il danno ambientale

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il danno ambientale
IL DANNO
AMBIENTALE
Terza lezione
LE AZIONI A FRONTE DI UN
DANNO AMBIENTALE
LEGITTIMATI ATTIVI: GLI ENTI
PUBBLICI.
L’art. 18 l. 349/86 prevedeva che “L'azione di risarcimento del danno
ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo
Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto
del fatto lesivo”. Potevano agire, quindi, per il risarcimento del danno
ambientale lo Stato, la Regione, la Provincia e il Comune.
In applicazione della previgente normativa è stato osservato che “La
legittimazione ad agire, che è attribuita allo Stato ed agli enti minori
non trova fondamento nel fatto che essi hanno affrontato spese per
riparare il danno o nel fatto che essi abbiano subito una perdita
economica ma nella loro funzione a tutela della collettività e delle
comunità nel proprio ambito territoriale e degli interessi all'equilibrio
ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno
capo” (Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2002, n. 22539).
La ratio non è mutata con l’introduzione del Testo Unico, che
però ha concentrato la legittimazione attiva nei confronti del
solo Ministero dell’Ambiente (art. 311).
I PRIVATI:
Diversa è la situazione dei singoli cittadini che ritengono
di aver subito una lesione ai loro diritti individuali da un
comportamento che produce, al tempo stesso, un danno
ambientale.
In questo caso il soggetto privato potrà agire a tutela dei
suoi diritti, ma solo come individuo e non potrà agire per
il risarcimento del generico interesse collettivo ad un
ambiente salubre.
Art. 313 co. 7: "resta in ogni caso fermo il diritto dei
soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno
ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà,
di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela
dei diritti e degli interessi lesi”.
I PRIVATI: IL CASO, Cass. Pen. III
2.5.2007 n. 165757.
Un caso di cui abbiamo già parlato: un giudizio penale per il
reato, fra l’altro, di realizzazione abusiva di discarica, imputati
il progettista che aveva eseguito i lavori e gli amministratori
comunali che li avevano approvati, perché per il ripascimento
di una spiaggia dell’Isola d’Elba avevano usato materiali
ferrosi derivante dagli scarti di miniere, contenti alti livelli di
metalli pesanti e quindi inquinanti.
Si era costituito parte civile per il risarcimento del danno
anche il proprietario di un albergo prospiciente la spiaggia,
lamentando di aver subito un danno alla sua attività derivante
dal danno ambientale alla spiaggia stessa. L'attività di
ricezione turistica era sensibilmente diminuita e l'esercizio
alberghiero, che aveva subito una notevole lesione alla
reputazione commerciale, è stato chiuso.
I PRIVATI: IL CASO, Cass. Pen. III 2.5.2007 n. 165757.
La Corte di Cassazione in questo caso ha ritenuto che “ anche ai sensi dell'art. 313, 7 comma, del D.Lgs. n. 152 del
2006 - "resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti
danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella
loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei
confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi
lesi.
In tale prospettiva va rilevato, quindi, che detta parte civile è
coinvolta direttamente nella vicenda con profili spiccatamente
personali (lesione alla reputazione commerciale e
diminuzione dell'attività di ricezione turistica dell'albergo) e
l'entità oggettiva dell'intervento contestato si pone come
potenzialmente idonea a compromettere, anche sotto il profilo
patrimoniale, le caratteristiche della struttura alberghiera da
lui gestita”
LE ASSOCIAZIONI
AMBIENTALISTE:
Art. 18 l. 349/1986:
le associazioni di protezione ambientale a carattere
nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni e
individuate con decreto del Ministro dell'ambiente,
nonché i cittadini, al fine di sollecitare l'esercizio
dell'azione da parte dei soggetti legittimati, possono
denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano
a conoscenza.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
Le stesse associazioni, inoltre, “possono
intervenire nei giudizi per danno
ambientale e ricorrere in sede di
giurisdizione
amministrativa
per
l'annullamento di atti illegittimi”.
