualcuno che si suicida! Il suicidio è un atto egoistico, l'atto di qualcuno che abbraccia la morte
come soluzione. La bomba umana non ripudia per nulla la vita. La bomba umana abbraccia la
morte come un compagno d'armi, agisce come un'arma per la causa della giustizia e della libertà
dall'Occupazione. Credo nell'Aldilà ? A essere sincera, non so cosa ci sia al di là di questa
esistenza, perché sono solo un essere umano, la cui comprensione è limitata alla vita su questa
terra. Mi piacerebbe credere. Credo in Dio, e credo che 'Inna lillahi wa inna lillahi raji'un', che
da Dio veniamo e a Dio ritorniamo, ma poiché Dio è inconoscibile e insondabile, lo è anche la Sua
Volontà e la realtà oltre questo mondo è al di là del mio orizzonte.Per quel che mi riguarda, ciò
che conta di più è quello che faccio qui e ora. Voglio compiere l'azione giusta per il motivo giusto,
con onore e purezza d'intenti. In questo momento della storia, l'azione migliore è quella intrapresa
dalla bomba umana. Il Santo Corano dice: 'Wa la taHsabanna alladhina qutilu fi Sabilillahi
'amwatan .' 'Non considerare quelli che vengono uccisi sul sentiero di Allah come se fossero morti'
. Per me, questo versetto non parla solo dell'aldilà , ma del fatto che la memoria di una vita
sacrificata sul sentiero della giustizia e della verità non muore mai. Resta come esempio da
seguire, ma ancora di più, si tratta dell'espressione di fede nella nostra causa. Se io e altre bombe
umane siamo disposte a morire in questa maniera orribile per il nostro popolo, questo non
dimostra forse che non si può perdere la speranza per il nostro futuro?Essere uccisi 'fi Sabilillahi',
'sul sentiero di Allah', vuol dire morire per un motivo disinteressato, credo. Ecco perché la bomba
umana, assieme ai nostri altri eroici martiri, è qualcuno di cui si può dire davvero che è stato
ucciso 'fi Sabilillahi', perché lui o lei è stato ucciso mentre inseguiva la giustizia e la libertà
dall'Occupazione. Né si può chiamare suicidio il fatto di lanciarsi come un'arma CONTRO il
nemico. Lo scopo dell'azione della bomba umana non è la propria morte! Lo scopo è di sferrare un
duro colpo al nemico. Se le nostre morti sono necessarie, così sia, ma non siamo noi che
cerchiamo la morte. Che sia molto chiaro. L'atto della bomba umana è l'ultimo atto di protesta
contro lo sterminio del nostro popolo. Se il nostro popolo si farà condurre al massacro senza
protestare, noi cesseremo di esistere. Che il mondo guardi le azioni dei sionisti. Vedranno,
qualunque cosa le loro favole possono raccontare, come le loro azioni parlino della necessità che
hanno di sterminarci, di farci sparire dalla nostra terra. Tutta la loro cultura, la loro religione e il
loro governo si basano su una premessa razzista, che l'ebreo e solo l'ebreo ha diritto a questa
terra. Nonostante la storia, nonostante tutta la realtà che dimostra che la loro premessa è assurda
e che non è sostenuta né dalla logica né dalla ragione, essi non esitano nel realizzare il loro
scopo. Guardate, voi del mondo, perché quelli che non sono ebrei - siano essi arabi, gentili o
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qualunque altra cosa - non sono considerati loro uguali, e la loro morale e la loro religione non li
obbligano a trattarvi come trattano invece gli altri ebrei. Finché gli ebrei non decidono di entrare
a far parte della razza umana, non è possibile trattare con loro da pari. E' scritto nel loro Talmud.
Ma basta pensare a loro. Mi devo preparare per l'ultimo atto di resistenza contro questa
Occupazione, e non voglio andare incontro alla morte con la bruttezza e la brutalità nei miei
pensieri. Penserò invece alla sinfonia del mare che batte contro le rocce... al profumo del timo
selvatico che si alza dalle colline arse dal sole... all'ulivo carico dei frutti che il mio bisnonno
piantò, ma che ora esiste solo nelle nostre memorie... al sorriso di mia madre, che abbraccia un
mondo di speranza velato dalle lacrime...alle rose, le vigne e gli uccelli che ella ricamò sul mio
thob [vestito tradizionale]... all'Albero della Vita e del mihrab, la porta del cielo, ricamati sopra il
mio cuore... alla mistica terra natale che lei creò in rosso, bianco, verde e nero, i colori della
nostra terra, la Palestina. Ci chiamano 'terroristi', ma è assurdo pensare che loro, che detengono
il potere della vita e della morte su un intero popolo ogni giorno, potrebbero essere terrorizzati da
noi. Non abbiamo nulla, se non la nostra determinazione e la nostra disponibilità a compiere
l'ultimo sacrificio. Le nostre bombe consistono in una manciata di chiodi scagliati, assieme alla
nostra carne e alle nostre ossa, dal più primitivo degli esplosivi. Loro possono ridurre un'intera
città in polvere in un solo giorno, e hanno dimostrato di essere disposti a farlo, rendendo migliaia
di persone senza casa. Quando hanno tutta la tecnologia che questo nuovo secolo possiede, chi è il
vero terrorista in Palestina, o in realtà , in tutto il mondo?Eppure è vero che il nemico teme la
Morte in una maniera in cui non la temiamo. In fondo, perché dovremmo avere paura di incontrare
l'Uno che ci ha creati? I cristiani hanno una preghiera bellissima: 'Hatta idha ajtaztu wadi dhilali
al mawt, la akhafu suwan liannaka turafiquni.' Dio è il Compagno che non ci abbandona,
nemmeno nella valle dell'ombra della Morte. Non è la Morte che io temo, ma il silenzio
dell'estinzione. La Morte non estingue la fiamma della nostra esistenza. La corona del Martire,
secondo la tradizione, è l'Immortalità. Non è la mia immortalità che cerco, ma quella della causa
del nostro popolo. Siamo un popolo forte. Siamo un popolo che rimane fermo nella tempesta. Non
basta per prevalere contro la macchina della Morte che è stata messa in moto contro di noi. Il
fatto che siamo sopravvissuti a un secolo di genocidio parla in maniera eloquente della nostra
forza e della nostra fermezza, ma quanto possiamo ancora sopportare?Coloro che ci hanno
derubati, in origine, della nostra terra, muoiono di tranquilla vecchiaia nei loro letti, avendo
generato altre due o tre generazioni di ladri e rapinatori. Questi discendenti si convincono di non
avere alcuna responsabilità per la spoliazione che continua del nostro popolo, mentre essi
invitano altri ladri nella nostra patria, e spingono altri del nostro popolo oltre il ponte, verso
l'esilio. Non vogliono ascoltare la voce della giustizia. Parlano di 'pace' quando hanno
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trasformato questa parola in un'oscenità . Salaam non vuol dire semplicemente pace. Salaam è
pace con giustizia. Quando esiste la vera pace, tutto va bene nel mondo. Quando esiste la vera
pace, la giustizia viene resa e gli uomini non vivono come schiavi, o appena tollerati sotto
un'occupazione oppressiva e straniera. Non parlateci della vostra Pace contraffatta.
Salaam è pace, ma occorre conquistarla ora attraverso il sacrificio. Io vado adesso a conquistare
quella Pace per la Palestina.
Di seguito riporto un articolo comparso il 22 gennaio 2004, in www.Ragionpolitica.it, sito di
discussione e cultura critica, in cui l’autrice Anna Bono cerca di sondare le ragioni culturali che
possono portare giovani donne, madri di famiglia, al martirio. Tutto questo alla luce dell’attentato
suicida di Reem Salah al-Rayashi, ventunenne, di famiglia benestante e laica, prima madre
palestinese a farsi esplodere uccidendo quattro israeliani il 14 gennaio. Propone così un’intervista
al Presidente dei Giovani musulmani d’Italia, Khalid Chaouki e poi illustra come tali omicidi
siano integrati nella logica dell’onore.
