Anteprima - Italus Hortus

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Anteprima - Italus Hortus
Review n. 11 - Italus Hortus 17 (1), 2010: 59-73
Origini, diffusione e ruolo multifunzionale dell’orticoltura urbana amatoriale
Francesco Tei1* e Giorgio Gianquinto2
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università di Perugia, Borgo XX Giugno 74, 06121
Perugia
2 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali, Università di Bologna, Viale Fanin 44, 40127
Bologna
1
Ricezione: 16 novembre 2009; Accettazione: 24 gennaio 2010
Origin, spread and multifunctional
role of the urban horticulture
Abstract. The small urban gardens for horticultural
purposes are widespread in Europe and all over the
world. Urban gardens have similar origins everywhere. In Europe, they were a result of people migration from rural territories to urban areas during the
industrial revolution during 19th century. Workers and
their families lived in poverty, social alienation and
malnutrition, hence the so called migrant gardens or
poors’ gardens were useful tools to limit these negative side-effects of industrialization and urbanization.
Those gardens rose in lands belonging to local administrations, factories or religious communities. The
availability of vegetables and farmyard livestock from
those gardens became even more important in the
first half of the 20 th century, especially during the
world wars, when towns were isolated from the countryside and food deficiency occurred. The evolution of
economic and socio-cultural conditions after the II
World War shifted the original food production function of the community and allotment gardens toward
ecological-environmental, recreational, educational,
social and therapeutic functions. However, nowadays
the increasing food insecurity in the urban areas due
to the economic crisis has raised again the food production function. The ecological-environmental function of urban horticulture can be mainly due to the
effects of the “urban heat island” mitigation, urban
wastes recycling, transformation of city-owned vacant
lots, urban requalification and promotion of urbanrural linkage. The social and educational functions are
related to all the activities carried out with senior citizens and children in the allotment, community and
school gardens aimed, besides to the improvement of
food security, to establish contacts and overcome
loneliness, to have an opportunity of self-fulfillment
during the period of retirement, to increase knowledge, skills and positive attitude towards nature and
environment; moreover horticultural training can
*
[email protected]
improves job prospects and sense of well-being and
decreases recidivism for prison inmates. The psychological and health-related benefits of people-plant
interactions are well-known since centuries but only in
the last decades Horticultural Therapy has been
developed as one discipline of the several PlantAssisted Therapies in order to study and apply the
effects of the horticultural activities on human health
and well-being. The paper reviewed origins, spread
and aims of allotment and community gardens, horticultural therapy, horticulture activities for children education, inmates and senior citizens with a particular
attention to the Italian situation.
Key words: allotment and community gardens, horticultural therapy, elderly, children, inmates.
Diffusione e origini storiche
I piccoli appezzamenti di terreno in ambito urbano
adibiti ad orti amatoriali sono una realtà diffusa in
tutto il mondo come testimoniano i “kleingärten” in
Austria, Svizzera e Germania, gli “ogròdek
dzialkòwy” in Polonia, i “rodinnà zahradka” nella
Repubblica Ceca, i “kiskertek” in Ungheria, i “volkstuin” in Olanda e Belgio, i “jardins ouvriers” o “jardins familiaux” in Francia e Belgio, i “kolonihave” in
Danimarca, i “kolonihage” in Norvegia, i “kolonitraetgard” in Svezia, i “siirtolapuutarhat” in
Finlandia, gli “shimin-noen” in Giappone, i “community gardens” e gli “allotment gardens” nei paesi
anglosassoni, gli “orti urbani” o gli “orti sociali” nel
nostro paese (Groening, 2005).
L’origine degli orti urbani è, comunque, molto
simile nelle diverse parti del mondo: durante il periodo di industrializzazione un elevato numero di lavoratori e le loro famiglie sono emigrati dalle zone rurali
verso le città in cerca di lavoro nelle fabbriche. Molto
spesso queste famiglie vivevano in condizioni economiche precarie, di emarginazione sociale e di malnutrizione per cui gli “orti dei poveri” (i migrant gar59
Tei e Gianquinto
dens anglosassoni, i jardins ouvriers francesi), allestiti in appezzamenti di proprietà delle amministrazioni
locali, delle fabbriche o di comunità religiose, ebbero
il compito di alleviare questa situazione permettendo
la coltivazioni di ortaggi e l’allevamento di piccoli
animali. La loro utilità e diffusione divenne ancora
più importante nella prima metà del XX secolo,
durante le due Guerre Mondiali, quando la situazione
socio-economica era sconvolgente soprattutto dal
punto di vista alimentare. Molte città infatti erano isolate dalle zone rurali periferiche cosicché i prodotti
agricoli non riuscivano più a raggiungere i mercati
cittadini ed erano venduti a prezzi molto alti o al mercato nero. Conseguentemente la produzione di derrate
alimentari, soprattutto frutta e ortaggi, negli orti familiari e negli orti urbani (divenuti “orti di guerra”)
divenne essenziale per la sopravvivenza (Ferrari,
1919; Matsuo, 2000).
Tutte queste forme di orticoltura urbana dalla finalità originaria di assicurare l’approvvigionamento di
derrate alimentari si sono poi evolute (La Malfa,
1997; Hynes e Howe, 2004; La Malfa et al., 2009)
svolgendo funzioni estetico-ricreative, educative
(Taylor et al., 1998; Wells, 2000), sociali (Westphal,
2003; Tei, 1997; Tei e Caprai, 2009; Tei et al., 2009)
o terapeutiche (Zerbini e Ponzellini, 1997; Crouch,
2000; Ferrini e Trombettoni, 2000; Lorenzini e Lenzi,
2003) in relazione alle mutate condizioni economiche
e socio-culturali.
I “community gardens” e gli “allotment gardens”
dei paesi anglosassoni sono paradigmatici di questa
evoluzione. I community gardens sono appezzamenti
di terreno che sono curati collettivamente da un gruppo di persone. La maggior parte dei community gardens sono aperti al pubblico per la fruizione di spazi
verdi in aree urbane con diverse opportunità di relazioni sociali, ricreazione, formazione, semplice relax
e, ovviamente, produzione di ortaggi e altre colture a
cura diretta degli associati. I community gardens sono
diffusi in tutto il mondo ma particolarmente negli
USA, in Canada, Australia e Nuova Zelanda anche se
i loro scopi, struttura e organizzazione sono piuttosto
variabili: in nord America (Hynes e Howe, 2004) i
community gardens spaziano da aree familiari (versione contemporanea dei “relief gardens” e dei “victory gardens”, orti di guerra), dove si coltivano piccoli appezzamenti di ortaggi a interventi di “rinverdimento” di angoli di strada, fino a progetti più ampi di
verde urbano allo scopo di preservare o mantener aree
naturali e parchi o recuperare e riqualificare aree
urbane dismesse in ambienti urbani degradati dal
punto di vista urbanistico e sociale (si veda ad esempio a New York l’organizzazione “Green Guerrillas”,
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www.greenguerrilas.org, o quella Green Thumb,
www.greenthumbnyc.org). In Gran Bretagna e nel
resto dell’Europa, invece, gli orti urbani amatoriali
hanno assunto prevalentemente il carattere di “allotment gardens”, cioè di aree suddivise in piccoli
appezzamenti assegnati per la coltivazione ad un singolo associato a fini produttivi, sociali o educativi
(Crouch, 2000; Groenig, 2005).