• Il D.Lgs 152/2006 ha abrogato l’art. 18 ad
eccezione di questa previsione, che
rimane quindi in vigore.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
• Inizialmente, si riteneva che alle associazioni
ambientaliste fosse permesso solo un ruolo di
stimolo e di supporto all’attività della pubblica
amministrazione, e che quindi non potessero
agire in proprio per ottenere il risarcimento del
danno (Cass. Sez. VI 14.10.1988 n. 12659).
• La giurisprudenza, tuttavia, è presto giunta a
riconoscere una legittimazione attiva in capo agli
enti e associazioni che operano per la tutela del
diritto all’ambiente salubre.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
“L’interesse diffuso è indeterminato e non personalizzato, mentre
quello denominato collettivo attiene a beni determinati, molto spesso
immateriali, la cui tutela è affidata a soggetti reali, partecipi di
collettività e destinatari, anche in base alla protezione costituzionale
del diritto, di una rappresentanza per la protezione del bene collettivo
in questione. In sostanza ogni bene collettivo come ad esempio il diritto
ad un ambiente salubre è indivisibile in quanto non suscettibile di
appropriazione da parte dei singoli e nel contempo, per la sua
limitatezza e per la sua capacità di essere leso, è da ritenersi giuridico
ed oggetto di tutela, nonché risarcibile. […] Le dimensioni del c.d
danno ambientale sono diverse e si manifestano in varie forme quale
lesione del diritto individuale all’ambiente oppure del diritto sociale
all’ecologia (il c.d. diritto collettivo) ovvero del diritto pubblico
all’ambiente, nel quale ultimo è predominante ed essenziale il ruolo dei
diversi enti istituzionali […] la costituzione di parte civile delle
associazioni ambientaliste si fonda sulla esigenza di tutela
dell’interesse collettivo, soggettivizzato e personificato rispetto
all’indistinto interesse diffuso, del quale diviene centro di imputazione e
legittimazione e, quindi, risente un danno per l’aggressione di esso;
danno diretto ed immediato” (Cass. Pen. sez, III 6.4.1996).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
“Il danno ambientale presenta una triplice dimensione:
personale (quale lesione del diritto fondamentale
dell'ambiente di ogni uomo); sociale (quale lesione del
diritto fondamentale dell'ambiente nelle formazioni
sociali in cui si sviluppa la personalità umana (art. 2
Cost.); pubblica (quale lesione del diritto-dovere pubblico
delle istituzioni centrali e periferiche con specifiche
competenze ambientali). In questo contesto persone,
gruppi, associazioni ed anche gli enti territoriali non
fanno valere un generico interesse diffuso, ma dei
diritti ed agiscono in forza di una autonoma
legittimazione”. (Fattispecie in tema di inquinamento
idrico) (Cass. Pen. Sez. III 10.11.1993 n. 439).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
Inoltre, “permarrebbe sempre la lesione del
diritto alla personalità dell’ente e, quindi,
l’azione da parte delle associazioni di
protezione ambientale per far valere i danni,
morali e materiali, relativi all’offesa in modo
diretto ed immediato, dello scopo sociale,
che costituisce la finalità propria di tali enti”
(Cass. Pen. sez, III 6.4.1996).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
•
“Inoltre, può anche ipotizzarsi una lesione del diritto di personalità
dell'associazione stessa quando il reale e concreto scopo statutario
di tutela dell'ambiente venga leso e frustrato dal fatto addebitato
all'imputato (Cass. pen., Sez. VI, 16 febbraio1990; Cass. pen., Sez.
III, 9 luglio 1996 n. 8699). L'obiezione che l'associazione non ha un
diritto a conseguire il suo scopo è pertinente e fondata. Non
altrettanto, e comunque non sempre, appare invece fondata
l'obiezione che un fatto illecito altrui non può in sé menomare
l'immagine della associazione. Si ipotizzi il caso di una associazione
il cui scopo è in sintonia con primari valori costituzionali, sia
presente sul territorio e sia impegnata in opere di sensibilizzazione e
denuncia. Se detta associazione vede ogni (o qualche) suo
(significativo) sforzo vanificato da quelle condotte contro le quali
statutariamente si batte, finirà sempre più con l'assumere, agli occhi
di tanti, una connotazione meramente simbolica, di bandiera, di
sterile testimonianza, se non oggetto di velata irrisione per
l'utopismo dei suoi fini” (Trib. Venezia, 27.11.2002 n. 1286).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
REQUISITI.