“Se una donna è responsabile di un atto così estremo - ha dichiarato Khalid Chaouki, presidente
dei Giovani musulmani d'Italia, associazione affiliata all'Ucoii - deve farci riflettere su ciò che sta
avvenendo da parte degli israeliani (...). È una vergogna per l'umanità che una giovane madre sia
arrivata a tale livello di esasperazione. Non basta condannare". “Secondo una tradizione di
origine tribale recepita o quantomeno tollerata da una parte dell'islam è inammissibile in una
donna, per la vergogna estrema che ciò infligge alla famiglia alla quale appartiene, ogni forma di
disobbedienza, di comportamento indocile. Il peggio è che abbia rapporti sessuali illeciti, prima e
fuori del matrimonio, e non importa - ai fini della decisione di ucciderla - se per sua scelta o
involontariamente, forzata da un violentatore. Ma anche mostrarsi in luoghi e situazioni che
potrebbero favorire la trasgressione o indurre qualcuno a pensare male di lei - ad esempio,
frequentare da sola locali pubblici, passeggiare senza meta, sostare per strada con uomini
estranei o accoglierli in casa, anche soltanto uscire senza aver chiesto il permesso o truccata... basta a suscitare l'ira dei parenti e può decretarne la condanna a morte per timore che l'onore
familiare sia stato macchiato o sia in procinto di esserlo. La sentenza viene eseguita dai parenti
maschi della colpevole, quasi sempre entro le pareti domestiche: tra i palestinesi e nella vicina
Giordania spesso la vittima viene soffocata o strangolata; in Bangladesh, Pakistan e India è più
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frequente che le si dia fuoco. Poi, di solito, l'omicidio viene dissimulato oppure, se è dichiarato,
viene giudicato con tali attenuanti da non comportare sanzioni rilevanti. Si dice che sia stato il
marito di Reem, militante di Hamas, a portarla in auto in prossimità del valico di Erez e che sia
stato il suo amante a fornirle la cintura esplosiva. Con ciò quest ' ultimo potrebbe essersi
riscattato, schivando la morte che spesso è inflitta anche al seduttore. Altrimenti il prossimo
martire assassino di Allah potrebbe essere lui.”
Infine si potrebbe avanzare l’ipotesi di un confronto tra questa tipologia di donne martiri
palestinesi , le “ Tigri Tamil ” dello Srī lanka e le martiri “shahīdki” cecene. Le “Tigri Tamil”
costituiscono un vero e proprio reparto speciale d’elite prettamente al femminile, arma
fondamentale dell’ LTTE ( Liberation Tigers of Tamil Eelam ) 28 . A loro sono affidate quasi tutte le
operazioni militari dell’organizzazione indipendentista “Tamil” contro l’esercito cingalese. La loro
abilità, frutto di un duro addestramento, consiste nel saper utilizzare diversi tipi di esplosivi, come
l’abito, l’imbarcazione o la motocicletta. Il primo elemento che le differenzia dai martiri
mediorientali è l’assuluta non appartenenza ad alcun credo religioso. La sola motivazione alla base
della loro azione risulta essere la causa indipendentista e nazionalista. Prima di affrontare una
missione suicida, si isolano e si distaccano da ogni legame con parenti, amici o membri
dell’organizzazione, e si preparano sia spiritualmente che tatticamente all’azione. Le “Tigri”
vengono considerate e venerate al pari degli eroi e il 5 luglio di ogni anno si festeggia il Thinam, il
Giorno degli Eroi, ovvero vengono commemorate tutte le “Tigri” morte per la nazione. La stretta
relazione tra nazionalismo e martirio viene sottolineata dalla formula usata dalle “Tigri” per parlare
del proprio martirio: ‘tiyäkam’. Letteralmente significherebbe ‘abbandono’, ma essa implica il
concetto di distacco cosciente dalla vita per conseguire un fine considerato sacro. Quindi la “Tigre”
è al contempo vittima e carnefice e in questo rende sacro il fine alla base della sua azione. Sotto
questa sfumatura il sacrificio delle Tigri ha la stessa valenza della “Devotio” , del udx romano,
l’auto sacrificio per ottenere la vittoria sul campo 29 .
Le fidanzate cecene
Un discorso a parte e molto circostanziato meriterebbero le donne suicide cecene .
Nell’organizzazione del martirio ceceno infatti c’è da dire che a morire sono esclusivamente le
donne e spesso non di propria volontà. Anche qui non sarebbe corretto imputare come unico motivo
alla base della loro azione, il fanatismo religioso, pur tenendo conto che sovente nei videotestamento le donne appaiono vestite di nero con una bandana verde sulla fronte e Allah sempre
presente. L’unico motivo fondante è- almeno dai dati reperibili- una tragedia familiare vissuta o
28 Sacco L., 2005
29 Sacco L., 2004
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una vita infelice, come se la vendetta potesse dare loro un riscatto esistenziale. 30 Siamo consapevoli
che la situazione merita ovviamente un meditato approfondimento .
Altri protagonisti. I bambini e la scuola del martirio
Un ruolo importantissimo nella convinzione al martirio viene giocato dai media e
dall’indottrinamento scolastico rivolto ai bambini.
Lo racconta Carlo Panella, inviato speciale in Medio Oriente, nel suo libro “I piccoli martiri
assassini di Allah” .
A partire proprio dall’insegnamento scolastico, tutto è finalizzato al convincimento che
l’aspirazione più giusta e spiritualmente, ma soprattutto socialmente elevata, è divenire martiri in
nome di Allah.
Proponiamo qui i risultati di un monitoraggio- sicuramente di parte ma che non abbiamo ragione di
ritenere non degno di fede.
Il CMIP (Centro per il monitoraggio della dinamica della pace) è una organizzazione non
governativa fondata a New York nel 1998 a André Marcus, che ha analizzato 160 libri scolastici e
guide per gli insegnanti pubblicati dell’Autorità Palestinese. Nella sua prima relazione del
settembre 1998 il CMIP afferma che i risultati di questo studio lasciano costernati. Mostrano che
queste pubblicazioni incitano a insegnare ai giovani a odiare gli ebrei in generale e Israele in
particolare. I testi presentati qui sotto non sono dei casi eccezionali, ma al contrario essi sono
emblematici di altri numerosi testi simili o identici che si trovano in altre opere non menzionate.
Nei programmi scolastici palestinesi i livelli iniziano col primo anno, così sotto il titolo "studenti
di 7 anni" si trovano dei lavori per il secondo livello.
- STUDENTI DI 7 ANNI
Inserisci la parola esatta:”Essi, egli, ella……. è il comandante delle forze islamiche per la
conquista dei Gerusalemme.”
(la nostra lingua araba, classe 2, seconda parte)
30Juzik J., 2003
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- STUDENTI DI 8 ANNI
Forma una frase contenente le seguenti parole:”Muore come un Martire, per difendere, nostro
eroe, la Madrepatria.”
(La nostra lingua araba, classe 3, prima parte, pp. 8-9)
- STUDENTI DI 9 ANNI
Il figlio: cosa fece il Messaggero di Dio per garantire la sicurezza del popolo? Il padre: il Profeta
fece tutto il necessario per garantire che la popolazione di Medina fosse sicura e in pace. Questo è
il motivo per cui egli fece un patto con gli Ebrei….Ma gli Ebrei, come sempre, non vogliono che la
gente viva in pace…..e cospirarono contro i Musulmani. I Musulmani però erano allertati così gli
atroci intrighi degli Ebrei non sono riusciti, I Musulmani, guidati dal Profeta li hanno puniti con la
morte e con l’esilio. Cosa mi è rimasto di questa lezione:di sacrificare la propria via e le proprietà
terrene per Allah e la Madrepatria,sopportare tutte le avversità e credere nelle sentenze di Allah e
nel destino che Egli ha stabilito gli Ebrei sono traditori e sleali.