La prima associazione di singole persone, famiglie
o piccole comunità dedite alla coltivazione di orti
urbani fu costituita in Germania nel 1864 in seguito
alle iniziative elaborate dal medico Daniel Gottlob
Moritz Schreber (1808 - 1861) a cui in quel paese è
ancora associata l’idea degli orti urbani che prendono
perciò anche il nome di “Schrebergarten”. Nel 1921,
dopo più di un decennio di discussioni preparatorie,
gli orti urbani tedeschi si sono organizzati nella
Bundesverband der Gartenfreunde (www.kleingartenbund.de/bundesverband) che oggi riunisce circa 1,5
milioni di membri in circa 15.000 associazioni (di cui
ben 900 con 80.000 orti nella sola Berlino) (Drescher,
2001).
In Inghilterra i circa 300.000 orti urbani amatoriali
sono organizzati in più società, tra le quali, la più
importante è la National Society of Allotment and
Leisure Gardeners (NSALG) le cui origini risalgono
al 1901 (www.nsalg.org.uk).
Negli USA gli orticoltori urbani hanno costituito
varie associazioni accorpatesi poi nel 1979 nella
American Community Gardening Association
(www.communitygarden.org).
In Canada c’è una diffusione crescente dei “community and allotment gardens” e di altre forme di orticoltura urbana (rooftop and back-yards gardens,
urban farms...) al fine di contribuire alla sicurezza alimentare di alcune fasce sociali di cittadini. Oggi
Montreal ha il più grande programma di orticoltura
urbana del Canada e, su 100 community gardens, 73
sono mantenuti dall’amministrazione cittadina che
fornisce gli appezzamenti, le attrezzature, l’approvvigionamento idrico, la raccolta di residui e provvede
anche a forme di assistenza tecnica (Fairholm, 1999).
L’origine degli orti a Montreal risale agli inizi degli
anni Settanta, quando dei cittadini di origine prevalentemente italiana e portoghese cominciano ad appropriarsi degli incolti ai lati della ferrovia e delle linee
idroelettriche. Il primo programma ufficiale ed organizzato di “orticoltura della comunità” nasce nel
1975; in seguito nel 1979, grazie all’attivismo di
Pierre Bourque – l’allora direttore dell’orto botanico,
che sarebbe poi diventato sindaco di Montreal –,
l’amministrazione comunale decide di classificare a
parco buona parte degli orti urbani per sottrarli alla
Orticoltura urbana
lottizzazione. Grazie a questa iniziativa, ben due terzi
degli orti urbani di Montreal sono classificati attualmente a parco.
In Francia la storia degli orti urbani ha ufficialmente inizio nel 1896, anno in cui l’abate Lemire fonda la
“Ligue du Coin de Terre et du Foyer” e crea l’“Ouvre
de Jardins Ouvriers” allo scopo di offrire un aiuto alle
famiglie in gravi difficoltà economiche. Durante
l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1900, l’associazione ha un proprio stand in cui presenta il progetto degli orti urbani e nel 1909 i “jardin ouvriers”
vengono riconosciuti di pubblica utilità. La diffusione
degli orti è enorme durante gli anni del primo conflitto
mondiale e nel 1926, nel trentennale dell’associazione, sotto lo stimolo della lega francese (che, nel 1921,
aveva mutato il nome in “Fédération Nationale des
Jardins Ouvriers de France”) viene istituito l’“Office
International du Coin de Terre et des Jardins
Ouvriers” ad opera dei delegati degli orti di Francia,
Lussemburgo, Austria, Inghilterra, Germania. Nel
1952 si perviene all’approvazione di una vera legge
organica su gli orti operai, che ha effetti anche sul
Codice Rurale e sul Codice Generale e delle Imposte.
Oggi l’Office International du Coin de Terre et des
Jardins Ouvriers è il più importante raggruppamento
di orti urbani amatoriali d’Europa che raggruppa organizzazioni di 14 nazioni (Austria, Belgio, Danimarca,
Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna,
Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Polonia, Slovacchia,
Svezia, Svizzera) con più di 3 milioni di associati
(www.jardins-familiaux.org).
In Giappone l’associazione degli orti urbani
(Shimin-noen Seibi Sokushin-ho) si è formata negli
anni ‘80 prendendo ad esempio l’esperienza tedesca e
inglese (Matsuo, 2000).
In Italia, coltivazioni orticole erano presenti all’interno delle aree urbane già dalla prima metà del XIX
secolo; tale presenza accompagnò lo sviluppo delle
città nei decenni successivi integrandosi alle trasformazioni urbanistiche, in particolare del nord Italia. In
questo periodo e nei primi decenni del XX secolo, il
carattere autonomo e spontaneo degli orti urbani coesiste con iniziali forme di assegnazione e gestione di
aree orticole, messe in atto direttamente da imprenditori industriali attraverso i cosiddetti “villaggi operai”.
In molte città italiane, all’inizio degli anni ’40, gli orti
cambiano nome e diventano “orti di guerra”. Il numero sale vertiginosamente in quasi tutte le città (a
Milano si passa da meno di mille a più di diecimila
unità), dove vengono messe a coltivo anche le aree
comunali a giardino, i parchi pubblici, le sedi stradali.
Durante il conflitto anche le aree distrutte dai bombardamenti vengono coltivate. Finita la guerra iniziano le
attività di ricostruzione: cresce il lavoro, crescono le
industrie, la città si ingrandisce, il prezzo dei terreni
fabbricabili sale e così il fenomeno degli orti urbani
decresce significativamente. Ma gli orti non spariscono del tutto, si spostano dai centri cittadini per ricomparire, spesso abusivamente, nelle periferie. In città
come Milano e Torino, i coltivatori sono gli immigrati
dalle campagne per i quali è stato traumatico il balzo
alla città e alla grande fabbrica (Novelli, 1982). Dopo
questa fase, databile tra gli anni ’50 e ’60, il fenomeno
degli orti urbani riprende vigore soprattutto nelle città
industriali del nord, in particolare nelle aree periurbane, cioè in quelle zone di “transizione” tra città e campagna destinate storicamente ad accogliere determinate attività (industrie, infrastrutture ferroviarie, depositi, centrali del gas e dell’acqua, ecc.) e che in quegli
anni vengono inglobate all’interno delle città in crescita. Sono queste zone caratterizzate da un diffuso
degrado e dall’isolamento sociale tipici dei quartieri
dell’estrema periferia cittadina. È qui che saranno edificati i complessi abitativi destinati alla nuova manodopera industriale proveniente dal meridione di Italia
e sono queste le aree in cui il fenomeno degli orti
urbani avrà il suo massimo sviluppo. A questo riguardo, il caso di Torino è significativo: nella città piemontese, durante gli anni ’70, gli orti erano ad appannaggio degli immigrati meridionali e, nel 1980, su una
popolazione residente di circa 1.143.000 abitanti risultava una superficie ortiva di 146 ha. L’ampiezza del
fenomeno spinse l’Amministrazione Comunale, nell’ambito di un ampio progetto di riqualificazione di
aree marginali della città e di regolamentazione degli
spazi ortivi in esse presenti, ad avviare uno studio
approfondito sul fenomeno degli orti urbani da cui
emerse che gli artefici del boom orticolo torinese
erano proprio gli immigrati meridionali: contadini,
braccianti, pastori che, costretti a trasformarsi in operai nelle grandi fabbriche, mantenevano un rapporto
con la loro cultura d’origine, con le loro radici, attraverso la coltivazione di decine di migliaia di piccoli
appezzamenti, ricavati lungo le rive dei fiumi cittadini
(Sangone, Stura, Dora, Po), lungo le reti ferroviarie, i
tracciati viari e in qualunque altro pezzo di terreno
residuale (Brino, 1982). Nello stesso periodo, a
Milano, viene svolta dall’Associazione Italia Nostra
una ricerca sulla situazione ortiva dal dopo guerra in
poi. Dallo studio si rileva una crescita consistente
degli orti urbani fra il 1964 ed il 1980: si passa, infatti, da circa 91 ha di aree orticole a 285 ha (Bulli,
2006). I lotti sono coltivati o da anziani (la maggior
parte dei quali possedevano l’orto già da molto
tempo) o da giovani immigrati (ci si riferisce ancora
ad una immigrazione interna al paese) che integrano
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Tei e Gianquinto
tale attività con il lavoro dipendente. A partire da questo studio, il comune di Milano, ravvisando l’utilità
sociale degli orti, incarica gli uffici decentrati di censire le aree potenzialmente adatte alla coltivazione
urbana e di fornire una lista di persone interessate al
progetto (Bulli, 2006). Attualmente, il fenomeno
degli orti sociali nell’hinterland milanese è ampio e
diversificato. Di particolare interesse risultano le
esperienze del “Parco Nord Milano” e di
“Boscoincittà”. A partire da quegli anni, assieme a
Torino e Milano, altri capoluoghi di provincia e molti
altri comuni hanno messo a disposizione appezzamenti di terreno ed hanno riproposto l’esperienza
degli orti mutuandola sulla propria tipologia urbana
ed in risposta alle dinamiche sociali delle loro comunità. Tra i più attivi sono da segnalare i comuni
dell’Emilia Romagna dove si sono moltiplicate le
esperienze di orti urbani, rivolte soprattutto agli
anziani, e dove è sorta nel 1990 l’Associazione
Nazionale Centri Sociali, Comitati Anziani e Orti
(ANCeSCAO), oramai diffusa in tutto il Paese e che
conta oltre 381.000 soci e 1.210 Centri Sociali
(www.ancescao.it).
