STORIA DELLA FOTOGRAFIA

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STORIA DELLA FOTOGRAFIA
Capitolo VIII
Gli Accessori
Capitolo VII – Gli Accessori
Nei corredi fotografici di fotografi professionisti e di fotoamatori si possono trovare
incredibili quantità di accessori. Alcuni di questi accessori sono davvero utili e meritano di
essere descritti in modo accurato.
Gli accessori che descriveremo in maniera dettagliata sono il lampeggiatore elettronico (o
flash), il paraluce, il treppiede, la borsa fotografica, lo scatto flessibile, alcuni tipi di filtri.
Il lampeggiatore Elettronico o Flash
Il lampeggiatore elettronico è per il fotografo la più importante fonte di luce dopo la luce
ambiente. Il lampeggiatore può sostituire completamente la luce ambiente quando questa è
insufficiente, oppure può essere affiancato ad essa in modo da correggerla (eliminare ombre
sgradevoli) od ottenere effetti particolari. Il lampeggiatore elettronico può essere utilizzato
anche per congelare i movimenti degli oggetti da fotografare.
I casi pratici in cui si ricorre alla luce lampo sono numerosi, per cui è necessario avere una
buona conoscenza dei lampeggiatori e della tecnica con cui vanno usati.
In teoria il ricorso ad una pellicola di elevata sensibilità potrebbe aiutare nei casi di luce
ambientale scarsa o nel congelamento del movimento. In pratica si incontrano, a seconda dei
casi, ostacoli di vario genere come grana elevata, tempi di otturazione troppo lunghi,
profondità di campo ridotta, resa cromatica imperfetta. La grande utilità del lampeggiatore sta
alla base del suo successo, al punto che molte macchine fotografiche lo hanno incorporato. A
favore dell'uso di una pellicola molto sensibile impiegata con luce ambiente invece del ricorso
al flash resta il fatto innegabile che i soggetti illuminati dalla luce del lampo non risultano
quasi mai naturali.
L'elemento che più degli altri caratterizza un flash è la sua potenza luminosa, espressa dal
numero guida NG (oppure GN dall'inglese Guide Number). Dal numero guida si ricava il
diaframma da usare in funzione della distanza tra il lampeggiatore e il soggetto da illuminare.
La relazione che lega il numero guida (NG), il valore del diaframma (f) e la distanza (dist) dal
soggetto è la seguente:
NG
f =
dist
Per fissare le idee, supponiamo di avere un flash con numero guida 32 a 100 ISO. Se la
distanza del soggetto dal flash è di 4 metri, si deve dividere 32 per 4 ottenendo il quoziente 8,
che rappresenta l'apertura di diaframma da usare per ottenere una esposizione corretta.
Il numero guida viene espresso in funzione di una certa sensibilità della pellicola. Infatti a
parità di potenza luminosa si dovrà aprire o chiudere il diaframma a seconda della rapidità
dell'emulsione impiegata. È pratica comune valutare la potenza di un lampeggiatore facendo
riferimento al numero guida espresso per una sensibilità di 100 ISO; per mettere a confronto
numeri guida di lampeggiatori differenti bisogna sincerarsi di questa uniformità del
riferimento alla sensibilità.
Per avere un'idea della potenza di un lampeggiatore bisogna ricavare il numero guida in
corrispondenza di una sensibilità di 100 ISO; il numero che sta di fronte alla distanza di 1
metro è il numero guida espresso secondo gli standard correnti. Lo stesso lampeggiatore a 200
ISO presenta un numero guida più alto di 1,4 volte. Se ad esempio un flash ha un NG di 16
per una sensibilità di 100 ISO se utilizziamo una pellicola di 200 ISO, il NG dello stesso flash
diventa 22.
Per capire la tecnica d'uso di un lampeggiatore bisogna rendersi conto di come viene
distribuita la sua luce al crescere della distanza dal soggetto illuminato, come risulta dalla
figura sottostante.
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Capitolo VII – Gli Accessori
La figura mostra
come, in base a
delle
considerazioni
geometriche,
la
stessa quantità di
luce emessa dal
flash
viene
distribuita su una
superficie
che
quadruplica la sua
estensione quando
la
distanza
raddoppia. A 2
metri di distanza
dal
flash
la
superficie
illuminata è quattro
volte maggiore che
a 1 metro; a 4 metri è quattro volte quella di 2 metri cioè 16 volte quella di 1 metro. Questo
spiega la rapida perdita di luminosità del soggetto al crescere della sua distanza dal
lampeggiatore e la conseguente necessità di aprire maggiormente il diaframma. Si noti come
il prodotto della distanza del soggetto per il diaframma sia un numero costante (11
nell'esempio), corrispondente al numero guida del lampeggiatore impiegato. In pratica, ad
ogni raddoppio della distanza la luce del flash va a coprire una superficie che è quattro volte
più grande, in base al principio geometrico che le superfici variano secondo il quadrato delle
distanze. Questo significa che la luminosità del soggetto illuminato dal lampo cala
rapidamente al crescere della distanza dalla sorgente di luce. Tanto per fare un esempio
pratico, se a 2 metri si deve usare il diaframma 16, a 4 metri si ottiene il diaframma 8, che
lascia passare esattamente quattro volte più di luce. La divisione del numero guida, ad
esempio 32, per 2 metri e per 4 metri fornisce appunto i valori di diaframma 16 e 8.
Fino ad ora non si è parlato del tempo di otturazione. Nell'uso dei flash bisogna distinguere tra
otturatore centrale e otturatore a tendina. Nelle macchine fotografiche ad otturatore centrale
qualunque tempo di otturazione può essere impiegato col flash, dal momento che il
fotogramma prende luce per intero durante l'azionamento dell'otturatore. Le cose funzionano
in maniera ben diversa nel caso di un otturatore a tendina, dove il fotogramma viene scoperto
completamente solamente per tempi abbastanza lenti. E’ chiaro che in questo caso il lampo
può essere usato solo col cosiddetto tempo di sincronizzazione, cioè col tempo più breve che
realizza scopre completamente il fotogramma. Se si impostassero tempi più rapidi si
otterrebbe un fotogramma esposto solo per una fetta tanto più stretta quanto più rapido è il
tempo di otturazione.
Col progredire della tecnologia, i tempi di sincronizzazione degli otturatori a tendina sono
diventati sempre più brevi; attualmente le fotocamere più sofisticate arrivano a 1/250 di
secondo o anche meno, mentre anni addietro si parlava di tempi dell’ordine del 1/30 o 1/60 di
secondo.
I lampeggiatori elettronici sono invece basati su un tubo riempito di gas nobile, che viene
acceso da una scarica elettrica generata da un condensatore elettrolitico, caricato da una pila o
da una batteria. Il lampo di un lampeggiatore elettronico ha una durata brevissima, dell'ordine
di millesimi di secondo. Il tubo a gas è in grado di emettere migliaia di lampi senza perdere le
sue caratteristiche. La temperatura di colore è attorno ai 5600-6000 °K, del tutto simile alla
luce diurna.