(Educazione religiosa islamica,
classe 4 pp. 44-45-55)
- STUDENTI DI 10 ANNI
Nelle seguenti frasi trova il soggetto e il complemento : ” Jihad è un dovere religioso per tutti i
Musulmani.
(La nostra lingua araba, classe 5 pag. 167)
- STUDENTI DI 11 ANNI Esercizio di grammatica: Trasforma al plurale,Un martire è onorato da
Allah: Due martiri sono onorati da Allah.
(La nostra lingua araba classe 6 prima parte pag. 37)
Nel Settembre del 2000 il Ministero dell’Educazione Palestinese pubblicò altri 14 nuovi libri di
testo, per il primo livello (bambini di 11 anni). Questi sono i primi manuali completamente
preparati dal Centro per lo Sviluppo dei Programmi scolastici Palestinesi, un’Agenzia del
Ministero dell’Educazione Palestinese finanziato con sussidi stranieri (per la maggior parte
Europei). Questi libri sono stati attentamente esaminati dal CMIP che ha redatto una relazione al
48
riguardo nel Novembre 2000. I ricercatori del CMIP hanno rilevato "pochi cambiamenti" nei nuovi
libri. Per esempio "richiami evidenti alla distruzione di Israele…. Non sono più presenti" ……
."alcuni evidenti riferimenti antisemiti che definiscono gli Ebrei come traditori e sleali o il nemico
perverso non sono così presenti." Ma il cercare la distruzione di Israele è stato puramente spostato
da esplicito a implicito La geografia insegnata ai giovani palestinesi ignora ancora la parola
"Israele" e la lista delle regioni palestinesi include città e villaggi situati nel cuore del territorio
israeliano (Haifa, Beer-Sheva, Jaffa etc…) Inoltre tramite videoclip appositamente studiati per
annullare la paura della morte, canzoncine e giochi che esaltano le stragi degli innocenti, imam che
incitano a uccidere ebrei e infedeli, un’intera generazione di fanciulli aspira al martirio quale
massima impresa conseguibile in vita. Vengono addestrati assieme ai coetanei in appositi centri
reclutamento, prima in campi estivi e poi nei Wafa Idriss e Ayyat al Akhras, dove si insegna loro
l’uso delle armi e le tecniche di martirio-assassinio e dove si respira un clima di forte coesione e
identità sociale. 31 L’appello incessante al “jihad degli Innocenti” viene trasmesso da ogni emittente
televisiva a qualsiasi ora sempre con lo stesso testo:
“Io sono il martire, o madre mia!
Io sono il martire, o madre mia!
Ho scritto il mio nome con il mio sangue!
Ho pregato per la terra e ho risposto alla promessa!
Se non torno, non piangere per me, madre!
Se non torno, non piangere per me, madre!
Se non torno, non piangere per me,m madre!
Alza un grido di gioia, alza un grido di gioia, madre mia!
Io sono lo shahīd, o madre mia!
Ho scritto il mio nome con il mio sangue!”
Accanto a questo ritornello viene associata l’immagine di Muhammad Al Doura, con il corpo
rannicchiato vicino al padre che invoca pietà. Muhammad diventa così il prototipo del martire
31 Panella C., 2003
49
bambino e deve essere mostrato dall’Anp perché altri adolescenti lo seguano.
Tuttavia dobbiamo ricordare per l’esattezza che il Corano non prevede affatto l’esistenza di questa
forma di suicidio-martirio. A farla nascere sarebbe stata invece un’interpretazione deformata delle
scritture risalente all’ayatollah Khomeini, poi fatta propria da molte scuole coraniche.
Alla base di questa pericolosissima forzatura teologica striscia certamente un fenomeno ben più
vasto e complesso che passa sotto il nome di fondamentalismo islamico, termine di per sè non
propriamente legittimo, visto che prende a prestito un concetto elaborato nell’ambito del
cristianesimo riformato statunitense per indicare una tendenza nuova e peculiare al mondo islamico
contemporaneo 32 .
Per un profilo del fondamentalismo islamico seguo la traccia di J. Kepel.
Tra i tre intellettuali che dominano il mondo islamico “reazionario” con varie motivazioni e
diversi sfondi culturali certo Khomeini è forse il più interessante.
All’imam Khomeini si attribuisce un ruolo importante nello sviluppo dell’odierna accezione del
concetto del martirio. Quindi non posso non soffermarmi sulla sua storia e sulle sue azioni.
Propongo un breve profilo biografico.
Ruhollah M. Khomeini,nacque nel 1902, studiò nella città santa di Qom e assistette alla
profanazione della moschea di Fatima ad opera del fondatore della stessa dinastia dei Pahlevi, Reza
Khan, nel 1927. Contrastò sempre con molta forza l'occidentalizzazione e il conseguente
"ammodernamento" dell'Iran, che provocava gravi problemi sociali. Tutto ha inizio nel 1935,
quando lo Scià Reza Shah accusato di germanofilia, e dopo avere coinvolto il Paese nella seconda
guerra mondiale, abdicò in favore del figlio Mohammad Reza, ritirandosi di fronte alla duplice
occupazione anglo-russa. Cessata l'occupazione, l'Iran ebbe inizialmente una ripresa costituzionale
e di libertà democratiche, subito soppresse però da Mohammad Reza. Ma una sorta di unanimità
nazionale si costituì sul problema dell'indipendenza economica, culminata nella nazionalizzazione
del petrolio e nel conflitto con la Gran Bretagna (1950-51). La vittoria ottenuta dal primo ministro
M.H. Mussadeq (1951/53) con l'estromissione degli inglesi apriva nuove possibilità. Una grave
crisi politica generata dal contrasto tra lo scià e il primo ministro si concluse nella primavera del
1953 con la caduta di Mussadeq: lo scià Mohammad Reza cominciò così ad assumere un ruolo
sempre più attivo nell'amministrazione dello stato grazie al cospicuo aiuto finanziario degli stati
Uniti, in modo che l'Iran fu posto in condizioni di superare le gravi difficoltà finanziarie, poi ancor
32 Giammarco R., 1993
50
più sistemate grazie agli introiti derivanti dal petrolio. Nel complesso, dunque, si può dire che a
quell'epoca l'Iran aveva senza dubbio un orientamento decisamente filo-occidentale. Per altri versi,
però, i cambiamenti avvenuti nella società iraniana erano del tutto insoddisfacenti. Ad esempio, la
sperequazione sociale tendeva ad aumentare, escludendo dai profitti non solo gli strati popolari e la
classe operaia, ma anche i ceti medi, professionisti e commercianti, già privati dell'accesso a
qualsiasi forma di potere decisionale. A tutto ciò faceva riscontro una durissima repressione sulla
vita culturale e politica del Paese da parte dello Scià. A partire dal 1977 si verificò una forte
crescita del movimento di opposizione al regime, la cui direzione venne rapidamente conquistata
dai religiosi sciiti dell'Ayatollah Khomeini che, a seguito della sua attività di opposizione era stato
precedentemente arrestato ed espulso. Trovato rifugio in Francia, da lì continuava a produrre
discorsi che poi faceva pervenire nel suo Paese, a sostegno di coloro che, dall'interno, lottavano
contro il regime dispotico dei Pahlevi. Nell'autunno 1978, nonostante sanguinose repressioni, lo
scià si vide costretto a lasciare l'Iran mentre l'esercito si disgregava. Nel 1979 lo scià venne
definitivamente deposto e Khomeini poté così insediare una Repubblica islamica. Il suo ritorno fu
salutato da esplosioni di gioia tra gli sciiti. L'ayatollah nominò un governo provvisorio e assunse la
direzione effettiva del Paese. Il 1° aprile, a seguito di referendum, fu proclamata la Repubblica
Islamica dell'Iran e in dicembre un altro referendum approvò una nuova costituzione che prevedeva
una guida religiosa del paese (tale carica fu attribuita a vita a Khomeini). Intanto, nel settembre
1980 l'Iraq diede inizio alle ostilità contro l'Iran, riaprendo antiche questioni territoriali.