Il riconoscimento dell’importanza degli orti urbani
e l’esigenza di contenerne gli aspetti di spontaneità e
abusivismo si è tradotta poi nella redazione dei primi
regolamenti, contenenti i criteri per l’assegnazione di
aree orticole ai cittadini interessati da parte delle
amministrazioni comunali. Il primo regolamento italiano di orti sociali comunali è stato redatto a Modena
nel 1980, in virtù del quale sono stati assegnati, a pensionati di età superiore ai 55 anni, sei orti su un terreno suburbano non edificabile. Da allora molte
Amministrazioni comunali, soprattutto in Italia settentrionale, hanno fatto altrettanto, andando incontro
a una sempre maggiore richiesta dei residenti di terra
da coltivare.
Funzione produttiva
Come si è visto, tra gli anni ’70 e ’80, periodo
caratterizzato da una forte espansione industriale, gli
orti urbani si sono sviluppati soprattutto dove era in
atto un massiccio processo di inurbamento, connesso
a fenomeni di immigrazione di massa. La funzione
agricolo-produttiva era da considerarsi a pieno titolo
la più importante. Gli orti urbani fornivano un prodotto che serviva in maniera preponderante all’autoconsumo, ma che si immetteva anche in un circuito di
economia di baratto (Crespi, 1982). L’integrazione di
un salario insufficiente, ottenuta con grande fatica
(spesso i terreni si presentavano come vere e proprie
discariche), era sicuramente la componente primaria
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ma certamente non l’unica. Il profilo tipo dell’orticoltore urbano era quello di chi cerca di recuperare valori
e radici che sembrano lontani e perduti, anche a costo
di conquistarsi, spesso abusivamente, un fazzoletto di
terra in aree marginali e degradate delle periferie
urbane. In questi nuovi contadini operai vi era la
volontà di recuperare valori ed esperienze lontani
attraverso strumenti come la terra e l’agricoltura legati
al loro vissuto. L’orto dunque si rivelava anche elemento di identificazione per gli immigrati e dava,
inoltre, opportunità di svago, di impiego del tempo
libero, occasioni di ritrovo.
A partire dagli anni ’90, il crescente benessere nei
paesi industrializzati ha collocato in secondo piano la
produttività dell’orto, intesa come integrazione del
reddito. Il prodotto è sì ancora importante, ma si sono
fatte spazio altre esigenze, come la possibilità di avere
a disposizione alimenti freschi di cui si conosce il processo produttivo. L’orto acquista importanza anche
per la valorizzazione, il mantenimento e la conservazione di prodotti vegetali tipici del territorio. La produzione degli orti urbani è ancora destinata principalmente all’autoconsumo, ma ci sono anche orticoltori
che vendono i loro prodotti, a buon prezzo, ai vicini di
casa e ai gruppi di acquisto solidale, i cosiddetti GAS,
che “fanno la spesa” direttamente dai piccoli coltivatori urbani (Bulli, 2006).
Oggi, i problemi crescenti delle economie sviluppate e una sempre più ampia fascia di popolazione
urbanizzata in condizioni di sottoalimentazione e precarietà del reddito (FAO, 2009) sembrano in qualche
modo ridare importanza all’originale funzione utilitaristica (Sharps, 1995; Smit, 1996; Garnett, 2000;
Ghosh, 2004; Hynes e Howe, 2004).
Funzione ecologico-ambientale
È noto che nelle città il clima presenta importanti
differenze rispetto a quello delle aree circostanti, che
la qualità dell’aria è scarsa e che è più difficile la
gestione del ciclo delle acque. Uno studio condotto a
Firenze ha messo in luce che per il 70% della giornata
esiste un effetto “isola di calore” e che tale effetto è
più evidente durante la notte quando la temperatura
decresce più lentamente e in minor misura rispetto
alle zone rurali (Bacci e Morabito, 2003).
L’espansione delle aree verdi in città, compresi gli
orti urbani, migliora il microclima attraverso il processo evapotraspirativo (Konijnendijk e Gauthier,
2006). La presenza di alberi, ma anche di piante erbacee, riduce le polveri in sospensione e la carica inquinante di molti composti, tra cui il biossido di azoto
(NO2) (Harris e Manning, 2009). La coltivazione in
Orticoltura urbana
ambiente urbano contribuisce alla riduzione dell’impronta ecologica delle città perché ricicla i rifiuti organici che vengono usati come ammendanti (Ghosh,
2004) e riqualifica aree non utilizzate e degradate dal
punto di vista urbanistico Nelle zone periferiche,
funge da collegamento e da interfaccia tra l’ambiente
urbano e le aree rurali. Purtroppo in Italia, diversamente da quanto avviene in altri Paesi, raramente gli
orti urbani vengono considerati per la loro funzione
ambientale e non si dà valore all’azione di salvaguardia che svolgono rispetto alla crescente cementificazione e al ruolo di inventori e gestori del verde rivestito dagli “orticoltori urbani”.
Funzione sociale e didattica
Nella terminologia corrente si definiscono orti con
prevalente funzione sociale quelli rivolti agli anziani,
per “rompere l’isolamento e incentivare i momenti di
socializzazione”, come viene riportato, ad esempio,
dal Regolamento del Comune di Modena. La funzione
sociale degli orti non dovrebbe però limitarsi all’ultima fascia di età, ma dovrebbe prendere in maggiore
considerazione anche giovani disoccupati, immigrati
stranieri o, semplicemente, famiglie diventando così
veicolo di aggregazione sociale, confronto intergenerazionale e interculturale. È un esempio ciò che accade a Montreal, dove ci sono orti multietnici nei quali
si parlano tanti idiomi diversi e i membri delle diverse
comunità si scambiano esperienze e punti di vista coltivando un certo numero di ortaggi esotici con tecniche colturali che spesso differiscono da quelle normalmente praticate nella zona. Altri esempi riguardano gli
orti svizzeri e le loro casette di legno, vere e proprie
residenze per il fine settimana, o i giardini familiari
francesi nei quali è tutto il nucleo familiare che si
occupa della cura dell’orto. La funzione sociale dell’orto urbano, nel senso più ampio del termine, va
intesa come un modo per aggregare delle persone che
a volte non riescono ad incontrarsi fosse anche solo
per mancanza di spazio, di tempo o di un motivo per
essere in un determinato momento in un determinato
luogo tutti insieme (Bulli, 2006).