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Dopo il lampo il condensatore si deve ricaricare (sotto il controllo di un circuito elettronico
transistorizzato) emettendo un sibilo caratteristico. Il tempo di ricarica dipende dalle
caratteristiche dell'apparecchio e può variare qualche frazione di secondo (nei modelli molto
potenti a scarica parziale) a parecchi secondi; un tempo di ricarica totale di 3 secondi può
essere considerato buono. Quando il condensatore è carico si accende la lampada o spia
pronto-flash, che avvisa della disponibilità del lampeggiatore. L’emissione del lampo avviene
in sincronismo col movimento dell'otturatore, in
modo che il lampo venga emesso al momento
opportuno. Nelle fotocamere con otturatore a
tendina si deve porre grande attenzione
nell'impostare il tempo di sincronismo, che viene
evidenziato da un colore diverso o dalla presenza
di un simbolo a saetta; tempi più brevi di quello di
sincronismo provocano un'esposizione a fette del
fotogramma, con risultati disastrosi.
Nei lampeggiatori manuali il calcolo del
diaframma da usare va fatto dall'operatore, in
base al numero guida e alla distanza della torcia
dal soggetto. Spesso essi riportano una tabella o
un regolo calcolatore su cui, dopo avere
preventivamente impostato la sensibilità della pellicola, si legge il diaframma da usare in
corrispondenza della distanza dal soggetto. Il pericolo che si corre è quello di sbagliare i
calcoli, coi conseguenti errori di esposizione.
Nei lampeggiatori automatici tutto diventa più semplice e sicuro. Essi possiedono un sensore
orientato verso il soggetto, in modo da misurare la quantità di luce da esso riflessa. Quando
l'automatismo accerta che il soggetto ha ricevuto luce a sufficienza, interrompe il lampo. In
questo modo il fotografo deve soltanto impostare la sensibilità della pellicola e leggere il
diaframma da impostare, mentre i calcoli vengono lasciati all'automatismo. Sono preferibili i
lampeggiatori automatici che prevedono due o tre diverse potenze del lampo, in modo da
potere lavorare con diaframmi differenti; questo permette di regolare la profondità di campo o
di economizzare nell'uso delle batterie che alimentano il flash; in quest'ultimo caso si ottiene
anche il vantaggio di ridurre notevolmente il tempo di ricarica.
In molti lampeggiatori la parabola della lampada può essere ruotata in senso verticale e
orizzontale, in modo da facilitare l'uso a lampo riflesso. In questi casi è importante che il
sensore che regola automaticamente la durata del lampo sia sempre orientato verso il soggetto
anziché ruotare con la parabola. Alcuni lampeggiatori speciali hanno la lampada e la parabola
di forma anulare, da montare direttamente sull'obiettivo; servono per schiarire le ombre senza
crearne delle altre legate all'uso del flash e per fotografare a distanza molto ravvicinata, come
nel caso di riproduzione di documenti o macrofotografia.
Un altro aspetto da considerare nell'acquisto di un lampeggiatore elettronico è l'angolo di
illuminazione. Normalmente esso copre l'angolo di campo di un obiettivo normale o, al
massimo, di un grandangolo medio. Con un grandangolo spinto si otterrebbe una
illuminazione non uniforme, coi bordi più scuri (vignettatura). In questo caso si deve ricorrere
ad un apposito accessorio che fa da diffusore della luce, allargando l'angolo di illuminazione.
Naturalmente questo comporta un'apertura maggiore del diaframma, in quanto la stessa
quantità di luce viene distribuita su una superficie maggiore. Alcuni lampeggiatori sono dotati
anche di un accessorio che svolge la funzione inversa di restringere l'angolo di illuminazione,
allo scopo di sfruttare meglio la potenza del flash coi teleobiettivi.
Da parecchi anni nelle macchine fotografiche compatte vengono incorporati piccoli
lampeggatiori elettronici che hanno la funzione di permettere di scattare fotografie anche in
condizioni di illuminazione molto scarsa. Spesso in tali apparecchi l'intervento del flash è del
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tutto automatico, sia per decidere quando deve antrare in funzione, sia per determinare
l'esposizione esatta. L'alimentazione è affidata alle stesse pile che azionano la fotocamera e il
loro numero guida è generalmente molto basso,
appena sufficiente per illuminare discretamente
a due o tre metri di distanza.
Nei modelli più completi l'integrazione tra
macchina
fotografica
e
lampeggiatore
incorporato è spinta fino al punto da fare
intervenire il flash per schiarire le ombre nei
controluce, con la tecnica del fill-in.
In anni più recenti il lampeggiatore incorporato
ha fatto la sua presenza anche sulle macchine
fotografiche refelx 35mm e APS, nonché su
gran parte delle fotocamere digitali. Insomma,
un vero e proprio successo che dura negli anni, a testimonianza di un abbinamento che ha
dimostrato la sua praticità.
Tuttavia la comodità di avere un lampeggiatore incorporato presenta alcuni inconvenienti;
oltre alla già accennata bassa potenza, risultato di un compromesso con le dimensioni globali
che devono rimanere ridotte, ce ne sono altri.
Un aspetto pesantemente negativo è legato alla direzione della luce. Infatti con i
lampeggiatori incorporati l'illuminazione proviene da un punto molto vicino all'obiettivo che
va considerata come la peggiore delle direzioni. Infatti i soggetti illuminati da un lampo
proveniente direttamente dalla macchina fotografica risultano innaturali perché piatti, ossia
privi delle ombre necessarie a conferire rilievo e come se non bastasse, spesso la carnagione
diventa color gesso e compare il fenomeno degli occhi rossi. Pertanto la innegabile praticità di
un lampeggiatore incorporato viene oscurata dalle limitazioni suddette e relegano l'uso di tale
flash solo per le foto di emergenza, senza troppe pretese estetiche.
Si deve rilevare che anche un normale lampeggiatore esterno, qualora venga montato
direttamente sulla slitta portaflash della macchina fotografica, presenta grosso modo gli stessi
inconvenienti sopra enunciati, che sono poi i veri responsabili della scarsa naturalezza delle
immagini scattate ricorrendo all'illuminazione del lampo.
Il rimedio a questi problemi sta nell'allontanare il lampeggiatore dalla macchina fotografica di
almeno 30 cm, ricorrendo alle apposite staffe portaflash o addirittura montando il
lampeggiatore su un treppiede o uno stativo posto anche più lontano, senza dimenticare che
l'esposizione col numero guida fa riferimento alla distanza flash-soggetto e non a quella
fotocamera-soggetto. In questi casi si dovrà ricorrere all'uso di un cavo di collegamento alla
presa sincro-flash della fotocamera, oppure ad un dispositivo senza fili (come le apposite
cellule fotoelettriche che svolgono funzioni di servo-flash) per comandare il lampeggiatore a
distanza, utilizzando il flash incorporato per impartire il comando di sincronismo.