L'offensiva venne bloccata e diede origine ad un sanguinoso conflitto terminato solo nel 1998.
All'interno del Paese, intanto, le elezioni del 1980 videro la vittoria del Partito repubblicano
islamico (PRI). Le elezioni legislative del 1984 sancirono il carattere di stato a partito unico ormai
assunto di fatto dall'Iran.
E da subito venne imposta al paese una pesante legge costituzionale basata sulla sharija con
l’introduzione di restrizioni gravi per la libertà civile delle donne : obbligo del velo, poligamia
,istituzione del matrimonio a tempo come ipocrita mezzo di legalizzazione della prostituzione ecc
mentre si avviava nel contempo un attacco all’occidente non tanto in termini economico
politici,contro il modello capitalistico in nome della lotta sostenuta contro Reza Pahlevi ma in
nome di un rifiuto della contaminazione,dell’impurità dei modi del quotidiano occidentale.
Nel 1987 anche il PRI veniva sciolto dall'Ayatollah Khomeini, che dichiarava esauriti i suoi
compiti. Dal 1988 pertanto, le elezioni videro la partecipazione di candidati non più legati a vincoli
51
di partito, anche se facenti parte a gruppi e correnti diverse nell'ambito del regime islamico. Le
elezioni presidenziali dell'agosto 1985 confermarono capo dello stato Ali Khamenei (eletto per la
prima volta nel 1981); nel 1989 questi succedeva a Khomeini, morto in giugno, quale guida
religiosa del Paese, e, alla presidenza della Repubblica, veniva eletto A. RafsanJani. Una riforma
costituzionale, approvata tramite referendum nello stesso anno, aboliva la carica di primo ministro
e rafforzava i poteri presidenziali. I negoziati di pace tra Iran e Iraq, avviati dopo il cessate il fuoco
dell'agosto 1989, rimasero di fatto bloccati fino all'agosto 1990, quando la crisi internazionale
apertasi con l'occupazione del Kuwait da parte dell'esercito iracheno induceva Baghdad a
riconoscere la sovranità iraniana su alcuni territori. Ciò consentì la riapertura di relazioni
diplomatiche fra i due paesi nel settembre del 1990. A partire dal 1997 la carica di presidente della
Repubblica è stata ricoperta da Mohammad Khatami. Ma ora la prima carica iraniana appartiene ad
un komeinista l’attuale presidente Ahmadinejad che ripropone e sfrutta abilmente la carica di
attesa escatologico messianica sottesa allo sciismo integrale di Khomeini.
52
Breve storia del fondamentalismo islamico
Nato in ambito protestante agli inizi del ‘900, il termine “fondamentalismo” è stato usato per
indicare le correnti di pensiero che ritengono “un testo sacro” depositario delle Verità non solo
riguardanti il problema della salvezza del genere umano, ma anche i principi di funzionamento
della società nella sua interezza.
Ogni tentativo di interpretare la Parola con l’ausilio della ragione umana e degli strumenti
scientifici, è perciò dal fondamentalista duramente criticato e rifiutato: il testo sacro, parola di Dio,
rivelata nella sua assoluta grandezza e perfezione, non può essere sottoposto a indagini o riletture
di nessun tipo, perchè ciò che Dio ha voluto far conoscere di sè agli uomini è tutto custodito nel
suo messaggio, per nulla mediato dalla presenza dell’interlocutore privilegiato che ha raccolto e
trascritto il lungo monologo del suo Signore. Ora, questo fenomeno si è diffuso, a partire dalla
seconda metà del secolo scorso, in maniera via via crescente anche nei paesi arabi dove si è poi
contraddistinto in forme e modi ad essi peculiari.
La storia del fondamentalismo islamico ha comunque una sua radice storica precisa. Cominciamo
con il considerare il wahabismo. Iniziatore del movimento Muhammad ‛Abd al Wahhāb alla fine
del secolo XVIII proprio mentre in Europa trionfa la rivoluzione illuminista che apre la modernità
contemporanea. Al Wahhāb inizia in Arabia una capillare e violenta campagna per un ritorno al
rigorismo islamico e trova un sostenitore nell’emiro Muhammad b Sa`ūd legando da allora le sorti
della dottrina a quelle della potente famiglia che oggi costituisce la casa regnante dell’Arabia
saudita Da un punto di vista teologico la riforma si appoggia al programma presentato alcuni
secoli prima dal siriano Ibn Taymyya ( morto nel 1328) che proponeva il ritorno alla trascrizione
della legge del corano in legge pratica proposta dal grande giurista Ibn Hanbal .La dottrina si basa
sul rifiuto di tutte quelle innovazioni che erano state adottate nel corso della storia ricorrendo alla
istituzione dell’igmā, il consenso della maggioranza della comunità su un’interpretazione o
modificazione. L’igma è l’unico strumento ammesso per l’adattamento del testo coranico alle
esigenze del contesto storico. Il wahabismo rifiuta le innovazioni, bid’a che hanno corrotto la
sunna ,ad esempio la venerazione per profeti e santoni, pellegrinaggi alle loro tombe ,attribuzione
di poteri miracolosi,i poteri aggreganti delle confraternite . Tutto ciò che è tenuto vivo nel grande
fiume del sufismo che attraversa la sunna come lo sciismo e rende possibile ad esempio la
proliferazione dei culti di transe nell’Africa sub-sahariana come nel Maghreb ma negli stessi
emirati . Capitolo di straordinaria importanza per capire la pluralità del mondo islamico .Il periodo
nel quale sarebbe stato possibile ricorrere all’igtihād cioè alla modificazione del testo del corano
53
per i rigoristi si chiude con il IV secolo dell’egira ( il X secolo).I wahabiti si proclamano
restauratori dell’islam dei primi secoli e custodi dei luoghi santi della Mecca e di Medina.
Se si vogliono scoprire invece le ragioni storiche che hanno dato origine al malessere e alla crisi
culturale, prima ancora che politica, su cui si è innestata la vera e propria svolta fondamentalista,
non si può che risalire alla profonda lacerazione nella tradizione islamica causata dall’abolizione,
dopo la caduta dell’impero ottomano nel 1922, del califfato, e quindi all’immediata separazione del
potere religioso da quello politico, separazione che ha poi dato avvio ad un tentativo di
modernizzazione di tipo occidentale, su larga scala, per opera di alcune èlites musulmane
sopravvissute al crollo dell’impero.
Non sembri fuorviante, ai fini del discorso complessivo sul concetto di jihad, questa digressione
sul significato e sul valore del fondamentalismo islamico; si vedrà poi, infatti, quanto sia decisiva,
direi imprescindibile, per cogliere un quarto e ultimo modo di intendere il jihad, nato proprio al suo
interno e in risposta a sue precise e rigorose teorizzazioni. I movimenti fondamentalisti si sono
schierati da subito contro qualsiasi ipotesi di modernizzazione della vita sociale e politica secondo
modelli percepiti come estranei alla propria tradizione culturale e religiosa. Di fronte ai tentativi,
più o meno importanti, di occidentalizzazione del mondo islamico, i fondamentalisti hanno fatto
ricorso, perciò, a tutte le armi in loro possesso per fermare quello che ai loro occhi appariva come
un tradimento dei valori e dei principi da Dio stesso affidati al Profeta a fondamento della vita
dell’intera comunità.
Possiamo dire che il loro movimento si articola a partire dal raggiungimento di tre obiettivi
fondamentali:
• L’applicazione della legge islamica (sharia) in ogni comunità islamica;
• L’unificazione dei paesi a maggioranza islamica in un’unica realtà politico-religiosa
nuovamente guidata da un califfo;
• La ripresa da parte del califfato restaurato del sogno originario di un’islamizzazione del
mondo intero.