Importante è poi la funzione didattica che hanno
gli orti per i bambini delle scuole e degli asili perché
permettono di avere un rapporto diretto con la natura
fin dall’infanzia; è uno dei modi migliori per i bambini di diventare ecologicamente formati e quindi in
grado di contribuire a costruire un futuro sostenibile
(Capra, 2005). Mantenere un orto è un’attività che
mette a frutto capacità manuali, conoscenze scientifiche e sviluppo del pensiero logico; costituisce un’occasione per stimolare lo spirito creativo, l’osservazio-
ne e la curiosità, capire i meccanismi che regolano i
cicli naturali. Inoltre in un orto il rifiuto, inteso come
“avanzo da eliminare”, non esiste: gli scarti organici
ridiventano risorsa da immettere nuovamente nel ciclo
naturale. Queste esperienze, molto utilizzate all’estero, favoriscono il rispetto per l’ambiente, per la natura
e i suoi ritmi, la riscoperta dei tempi biologici, l’arricchimento delle conoscenze relative alla vita di piante
e animali, un modo per valorizzare e salvaguardare fin
da piccoli gli spazi verdi di una città.
Funzioni “terapeutiche”
“Ortoterapia” (Horticultural Therapy) è il termine
con il quale si indica la metodologia base che vede
l’utilizzo dell’orticoltura come supporto in processi
terapeutici di riabilitazione fisica e psichica di persone
che presentano determinati handicap, particolari
disturbi o forme di disagio sociale (Matsuo, 1998).
Il principio fondamentale sul quale si basa l’ortoterapia è la più generale positiva azione psicologica e
fisiologica (Urlich, 1984; Doxon et al., 1987; Kim e
Mattson, 2002; Coleman e Mattson, 2005; Liu et al.,
2004; Park et al., 2004; Sugimoto et al., 2006; Park e
Mattson, 2008, 2009) di tutte le sensazioni ed emozioni che scaturiscono dal contatto con la natura, soprattutto in quei contesti (una passeggiata in un parco, la
cura di un orto, la presenza e la vista di piante e
fiori…) in cui tale rapporto uomo/natura non ha il
carattere di impegno lavorativo (Ulrich et al., 1991;
Kaplan, 1995; Roszak, 1992; Lewis, 1996; Owen,
2002; Thwaites et al., 2005; van den Berg et al., 2007;
Mattson, 2008, 2009).
Matsuo (2008), partendo dalla constatazione che il
benefico effetto delle relazioni “uomo-piante” è estremamente variabile e ha favorito lo studio, l’elaborazione e la messa a punto di numerose terapie con le
piante, ha proposto una classificazione e una definizione dell’interazione che tra loro intercorre fornendo
anche un quadro concettuale più chiaro di come l’orticoltura amatoriale possa svolgere funzioni terapeutiche in senso lato favorendo il benessere (well-being)
dell’uomo.
Secondo l’autore le terapie che rientrano nel complesso della “terapia assistita svolta con l’ausilio delle
piante” (Plant-Assisted Therapy, PLAT) possono
essere classificate in tre gruppi principali: il primo
basato sul tipo di piante usato (es. fiori, ortaggi, frutti,
erbe, prati, foreste…); il secondo sul luogo in cui la
terapia è condotta (es. foresta, orto, giardino, azienda,
parco…); il terzo sul tipo di attività con le piante (es.
horticultural therapay, agricultural therapy, farming
therapy, plant art therapy…).
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Tei e Gianquinto
Ogni attività umana con le piante implica azioni o
comportamenti che si riallacciano istintivamente e
geneticamente alle azioni ancestrali di “promozione”
(fostering) e “acquisizione” (acquiring). Il “promuovere” include le azioni di nutrizione e di allevamento
(es. coltivazione e cura delle piante ...) mentre il processo di “acquisizione” include sia il “cacciare” (hunting) (es. la percezione delle piante con i cinque sensi,
la raccolta dei frutti della terra, l’ammirazione di piante e fiori, il mangiare …) che il “fare” (making) (es.
disegnare le piante, intagliare il legno, cucinare gli
ortaggi, sistemare i fiori in un vaso …). Ogni tipo di
relazione umana con le piante, pertanto, può rientare
nell’Horticultural Therapy (HT) se prevale un’azione
di promozione e una Plant-Perceptive Therapy (PPT,
terapia percettiva svolta con l’ausilio delle piante) se
prevale l’azione di acquisizione. LA PPT può essere a
sua volta suddivisa in due tipi di terapia: la Plant
Acceptive Therapy (PACT), che include attività quali
la raccolta delle piante, la percezione sensoriale di
piante e fiori...(prevale l’azione del “cacciare”), e la
Plant Art Therapy (PART), che è basata sulle attività
manuali (prevale il “fare”) come disegnare piante e
fiori o dedicarsi all’ikebana (fig. 1).
Fig. 1 - Terapia assistita svolta con l’ausilio delle piante:
classificazione dei diversi tipi di terapie in funzione del tipo di
azione dell’uomo con le piante (da Matsuo, 2008; modificato).
Fig. 1 - Plant assisted therapy: Naming therapies based on human
actions to plants (after Matsuo, 2008; modified).
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Nella coltivazione di un orto, pur prevalendo l’azione di benessere legata alla coltivazione delle piante, non si può ignorare un processo iterativo più complesso che implica attività percettive sensoriali e pratiche (fig. 2).
La coltivazione di un orto, obbligando alla cura
della crescita delle piante, implica un’assunzione di
responsabilità, con conseguente aumento di fiducia in
se stessi e nelle proprie capacità; la soddisfazione di
ottenere un risultato concreto e tangibile ed il frequente lavoro di gruppo, che favorisce la socializzazione e
la convivenza, sono altri elementi qualificanti di questa attività (Lorenzini e Lenzi, 2003).
Sebbene le dimostrazioni scientifiche degli effetti
positivi del coltivare un orto sulla pressione sanguigna, temperatura corporea, attività cerebrale, risposta
del sistema immunitario e sfera psicologica siano
recenti (Doxon et al., 1987; Kim e Mattson, 2002;
Coleman e Mattson, 2005; Liu et al., 2004; Park et
al., 2004; Sugimoto et al., 2006; Park e Mattson,
2008, 2009) le intuizioni sui suoi effetti benefici sulla
Fig. 2 - Struttura schematica del processo comportamentale umano
in orticoltura. L’orticoltura è il comportamento di “promuove” le
piante che consiste in un processo di feedback della percezione
sensoriale e di quella impegnata che unisce le azioni del
“cacciare”, del nutrire e del fare nel processo di coltivare. Il
processo iterativo di feedback verticale indica le azioni svolte
dall’uomo in relazione alle piante (da Matsuo, 2008; modificato)
Fig. 2 - Schematic structure of horticulture. Horticulture is the
behaviour of “fostering”plants that consists of the feedback
process of sensory perception and engaged perception, which
unites hunting, nurturing, and making actions in the growing
process of plants. Vertical feedback loop indicates human actions
to plants (after Matsuo, 2008; modified).