“Non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le
associazioni,
ancorchè
abbiano
ottenuto
il
riconoscimento governativo ex art. 13 l. 349/1986,
quando l’interesse perseguito sia quello, genericamente
inteso, all’ambiente o comunque un interesse che, per
essere caratterizzato da un mero collegamento con
l’interesse pubblico, resta diffuso e, come tale, non
proprio del sodalizio e non risarcibile. Quando, invece,
l’interesse diffuso alla tutela dell’ambiente non
rimane una categoria astratta, ma si concretizza in
una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha
fatto il proprio scopo, esso cessa di essere comune
alla generalità dei cittadini” (Cass. Pen. sez. III del
26.9.1996 n. 8699).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: REQUISITI.
“In questo caso le associazioni sono centri di tutela e di
imputazione dell’interesse collettivo all’ambiente che, in tale
modo, cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e
personificato. Poiché un’associazione possa essere considerata
esponenziale di un interesse della collettività, in cui trova il bene
oggetto di protezione, necessita che abbia come fine essenziale
statutario la tutela dell’ambiente, sia radicata nel territorio anche
attraverso sedi sociali, sia rappresentativa di un gruppo
significativo di consociati, abbia dato prova di continuità del suo
contributo a difesa del territorio. A tali condizioni, le
associazioni ecologiste sono legittimate in via autonoma e
principale alla azione di risarcimento per il danno
ambientale con diritto al ristoro del nocumento
commisurato alla lesione degli interessi collettivi
rappresentati (Cass. Pen. Sez. III n. 14828 16.4.2010).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: REQUISITI.
I presupposti per il riconoscimento di tale legittimazione sono ormai
saldamente individuati dalla giurisprudenza di legittimità:
•
•
•
•
esistenza di una posizione giuridica consona al bene giuridico
tutelato posta dall'ente stesso come proprio fine statutario
essenziale;
radicamento sul territorio dell'ente, anche attraverso articolazioni
locali;
rappresentatività di un gruppo significativo di consociati;
dimostrazione della continuità e della rilevanza del contributo
concretamente apportato alla difesa della posizione giuridica che si
ritiene lesa dalla condotta illecita altrui. In particolare, per quanto
concerne quest’ultimo profilo, l’ente esponenziale deve dar prova di
avere come fine precipuo la tutela dello specifico tipo di interesse
leso e di aver concretamente svolto attività a difesa del medesimo
interesse.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE
• Il D.Lgs 267/2000 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali) prevedeva, all’art. 9 co.
3 che “Le associazioni di protezione ambientale […]
possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del
giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia,
conseguenti
a
danno
ambientale.
L'eventuale
risarcimento e' liquidato in favore dell'ente sostituito e le
spese processuali sono liquidate in favore o a carico
dell'associazione”.
• Questa previsione è stata abrogata con l’entrata in
vigore del D.lgs 152/2006.
AZIONI ESPERIBILI
Il Ministero dell’Ambiente, cui compete, oggi,
l’azione per il danno ambientale ha due
possibilità:
• ottenere il risarcimento del danno (in forma
specifica o per equivalente, con le modalità già
descritte) agendo in via giudiziaria (avanti al
giudice civile o penale) ex art. 311.
• agire in via amministrativa attraverso la
procedura di recupero disciplinata dagli artt. 312
e ss.
AZIONI ESPERIBILI
1. via giudiziaria: normale azione civile, avanti al giudice civile o
al giudice penale con la costituzione di parte civile.
2. procedura amministrativa attraverso la quale il Ministero
dell’Ambiente
emette
un’ordinanza
immediatamente
esecutiva con cui si ingiunge, ai responsabili del fatto
causativo del danno, il ripristino ambientale entro un termine
fissato, a titolo di risarcimento in forma specifica. In caso di
inottemperanza ovvero qualora il ripristino risulti in tutto o in
parte impossibile oppure eccessivamente oneroso viene
emessa una successiva ordinanza che ingiunge il
pagamento, entro il termine di 60 giorni dalla notifica, di una
somma pari al valore economico del danno accertato e
residuato, a titolo di risarcimento per equivalente pecuniario
(art. 313).