Se lo si analizza da vicino si può osservare come al suo interno agiscano ben tre diverse correnti,
ciascuna dotata di una sua genesi storica, di un suo contesto socio-economico, e di una sua struttura
54
concettuale di riferimento: 33
1. il movimento del risveglio
2. il riformismo
3. il radicalismo
Accenno brevemente ai primi due, per poi dedicare più spazio all’analisi del terzo, movimento
entro il quale trovano fondamento gli estremismi e le teorie del terrorismo islamico .Col termine
“risveglio” si indicano quei movimenti islamici che sono emersi nel XVIII e XIX secolo. Confinati
in aree periferiche, al di fuori della portata dell’autorità centrale, la loro base sociale è stata
prevalentemente tribale, e il loro tentativo di fondo quello di purificare l’Islam, rinnovandolo, dagli
usi pagani e dalle influenze straniere. Al contrario, il riformismo islamico è stato un movimento
urbano, nato nel XIX secolo e durato fino al XX. I suoi leaders erano funzionari statali, intellettuali
o ulema tenacemente contrari alle interpretazioni tradizionali della religione e in aperto dialogo con
la cultura e le filosofie europee nel tentativo di confrontarsi con ciò che veniva considerato
l’intollerabile condizione di declino dell’Islam. Alla base di tutti questi movimenti una stessa
domanda: l’Islam aveva perso perchè era rimasto indietro rispetto all’Occidente o al contrario
perchè all’Occidente si era a suo modo troppo ravvicinato, dimenticando la purezza della fede dei
padri?E’ facile intuire come l’ultima corrente, quella del fondamentalismo radicale abbia sposato
quest’ ultima tesi, e affermato il bisogno di recuperare le proprie radici allontanando i frutti malati
di un processo di rinnovamento politico e sociale in cui non si riconosceva e non voleva
riconoscersi. Si tenga presente che, a partire dal secondo dopoguerra, il mondo arabo era stato
interessato anche dal processo di decolonizzazione che aveva portato alla creazione di nuovi statinazione sulle ceneri di quelle che per quasi due secoli erano state le colonie dei grandi imperi
europei, veri giacimenti di materie prime e di raccolti a basso costo da rivendere nel mercato
occidentale. Quella che fino ad un momento prima, perciò, era stata una comunità gestita
politicamente da un governo straniero, e regolata al suo interno da figure carismatiche custodi del
culto e di tutti i valori etico-sociali, si trasforma all’improvviso in uno stato indipendente, che ha
bisogno di trovare una salda coscienza nazionale, che necessita di un apparato burocratico e di un
sistema giuridico autonomo rispetto alla legge coranica, che deve infine avviare complessi processi
di modernizzazione della vita economica e sociale (dall’industrializzazione all’inurbamento delle
masse contadine; dalla scolarizzazione alla rottura degli equilibri della famiglia patriarcale; dalle
forme di rappresentanza e di associazione politica a garanzia della democrazia al nuovo ruolo
33 Pace E., Guolo R., 1998
55
pubblico della donna, e così via).
L’ideologia del radicalismo rappresenterebbe allora proprio la risposta diretta alla comparsa di
questi stati-nazione. Si tratta di una storia a noi recente, tanto contemporanea al punto da
scomodare l’attualità. Fino al 1970 il radicalismo islamico, volendo ricostruirne le tappe
fondamentali, è più una corrente intellettuale che un movimento politico. Si fanno risalire agli
scritti del pakistano al-Mawdudi (1903-1979) pubblicati nel periodo tra le due guerre, alcuni dei
suoi principi teorici. Ma anche l’ambiente egiziano, con la nascita della Società dei Fratelli
Musulmani, prima, e sotto la leadership del loro continuatore Sayyid Qutb condannato a morte da
Nasser 34 (1906-1966) poi, si è rivelato un terreno fertile per l’elaborazione di questo tipo di
dottrine fondamentaliste, che presero piede presto anche in ambienti e gruppi religiosi non
direttamente legati al contesto politico egiziano. 35
Il ruolo dei Fratelli
Proprio sulla Società dei Fratelli Musulmani mi voglio soffermare un istante data la sua grande
importanza per gli sviluppi del fondamentalismo odierno. Lo slogan dei Fratelli è “Il corano è la
nostra costituzione” Con questa formula il richiamo andava da subito ad una interpretazione del
modello quotidiano di vita in senso conservatore e tradizionalista che riprende il modello della
famiglia patriarcale,con il mantenimento del ruolo subordinato e sorvegliato del mondo
femminile,l’adesione puntuale anche esteriore agli obblighi del culto. Qualche cosa di simile era
presente anche negli ideali dei “tradizionalisti”di destra europei contemporanei, Ricordiamo la
scelta islamica di Guenon .I Fratelli mussulmani considerano parte della jahillyya , il mondo
extraislamico, anche tutti quei regimi islamici che avevano adottato modelli costituzionali di tipo
“europeo”. Per questo essi passavano no allo statuto di takfir rinnegati. Tuttavia per un lungo
periodo il giudizio di estromissione dei mussulmani “infedeli”, i mussulmani occidentalizzati,
rimase in larghissima parte un giudizio morale e la campagna si svolse sul piano culturale. Tanto
al-Mawdudi 36 che Qutb ponevano il jihad tra i primi doveri religiosi per un musulmano, soprattutto
in un’epoca in cui la loro religione subiva attacchi da ogni parte. Di conseguenza ai loro occhi
trascurarlo o non occuparsene affatto equivaleva a commettere un grave peccato. Coloro, poi, che
attribuivano a questo precetto divino soltanto uno scopo difensivo, ristretto per di più all’ambito
34 Choueiri Y., (1976), 2002
35 Paese in cui queste forme di fondamentalismo furono guardate con sospetto e duramente perseguite. I
Fratelli musulman, infatti, furono dichiarati fuorilegge dal presidente Nasser e brutalmente soppressi nel
1954, mentre Qutb venne impiccato sempre sotto Nasser il 29 agosto del 1966
36Choueiri Y. , (1976), 2002
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dei territori islamici, venivano da essi accusati di rinunciare, sotto la pressione delle influenze
occidentali, ad un sacro dovere.