Orticoltura urbana
salute dell’uomo sono decisamente più antiche. Infatti
più di 2000 anni fa i cinesi Taoisti costruivano i giardini nella convinzione che l’ambiente avesse benefici
effetti sulla salute (Louv, 2007). In Europa le attività
terapeutiche legate all’orticoltura sono state documentate come benefiche già nel ‘600 negli ospedali psichiatrici spagnoli (Watson e Burlingame, 1960). In
America nel 1798, il Dr. Benjamin Rush (1745 - 1813,
patriota americano, firmatario della Dichiarazione
d’Indipendenza, medico generico nell’Esercito
Continentale, insegnante di medicina e decano della
scuola di medicina dell’Università della Pennsylvania
oltre che padre della psichiatria americana) affermava
che “lavorare il terreno aveva effetti curativi sulle
malattie mentali e attraverso il processo di sudorazione rimuoveva dal corpo alcuni veleni che causavano la
malattia mentale”. Nel suo ultimo libro, “The Diseases
of The Mind” (Rush, 1812), menzionò la pratica dell’orticoltura e del giardinaggio come un rimedio per
l’ansia o disturbi fobici o, più in generale contro la
depressione e osservò come i suoi pazienti, dedicandosi a questa attività, riuscivano a superare alcuni tipi
di disagio su cui la normale medicina non otteneva
risultati. Nelle colonie americane nel 1813 i Quaccheri
fondarono a Filadelfia il Friends Hospital e usavano il
giardinaggio come un importante modalità di trattamento per le malattie mentali (Lewis, 1996). Nel
1890, il Dr. Charles Menninger di Topeka nel Kansas
fondò un centro per la cura di malattie mentali per
condurre ricerche e trattare pazienti. Uno dei suoi
figli, il Dr. Karl Menninger, lavorando con l’horticultural therapist Rhea McCandliss e la Horticulture
Faculty della Kansas State University, sviluppò nel
1971 il primo programma universitario di ortoterapia.
Oggi in tutto il mondo l’ortoterapia è una metodologia consolidata e riconosciuta per il trattamento di
un ampio ventaglio di disturbi per le persone in programmi non solo terapeutici ma anche votati al semplice benessere delle persone, come si evince dagli
scopi e dai campi di attività di numerose associazioni
come l’American Horticultural Therapy Association
(la cui rivista scientifica ufficiale è il Journal of
Therapeutic Horticulture) fondata nel 1973
(www.ahta.org), la Thrive fondata nel 1978 in
Inghilterra (www.thrive.org.uk), la Canadian
Horticultural Therapy Association fondata nel 1987
(www.chta.ca), la Japanese Horticultural Therapy
Society fondata nel 1996 (www.jhts.jp), l’Australian
Horticultural Therapy Association (www.ahta.
org.au), la German Association for Horticulture and
Therapy fondata nel 2001 (www.ggut.org), l’associazione Horticultural Therapy Swiss costituita nel 2004
(www.horticulturaltherapy.ch) e dai sempre più nume-
rosi corsi universitari.
In Italia, per il momento, solo la Scuola Agraria
del Parco di Monza ha indetto corsi periodici di specializzazione per ortoterapista, riconosciuti ufficialmente a livello normativo e finanziati dalla Regione
Lombardia (Pedretti-Burls, 2005). La Scuola opera
direttamente dal 1992 nel campo dell’ortoterapia in
vari settori dell’handicap e del disagio sociale (anziani, disabili psichici, tossicodipendenza, carcere) e collabora attivamente, con propri docenti, nell’ambito di
convenzioni stipulate con Comuni, Centri PsicoSociali, Centri Socio Educativi, ASL, Unione Italiana
Lotta alla Distrofia Muscolare, Centro Residenziale
Terapeutico, Associazioni e Cooperative, nelle strutture delle quali si propongono attività di orticoltura e
giardinaggio come strumento di riabilitazione motoria
e psichica in alternativa o a complemento di altre attività riabilitative, come quelle ludiche, artistiche, artigianali, musicali e telematiche (Zerbini e Ponzellini,
1997). Comunque iniziative ortoterapiche rivolte prevalentemente a diversamente abili, malati mentali,
tossicodipendenti e convalescenti da gravi operazioni
chirurgiche sono presenti in molte parti di Italia sotto
l’organizzazione e la gestione di personale sanitario
delle ASL.
L’ortoterapia è di fatto una materia chiaramente
interdisciplinare che potrebbe aprire sbocchi professionali anche ad agronomi e periti agrari nelle fasi
progettuali, nella scelta delle tecniche colturali, nella
razionalizzazione degli spazi e nella scelta delle piante idonee da utilizzare in collaborazione con medici,
psicologi e fisioterapisti.
Forte limitazione alla diffusione di questo tipo di
attività è costituita dal fatto che lo slancio propositivo
di alcune isolate realtà non è supportato a livello
nazionale dalla presenza attiva di associazioni o da
organismi amministrativi centrali, che ne coordinino e
ne promuovano lo sviluppo.
Oltre all’applicazione tradizionale in campo sanitario, nel nostro paese l’ortoterapia ha trovato e seguita
a trovare un interesse particolare nei programmi di
formazione e riabilitazione della popolazione carceraria, nei programmi formativi scolastici e quale efficace strumento per una sana vita degli anziani.
Orticoltura negli istituti carcerari
I corsi di formazione di orticoltura e le attività
agricole in ambito carcerario possono aiutare a cambiare le attitudini e gli obiettivi di vita dei detenuti
(Migura et al., 1996, 1997; Rice e Remy, 1998;
Traunfeld e Kafami, 1999; O’Callaghan et al., 2009).
È per questo che anche nel nostro paese sono
65
Tei e Gianquinto
numerosi gli esempi di programmi condotti nelle case
circondariali, sia maschili che femminili, e negli istituti di pena per minori che prevedono attività formative teoriche e pratiche in orticoltura e floricoltura
(spesso organizzate in collaborazione con le
Università) con la possibilità anche di commercializzare i prodotti all’esterno delle strutture carcerarie.
Generalmente gli scopi sono quelli di:
• realizzare interventi riabilitativi per detenuti, spesso tossicodipendenti, sottoposti a procedimenti
giudiziari;
• incentivare le strutture riabilitative che adottano
modalità di intervento integrato bio-psico-socioeducativo;
• realizzare percorsi integrati di sostegno e promozione dell’occupazione dei soggetti in uscita dai
programmi riabilitativi.
In genere i detenuti sono selezionati tenendo conto
di alcuni requisiti:
• con posizione giuridica definitiva e con un fine
pena non inferiore alla durata del programma;
• che non presentino particolari esigenze di cautela
sotto il profilo della sicurezza;
• che presentino motivazione personale alla partecipazione e siano, di conseguenza, disposti a sottoscrivere un impegno di partecipazione al progetto,
conoscendone gli obiettivi, l’articolazione e i
metodi;
• in presenza di una disponibilità superiore a quella
inizialmente stabilita, il criterio succedaneo riguarderà l’appartenenza ad una fascia di età compresa
tra i 30 e i 35 anni, per la quale la formazione professionale si ipotizza maggiormente utile ai fini di
un inserimento nel contesto lavorativo.
A fine 2008 i detenuti occupati nelle colonie e
“tenimenti agricoli”, registrati dal Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), risultavano 472 pari a circa il 3,3% dei detenuti “lavoranti”, in
leggero aumento rispetto all’anno precedente (a fine
2007 erano 372, pari al 2,8%). Questo incremento
seppur modesto è significativo se si tiene conto del
contesto della situazione penitenziaria complessiva,
caratterizzata da sovraffollamento, carenza di personale e taglio dei fondi che, oltre a determinare gravi
problemi alla condizione e allo stato di diritto dei
detenuti, limita fortemente anche la loro possibilità di
lavoro, che la normativa individua come uno degli
strumenti principali di rieducazione e reinserimento
sociale.