Qualora venga adottata questa ordinanza il Ministero non
potrà più agire giudizialmente per il risarcimento del danno,
salva la possibilità di intervento in qualità di persona offesa
del reato nel giudizio penale.
AZIONI ESPERIBILI
“La
scelta
legislativa
di
attribuire
all’amministrazione statale, anziché alle diverse
amministrazioni regionali, il potere di adottare
l’ordinanza che ingiunge al responsabile del
danno ambientale il risarcimento (artt. 312 e 313
Codice dell’ambiente) trova una ragionevole
giustificazione nell’esigenza di assicurare che
tale speciale potere amministrativo venga
esercitato secondo criteri di uniformità e
unitarietà”
(CORTE
COSTITUZIONALE,
23.7.2009 n. 235).
AZIONI ESPERIBILI
• Ai privati e alle associazioni resta la
possibilità di agire in via giudiziaria (civile
o penale).
LEGITTIMATO PASSIVO
L’inquinamento può essere addebitato ad
un soggetto solo se alla sua qualità si
associ
un
qualche
elemento
di
responsabilità nella causazione dello
stesso: il principio chi inquina paga
significa anche che è chiamato a
rispondere solo l’effettivo responsabile
dell’inquinamento, ovvero colui la cui
azione o omissione è causale alla
realizzazione del danno.
LEGITTIMATO PASSIVO
“In caso di danno ambientale cagionato da
attività illecita compiuta da una società, la
legittimazione passiva rispetto all’azione di
responsabilità ex art. 18 n. 349/1986
spetta sia alla società stessa, sia a chi la
amministra, sia agli altri soggetti che
abbiano eventualmente concorso nel fatto
illecito” (Trib. Bologna, 9.5.2005).
LEGITTIMATO PASSIVO: IL CASO
Il caso del proprietario incolpevole è trattato anche dai tribunali
amministrativi in materia di bonifica dei siti inquinati.
“Tanto la disciplina di cui al d.lgs 22/1997 (in particolare, l’art. 17,
comma 2), quanto quella introdotta dal D.lgs 152/2006 (ed in
particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui
l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a
fronteggiare al situazione di inquinamento, è a carico unicamente di
colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a
titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza
non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove
manchi ogni sua responsabilità […] L’enunciato è conforme al
principio “chi inquina paga”, cui si ispira la normativa comunitaria
(cfr art. 174, ex art. 130/R del Trattato Ce), la quale impone al
soggetto che fa correre il rischio di inquinamento a sostenere i costi
della prevenzione o della riparazione” (TAR Toscana, 4.2.2010 n.
2316).
LEGITTIMATO PASSIVO: IL CASO
“È evidente che il proprietario del suolo – che non abbia apportato
alcun contributo causale, neppure incolpevole, all’inquinamento –
non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile
a quella dell’inquinatore” (CdS 30.3.2010).
Se, tuttavia, anche il proprietario ha dato un contributo, anche solo
omissivo, potrà essere chiamato a rispondere (lasciando, ad
esempio che si estendano o peggiorino i danni derivanti da un
inquinamento storico posto in essere da altri di cui è al corrente).
In questo caso il Consiglio di Stato aveva accertato che: “da
quando, nel 1994, la società Elfe scoprì, eseguendo lavori di scavo
sui terreni per cui è causa, flussi di vernici e coloranti e rifiuti di varia
natura, il livello di inquinamento è costantemente aumentato. Tale
circostanza è di per sé sufficiente a ritenere dimostrato un rapporto
di causalità tra il comportamento omissivo di Elfe (che, pur non
potendo rispondere dell’inquinamento pregresso aveva però
l’obbligo di attivarsi per impedire che lo stesso aumentasse) e
l’aumento della contaminazione”.
PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ:
Non esiste nell’ambito ambientale: ciascun soggetto è
chiamato a rispondere nei limiti del suo contributo alla
realizzazione del danno all’ambiente.