I lampeggiatori dedicati
Da parecchi anni le macchine fotografiche reflex 35mm possono essere dotate di
lampeggiatori elettronici dedicati, così denominati perché vengono progettati per funzionare
in abbinamento con un determinato modello o sistema di macchina fotografica. Lo scopo è
quello di conseguire la massima integrazione tra la fotocamera e il flash, in modo da esaltare
al massimo le prestazioni dell'insieme.
Nei lampeggiatori dedicati il collegamento tra corpo macchina e lampeggiatore non si limita
alla trasmissione del sincro-flash, ma va ben oltre. Innanzitutto l'automatismo di esposizione
arriva al punto di controllare completamente il funzionamento del lampeggiatore,
interrompendo l'emissione del lampo non appena il dispositivo TTL rileva il raggiungimento
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della giusta quantità di luce in qualsiasi condizione operativa, come lampo riflesso, tecnica del
fill-in o la macrofotografia. Quasi sempre è possibile impostare
diverse potenze del lampo e attivare l'economizzatore, al fine di
ottenere tempi di ricarica molto brevi. Gli automatismi
conseguibili sono anche altri, del tutto impensabili prime
dell'avvento dei microprocessori. L'angolo di illuminazione del
flash può variare automaticamente in funzione della lunghezza
focale dell'obiettivo; questo comportamento vale non solo con
ottiche di lunghezza focale fissa, ma anche in abbinamento con gli
obiettivi zoom. In questo caso quando si modifica la lunghezza
focale si ottiene automaticamente un allargamento o un
restringimento dell'angolo di illuminazione del flash. Per le
fotocamere con messa a fuoco automatica esistono lampeggiatori
dedicati che possiedono un emettitore di raggi infrarossi che
permette il funzionamento dell'automatismo di focheggiatura anche al buio completo.
Ma non è finita; infatti spesso i lampeggiatori dedicati prevedono anche la possibilità di
ridurre il fenomeno degli occhi rossi, oppure di scattare lampi consecutivi per effetti
stroboscopici.
In definitiva, coi lampeggiatori dedicati vengono risolti al meglio e in via del tutto automatica
gran parte dei non semplici problemi legati all'uso del flash. Si tratta senza dubbio di uno dei
casi meglio riusciti dell'applicazione dei microprocessori alla fotografia.
Resta da dire che spesso resta esclusa la possibilità di collocare il lampeggiatore ad una certa
distanza dalla macchina fotografica, senza dovere rinunciare agli automatismi offerti sulla
slitta portaflash del corpo macchina; al momento dell'acquisto di un lampeggiatore dedicato ci
si dovrebbe sincerare che tale possibilità resti aperta mediante il ricorso a staffe e cavi
appositi.
Il Lampo Diretto
Fin qui, trattando dei lampeggiatori eletronici, si è parlato quasi sempre, in modo più o meno
implicito, del lampo diretto, che si ha quando la parabola del flash è orientata nella direzione
del soggetto. Questo sistema non offre i risultati migliori, perché crea un'atmosfera molto
diversa da quella che si aveva nella realtà al momento dello scatto. Soltanto il ricorso ad una
pellicola molto sensibile riuscirebbe forse a restituire le ambientazioni originali, fatte di
colori, sfumature, ombre e rapporti tonali che vengono come frantumati dal prorompere
fragoroso del lampo. L'illuminazione del lampo diretto, quando il flash è montato sulla slitta
della fotocamera, è piatta, quasi sempre sgradevole e dà origine spesso agli occhi rossi.
Distanziando il lampeggiatore con una staffa o uno stativo si accentua la tridimensionalità, ma
si ottengono ombre troppo marcate. Questi inconvenienti possono venire superati, almeno in
parte, impiegando le tecniche del lampo diffuso o del lampo riflesso, oppure impiegando più
di un flash.
Specialmente in studio si riesce ad attenuare la durezza di illuminazione del flash ricorrendo
all'uso di due o più lampeggiatori fatti lavorare accoppiati, nel senso che emettono lampi
contemporanei allo scopo di creare una illuminazione più morbida, dal momento che una
sapiente disposizione dei singoli lampeggiatori riesce ad attenuare i contrasti. Con questa
tecnica si può controllare l'illuminazione della scena in maniera molto dettagliata, fornendo
sorgenti di luce separate per il soggetto, le sue ombre e lo sfondo.
I lampi contemporanei vengono generati da cavi e relative prese multiple, oppure mediante
servo-flash. Nei casi più sofisticati si può arrivare ad un controllo automatico dell'esposizione,
il cui risultato finale potrà soltanto essere immaginato dal fotografo esperto, dal momento che
l'illuminazione fornita dai lampeggiatori non può essere verificata ad occhio nudo. In questi
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casi il ricorso ad uno scatto di prova fatto con una fotocamera digitale o sviluppo immediato è
molto utile per vedere subito, a grandi linee, quale sarà l'effetto finale della disposizione di
lampi adottata. Tuttavia, senza investire un capitale in attrezzature costose, chiunque può
cimentarsi nell'impiego di due lampeggiatori, uno dei quali fa la luce principale ed è montato
sul corpo macchina mediante una staffa distanziatrice, mentre l'altro viene sostenuto da uno
stativo ed è comandato dal lampo principale via cavo o tramite servo-flash. Giostrando con la
distanza del secondo lampeggiatore o con la sua potenza ridotta, si riesce ad ottenere una
buona resa delle luci e dei contrasti, curando anche una valida riuscita dello sfondo. In questi
casi, tuttavia, si ottengono più facilmente risultati migliori ricorrendo alle lampade da studio,
come avremo modo di vedere nei casi di ritratti e nudi in studio.
Il fenomeno degli “occhi rossi”
A tutti capita di vedere fotografie scattate con il lampo diretto in cui il soggetto presenta gli
occhi rossi, che andrebbero probabilmente bene per illustrare una storia di vampiri ma che
risultano sicuramente sgraditi nelle foto ricordo del battesimo del figlioletto.
Il fenomeno degli occhi rossi trae la sua spiegazione nel fatto che la retina dell'occhio è ricca
di capillari sanguigni che vengono fortemente illuminati dal lampo, assumendo la
caratteristica tonalità rossa sull'immagine finale. Il
fenomeno viene esaltato dalla dilatazione della
pupilla, che nell'occhio svolge le funzioni di
diaframma automatico, allargandosi e stringendosi al
variare dell'intensità luminosa che colpisce l'occhio.
Quando si fotografa con la luce del lampeggiatore si è
quasi sempre nelle condizioni di luce ambiente
debole, che fa dilatare al massimo la pupilla. In tal
modo il lampo del flash ha buon gioco nell'illuminare
il fondo della retina coi suoi capillari, che vengono fedelmente riprodotti nel loro colore
sanguigno. Oltre che dalla scarsità dell'illuminazione ambientale, il fenomeno degli occhi
rossi è favorito anche (e soprattutto) da una distanza lampeggiatore-obiettivo troppo piccola;
in tal modo infatti il lampo è praticamente allineato con l'obiettivo, illuminando alla
perfezione la porzione di retina che verrà fotografata. Invece un flash distante in maniera
sufficiente dall'obiettivo va a illuminare trasversalmente l'occhio, in modo che la parte di
capillari interessati alla luce non coincide con la zona della retina inquadrata dall'obiettivo. Si
intuisce pertanto che gli occhi rossi vengono evidenziati in massima misura nelle macchine
fotografiche a lampeggiatore incorporato, che risulta molto vicino all'obiettivo.