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in una relazione recente afferma che “...nel 2008 è
proseguito l’impegno per avviare attività agricole specializzate ad indirizzo biologico…”. A questo riguar-
66
do va segnalato che nel 2009 l’AIAB (Associazione
Italiana Agricoltura Biologica) ha elaborato il progetto “Agricoltura sociale e detenzione: un percorso di
futuro”, finanziato dal Ministero del Lavoro, della
Salute e delle Politiche Sociali con la collaborazione
del DAP ed ha organizzato un corso di formazione sul
ruolo dell’agricoltura nell’inclusione sociale e lavorativa dei detenuti.
Orticoltura per bambini e adolescenti
È dimostrato che le attività con le piante, in aree
verdi, giardini o orti, facilitano l’apprendimento e lo
sviluppo cognitivo e fisico dei bambini (Taylor et al.,
1998; Wells, 2000) perché stimolano i sensi, rinforzano il fisico e le difese immunitarie, insegnano la disciplina e la pazienza, facilitano la socializzazione, contribuiscono a formare una sensibilità ambientale.
A questo riguardo l’importanza didattica e formativa diventa cruciale qualora inserita nell’ambito di programmi scolastici (school gardens) come avviene fin
dagli anni ‘20 ad Amsterdam in Olanda o più recentemente nel “Land” Saxe-Anhalt in Germania o negli
USA.
Attività per bambini ed adolescenti sono organizzate regolarmente negli orti urbani in Germania,
Austria, Polonia e Lussemburgo, spesso insieme ai
genitori.
La FAO (2002), inoltre, promuove l’organizzazione e la diffusione di school gardens quale strumento
di miglioramento del livello di nutrizione e di istruzione dei bambini nei paesi in via di sviluppo.
In Italia gli orti scolastici esistevano già agli inizi
del XX secolo, in particolare a Milano, dove si sperimentavano le “scuole attive”, poi le iniziative sono
state pian piano abbandonate. Oggi il progetto “orto in
condotta” di Slow Food (www.slowfood.it), in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, che riprende un’analoga iniziativa degli school gardens nata nel
2003 negli USA, vede coinvolte 19 regioni, 224 orti
(di cui 49 in Toscana e 41 in Piemonte) e 16.800 bambini e ha lo scopo di migliorare l’approccio alimentare
delle nuove generazioni, di creare un rapporto con la
natura vitale e contagioso, di realizzare lo scambio tra
generazioni, visto che al progetto sono coinvolti i
genitori, i nonni e gli anziani dei quartieri (Cavallieri,
2009).
Orti urbani per anziani
Le attività connesse all’orticoltura amatoriale e al
giardinaggio sono di moderata intensità e provocano
stimoli sensoriali multipli per cui nelle persone adulte
Orticoltura urbana
favoriscono il miglioramento del livello di colesterolo
totale, della pressione sanguigna, della tonicità muscolare, della mobilità articolare, la diminuzione dell’incidenza di osteoporosi, di arresti cardiaci, di infarti,
della mortalità, l’aumento del benessere psicologico
ed il rafforzamento dell’integrazione sociale
(Caspersen et al., 1991; Reynolds, 1999; 2002).
I risultati sono così incoraggianti e costanti che
qualcuno ha pensato anche di proporre la cura del
verde come una attività sportiva per adulti: la “Green
gym”, attività nata in Inghilterra nel 1997 per invenzione del dottor William Bird, che vuole unire i benefici dell’attività fisica con il “volontariato ecologico” e
che in dodici anni ha coinvolto nel Regno Unito oltre
seimila persone, raggruppate in 55 progetti di lavoro
(www2.btcv.org.uk).
Comunque, per ottenere gli effetti benefici sulla
salute e sul benessere generale l’attività orticolturale
dovrebbe avere dei pre-requisiti che tengano conto
delle specifiche esigenze degli anziani (Koura et al.,
2009). Shoemaker e Lin (2008) propongono, a tal fine,
un modello in cui personale specializzato svolga un
ruolo attivo nell’elaborazione di programmi che integrino gli aspetti terapeutici, educativi e ricreativi dell’orticoltura per anziani (fig. 3).
Sugimoto (2008), inoltre, suggerisce la possibilità
di elaborare programmi integrati di orticoltura amato-
riale per anziani e bambini allo scopo di sfruttare le
interazioni positive del mutuo scambio intergenerazionale che è stato sperimentato in alcune iniziative
scolastiche in Italia centrale (Caprai, 2006).
Orti urbani per anziani: il caso Italia
Definizione
Gli orti urbani per anziani nel nostro paese sono
orti realizzati a fini sociali da Enti locali
(Amministrazioni Comunali o Provinciali) su terreni
di proprietà degli Enti stessi, oppure ad essi dati in
locazione da privati o resi disponibili gratuitamente,
che vengono assegnati a pensionati o a “casi sociali”
in comodato d’uso o in concessione a titolo gratuito o
dietro un modesto canone d’affitto.
Finalità
Lo scopo principale è di ricercare nuovi modelli e
soluzioni del problema anziani, coinvolgendoli in attività motorie e all’aria aperta, facilitandone l’impegno
del tempo libero in attività produttive ed operative al
fine di evitarne l’emarginazione dal tessuto sociale,
favorire le relazioni sociali e svolgere benefici effetti
sulla salute. Queste iniziative, inoltre, rappresentano
spesso un ritorno alle origini contadine ed esaudiscono un desiderio a lungo agognato.
Fig. 3 - Un modello per un ruolo professionale nell’orticoltura per anziani (da Shoemaker e Lin, 2008; modificato).
Fig. 3 - A model for the professional role in healthy aging with horticulture (after Shoemaker e Lin, 2008; modified).
67
Tei e Gianquinto
Dimensione del fenomeno
Gli orti per anziani non rientrano certamente tra
quelli censiti dall’ISTAT alla voce “orti familiari”
che include le superfici all’interno delle aziende agrarie, siano esse o meno nella cerchia urbana o periurbana, per la produzione di ortaggi destinati al consumo diretto della famiglia coltivatrice (La Malfa,
1997). Non possiamo nemmeno considerarli in generale orti realizzati su terreni “privati” urbani dove la
coltivazione assume carattere “hobbistico”, spesso
temporaneo e che sfugge a qualunque quantificazione.
Gli orti urbani per anziani sono perciò una realtà
su cui mancano statistiche ufficiali precise e attendibili a livello nazionale, anche da parte della stessa
ANCeSCAO.
Sulla base di un’indagine condotta presso tutte le
Amministrazioni Comunali dei Capoluoghi di
Provincia (e in quei comuni nei quali è stata segnalata
la presenza di orti dagli stessi Capoluoghi di
Provincia) (Tei, 1997; Caprai, 2006; Tei et al., 2008;
Tei e Caprai, 2009; Tei et al., 2009) e grazie ad una
rilevazione ufficiale realizzata in Emilia-Romagna dal
suo Sistema Informativo Socio-Assistenziale
(S.I.S.A.), si evidenzia che i comuni in Italia che
hanno orti urbani per anziani (tab. 1) sono 111 di cui
il 90% nel Nord Italia ed il 9% al Centro, per un totale di 18.709 orti (cioè singoli lotti); l’Emilia Romagna
da sola presenta 77 comuni e circa 14.000 orti.
Il numero di orti per comune e la loro superficie
sono ovviamente variabili in funzione di diversi fattori quali la pianificazione urbana adottata, la dimensione e la localizzazione delle aree urbane destinate agli
appezzamenti da orto, la sensibilità sociale, culturale
e politica delle autorità locali, la presenza di servizi
per i cittadini.