Questo era già previsto nell’art. 18 (comma 7, “nei casi di
concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde
nei limiti della propria responsabilità individuale”) ed è stato
ribadito nel Testo Unico Ambientale (art. 311 co. 3 “nei casi
di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno
risponde nei limiti della propria responsabilita' personale”);
rappresenta una evidente eccezione e differenziazione
rispetto alla regola generale della piena solidarietà dei
responsabili nella disciplina risarcitoria civilistica.
PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ:
La responsabilità solidale potrebbe infatti contrastare in
modo lampante con gli scopi e le funzioni ascritte alla
responsabilità civile in campo ambientale, prima fra tutte la
sua funzione deterrente.
Immaginate di imporre la solidarietà dell’obbligazione
risarcitoria in capo all’impresa che adotta costose
tecnologie per evitare di inquinare l’ambiente: in questo
caso la regola della solidarietà svolgerà effetti negativi
disincentivanti in capo all’impresa virtuosa, in quanto
questa si troverà a sopportare il rischio di essere escussa
prima dell’impresa inadempiente nei confronti degli
obblighi di tutela ambientale e che omette di ottemperare
agli obblighi imposti dalla legge.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA
CAPUA VETERE, sez. I penale,
24.7.2006 n. 1104.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
“Solitamente, nella prassi giudiziaria che tratta la materia afferente
l'invasione e l'occupazione abusiva di aree territoriali di proprietà del
demanio marittimo o forestale ci si imbatte in violazioni caratterizzate da
costruzioni di lidi balneari, delimitazioni di confini incerti, realizzazione di
manufatti destinati a parcheggio, bar, o anche a civile abitazione, il tutto
in riferimento a superfici o volumetrie circoscritte a realtà costruttive
specificamente individuate e, comunque, oggettivamente distinte e
distinguibili dal contesto in cui vengono realizzate.
Non vi è chi non veda che, almeno in termini quantitativi, la fattispecie in
esame risulta davvero unica quanto a vastità dell'intervento edilizio
incriminato, riferendosi ad un'area territoriale estesa per oltre un
milione e mezzo di metri quadrati, all'interno della quale è stato
realizzato un vero e proprio insediamento urbanistico, attraverso la
costruzione di strade, alberghi, ville, parchi residenziali, edifici
pubblici”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
“Una massiccia devastazione della fascia costiera e del
retrostante patrimonio boschivo, perpetrata in località
Pinetamare e del tenimento di Castelvolturno, in danno
della proprietà Statale, mediante la cementificazione
"sine regula" eseguita per l'insediamento del complesso
edilizio denominato "Villaggio Coppola", di quella zona
che per la sua originaria, selvaggia natura, ... si
collocava, ancora intatta, quale classico esempio
dell'antico, primario naturale assetto delle coste
mediterranee ed in particolare del litorale italiano”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
•
L'oggetto del presente processo attiene, dunque, ad una ipotesi
occupativa consistente nella realizzazione di una vera e propria città
abusiva (completa di opere di urbanizzazione primaria e secondaria)
sedente su di un territorio di proprietà dello Stato, che prima
dell'intervento era costituito - in parte - da una riserva naturale
gestita dall'Amministrazione Forestale dello Stato e per altra parte
dal litorale marino domizio prossimo alla foce del Canale dei Regi
Lagni, di proprietà del demanio marittimo.
•
E' stata, inoltre rilevata la realizzazione di macroscopiche opere di
difesa del litorale, costituite da scogliere in massi calcarei che si
spingono in mare per una lunghezza di oltre 200 metri e sono
presenti su un fronte di litorale di oltre due chilometri.