Tuttavia i fabbricanti sono riusciti a porre un rimedio, anche se non completamente risolutivo,
anche a questo problema, ricorrendo alla tecnica dei prelampi. In pratica al momento dello
scatto il flash emette uno o anche due lampi preliminari, più deboli di quello vero e proprio
che seguirà subito dopo per impressionare la pellicola. Il prelampo con la sua luce sollecita
l'occhio a chiudere la pupilla, in modo che il successivo lampo di esposizione trovi condizioni
meno favorevoli al manifestarsi del fenomeno. Quando non si può fare diversamente, il
ricorso alla tecnica del lampo riflesso eliminerebbe totalmente il problema; purtroppo i
lampeggiatori incorporati normalmente non prevedono la possibilità di orientare la parabola
del flash. Questo è uno dei tanti motivi che portano a preferire i lampeggiatori esterni,
possibilmente dedicati e dotati di tutte le prestazioni più avanzate.
Il Lampo Diffuso
L'illuminazione del lampo diretto, col flash montato sulla fotocamera, è poco gradevole e
produce effetti negativi di vario genere. Un modo semplice per rimediare a questi
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inconvenienti è l'utilizzo di un diffusore, che alcuni lampeggiatori hanno in dotazione.
L'accessorio va montato sulla parabola luminosa del flash e svolge la funzione di diffondere la
luce, togliendole buona parte della direzionalità per ottenere un effetto di generale
ammorbidimento dell'illuminazione.
L'impiego del diffusore comporta una certa perdita della potenza del lampo: la luce viene
dispersa in tutte le direzioni, col risultato che sul soggetto ne arriva una quantità minore. In
questa situazione, nel caso di lampeggiatori manuali, il fotografo deve aprire il diaframma di
circa uno stop. Nei modelli automatici provvedono da soli alla esatta correzione
dell'esposizione.
In mancanza del diffusore originale si può ricorrere a mezzi di fortuna in grado di fornire
risultati analoghi, come un fazzoletto bianco o un foglio di carta molto trasparente, messi
davanti alla parabola del flash; questi diffusori improvvisati devono essere incolori, per non
conferire dominanti all'immagine finale. In questi casi è importante verificare che il diffusore
non vada a coprire l'eventuale sensore che regola l'esposizione automatica del flash;
naturalmente questo pericolo non esiste se l'automatismo è di tipo TTL, che è incorporato
all'interno del corpo macchina. Spesso il ricorso al lampo diffuso è l'unico intervento
disponibile con le macchine fotografiche a lampeggiatore incorporato. Alcune prove
forniscono indicazioni sull'eventuale correzione da apportare all'esposizione; spesso l'unica
maniera per farlo è il ricorso alla sovraesposizione intenzionale di uno o due stop, sempre che
la fotocamera lo preveda. Questo è un altro aspetto da tenere presente nell'acquisto di una
compatta.
Il Lampo Riflesso
Un'altra tecnica molto interessante per l'impiego del lampeggiatore elettronico è quella del
lampo riflesso. Essa può essere applicata solo in interni e consiste nell'orientamento della
parabola luminosa verso una parete o il soffitto, in modo da illuminare il soggetto per luce
riflessa anziché diretta. Va da sé che la rotazione della parabola è un requisito essenziale per
l'applicazione di questo metodo. Lo scopo del lampo riflesso è quello di ridurre la frontalità e
la durezza che caratterizzano l'illuminazione del lampo diretto. La riflessione in ambienti
ristretti comporta automaticamente una notevole diffusione della luce, per cui i due effetti si
sovrappongono.
Innanzitutto bisogna verificare che la superficie utilizzata per la riflessione sia di colore
bianco o grigio chiaro, per non introdurre dominanti cromatiche. Il lampeggiatore deve avere
una potenza sufficiente, in quanto l'illuminazione indiretta del soggetto fa disperdere una
buona parte dell'energia luminosa emessa dal flash; il numero guida deve essere almeno 25 o
30. L'esposizione deve essere maggiore rispetto al lampo diretto, sia per la perdita di luce
causata dalla riflessione, sia per il percorso più lungo dei raggi luminosi. I lampeggiatori a
parabola orientabile possiedono in genere il sensore per l'esposizione automatica, che resta
orientato verso il soggetto per esporlo correttamente. Risultati ancora più affidabili vengono
ottenuti anche col sistema TTL. Nei lampeggiatori manuali si procede ad alcune prove
preliminari; in linea generale bisogna mettere in conto un'apertura di 2 o 3 stop, anche in
dipendenza del potere riflettente della superficie utilizzata.
Per ottenere i migliori risultati è bene disporsi non troppo vicino al soggetto, in modo da
conferire alla parabola un angolo abbastanza disteso; in caso contrario si otterrebbero ombre
eccessive sotto le sopracciglia, il naso e il mento.
Si può ricorre utilmente al lampo riflesso anche quando l'angolo di illuminazione del
lampeggiatore non riesce a coprire l'angolo di campo di un grandangolare spinto.
Risultati estremamente interessanti si hanno col ricorso a tecniche miste di illuminazione col
lampo. Un esempio potrebbe essere l'unione della luce proveniente da una finestra con un
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lampo riflesso sul soffitto; oppure si potrebbero impiegare due flash, uno debole per il lampo
diretto e uno più potente per il lampo riflesso.
Qualche prova è sufficiente per dare l'idea dei risultati positivi che si conseguono uscendo
dallo standard del lampo diretto, in assoluto il più semplice ma anche il peggiore di tutti.
L'unica cosa che in genere va evitata è la mescolanza di sorgenti di luce caratterizzate da
differenti temperature di colore; tuttavia anche la trasgressione di questa regola può portare ad
immagini suggestive e fuori dal normale.
Il Fill-In
Il lampeggiatore elettronico torna utile non soltanto quando si debba fotografare in situazioni
di luce ambientale debole, ma anche in presenza di una forte luce diurna che crei contrasti
molto elevati, con ombre profonde. Il controluce è un tipico esempio di questa situazione.
Per ammorbidire le ombre si usa utilmente la tecnica del lampo di schiarita, detta
comunemente fill-in (riempimento). In questi casi l'illuminazione è mista, perché utilizza sia
la luce ambiente sia il lampo del flash. Sono da evitate temperatura di colore contrastanti,
come un lampo che schiarisce un volto illuminato da una luce di tramonto molto rossa.
L'esposizione deve tenere conto del contributo delle due sorgenti di luce. In genere l'effetto
che si ricerca è la schiarita parziale delle ombre, senza arrivare al punto di annullarle; il lampo
dovrebbe aggiungere soltanto la quantità di luce che fa raggiungere lo scopo.