In una conferenza del ‘39, al-Mawdudi rifiutò l’interpretazione occidentale di jihad come ‘guerra
santa’ ingaggiata da fanatici religiosi per convertire gli infedeli con la forza delle armi. Ma, allo
stesso tempo, rimproverò anche tutti quei musulmani che, per difendersi dall’accusa di fanatismo,
avevano ridotto il concetto di jihad a quello di autodifesa, preoccupati di mostrare l’anima pacifica
della loro religione. Altro che autodifesa o spirito pacifista: l’Islam era per lui una ‘ideologia
rivoluzionaria’ e coloro che vi aderivano costituivano, di conseguenza, un vero e proprio partito
rivoluzionario internazionale. Lo scopo di questo partito rivoluzionario ed internazionale (qui non
sfuggono certamente le analogie con il movimento ideologico a cui si ispirò, per molti versi, questo
radicalismo islamico) sarebbe stato allora quello di provocare una rivoluzione mondiale in nome
dei principi dell’Islam. Secondo questa visione ideologica, perciò, il jihad sarebbe il processo di
‘lotta rivoluzionaria’ in grado di portare a termine gli obiettivi di questa nuova e ultima
rivoluzione. E naturalmente, così concepita, non potrebbe che prevedere, e anzi privilegiare, tra le
sue manifestazioni più alte l’uso strategico della forza. Queste idee non furono gettate al vento, ma
trovarono in alcuni ambienti fondamentalisti chi le seppe riprendere e riorganizzare in forme
concrete di lotta rivoluzionaria contro gli stati-nazione nati di recente nei paesi islamici e le
potenze occidentali loro sostenitrici. Così, a partire dagli anni ‘70 le azioni guidate da questo tipo
di fondamentalismo radicale si moltiplicarono sia negli stati arabi, sia lontano da essi, in territorio
nemico, qui soprattutto sotto la forma di atti terroristici studiati per destabilizzare e creare
confusione nel campo avverso. Volendo ricordare brevissimamente i fatti che fecero più clamore
nell’opinione pubblica internazionale, e che vengono tristemente rievocati ancor oggi spesso
purtroppo attraverso nuove azioni terroristiche di rimostranza, si hanno in ordine di tempo: la
rivoluzione iraniana del 1979 guidata da musulmani sciiti che portò alla nascita, sotto il comando
dell’ayatollah Khomeini, di un regime teocratico fondato sulla legge islamica 37 ; l’ascesa del
fondamentalismo afgano a partire dalla guerra contro l’invasore russo scoppiata nel ‘79 e fino alla
presa del potere da parte dei taliban nel ‘92 (la fine del regime talebano a Kabul e delle sue retrive
restrizioni in fatto di costumi e di vita sociale sono fatti d’attualità) clamorosamente non risolti
dall’intervento militare dell’”occidente”; la nascita nell’82 in Libano del partito degli Hezbollah (il
partito di Allah) di confessione sciita, deciso a fare del Libano una repubblica islamica sul modello
37 Può essere interessante ricordare qui il modo di intendere il jihad dell’ayatollah Khomeini. Lui
affermava cha “la verita’ e’ offuscata da tanti veli: lussuria, vanagloria, amore del potere, egoismo. Una
volta eliminati questi veli, la luce di Dio risplendera’ nell’anima del credente. La caduta di questi veli, o
peccati mortali, e’ chiamato jihad maggiore. La sua pratica stimola il credente ad impegnarsi attivamente
nel mondo. Questo impegno consiste nel ripulire la societa’ dalla depravazione, dalla corruzione, e dai
governi tirannici: il compimento di altri compiti e’ il jihad minore”, in Choueiri Y.
57
di quella iraniana e di eliminare lo stato d’Israele; le sommosse algerine che portarono alla nascita
prima, nell’88 del Fronte Islamico di Salvezza (FIS), e poi, negli anni novanta, come conseguenza
alla guerra civile nella quale era caduto il paese in seguito alle azioni di protesta più o meno
radicali del FIS contro il regime militare al governo, del GIA (Gruppo Islamico Armato), un nuovo
gruppo fondamentalista responsabile di numerosi attentati anche in Francia; la nascita nel 1988 in
Palestina del movimento fondamentalista di Hamas 38 in aperta contrapposizione con l’Olp di Arafat
e con il suo avvicinamento per via diplomatica al riconosciuto stato di Israele in 90 Paesi 39 . Nel
contesto rovente avviato dalle difficoltà interna della Palestina tra anima laica e rimonta islamica scoppiò
la guerra del Golfo: l’Iraq, sostenuto da un potente esercito che aspirava alla parità strategica con
Israele, era uno degli ultimi bastioni del nazionalismo arabo. Sospinta da una base di cui rischiava
di perdere il controllo, lo ELP cedette alla propaganda di Saddam Hussein, che brandiva lo
stendardo della causa palestinese. L’organizzazione di Arafat pagherà in termini politici le sue
prese di posizione a favore dell’Iraq, con l’esclusione dalla Conferenza di Madrid sul Medio
Oriente del 1991 e con l’abrogazione di ogni aiuto finanziario da parte delle Monarchie petrolifere
del Golfo. Lo ELP trovò una sponda nel goderlo Laburista Israeliano con Radin e Shimon Perez.
Mentre nei territori il Jihad , “la guerra santa” di Hamas guadagnavano terreno a svantaggio della
lotta “nazionale” laica di Arafat.
Nel 1993 l’Intifada accelerò il processo avviato a Madrid, ma l’accordo di Oslo poneva tanti
problemi quanto quelli che risolveva, a causa della sua genericità e perché le intenzioni dei
firmatari erano divergenti.
La primavera del 1996 vide una nuova ondata di attentati suicidi seminò il terrore in Israele, tanto
che una ristretta maggioranza portò al potere Benjamin Netanyahu, strenuo oppositore degli
accordi di Oslo. L’onda dei martiri suicidi possiamo dire determinò il corso della politica
In Israele il dialogatore Rabin fu assassinato e Perez fu allontanato .In Palestina Arafat si trovò
con una leadership indebolita. Netanyahu, congelando il dialogo politico con l’autorità palestinese
di Arafat, inasprì i rapporti bilaterali e, annunciando un piano di espansione dei confini di
Gerusalemme, pose in essere una lampante violazione dello spirito di Oslo. La cronaca degli eventi
politici registra una progressiva costruzione dell’impossibilità di accordo tra due posizioni sempre
38A proposito di jihad, nella Carta di Hamas, diffusa il 18 agosto dell’88, si legge che: “…non vi sara’
soluzione alla causa palestinese se non tramite il jihad. Quanto alle iniziative, alle proposte e altre
conferenze internazionali, non si tratta che di perdite di tempo e di attivita’ inutili”, in Kepel G., 2001
39 Seguono una serie infinita di attentati sia alla popolazione civile che a rappresentanti del potere politico,
messi a segno nei luoghi e nelle situazioni più disparate e impensabili in qualsiasi parte del mondo. La
direzione palestinese intraprese così un dialogo con l’amministrazione americana, ma l’intransigenza delle
parti finì per congelare le speranze: mentre a Gerusalemme si formava un nuovo governo che comprendeva
alcuni sostenitori della deportazione degli Arabi di Giudea-Samaria, Aboul Abbas tentò di raggiungere Tel
Aviv, causando l’interruzione del dialogo
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più intransigenti ideologicamente
Pur segnando una svolta nella retorica della Destra Israeliana, gli accordi di Wye-Plantation del
1998 sono stati all’origine della caduta di Netanyahu. La breve gestione di Governo del laburista
Barak, dal 1999 al 2000 ha confermato le modeste possibilità di giungere ad un accordo fra
Israeliani e Palestinesi, anche perché il ritorno al potere di Sharon, a seguito dell’esplosione della
seconda Intifada,spinge Israeliani e Palestinesi in un vicolo di non confronto e acquista sempre più
spazio l’ideologia terroristica.
Non si può dire perciò, alla luce di quella che è stata fino ad ora la storia del fondamentalismo
islamico radicale, che le teorizzazioni dei suoi ideologi non siano state accolte e fatte proprie da
molte delle scuole coraniche presso le quali si preparano e si formano i giovani mujihaidin .
Certamente non tutti gli ulama sono fondamentalisti, né in tutte le scuole coraniche si insegna la
lotta rivoluzionaria voluta da Dio a difesa dell’Islam e dei suoi principi contro la corruzione, la
supremazia e ogni forma di violenza che si vogliono rappresentate dal mondo occidentale nei suoi
modelli simbolici scelti, tra i quali campeggia purtroppo lo stato di Israele .
In seguito riporto la Lettera del 12 giugno 2003 attribuita all’ex dittatore iracheno Saddam
Hussein, pubblicata a Londra dal quotidiano arabo Al-Qubs Al-Arab, a mio parere importante
documento per comprendere come il religioso venga così facilmente e diffusamente impugnato per
spronare un popolo alla reazione, come se la difesa del proprio credo fosse la sola chiave di
risposta efficace a disposizione di un capo di stato quale Saddam, che vedendo il proprio popolo
minacciato dagli USA, anche se fondamentalmente laico, si può affidare unicamente ad Allah.