•
Si nota chiaramente l'arretramento della fascia di vegetazione che si
trova sia sul lato mare, in alcuni casi, e sia del retroterra, per cui si
vedono chiaramente i problemi sorti a danno della vegetazione. La
zona è ormai priva di elementi di naturalità.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• “Quella zona di territorio è stata oggetto di aggressioni
che sono consistite già nel 1968/69 in demolizione
sistematica con ruspe della recinzione effettuata in rete
metallica e filo spinato. Il risultato della trasformazione di
tali aree è stata la distruzione della riserva naturale e
delle notevoli caratteristiche ecologiche e biologiche
della zona, contrassegnata com'era da ecotipi sia
floristici che faunistici di elevato valore naturalistico,
ragion per cui venne decretata riserva naturale dello
Stato. Di particolare pregio naturalistico erano, infatti, le
formazioni retrodunali, che rappresentano gli ultimi o
rappresentavano in parte gli ultimi relitti delle formazioni
retrodunali dell'intera penisola, versante Tirrenico, oggi
quasi scomparsi in tutta Italia, restando solo alcuni isolati
esempi nel Lazio e in Campania”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• LEGITTIMATO PASSIVO:
Imputato nel procedimento è il gestore
della società che ha realizzato l’opera, il
Villaggio Coppola, chiamato a rispondere
di numerosi reati: occupazione di terreni,
deviazione di acque, distruzione e
deturpamento di bellezze naturali, falsità
ideologica, tentata truffa…
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
LEGITTIMATI ATTIVI:
Costituiti parti civili per i danni, per quanto ci interessa:
•
•
•
•
•
Ministero dell’Ambiente;
Regione Campania;
Legambiente Campania;
LIPU;
WWF Italia in proprio e quale sostituto processuale della
Provincia di Caserta e del Comune di Castelvorturno (ex
art. 9 D.Lgs 276/2000).
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• LO STATO:
“Esclusivo titolare dell'interesse socialmente e giuridicamente
rilevante alla protezione del bene ambientale, nonchè
destinatario della sua tutela, è la collettività che,
soggettivizzata, ha nello Stato (nell'ente territoriale Regione,
Provincia, Comune) soltanto il gestore di quell'interesse […]
Da questo punto di vista si accentua il dato pragmatico della
mera gestione da parte dello Stato del diritto sociale
dell'ambiente: lo Stato-comunità, a cui compete la tutela
dell'interesse della collettività, assorbe completamente in sè lo
Stato-persona. da ciò consegue che il danno inferto al bene
ambientale, fa sorgere un diritto al risarcimento che
appartiene non allo Stato, ma alla collettività la quale è
legittimata ad agire in giudizio nella sua espressione
territoriale massima (lo Stato), o quella compresa entro limiti
territoriali minori (Regione, Provincia, Comune). …
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• “il Ministero dell'ambiente, istituito con la L. 349/86,
"...per le funzioni ad esso attribuite, assurge a centro di
riferimento dell'interesse pubblico ambientale e di fatto
realizza il coordinamento e la riconduzione ad unità delle
azioni politico amministrative finalizzate alla sua tutela".
Da una siffatta definizione della funzione del Ministero
dell'ambiente, non risulta una posizione soggettiva di
vantaggio ad esso riconosciuta dalla L. 349/66, ma si
evince il suo ruolo di ente esponenziale della collettività
in relazione alla salvaguardia ed alla protezione del bene
ambientale, il quale "... non è certamente possibile
oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo
ma è ... fruibile dalla collettività".
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
“Pertanto, il diritto al risarcimento del danno ambientale
risulta - nell'orientamento della Corte Costituzionale riconosciuto allo Stato non in funzione di una sua
titolarità rispetto al bene, ma in funzione del suo ruolo
esponenziale - e quindi di espressione - della collettività,
alla quale va imputata la titolarità dell'interesse alla tutela
dell'ambiente […].
L'azione di risarcimento del danno prodotto all'ambiente,
risulta come proposta dalla collettività, in quanto questa,
in uno con lo Stato, è titolare della posizione sostanziale
dedotta in giudizio”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• GLI ENTI TERRITORIALI:
“La legittimazione degli enti territoriali, prevista dall'art. 18 L.
349/86, si configura, pertanto, come legittimazione
concorrente rispetto a quella attribuita dalla stessa norma
allo Stato, poichè si riferisce alla loro qualità di enti
esponenziali della collettività, qualità analoga a quella dello
Stato. […] Il carattere concorrente della legittimazione dello
Stato e degli enti territoriali si palesa ancor più se si tiene
conto che le due azioni potrebbero essere esercitate anche
per conseguire due differenti scopi che, però, si unificano
nella loro rilevanza giuridica così come concretata dalla L.