Per schiarire le ombre con un flash di tipo manuale o automatico si deve operare in questo
modo. Si calcola l’esposizione per la luce ambiente e si regola il flash in modo tale che
sottoesponga il soggetto si uno o due diaframmi. Facciamo un esempio: L’esposizione letta
dall’esposimetro della fotocamera è di 1/250 a f=4 pari ad EV=12. Dobbiamo innanzi tutto
considerare qual è il tempo di sincronizzazione flash più veloce a disposizione della nostra
fotocamera. Se il sincro flash della nostra macchina fotografica è di 1/125 dobbiamo innanzi
tutto cambiare la coppia tempo diaframma con una equivalente che ci permetta di usare il
flash. Ovviamente sceglieremo una delle coppie tempo diaframma corrispondenti a EV=12.
Consideriamo la coppia 1/125, f=5,6. Per schiarire le ombre il flash non illuminare con piena
potenza il soggetto come se fosse l’unica sorgente di luce, ma deve solamente aggiungere un
po’ di luce in modo da schiarire soltanto le ombre, non cancellarle. A tale scopo è sufficiente
sottoesporre la luce flash di uno o due diaframmi. Scegliamo di sottoesporre la luce flash di
due diaframmi. Con un flash di tipo manuale sarà quindi necessario calcolare la distanza
flash-soggetto con la formula vista prima considerando un diaframma f=2,8. Nel caso di un
flash di tipo automatico sarà sufficiente impostare come diaframma di lavoro f=2,8. Le
fotocamere più sofisticate con lampeggiatore dedicato offrono il controllo automatico del fillin, dosando opportunamente e in maniera automatica l'intensità e la durata del lampo.
L’Open Flash
Per ultimo non resta che parlare della tecnica denominata open-flash, dall'inglese
"open" (aprire). Serve sostanzialmente per fotogafare ambienti architettonici molto ampi, che
per la loro vastità non potrebbero venire illuminati a sufficienza con un lampo normale.
L'open-flash consiste nel sistemare la macchina fotografica sul treppiede, realizzando
l'inquadratura desiderata; il lampeggiatore viene tenuto in mano. Si comincia col mettere
l'otturatore in posizione B in modo che rimanga aperto fino a che l'operatore non impartirà il
comando di chiusura. Subito dopo si fanno scoccare manualmente diversi lampi, orientandoli
in modo da illuminare in successione tutto l'ambiente da fotografare; tra un lampo e l'altro si
deve attendere l'accensione della spia pronto-flash. Si deve anche cercare di illuminare
uniformemente la scena inquadrata, per evitare sgradevoli macchie di luce; si può perfino
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entrare nel campo inquadrato, senza che questo crei problemi particolari (la lunga posa
richiesta evita in genere la comparsa dell'operatore sul fotogramma finale).
Ovviamente durante tutto l'intervallo di esposizione (parecchi secondi) non ci dovrebbero
essere elementi di disturbo, come il passaggio di molte persone o automobili coi fari accesi;
tuttavia questi casi andrebbero sperimentati con curiosità, alla ricerca di effetti anche molto
interessanti. Nel complesso si tratta di una tecnica poco usata e tutt'altro che semplice.
L’effetto stroboscopico
Per stroboscopio si intende una sorgente capace di emettere una serie di lampi caratterizzati
da una frequenza molto elevata, ossia assai ravvicinati gli uni agli altri. Alcuni lampeggiatori
elettronici di classe elevata possono venire assimilati a stroboscopi, in quanto offrono la
possibilità di ottenere lampi in rapida sequenza, ciascuno dei quali è di durata brevissima
(dell'ordine dei decimillesimi di secondo) e di potenza limitata, per ovvi motivi di ricarica tra
un lampo e l'altro.
Con tali lampeggiatori si possono sperimentare immagini di un tipo particolare, ottenute per
mezzo di esposizioni successive sullo stesso fotogramma di un soggetto in rapido movimento,
illuminandolo più e più volte con il lampo stroboscopico. Il risultato sarà un'immagine
composita, dove il movimento del soggetto risulta scomposto nelle sue varie fasi, spesso
invisibili o scarsamente identificabili ad occhio nudo.
Le condizioni da rispettare per la realizzazione di questo genere di immagini sono molteplici.
Innanzitutto lo sfondo deve essere molto scuro o addirittura nero, per dare risalto alle
immagini via via congelate dal flash; la condizione può essere realizzata in studio con uno
sfondo appropriato o più semplicemente fotografando all'aperto, di notte. Il soggetto in
movimento deve essere abbastanza chiaro, in modo da impressionare la pellicola anche con la
poca potenza luminosa di ogni singolo lampo. La fotocamera va messa su un treppiede,
curando che l'inquadratura possa contenere le fasi del movimento desiderate. Si imposta il
tempo di otturazione sulla posa B e quando il soggetto passa nell'inquadratura si aziona il
lampeggiatore stroboscopico, che emetterà tutta una serie di lampi ravvicinati, di potenza,
durata e intervallo prefissati in precedenza. La luce dei lampi non deve illuminare lo sfondo.
Le possibilità espressive sono numerose, pur essendo tutte basate sulla scomposizione del
movimento nelle sue singole parti. Giocando sui colori, sulle traiettorie del soggetto o sulla
durata e l'intervallo dei lampi si ricavano immagini non comuni, anche molto efficaci.
L'aggiunta di luci colorate alle mani o ai piedi dei modelli possono creare effetti formidabili,
con scie luminose tracciate durante il movimento e alcune fasi intermedie della figura
congelate dai lampi.
Per l'esposizione ci si regola in base a esperimenti fatti in precedenza, ricercando il diaframma
di lavoro più adatto.
Consigli d’uso
Per ottenere delle foto impeccabili con l’uso del lampeggiatore elettronico è necessario tenere
presente diversi accorgimenti, e soprattutto ricordare che una foto fatta utilizzando solamente
la luce del flash appare molto spesso innaturale. E’ quindi consigliabile utilizzare il flash
come aiuto alla luce ambiente. In ogni caso dove non c’è luce a sufficienza per poter fare la
fotografia il lampeggiatore elettronico può risultare l’unica soluzione.
Alcuni consigli d’uso sono i seguenti:
•
Uso Generale
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Capitolo VII – Gli Accessori
1. Coi lampeggiatori che non lo fanno automaticamente, ricordarsi di impostare sia il
tempo di sincronizzazione nelle fotocamere con otturatore a tendina (per evitare una
esposizione a fette) sia la sensibilità della pellicola.
2. Evitare accuratamente che nell'immagine finale compaia il riflesso del lampo sullo
sfondo (specchio, parete più o meno riflettente, parti metalliche, ecc.). Disporsi in
modo che il lampo venga emesso in direzione inclinata rispetto allo sfondo.
3. Non trascurare mai la resa dello sfondo, troppo spesso ignorato col flash. Fare
avvicinare o allontanare il soggetto rispetto allo sfondo, per avere ombre ottimali;
spesso è preferibile avere uno sfondo uniforme.