«In nome di Allah il Clemente il Misericordioso Gli faremo vedere i nostri segni nel mondo e in
loro stessi, finché non sarà loro chiaro che Lui è la verità e che il tuo Signore non tralascia nulla
perché di tutte le cose è attento osservatore. (Corano). Da Saddam Hussein Al Glorioso popolo
iracheno Ai figli della nazione arabo-islamica Ed alle persone di nobile cuore ovunque essi si
trovino Abbiamo giurato ad Allah di non fare complimenti con le forze anglo-americane e di non
permettere loro di rubare i beni del glorioso Iraq. Per questo i figli del popolo tra gli uomini
dell’esercito, della guardia repubblicana, delle brigate Farouq, dei gruppi per la liberazione, i
membri del Partito Baath ed i gruppi Hussein combattono davvero, e la battaglia è arrivata al
livello più alto per cacciare le forze di invasione miscredenti dall’Iraq. Il nemico miscredente già
ebbe modo di uccidere i civili, coloro i quali non avevano nessun rapporto e non sapevano usare
armi. Questo sarà uno dei requisiti essenziali per la rinascita dei figli del popolo che attraverso le
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loro diversità, sono uniti in un unico obiettivo, la liberazione dell’Iraq dall’occupazione. Tutti
risorgeranno, e saranno giorni di fuoco per il nemico. Fate delle moschee, delle scuole, dei
cimiteri dove si trovano Ali, Hussein, Abbas (che Allah si compiaccia di loro) Abu Hanifa e Sheikh
Abdul Qader Al-Jilani, dei punti di riferimento della resistenza contro l’occupazione, al fine di
cacciare via il nemico. La resistenza ha già deciso di continuare nelle sue operazioni contro il
nemico. Per questo avvisiamo tutti i cittadini stranieri che vengono dai paesi che ci occupano, sia
i soldati che i semplici impiegati, li avvisiamo con un comunicato della direzione della resistenza
di lasciare il Paese prima del 17 di giugno, dopo di che non saremo responsabili di ciò che potrà
accadere. Oh figli del nostro glorioso popolo: oh figli della nazione arabo-islamica e nobile
ovunque voi siate notate bene il diffondersi dei crimini americani in Iraq, vedete i crimini di
Sharon, entrambi accadono nello stesso periodo e l ’obiettivo è solo l’Islam, l’Iraq, la Patria e
l’uomo. Non permetteremo agli occupanti di impossessarsi dei nostri beni, del nostro petrolio, e
non si rallegrerà chi vedrà in che modo guadagneranno da questa occupazione, sia gli arabi, che i
musulmani e anche gli occidentali che si astengono dal commettere questi crimini. Perciò diciamo
a tutti i paesi del mondo, fate rientrare i vostri cittadini, questa sarà una lotta di liberazione, sarà
colpa vostra e ne sarete responsabili voi delle loro vite. Inoltre non inviate nessun aereo ne
convoglio ne altro perché sarà un nostro obiettivo. Non permetteremo al nemico di utilizzare nulla
per potenziare la sua occupazione. Si sta avvicinando l’ora della liberazione, l’ora in cui saranno
colpiti e soffriranno. Non gli concederemo altro che la fuga, li uccideremo fino all’ ultimo uomo, il
quale rimarrà in vita per vedere in che modo l’America, criminale e miscredente, e la Gran
Bretagna avrà ucciso i suoi ultimi soldati occupanti che violano i prigionieri, violentano le donne
e i bambini. Coloro che non conoscono l’onore ed il bene. Si pentirà Bush, il criminale, il
miscredente, il ladro, il lurido, e con lui il suo piccolo e depravato seguace Balir, del loro male. Si
pentiranno anche tutti i governi che hanno inviato le loro forze affinché gli occupanti possano
rimanere a lungo, e se ne pentiranno anche i governi arabi che hanno permesso questa
occupazione. Cosa vuol dire che le forze di occupazione hanno ucciso 200 prigionieri e più di 150
civili nelle ultime 72 ore, cosa vuol dire tutto ciò oh liberatori dell’Iraq, degli arabi, dell’Islam e
del mondo? In verità questo è solo il primo livello della resistenza che colpirà le forze della
Danimarca, della Polonia e degli altri paesi miscredenti. E dopo questo primo livello per il nemico
potrebbe accadere qualsiasi cosa. In verità non finirà questa fase senza che se ne vadano, la verità
è dalla parte nostra e porteremo la nostra difesa fino ai loro paesi ed ai loro aerei. Faremo come
fanno loro che uccidono i figli dell’Iraq, li risponderemo, e questo lo abbiamo giurato ad Allah e
al nostro popolo. Viva il glorioso Iraq. Viva la Palestina libera ed araba, dal fiume al mare. Allah
è il più grande. Allah è il più grande. Allah è il più grande. Cacceremo i vili
60
Saddam Hussein
Mattina del 12 Rabi’ Al-Awal
1424 (12/6/2003) (Quinta lettera scritta a amano)
61
Guerra, martirio, terrore: una rilettura della proposta di Ernesto De Martino.
L’“utopia” dell’etnocentrismo critico
Da quando, dunque, il mondo occidentale è stato coinvolto direttamente negli attentati dei “martiri
di Allah”, ha tentato di avviare varie soluzioni per mettere fine ai troppi contrasti. Le Nazioni
Unite si sono riunite già prima degli attentati dell’ 11 settembre 2001 ed hanno emanato tre
principali provvedimenti:
• la Risoluzione n. 51/210 del 17 dicembre 1996, con cui l'Assemblea Generale invitava gli
Stati a prendere provvedimenti per prevenire ed impedire il finanziamento di terroristi e di
organizzazioni terroristiche (di seguito “Risoluzione 51/210”);
• la Risoluzione n. 1267 del 15 ottobre 1999, con cui il Consiglio di Sicurezza, sulla base del
presupposto che l’individuazione e il controllo dei flussi finanziari che alimentano il
terrorismo internazionale rappresentano gli strumenti di prevenzione più efficaci per
contrastarlo, istituiva il Comitato per le Sanzioni contro i Talibani e Al-Qaida e introduceva
la sanzione economica del “congelamento” dei fondi e delle altre risorse finanziarie
riconducibili ad Al Qaida (di seguito “Risoluzione 1267 (1999)” );
• la Convenzione di New York del 9 dicembre 1999 per la repressione del finanziamento al
terrorismo (di seguito “Convenzione di New York”).
All’indomani degli attacchi dell’11 settembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la
Risoluzione n. 1373 del 28 settembre 2001 condannava gli attacchi terroristici di New York e
richiedeva agli Stati membri di prevenire e reprimere il finanziamento del terrorismo.
In effetti, data la delicata situazione politica ed economica dell’Afghanistan, a seguito della presa
di potere della fazione dei Talibani, già con la Risoluzione 1267 (1999) il Consiglio di Sicurezza
aveva invitato gli Stati a dare attuazione al divieto di sorvolo sul territorio afgano ed aveva esortato
gli Stati a porre in essere misure di congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziare, che
fossero direttamente o indirettamente ricollegabili a persone fisiche o giuridiche appartenenti alla
fazione dei Talibani. La Risoluzione 1267 (1999), inoltre, istituiva il Comitato per le Sanzioni
contro i Talibani a cui, tra gli altri, era affidato il compito di individuare e censire le persone cui
applicare le misure di congelamento.
Nel Dicembre 2000 con la Risoluzione n. 1333, il Consiglio riaffermava l’obbligo di congelamento
dei capitali e delle altre risorse riconducibili ad Osama Bin Laden ed a chiunque altro fosse
collegato ad Al-Qaida.
62
La Risoluzione 1373 (2001), determinata dall’urgenza di rispondere agli attacchi terroristici, anche
sul fronte finanziario, ha previsto che gli Stati adottino quelle misure necessarie per:
• punire penalmente l’attività di raccolta di fondi da utilizzare per attacchi terroristici;
• congelare i capitali e le altre attività finanziarie e risorse economiche di chiunque
commetta o partecipi ad atti terroristici nonché, a qualsiasi titolo, ne faciliti
l’esecuzione;
• vietare che capitali o altre risorse finanziarie o economiche nonché ulteriori servizi
finanziari siano messi a disposizione delle medesime persone;
• incentivare lo scambio di informazioni ai diversi livelli sulla base di accordi bilaterali
o multilaterali.