349/86. Intendiamo qui riferirci alla diversità dell'interesse
ad agire che potrebbe lo Stato e gli enti territoriali
all'esperimento della azione ex art. 18”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
“L'interesse del primo, sempre in quanto ente esponenziale
della collettività, risulterebbe prevalentemente rivolto alla
funzione sanzionatoria del risarcimento del danno ambientale;
mentre l'interesse dei secondi, anch'essi considerati quali enti
esponenziali della collettività, sebbene in riferimento ad un più
ristretto ambito territoriale, verrebbe ad essere rivolto alla
funzione
ripristinatoria
o,
comunque,
diretto
alla
reintegrazione del danno anche in relazione alle spese
sostenute per fronteggiarlo”.
Questa lettura della legittimazione degli enti territoriali prevista
dalla previgente normativa spiega e mette in luce il diverso
regime oggi adottato dal D.lgs 152/2006: l’esclusione della
funzione sanzionatoria del risarcimento del danno ambientale
e la sola legittimazione del Ministero dell’Ambiente.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
“La giurisprudenza di legittimità è andata oltre questo principio
è ed ha rilevato che il danno ambientale presenta, oltre a
quella pubblico, una dimensione personale e sociale quale
lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni
uomo e delle formazioni sociali in cui si sviluppa la
personalità; il danno in oggetto, in quanto lesivo di un bene di
rilevanza costituzionale, quanto meno indiretta, reca una
offesa alla persona umana nella sua sfera individuale e
sociale. Tale rilievo porta alla conclusione che la
legittimazione a costituirsi parte civile per danno ambientale
non spetta solo ai soggetti pubblici, in nome dell'ambiente
come interesse pubblico, ma anche alle persone singole o
associate in nome dell'ambiente come diritto fondamentale di
ogni uomo”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
“Perchè una associazione si possa considerare ente
esponenziale della collettività, in cui si trova oggetto
della protezione, necessita che abbia come fine
statutario essenziale la tutela dell'ambiente che diviene
la ragione dell'ente, sia radicata sul territorio anche
attraverso sedi locali, sia rappresentativa di un gruppo
significativo di consociati, abbia dato prova di continuità
della sua azione e rilevanza del suo contributo a difesa
del territorio”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE,
sez. I penale, 24.7.2006 n. 1104.
“Applicando tali principi al caso concreto, si deve rilevare che la WWF Italia ha
nel suo statuto (art. 5) come fine primario la protezione dell'ambiente in tutte le
sue articolazioni, che prevedere in modo specifico e, pertanto, l'interesse in
oggetto è elemento costitutivo del sodalizio; inoltre ha dato ampia prova di
avere svolto a livello nazionale e internazionale attività a tutela dell'ambiente, è
insediata sul territorio e presente con sezioni e sottosezioni, può riconoscersi
alla stessa un potere rappresentativo degli interessi collettivi coinvolti nella
presente vicenda processuale, in quanto certamente agisce per la tutela
dell'interesse collettivo alla salubrità del territorio, esclusivamente per finalità di
pubblica utilità. Ne consegue che ne può essere ammessa sia la costituzione in
proprio, sia in qualità di sostituto processuale del Comune di Castelvolturno e
della Provincia di Caserta.