4. Evitare di mescolare sorgenti di luce aventi temperatura di colore troppo diverse, che
creerebbero accostamenti innaturali.
5. Quando è possibile, impostare una potenza bassa o attivare l'economizzatore; il tempo
di ricarica sarà più breve.
6. Evitare di usare il flash in presenza di molto fumo o nebbia, per non ottenere foto
sbiadite.
7. Ricordare che troppa luce e troppe sorgenti luminose rovinano le foto con
illuminazione artificiale.
• Lampo diretto
1. Se possibile, evitare di montare il lampo direttamente sul corpo macchina, ma tenerlo
distanziato con una staffa o uno stativo.
2. Quando il soggetto è esteso in profondità, il lampo diretto è estremamente
sconsigliato; il primo piano viene bruciato e il resto risulta troppo scuro. In questi casi
si può ricorrere con successo al lampo riflesso, oppure all'uso di due flash.
3. Non usare obiettivi con angolo di campo maggiore dell'angolo di illuminazione del
flash; in questi casi passare al lampo diffuso o riflesso.
4. Per ridurre il fenomeno degli occhi rossi preferire lampeggiatori che emettono il
prelampo.
5. Quando si usano più lampeggiatori, l'esposizione va fatta per quello che fornisce
l'illuminazione principale.
6. L'uso migliore dei lampeggiatori incorporati è per il fill-in; nel normale lampo diretto
usare, se possibile, un diffusore anche di fortuna, per passare al lampo diffuso.
7. Con un lampo diretto si può simulare la luce del sole in giornate grigie; bisogna
portare la torcia lontano dalla fotocamera e posizionarla in alto, servendosi di un lungo
cavo per il sincronismo
• Lampo diffuso
1. Se non si usa l'apposito diffusore, fare attenzione che il fazzoletto o la carta non
vadano sul sensore di esposizione o sull'obiettivo
2. Come diffusore usare un materiale che non provochi dominanti cromatiche e che non
assorba troppo la luce.
3. Il lampo diffuso annulla il fenomeno degli occhi rossi.
• Lampo riflesso
1. Assicurarsi che la superficie usata per la riflessione sia bianca o grigia, per evitare
dominanti di colore.
2. Come superficie riflettente non usare uno specchio.
3. Preferire una parete laterale al soffitto; l'illuminazione è più naturale perché richiama
quella di una finestra.
4. Il sensore che regola l'esposizione automatica del flash deve essere sempre rivolto
verso il soggetto
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Capitolo VII – Gli Accessori
5. L'angolo di riflessione non deve essere troppo stretto, per non creare ombre innaturali;
non stare troppo vicini al soggetto.
6. Il lampo riflesso annulla il fenomeno degli occhi rossi.
Un'attrezzatura formata ad una macchina fotografica reflex ad esposizione TTL
completamente automatica anche col flash, affiancata da un lampeggiatore dedicato di buona
potenza, offre risultati impeccabili nella stragrande maggioranza delle occasioni pratiche
indipendentemente dalle tecniche impiegate, a patto che se ne faccia un uso accorto e
consapevole. Tra le diverse opzioni ci deve essere anche quella di potere lavorare in modalità
completamente manuale. Al solito, non ci si può esimere dal pensare, ricercando la migliore
soluzione ai vari problemi.
Il Paraluce
La condizione ideale sarebbe che la pellicola rimanesse impressionata soltanto dalla luce
riflessa dal soggetto e dalle altre parti
che compongono l'inquadratura; in realtà
altre luci estranee possono penetrare
all'interno dell'obiettivo e provocare
velature o aloni indesiderati sul
fotogramma. Il paraluce da montare
anteriormente sull'obiettivo ha appunto
lo scopo di evitare che raggi luminosi
obliqui e indesiderati colpiscano direttamente la lente frontale dell'obiettivo, dando origine ai
problemi menzionati. Tutti gli obiettivi intercambiabili e una buona parte di quelli fissi
possiedono un paraluce staccabile (da avvitare o da innestare) o incorporato (generalmente
scorrevole). Spesso il paraluce manca nelle macchine fotografiche compatte e digitali, dove al
massimo si è in presenza di una montatura sagomata in modo da svolgere funzioni di paraluce
appena accennato e di scarsa efficacia. Quasi sempre il risultato di riflessi indesiderati perché
estranei all'inquadratura non è soltanto quello di aloni sulla pellicola; infatti questi raggi
luminosi inopportuni vanno quasi sempre ad influenzare la misurazione dell’esposizione,
provocando una indebita chiusura del diaframma e la conseguente sottoesposizione, che può
essere anche molto accentuata e tale da rendere inutilizzabile il fotogramma.
I riflessi creati da luci esterne al campo d'immagine non vanno confusi con quelli dovuti a
sorgenti luminose volutamente comprese nell'inquadratura; queste ultime vanno gestite al
meglio sia per quello che riguarda i riflessi indesiderati (ricercando il migliore punto di
ripresa), sia per i problemi di esposizione (correzione tipica dei controluce).
Le dimensioni di un paraluce (diametro e lunghezza) vengono stabilite dal fabbricante
dell'obiettivo, in modo che non provochi vignettature, ossia uno scurimento ai bordi del
fotogramma. Nei grandangolari spinti il paraluce viene sagomato in maniera caratteristica, per
eliminare in massimo grado i riflessi senza provocare vignettature. Negli obiettivi zoom i
paraluce sono dimensionati per la posizione grandangolare e risultano inadeguati per quella
del teleobiettivo. Per le macchine fotografiche di medio e grande formato esistono paraluce a
soffietto, poco pratici da usare ma in grado di fornire la massima protezione.
In tutti i casi in cui si riscontra l'insorgere di riflessi spuri, si deve cercare di proteggere la
lente frontale dell'obiettivo dai raggi indesiderati, mettendosi all'ombra di un riparo o facendo
protezione con la mano. In tali occasioni il controllo diretto e reale dell'inquadratura offerto
da una fotocamera reflex offre la garanzia migliore.
Infine, un paraluce ben proporzionato deve essere studiato per un impiego contemporaneo di
eventuali filtri; il problema insorge più facilmente coi grandangolari.
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Capitolo VII – Gli Accessori
Lo scatto flessibile
Una delle cause più frequenti delle immagini mosse è costituita dal movimento impresso alla
macchina fotografica al momento dello scatto. L'inconveniente aumenta all'allungarsi dei
tempi di otturazione; quando si deve esporre a 1/30 o con tempi più lunghi c'è praticamente la
certezza di ottenere un fotogramma mosso.
Evidentemente il rimedio ad una situazione del genere deve essere duplice. Innanzitutto si
deve montare la fotocamera su un treppiede, in modo che l'apparecchio rimanga ben fermo;
poi si deve ricorrere all'aiuto di uno scatto flessibile, che evita la trasmissione di vibrazioni
alla macchina fotografica quando si preme il pulsante di scatto. In uno scatto flessibile
meccanico va generalmente avvitato sul pulsante di scatto, il cui azionamento avviene
mediante un filo metallico che scorre all'interno di una guaina. La flessibilità del filo evita la
trasmissione di vibrazioni, mentre un pomellino zigrinato serve per bloccare l'otturatore nella
posa B (utile nelle esposizioni manuali molto lunghe). Nelle fotocamere moderne lo scatto
flessibile, al pari del pulsante di scatto, è di tipo elettrico; la sua funzione non cambia rispetto
al filo meccanico.