Questa lista progressiva di situazioni in peggioramento evidenzia drammaticamente il sempiterno
atteggiamento degli Stati Uniti, e in generale di tutto il mondo capitalista,l’Occidente : considerare
quali uniche soluzioni possibili misure economiche e militari
L’occidente tuttavia non ha solo tecnologia e merci da vendere ,esportare ,né solo armi da vendere
e da usare . Ci sono altre risorse , quelle che possono venire dalla lunga esperienza di riflessione
,di critica che per una complessa congiuntura ,la cultura occidentale,è stata in grado di esprimere
grazie anche la capacità di seguire i mutamenti della storia del suo modello simbolico, il
monoteismo cristiano,
Vorrei dire che l’occidente prima della democrazia dovrebbe cercare di esportare ciò che ha
prodotto ,la critica e la autocritica.
Mi riferisco in particolare a quel concetto di etnocentrismo critico centrale nel pensiero di un
grande personaggio italiano del ‘900
40
Ernesto De Martino .
In Promesse e Minacce dell’etnologia, saggio scritto per Furore, Simbolo, Valore (1962), l’autore
analizza il ruolo dell’etnologia nelle dinamiche storiche e culturali dell’Occidente. Qui
l’etnocentrismo critico è da intendersi come sforzo supremo di allargamento della propria
coscienza culturale di fronte ad ogni cultura "altra", e come sofferto processo di presa di coscienza
critica dei limiti della propria storia culturale, sociale, politica. L'etnocentrismo critico pone in
questione "le stesse categorie di osservazione di cui lo studioso dispone all'inizio della ricerca".
Con questa tensione etico-speculativa si può realizzare, secondo il de Martino, quell'"umanesimo
etnografico" che implica un'opera di storicizzazione di sè e della propria cultura, e di autocritica in
40 De Martino E., 2002
63
base al confronto storico-culturale. De Martino si contrappone a quanto avviene in realtà
comunemente dal momento che si verifica nell’Occidente un arrogante identificazione della
cultura occidentale con la cultura in quanto tale. Qui De Martino parla di “etnocentrismo
dogmatico”. E’ proprio questo concetto che deve essere superato per arrivare al riconoscimento
automatico delle cultura “altre”, della loro dignità, del loro valore e della loro pluralità. Ma ciò può
avvenire unicamente in due momenti: la misurazione dell’alieno rispetto a sé e la misurazione di sé
rispetto all’alieno, entrambi quindi posti sullo stesso piano. Pertanto, fondamentale diventa la
comprensione che l’alieno, la differenza non deve essere vista e vissuta sotto la prigione della
paura, ma come stimolo per una rinnovata coscienza di sé e della vastità di possibilità che il nostro
mondo ci offre.
Per cercare di rendere ancora più comprensibile tale concetto riporto uno dei casi etnografici
riferiti da De Martino nel secondo capitolo di Il Mondo magico, opera che intende sviluppare il
problema della ‘realtà dei poteri magici’:
“ Una volta un indigeno lengua del Paraguay accusò il missionario Grubb di avere rubato
le zucche del suo giardino, per il semplice fatto che lo aveva visto in sogno compiere
questo atto. Sebbene il missionario si affannasse a convincere il suo accusatore della
falsità dell’accusa, questi tenne duro: Grubb aveva rubato le zucche, poiché in sogno era
stato visto entrare nel giardino e portarle via (p. 163) “
L’episodio interessa a De Martino perché evidenzia certi problemi filosofici implicati nel confronto
tra culture diverse, sui quali egli impernia la sua critica alle scuole etnologiche «naturalistiche» e il
suo tentativo di rifondazione della disciplina. Che senso possiamo dare alla posizione del
missionario Grubb, accusato sulla base di una testimonianza onirica? L’interpretazione più
immediata, di senso comune, sarebbe pressappoco questa: il missionario è oggettivamente
innocente, e l’accusa dell’indigeno non ha alcun fondamento reale. Ammessa la buona fede di
quest’ultimo, la sua convinzione nella colpevolezza di Grubb poggia su una qualche illusione: p.
es. su erronee credenze, su pregiudizi che distorcono sistematicamente i .normali. processi
cognitivi e producono impermeabilità all’esperienza, etc. In effetti, le spiegazioni offerte dalle
scuole antropologiche classiche della .irrazionalità. delle culture primitive sono tutte variazioni su
questo tema. Loro matrice è la contrapposizione illuminista (e prima ancora cartesiana) tra una
ragione pura che, lasciata libera di dispiegarsi, giungerà « naturalmente » a cogliere la verità, e il
64
pregiudizio, l’autorità, la tradizione, che producono inevitabilmente errore. Per De Martino questa
interpretazione è illegittima, e pecca di quella grave forma di etnocentrismo consistente nel
sovrapporre in modo acritico le categorie conoscitive della nostra cultura (quella del missionario
Grubb, dell’antropologo che ne interpreta le vicende, del lettore dei libri di antropologia) a quelle
di un’altra cultura. Nel caso del furto delle zucche entrano per l’appunto in gioco categorie e criteri
di giudizio - p. es. l’ .oggettività. delle prove d’accusa - che non sono dati a priori nel patrimonio
intellettuale di ogni uomo, ma risultano storicamente e culturalmente determinati. Le culture sono
concepite come entità in qualche modo incommensurabili, ognuna delle quali si crea la propria
realtà sulla base di differenti coordinate epistemologiche.
Il dramma dell'Occidente è di non aver mai potuto prendere le distanze da due atteggiamenti, i
quali in definitiva portano a un unico risultato: negare la cultura dell'altro, o negare la propria
cultura in nome di un universalismo molto particolare. Certo, è illusorio pretendere di sfuggire
all'assolutizzazione della propria cultura, e quindi a un certo etnocentrismo. Il quale è, tra tutte le
cose del mondo, la più condivisa. Ma la faccenda incomincia a diventare inquietante quando lo si
ignora o lo si nega; poiché questo assoluto è, ovviamente, sempre relativo. La religione e la scienza
(e in particolare la religione della scienza) veicolano in Occidente un'assolutizzazione del relativo,
come fanno tutti gli integralismi. La vera tolleranza incomincia con la relativizzazione
dell'assoluto. L'assolutizzazione dell'universale, in effetti, lo trasforma in un dogma religioso
comparabile all'integralismo islamico, che è il risultato dell'assolutizzazione simmetrica del
relativo e del particolare. Concludo riportando quella che a mio parere è una delle tesi relative al
superamento dell’impasse dei sistemi democratici globalizzanti, più rilevanti. Si tratta delle
conclusioni di Marco Martiniello,docente all’Università di Scienze Politiche a Liegi, autore di un
testo su Le società multietniche
41
:
«Ho voluto dimostrare come pensare l'accettazione della diversità culturale coincida con il
pensare la democrazia e come, nello stesso tempo, il rispetto per la democrazia rappresenti il
limite da non superare in fatto di accettazione della diversità culturale. Ebbene la scelta
deliberata della democrazia non viene mai motivata, eppure la si contesta nel mondo
industrializzato e anche altrove. Una questione tormentosa rimane aperta: questa riflessione sul
multiculturalismo è qualcosa di diverso da un nuovo tentativo di imporre al mondo intero un credo
tipicamente occidentale? Penso di no [...] In altri termini, anche se la fede nella democrazia
traduce una forma di occidentalocentrismo, onestamente non posso fare a meno di proclamarla»
41 Martiniello M., 2000
65
Purtroppo per il professor Martiniello è il concetto di democrazia , sempre un concetto, nato in
occidente , nell’Atene del V secolo a .C. più volte mutato nei secoli e nelle circostanze ,che non è
esportabile. Se non come prodotto da immettere con varie strategie al consumo di un mercato. Si
può solo cercare di esportare un metodo, o un modo di porsi, la capacità di riflettere su di sé,
banalmente l’auto-ironia .
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