Nella maggior parte dei casi (64% del totale) gli
orti hanno una superficie da 30 a 70 m2 (tab. 1) ma
non sono rare (12%) amministrazioni che assegnano
appezzamenti superiori a 100 m 2 : per esempio a
Trieste (500 m2), a Marano (Na, 400 m2), a Perugia
(150 m2) e in ben 10 comuni in Emilia-Romagna (Tei,
1997).
La maggior parte degli orti è stata sviluppata a partire dal 1975 ma in molti regioni le iniziative esistono
da meno di 10 anni.
Criteri di assegnazione, regolamentazione e struttura
Anche se i requisiti per l’assegnazione degli orti
sono piuttosto variabili, si può riassumere che gli orti
possono essere assegnati a pensionati o a “casi sociali” che:
• hanno età superiore ai 55-60 anni (variabile a
seconda dei comuni interessati);
• non svolgono alcuna attività lavorativa retribuita;
• non godono o coltivano altri terreni;
• si impegnano a coltivare direttamente l’orto (spesso con l’ausilio temporaneo di parenti solo in caso
di necessità legata a problemi di salute) e con continuità (non sono giustificati stati di abbandono);
• si impegnano a non commercializzare i prodotti
raccolti (attività non a scopo di lucro).
Il criterio di assegnazione più frequente è l’ordine
cronologico di presentazione delle domande ma in
alcuni comuni viene preso in considerazione anche il
reddito o altri criteri (anziani soli, senza proprietà,
attitudine ai lavori orticoli...). La scelta è ovviamente
di natura “politica” a seconda che l’attività venga considerata o meno, dagli Enti Locali concedenti, come
intervento assistenziale.
Ovviamente è sempre previsto che possa essere
assegnato un solo orto per ogni nucleo familiare e che
Tab. 1 - Orti urbani per anziani in Italia: ripartizione geografica e superficie (da Tei et al., 2008; modificato).
Tab. 1 - Distribution and size of allotment gardens for senior citizens in Italy (after Tei et al., 2008; modified).
Area
Nord
Centro
Sud
Totale Italia
68
Regione
E. Romagna
Friuli V.G.
Liguria
Lombardia
Piemonte
Veneto
Marche
Toscana
Umbria
Campania
Comuni
con orti n.
77
1
1
12
6
3
6
1
3
1
111
Orti per regione n.
13.774
50
74
1.919
645
726
974
55
460
32
18.709
10-30
15
0
0
31
0
43
0
0
0
0
16
Frequenza % degli orti in funzione della superficie (m2)
31-50
37
0
0
31
40
29
57
0
0
0
36
51-70
32
0
0
19
20
14
28
100
0
0
28
71-100
3
0
100
19
20
14
15
0
67
0
8
>100
13
100
0
0
20
0
0
0
33
100
12
Orticoltura urbana
è fatto assoluto divieto all’assegnatario di cedere a
qualunque titolo ad altri il terreno avuto in concessione, di permutarlo od adibirlo ad usi diversi da quello
per cui è stato concesso.
Eccetto pochi casi in cui si parla esplicitamente di
contratti di comodato o affitto, generalmente viene stipulato un accordo tra Amministrazione e assegnatari
secondo il quale l’assegnatario ha l’obbligo di rinnovo
periodico della domanda di concessione, pena la decadenza.
La durata della concessione va generalmente da 1 a
3 anni, spesso rinnovabile automaticamente; in pochi
casi è superiore o addirittura vitalizia. Le durate vitalizie hanno un basso valore sociale in quanto se da una
parte garantiscono quel senso di continuità rassicurante per l’anziano, limitano però un giusto ricambio
degli assegnatari. Durate eccessivamente lunghe
potrebbero anche risultare inopportune visto che gli
anziani possono andare più facilmente incontro a
periodi temporanei di stanchezza o di invalidità.
D’altronde periodi troppo corti tolgono la soddisfazione di veder realizzati più cicli produttivi e miglioramenti agronomici di medio-lungo periodo.
Le concessioni sono sempre onerose anche se
l’ammontare solo in pochi casi supera i 100 euro
all’anno che coprono generalmente il canone di concessione o di affitto e le spese dei consumi di acqua e
corrente elettrica.
Nella maggior parte dei casi esistono forme organizzate di gestione degli assegnatari degli orti
(Comitati di Gestione, Comitati direttivi o Gruppi di
Lavoro, secondo i casi), costituiti da assegnatari e
delegati dalle Circoscrizioni, che hanno incombenze
relative alle istruttorie e alla responsabilità di sorveglianza e corretta conduzione. Questi organismi si
riuniscono periodicamente in forma assembleare per
organizzare i lavori, stabilire i criteri di accesso alle
parti comuni, fare proposte di iniziative varie a carico
degli appezzamenti.
I “Regolamenti di gestione” degli orti sono estremamente variabili, con norme e divieti più o meno
dettagliati e severi riguardanti: l’orario di accesso
all’area degli orti; i criteri e le modalità per la recinzione degli appezzamenti; la costruzione di capanni e
similari; la presenza ed il tipo di ricoveri per gli attrezzi; la presenza ed il tipo di serbatoi d’acqua (bidoni,
botti...); la presenza di depositi (anche interrati) di
letame; la pulizia dei fossati e degli stradelli fra i singoli appezzamenti; la cura e l’ordine dell’orto; l’impianto di specie arboree; l’uso di film plastici, tunnel e
serre; l’uso di fitofarmaci; l’uso ed il tipo di tutori per
le piante rampicanti; il destino dei residui colturali e
delle erbe infestanti estirpate; la presenza di animali di
qualsiasi specie; il deposito di mobili, elettrodomestici, detriti, materiali inquinanti e quant’altro non attinente alla coltivazione degli appezzamenti.
In tabella 2 è riportata la frequenza relativa delle
norme e divieti secondo l’indagine condotta (Tei et
al., 2009).
Per ciò che riguarda la localizzazione, le aree ortive sono site generalmente a meno di 5 km dal centro
urbano e in più dell’80% dei casi sono servite da
mezzi pubblici di trasporto.
Per favorire una distribuzione territoriale più capillare degli orti in alcune città (es. Venezia, Mantova e
diversi comuni emiliano-romagnoli) le amministrazioni hanno delegato la loro realizzazione e gestione alle
Circoscrizioni o ai Comitati di Quartiere.
Quello che invece suscita particolare perplessità è
la mancanza quasi totale di forme di assistenza tecnica
che nei pochi casi in cui è prevista si limita a interventi di manutenzione della rete idrica, elettrica e viaria
ad opera di personale delle Amministrazioni concedenti.
Problematiche
Aspetti agronomici. Uno degli aspetti più importanti riguarda certamente l’estensione dei singoli orti
che dovrebbe essere ben commisurata alle esigenze ed
alle energie umane. Come evidenziato nella tabella 1,
la superficie varia entro un intervallo piuttosto ampio
da 10 ad oltre 100 m2. La superficie sufficiente per
garantire un approvvigionamento di ortaggi per un
anno viene stimata da alcuni autori (Ferrari, 1919;
Lugeon, 1945; Vercier, 1963) in circa 100 m2 per persona ma si riduce proporzionalmente con il numero
dei componenti familiari (es. 300 m2 per 4-5 persone)
grazie ad un migliore sfruttamento dello spazio
(Bussolati, 1997). Tenendo conto che gli orti vengono
Tab. 2 - Frequenza relativa (% sul totale dei regolamenti) degli
aspetti tecnici permessi dai regolamenti degli orti urbani per
anziani in Italia (da Tei et al., 2009; modificato).
Tab. 2 - Relative frequency (%) of technical aspects allowed by
the regulation of allotment gardens for senior citizens in Italy
(after Tei et al., 2009; modified).