Lo scatto flessibile dovrebbe entrare a far parte del corredo di ogni macchina fotografica; la
sua utilità è evidente anche nella macrofotografia. Quando manca lo scatto flessibile si può
ricorrere all'autoscatto, che evita di muovere il corpo macchina al momento dell'esposizione.
Il Treppiede o Cavalletto
In molti casi c'è la necessità di procurare un sostegno saldo per la
macchina fotografica. Le situazioni tipiche sono con l’uso di obiettivi
di lunghezza focale molto lunga, quando si usano tempi di otturazione
molto lenti, nella fotografia notturna, nella riproduzione di documenti
e in macrofotografia. In queste e in altre occasioni è praticamente
obbligatorio ricorrere ai servigi di un buon treppiede, detto anche
cavalletto o stativo. Ma quand'è che un treppiede può essere
considerato "buono"? Innanzitutto deve essere dotato di solidità,
rigidezza e stabilità, qualità che non sono strettamente legate al peso;
l'impiego di materiali leggeri e la costruzione accurata fanno sì che
anche treppiedi poco pesanti svolgano egregiamente la loro funzione: tenere la fotocamera
ben ferma, in modo che anche con tempi di posa lenti non si abbiano sfocature dovute a
movimenti dell'attrezzatura durante l'esposizione.
La solidità di un cavalletto va vista in relazione alle dimensioni e al peso della macchina
fotografica che deve esservi montata; per una fotocamera di medio formato è necessario un
treppiede che sarebbe eccessivamente robusto (e costoso) per una compatta. Naturalmente un
cavalletto troppo leggero e poco affidabile rappresenta soltanto uno spreco di soldi; è meglio
spendere un po' di più per comprare uno stativo adatto allo scopo: garantire la nitidezza. A
proposito della nitidezza, si fa notare che i tempi di posa lunghi accentuano i movimenti del
corpo macchina impressi dall'operatore al momento della pressione sul pulsante di scatto.
Inoltre nelle fotocamere reflex il movimento dello specchio che si alza al momento dello
scatto innesca delle vibrazioni ulteriori, sempre presenti in maggiore o minore misura, a
seconda della marca e del modello dell'apparecchio. Anche l'uso dello scatto flessibile
favorisce il conseguimento di immagini nitide.
Insomma, le cause di una nitidezza ridotta sono molteplici ed hanno in comune un unico
rimedio: montare l'apparecchio fotografico su un buon treppiede. Sul fondo di ogni
apparecchio, dai più semplici ai più raffinati, esiste un apposito attacco filettato per il
montaggio su cavalletto; alcuni stativi prevedono un attacco rapido, per facilitare e
velocizzare l'operazione.
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Capitolo VII – Gli Accessori
Nel caso di teleobiettivi di lunga focale è spesso preferibile fissare il treppiede all'ottica, che
proprio per questo presenta l'apposito attacco filettato.
Tra i pregi da ricercare in un treppiede ci sono una colonna centrale regolabile in altezza
mediante manovella e cremagliera, una testa snodabile in tutte le direzioni, gambe non troppo
frazionate, bloccaggi pratici e sicuri di tutti questi elementi mobili.
In commercio esistono piccoli treppiedi da tavolo, dotati di piccole gambe o di morsetto da
fissare a supporti di fortuna; anche i monopiedi possono svolgere funzioni di cavalletto. In
ogni caso si tratta di surrogati dei treppiedi veri e propri, che non dovrebbero mai mancare nel
corredo di un fotografo.
Le Borse
Per ogni modello di macchina fotografica le case costruttrici hanno a catalogo diversi tipi di
borse
concepite
per
proteggere l'apparecchio da
urti e intemperie. La più
semplice è la cosiddetta
borsa pronto, ossia una
custodia tagliata su misura
per ogni apparecchio; in
realtà di pronto c'è solo il
nome, perché nell'uso sul
campo dimostra di essere
quasi
sempre
molto
scomoda. Serve più che
altro per fornire una certa protezione durante il trasporto. Nelle compatte la borsa pronto viene
fornita di serie.
Ben più utili sono le borse dedicate, fornite dalle case costruttrici dell'apparecchio e studiate
espressamente per ogni modello. Possono essere di misure e fogge diverse, con scomparti per
la macchina, gli obiettivi e gli accessori.
Infine vengono le borse universali, costruite da ditte specializzate in una grande varietà di
modelli, dimensioni e materiali. Quasi sempre si è in presenza di divisori mobili, in modo da
adattare la disposizione interna alle più disparate esigenze.
L'acquisto di una borsa è meno facile di quel che sembri; è bene orientarsi su marche
affidabili, tenendo presente che è sciocco risparmiare su un accessorio che serve a preservare
un'attrezzatura molto costosa. I requisiti da ricercare sono i seguenti:
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Materiale impermeabile e molto resistente;
Imbottitura esterna per assorbire gli urti;
Peso il più possibile contenuto;
Interno modificabile a piacimento per adattarlo alle varie esigenze;
Presenza di molti scomparti separati di diverse misure, per sistemare gli accessori
grandi e piccoli;
Sistema di chiusura a tenuta di polvere, facile da azionare con una sola mano e molto
affidabile nel tempo;
Cinghia a tracolla robusta e imbottita, trasformabile in cinghia corta per il trasporto a
mano;
Cinturini esterni per il fissaggio di un treppiede;
Grande praticità d'uso.
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Capitolo VII – Gli Accessori
Per trasportare l'attrezzatura in paesi tropicali è bene ricorrere a valigie metalliche o di
materiali plastici speciali, a tenuta ermetica; sono molto più robuste delle borse normali e
garantiscono il massimo della protezione, anche se non della praticità.
I filtri
Anche i filtri fanno parte di quegli accessori che sono in possesso di praticamente tutti i
fotografi. I filtri sono dei semplici sistemi ottici che vengono
posti davanti l’obiettivo per ottenere gli effetti più disparati.
Esistono decine di tipi di filtro, da quelli di uso universale come
i filtri UV o Skylight fino ad arrivare a filtri specialissimi come
i filtri per la fotografia all’infrarosso o all’ultravioletto.
Esistono anche filtri specifici per la fotografia in B/N (detti
filtri di contrasto) e filtri dedicati alla fotografia a colori.
Vediamo di fare alcune distinzioni:
Filtri di uso generale
A questa categoria appartengono i filtri UV e Skylight e i filtri a Densità Neutra. Il filtro UV è
assolutamente trasparente, mentre lo Skylight possiede una colorazione leggermente rosata
che differisce a seconda del costruttore. Questi filtri possono essere utilizzati sia nella
fotografia a colori che in quella B/N. La loro funzione è quella di bloccare i raggi ultravioletti
che si trovano ad esempio in alta montagna o al mare. Sono di uso così generale che spesso
vengono montati sugli obiettivi per proteggere la lente frontale dalla polvere e dalla sporcizia.
