Nel mondo milioni di persone fuggono da persecuzioni

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Nel mondo milioni di persone fuggono da persecuzioni
Nel mondo milioni di persone fuggono da persecuzioni, violenze e tortura.
Chiedono protezione ora. Anche in Italia.
Noi li accogliamo. Ricostruiamo percorsi di vita spezzati.
Diamo voce a chi è stato ridotto al silenzio.
In tempi passati cercare asilo significava bussare alla porta di una chiesa o di un monastero e
chiedere protezione da ciò che all’esterno minacciava la vita o la sicurezza di una persona.
Oggi, dopo molti passi avanti, rimane ancora un problema per chi fugge da guerre, persecuzioni e
violenze raggiungere un posto dove sentirsi al sicuro, trovare asilo.
Una questione che spesso viaggia sulla sottile linea che separa la vita e la morte, sui barconi nello
stretto di Sicilia, sotto i teloni dei tir e nei mille altri percorsi intrapresi da chi è costretto a fuggire.
La maggior parte di loro proviene da esperienze profondamente traumatiche, spesso reiterate nel
tempo, che hanno colpito una singola persona o una collettività. C’è chi è stato rapito, detenuto
arbitrariamente, maltrattato, torturato, ricattato, chi ha visto uccidere i propri familiari e
minacciare la propria vita. Le donne sono le più vulnerabili, insieme ai bambini, costrette spesso
alla prostituzione per pagare il viaggio verso l’Europa, subiscono molestie e stupri. Tutti portano
ferite profonde e storie inenarrabili.
Quante vite perse perché non vi sono altre vie, non vi sono altri modi per raggiungere un paese
libero dove una legge scritta e un codice morale consentano di poter chiedere ospitalità e di
trovare rifugio.
Mi chiamo Biniam, ho 16 anni e sono afgano. La mia vita lì era impossibile, la mia famiglia era contro i
talebani e loro ci minacciavano, ci perseguitavano, volevano ucciderci. Come avevano fatto con mio fratello
più grande, che è morto… nella loro prigione e non ce l’hanno mai fatto vedere. Ho deciso di partire, non
sapevo come, alcuni miei amici che erano già fuggiti mi hanno detto di arrivare in Grecia, di salire su un
camion, di nascondermi lì e di tentare “il viaggio”.
Sono Zahra e vengo dalla Somalia. Il mio paese è in guerra da 20 anni, da quando sono nata. Io non me
la ricordo la pace, senza case distrutte, senza guerriglieri che sparano. Sono scappata con mia sorella
dopo che i miei genitori sono stati uccisi, davanti ai miei occhi. Noi eravamo nascoste. Non sapevamo
che fare, volevamo andare via e così siamo partite, volevamo andare in Europa. Alcune persone ci
avevano detto di provare ad arrivare in Libia e da lì di imbarcarci per l’Italia.
Così l’ho fatto. Ho pagato una persona al porto, uno che faceva questa cosa… di portare i ragazzi in Europa.
L’ho pagato con i soldi che mi aveva inviato la mia famiglia, tutti i loro risparmi, e da solo, con un po’ di
pane e una bottiglietta d’acqua ho cominciato l’ultimo tratto del viaggio. Il pane è finito il primo giorno e
l’acqua poco dopo… e il viaggio era lungo. Il camion era tutto chiuso e non riuscivo a respirare. Sempre al
buio, non sentivo più i piedi e le mani. Non riuscivo a respirare e ho dovuto bucare il telone del camion con
un accendino… bruciandolo piano. C’era puzza e non riuscivo a respirare e avevo paura che si incendiasse
tutto. Poi ho aperto il buco.
Abbiamo cominciato il viaggio io e mia sorella… è difficile spiegare… è stato un incubo. Siamo arrivate
in Sudan a piedi, dopo 15 giorni di viaggio, nascondendoci dai soldati, per paura che potessero
prenderci. Abbiamo passato il confine, ma mia sorella stava molto male e io non potevo aiutarla.
Abbiamo aspettato 1 mese prima di riuscire a trovare un passaggio su un camion che attraversava il
deserto e che ci avrebbe portato in Libia. Eravamo tanti… non riuscivamo a muoverci, non avevamo
cibo. In Libia ci hanno portato in una prigione sottoterra, nel deserto… e lì… mia sorella non ce l’ha
fatta. Io non potevo fare niente, ci avevano legate insieme. Non ce l’ha fatta a sopportare le violenze e le
torture dei guardiani, è morta così, un giorno, legata a me. Non ricordo più niente, so solo che poi la
mia famiglia ha pagato e io mi sono imbarcata per l’Italia. E di nuovo tanto freddo e il sale… il sale
dappertutto, sulla faccia, sulle mani. Poi l’Italia. E adesso che sono arrivata ancora non so che fare.
Così riuscivo a respirare anche se ero sfinito. Poi finalmente il camion si è fermato. Non sapevo dov’ero però
ho capito che dovevo scendere se non volevo farmi prendere dalla polizia. E sono sceso… e di fronte a me uno
spettacolo bellissimo. Era Venezia. Ed era tutta bianca e io tutto sporco e ho pianto, perché ero arrivato e
anche se ero stanco e affamato sarebbe andato tutto bene, perché era una città bellissima e cosa ti può
succedere ancora di brutto in un posto così bello?
La storia di Biniam e Zahra è la storia di tante persone che, vittime di violenza, si spostano,
cercando asilo, e spesso si ritrovano, lontani dalle loro terre, a vivere in condizioni di insicurezza
fisica e psicologica, di fragilità, condizioni che segnano loro, le loro famiglie, la storia delle
comunità e delle generazioni che verranno.
Il Consiglio Italiano per i Rifugiati, unico membro italiano del Consiglio Europeo dei Rifugiati e
Richiedenti Asilo, si prende cura da 24 anni di quanti, come Biniam e Zahra, riescono ad arrivare in
Italia e si impegna perché altri non soffrano o muoiano nel tentativo di salvarsi la vita
raggiungendo il nostro paese e l’Europa. Perché per ogni guerra che finirà, ce ne sarà una che
comincia. E ogni guerra porta con sé violenza e distruzione e persone che fuggono.
Rispondiamo ai bisogni dei rifugiati rompendo il muro di solitudine e di indifferenza che li isola,
aiutandoli a livello legale e sociale attraverso i nostri sportelli sul territorio, intervenendo con
progetti specifici di integrazione e sostenendo coloro che sono stati vittime di tortura con cure
mediche e psicologiche.
Operiamo a livello europeo e nazionale per lo sviluppo di un sistema comune d’asilo.
Promuoviamo la costituzione di canali alternativi di accesso alla protezione, perché le persone non
siano costrette a mettere la loro vita nella mani dei trafficanti e rischiare di perderla in viaggi
disumani. Siamo impegnati affinché il diritto d’asilo non sia trattato come un’emergenza ma una
questione centrale da regolare a livello legislativo e politico.
Vogliamo superare la cronaca e raccontare le storie di chi fugge.
Storie che in passato sono state di altri popoli, anche del nostro.
Vogliamo comunicare con responsabilità e rispetto
affinché l’opinione pubblica conosca chiaramente quello che accade.
Tutti i giorni. A milioni di persone.
Vogliamo da qui continuare a batterci per il diritto d’asilo.