Aspetto tecnico
ricoveri attrezzi
serbatoi acqua
tutori piante
pacciamatura con film plastico, tunnel
alberi da frutto
accumulo letame
uso di fitofarmaci
piccoli animali
ricoveri per usi diversi
accumulo elettrodomestici, mobili usati...
ammesso %
91
85
75
58
50
50
18
4
4
0
69
Tei e Gianquinto
coltivati da persone anziane, che la coltivazione non
ha come scopo l’autosufficienza familiare e che la
superficie dovrebbe permettere comunque una razionale esecuzione delle principali operazioni colturali,
le superfici più appropriate sembrano attestarsi intorno ai 70-80 m2. I regolamenti di gestione degli orti
dovrebbero, inoltre, basarsi su indicazioni tecniche
specifiche (avvicendamento colturale, irrigazione,
concimazione, scelta varietale, controllo di malattie,
insetti ed erbe infestanti, sistemi di protezione ...) che
tengano conto delle ridotte superfici e del livello tecnico degli assegnatari ma anche delle esigenze
ambientali e di salubrità dei prodotti.
Progettazione e pianificazione territoriale. Vista
la frequente insufficiente regolamentazione riguardante la costruzione o installazione dei manufatti, il
tipo di recinzioni, la presenza di materiale vario, la
manutenzione delle parti comuni (stradelli, fossati) gli
orti hanno frequentemente un pessimo impatto visivo
che assume connotati ancora più degradanti quando
sono inseriti all’interno dei quartieri di civile abitazione. E’ per questo che le aree ortive necessiterebbero
di una specifica progettazione riguardante non solo le
recinzioni, le suddivisioni interne, i camminamenti,
ma anche i ricoveri degli attrezzi, i serbatoi dell’acqua... La progettazione accurata e la coltivazione ben
regolamentata non solo possono rappresentare un fattore di valorizzazione estetica delle aree urbane di
pertinenza ma, assicurando una continuità e più sicura
fruizione delle aree stesse, possono acquisire funzioni
di prevenzione a episodi di vandalismo e di comportamenti distorti che invece si riscontrano più facilmente
nelle aree scarsamente controllate e frequentate. Dal
punto di vista urbanistico, inoltre, le aree destinate ad
orti dovrebbero essere opportunamente inserite nei
Piani Regolatori Generali al fine di garantirne la facile accessibilità agli utenti ma anche la migliore
gestione delle risorse (es. acqua) e lo smaltimento dei
reflui (es. acque di scorrimento superficiale...) e dei
residui.
Aspetti politici e gestionali. Perché gli orti per
anziani siano un reale momento di socializzazione nel
rispetto delle esigenze dei singoli assegnatari, della
piccola comunità da essi rappresentata e di quella più
estesa degli altri cittadini è fondamentale la elaborazione di regolamenti di gestione chiari e precisi e la
costituzione, la regolamentazione ed il buon funzionamento di strutture assembleari e di gestione (assemblee degli assegnatari, comitati di gestione, coordinamenti comunali ...). Non vanno altresì dimenticati i
rapporti con le Circoscrizioni e con gli Enti Locali
70
che possono entrambi funzionare da importanti catalizzatori e finanziatori di miglioramenti strutturali e di
attività collaterali. La presenza di orti abusivi nei
grandi centri urbani (es. Milano, Torino e Roma) è un
fenomeno di notevole rilevanza che conferma la
necessità per le aree ortive di un inserimento a pieno
titolo in ogni piano regolatore come fattore imprescindibile di sviluppo sociale e culturale.
Conclusioni
Gli evidenti stati di difficoltà sociale che gli ambiti
urbani spesso manifestano possono trovare nell’orticoltura, e nella cura del verde in genere, una soluzione
efficace ed efficiente. L’orto urbano, infatti, rappresenta un fenomeno complesso dal valore multifunzionale, destinato a produrre derrate alimentari, a svolgere funzioni estetico-ricreative, educative, sociali o
terapeutiche; può rappresentare una delle forme più
economiche e più semplici di contenimento all’avanzare di problemi legati all’invecchiamento della popolazione, alla veloce e spesso caotica urbanizzazione, a
particolari congiunture economiche e al dilagare della
microcriminalità urbana. Questo fenomeno, tuttavia,
si presenta in molte realtà italiane ancora frammentato
e poco razionalizzato.
Riflettere sugli orti urbani significa affrontare il
problema della riprogettazione delle aree marginali e
della riqualificazione delle città post-industriali,
abbattendo la netta divisione tra ambiente urbano e
rurale presente nelle loro squallide periferie; significa
rendere queste zone più permeabili e permeate agli
elementi naturali della campagna così da permettere il
recupero di una dimensione più umana del vivere.
Esemplare a questo riguardo è Sociopolis, futura
espansione residenziale della città di Valencia e ipotesi di integrazione fra agglomerati e orti urbani
(www.sociopolis.net/web/sociopolis.php). Il criterio
organizzativo del progetto venne presentato nell’ambito della Biennale di Valencia del 2003 come
“modello di sviluppo urbano”: successivamente
l’Autonomia (la Generalitat) Valenciana decise di
applicare questa formula, che prevedeva la creazione
di insediamenti residenziali dotati di aree verdi, attrezzature e impianti comuni, su una superficie di circa
350.000 m2 a sud di Valencia. Al momento Sociopolis
è in costruzione e comprenderà quasi 3.000 abitazioni: s’innesterà sul tracciato di antiche aziende agricole
nella campagna che circonda Valencia – la huerta
Valenciana – e, per fornire acqua agli abitanti del
quartiere, sfrutterà i canali di irrigazione scavati dai
Mori più di 800 anni fa. Gli edifici residenziali, saranno affiancati da spazi per lo sport e per la socializza-
Orticoltura urbana
zione e dagli “orti urbani” ricavati parcellizzando il
terreno agricolo compreso nell’area dell’insediamento.
Spicca l’orientamento a una specifica fascia di cittadini, costituita da giovani con meno di 35 anni, anziani a
basso reddito e immigrati, ovvero tutti i soggetti in
qualche modo esclusi dal mercato immobiliare.
Gli orti, quindi, rivalutati secondo una nuova luce,
possono farsi portatori di alcuni requisiti fondamentali
per lo sviluppo di una comunità, quali salute personale
e collettiva, sviluppo sostenibile, socialità e salvaguardia del paesaggio. Si ravvisa comunque la necessità
che siano messi in atto indagini e ricerche accurate su
questi aspetti: le Facoltà di Agraria potrebbero a questo fine sostenere, in stretta collaborazione con la
componente medica, gli architetti e con gli enti locali
interessati, un ruolo cruciale di pianificazione, progettazione e formazione specificatamente indirizzato
all’orticoltura svolta a tali finalità.
Riassunto
I piccoli appezzamenti di terreno in ambito urbano
adibiti ad orti amatoriali sono una realtà diffusa in
tutto il mondo ma loro origine è, comunque, molto
simile in quanto legata al sostentamento precario delle
famiglie emigrate dalle zone rurali verso le città
durante il periodo di industrializzazione oppure durante le due Guerre Mondiali. Tutte queste forme di orticoltura urbana dalla finalità produttiva originaria si
sono poi evolute svolgendo funzioni ecologicoambientali, estetico-ricreative, educative, sociali o
terapeutiche in relazione alle mutate condizioni economiche e socio-culturali. Il lavoro esamina l’origine,
la diffusione e gli scopi delle principali forme di orticoltura urbana, ortoterapia, orti a fini educativi, per
detenuti e per anziani con particolare riferimento alla
situazione italiana.
Parole chiave: ortoterapia, Horticultural Therapy,
scuola, carceri, anziani.
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