Filtri per il B/N (di contrasto)
Nella fotografia in B/N sono molto spesso utilizzati dei filtri colorati. Questi filtri sono
utilizzati per aumentare il contrasto della fotografia. Il loro funzionamento si basa sulla
proprietà che un determinato colore lascia passare bene solo la luce del suo colore e impedisce
il passaggio della luce del colore complementare. Quindi un filtro giallo ad esempio, lascia
passare bene il colore giallo e impedisce il passaggio della luce blu. Il filtro giallo viene
utilizzato per scurire il cielo limpido. Vediamo in dettaglio quali filtri sono di utilizzo corrente
e qual’è la loro applicazione.
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Filtro Giallo: come detto impedisce il passaggio della luce blu. Viene utilizzato per
scurire leggermente il cielo ed aumentare il contrasto generale della fotografia. Alcuni
fotografi lo montano stabilmente sull’obiettivo al posto del filtro UV
Filtro Arancio: Scurisce ulteriormente il cielo rispetto al filtro giallo ed aumenta il
contrasto tra cielo e nuvole. Riesce a penetrare molto bene la foschia ed è pertanto
consigliato il suo uso con forti teleobiettivi che comprimendo i piani rendono
particolarmente evidente l’effetto di diffusione della foschia o nebbia leggera.
Filtro Rosso: rende il cielo nero tanto da farlo sembrare in tempesta. Le nuvole
appariranno di un bianco candido su un cielo assolutamente nero. Il filtro rosso è
anche utilizzato nella fotografia di ritratto perché tende a schiarire la pelle e le labbra
del soggetto. Il filtro rosso è anche molto utilizzato per la fotografia all’infrarosso.
Filtro Blu: E’ molto poco utilizzato. Enfatizza l’effetto della foschia
Filtro Verde: E’ utilizzato nella fotografia di ritratto perché al contrario del filtro
rosso scurisce la pelle rendendo così il soggetto con un colorito da persona abbronzata.
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Capitolo VII – Gli Accessori
Ovviamente in commercio si trovano vari tipi di filtro giallo: c’è il giallo, il giallo medio e il
giallo scuro. Lo stesso si può dire per i filtri rossi e verdi, dove, nel caso specifico si possono
trovare varie gradazioni di giallo-verde.
Filtri per la fotografia a colori
Nella fotografia a colori i filtri sono prevalente mente utilizzati per correggere, o introdurre,
varie dominanti di colore. I filtri più utilizzati sono quelli blu e quelli ambra e vengono
utilizzati per correggere la temperatura di colore delle sorgenti luminose secondo la tabella
qui sotto riportata.
I filtri dalla colorazione meno marcata come gli 81, 81A, 81C, 81D e la serie 82 correggono la
temperatura di colore della sorgente di molto poco e sono quindi utilizzati per correggere le
dominanti blu e rosse dell’alba e del tramonto. Al contrario i filtri come l’80A, 80B, 85 e 85C
che hanno una colorazione molto evidente sono utilizzati per le riprese con luce artificiale
utilizzando una pellicola per luce diurna o viceversa.
Esistono anche dei filtri (FL-D) che consentono di correggere la dominante verdognola
prodotta dall’illuminazione prodotta dai tubi fluorescenti.
I numeri relativi al tipo di filtro (80, 80A etc.) fanno riferimento alla serie di filtri Wratten
della Kodak. E’ molto comune che i vari fabbricanti chiamino i loro filtri con nomi diversi
che hanno comunque una corrispondenza con i numeri della serie Wratten. Allo scopo e bene
procurarsi un catalogo dei prodotti del costruttore che interessa per poter effettuare la scelta
più opportuna.
Filtro polarizzatore
Il filtro polarizzatore è un particolare filtro che grazie alle proprietà della luce polarizzata
permette di eliminare i riflessi prodotti da superfici NON metalliche. Proprio per la capacità
di eliminare la parte polarizzata della luce questo filtro ha anche la capacità di saturare i colori
dei soggetti che si trovano a 90° rispetto alla posizione del sole. In effetti in questa posizione
la quantità di luce polarizzata è massima e quindi l’effetto del filtro è maggiormente evidente.
Man mano che ci si allontana da questa posizione l’effetto del filtri si fa via via meno evidente
fino a sparire del tutto.
E’ uno dei filtri più utile ma anche più costosi. Ne esistono di due tipi: polarizzatori lineari e
polarizzatori circolari. Prima di procedere all’acquisto è necessario consultare il manuale della
propria fotocamera per verificare che il sistema esposimetrico non abbia problemi con
l’utilizzo di un tipo piuttosto che dell’altro.
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Capitolo VII – Gli Accessori
Filtri speciali
I filtri a densità neutra invece hanno la particolare funzione di limitare la quantità di luce che
entra nell’obiettivo senza introdurre dominanti cromatiche. Questi filtri consentono di
utilizzare diaframmi più aperti (o tempi di scatto più lunghi) anche in quelle situazioni dove la
luce è talmente intensa da costringere il fotografo, in condizioni normali, ad utilizzare tempi
d’esposizione brevissimi associati ad aperture di diaframma piccolissime. Ne esistono di varie
gradazioni e con fattore filtro via via crescente: X2, X4, X8 e così via.
Oltre ai filtri citati ci sono svariati altri tipi di filtro e per rendersi conto della varietà è
sufficiente sfogliare il catalogo di uno qualsiasi dei produttori di filtri. Filtri per generare
stelle in corrispondenza di fonti luminose, per creare effetti come la nebbia, filtri flou e chi
più ne ha più ne metta. L’utilizzo dei filtri è una questione assolutamente personale, ma come
regola generale e bene non abusare nel loro uso perché l’effetto è molto spesso evidente e non
realistico.
Il fattore filtro
Ovviamente il filtro quanto più la sua colorazione è intensa tanto più assorbe luce alla scena
da riprendere. Nel caso quindi si utilizzi un esposimetro esterno di questo fatto si dovrà
tenerne conto. Il fattore filtro è un indice, in genere riportato sulla montatura del filtro, che
indica di quanto l’esposizione deve essere aumentato. Dunque se per esempio sulla montatura
del filtro è indicato X2 significa che l’esposizione dovrà essere raddoppiata, mentre se sul
filtro è indicato X4 significa che l’esposizione dovrà essere quadruplicata. Se quindi ad
esempio l’esposizione indicata dall’esposimetro è di 1/125 a f=8 e il fattore filtro è X2 la
nuova esposizione potrà essere una delle due coppie tempo diaframma: 1/60 – f=8 oppure
1/125 – f=5,6.
Oggigiorno con la lettura esposimetrica TTL questo genere di calcoli non sono più necessari
perché l’esposimetro tiene direttamente in considerazione il fattore filtro e fornisce in ogni
istante l’esposizione corretta.
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