La costituzione di parte civile da parte di Legambiente e da parte della Lega
Italiana per la Protezione degli Uccelli, va, invece, inquadrata esclusivamente
come esercizio di un diritto di azione volto alla riparazione degli interessi (la cui
tutela è espressamente contemplata nei rispettivi statuti) lesi a cagione della
condotta illecita accertata in questa sede”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
IL DANNO:
“Sul piano oggettivo, il danno cagionato al territorio di Castelvolturno,
per effetto della condotta di invasione ed occupazione sopra descritta,
risulta autoevidente dal solo raffronto tra lo stato dei luoghi anteriore agli
atti di invasione e quello attuale: una estesa area di demanio forestale e
demanio marittimo (pari a circa 1.500.000 di mq) è stata oggetto di una
incredibile opera di trasformazione abusiva, comportando un radicale
mutamento orografico e idrografico del territorio e la completa
alterazione della sua natura originaria (insediamenti boschivi, dune
desertiche a ridosso del litorale, occupazione dell'arenile, deviazione del
Corso dei Regi Lagni, alterazione del tratto di costa attuata mediante
l'apposizione abusiva di scogliere e di pennelli), attraverso la
realizzazione di una zona ampiamente urbanizzata, tanto da potere
essere efficacemente definita come una città abusiva realizzata su suolo
demaniale in totale assenza di atti autorizzativi o concessori da parte
delle competenti autorità”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• “Il rapporto di casualità tra la condotta
illecita accertata in questa sede e l'enorme
danno cagionato all'ambiente è di natura
diretta ed immediata, in quanto la
trasformazione del territorio naturale in
zona urbana a tutti gli effetti implica la
necessaria distruzione degli elementi
ambientali”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• “Come è stato condivisibilmente sostenuto, il danno
ambientale costituisce un surplus rispetto al danno alle
singole componenti materiali dell'ambiente. Infatti, l'ambiente
in senso giuridico, quale bene unitario ma anche immateriale
..., rappresenta ... un insieme che, pur comprendendo vari
beni o valori, si distingue ontologicamente da questi e si
identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma
espressione di un autonomo valore collettivo, specifico
oggetto, come tale, di tutela da parte dell'ordinamento,
rispetto ad illeciti, la cui idoneità lesiva va valutata con
riguardo a siffatto valore e indipendentemente dalla
particolare incidenza verificatasi su una o più della dette
singole componenti, secondo un concetto di pregiudizio che,
sebbene riconducibile a quello di danno patrimoniale, si
connota tuttavia per una più ampia accezione di danno
svincolata da una concezione aritmetico-contabile”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
• “L'edificazione abusiva, ove pregiudizievole all'ambiente,
è assoggettata alla disciplina risarcitoria di cui all'art.
2043 anche ante L. 349/86. Attesa la natura meramente
ricognitiva dell'art. 18 legge 349/86 cit, diventa pertanto
irrilevante il dato temporale della conclusione dell'opera
di edificazione. Peraltro, ove si consideri che il danno
ambientale non è limitato alla mera attività di
trasformazione del territorio, ma è riconducibile alla
continuità tra l'edificazione e la gestione delle opere
abusive, la permanenza dell'illecito fa sì che esso rientri,
anche sotto il profilo temporale, nell''ambito di
applicabilità della L. 349/86”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
FORMA DEL RISARCIMENTO:
“Quanto alla forma risarcitoria, se per equivalente o
specifica, seppure anche sotto tale aspetto la
valutazione è rimessa al giudice civile, si ritiene qui
opportuno evidenziare che nonostante l'art. 18 L. 349/86
operi una collocazione formale del rimedio del ripristino
dello stato dei luoghi in un comma successivo a quello
che prevede il risarcimento per equivalente e quello in
via equitativa, è sicuramente prevalente l'orientamento in
giurisprudenza sul carattere prioritario del ripristino”.
IL CASO, TRIB. SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. I
penale, 24.7.2006 n. 1104.
“Facendo espresso riferimento alla ratio dell'art. 18 della
legge 8 luglio 1986, n. 349, nella parte in cui prevede che il
giudice dispone "il ripristino dello stato dei luoghi a spese del
responsabile", a prescindere da una richiesta della parte in
causa e con l'unico limite di ammissibilità relativo alla verifica
della impossibilità materiale di tale riduzione in pristino
(senza, cioè, quelle che sono le condizioni di ammissibilità per
l'applicazione dell'art. 2058 c.c.) è agevole desumere che la
scelta del legislatore obbedisca ad una precisa esigenza
pratica: quella cioè di apprestare, di fronte alla lesione dei
beni ambientali, e in conformità con la natura sociale di tale
danno, una modalità di risarcimento che si traduce in una
sentenza di condanna al rispristino della situazione
precedente in modo da mettere "la collettività interessata in
condizione di godere pienamente del bene danneggiato".