Convertitevi, il regno dei cieli è vicino

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Convertitevi, il regno dei cieli è vicino
Vicenza, 29 novembre 2016
II AVVENTO – ANNO A
Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12
Convertitevi, il regno dei cieli è vicino
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno
dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel
deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano
cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e
si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter
sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi:
“Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è
posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi
battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di
portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il
suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
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Contesto. La pericope presenta la figura di Giovanni e la sua attività (vv. 1-6) e la sua predicazione
(vv,7-12). Il suo annuncio, la conversione e la vicinanza del regno (3,1), è il medesimo che sarà ripreso più
avanti da Gesù (4,17). C’è una continuità fra il Battista e Gesù. Ma emergono anche dei motivi di
contrapposizione e differenza: non solo in merito al battesimo (nell’acqua e in Spirito Santo e fuoco), ma si
delineano anche due schemi messianici differenti.
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Giovanni in Battezzatore. In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della
Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato
il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i
suoi sentieri!». Tutto di Giovanni è racchiuso nella sua funzione, battezzare e predicare. Tutto in lui è
riferimento a un altro più forte di lui, egli appare per scomparire. Con la sua azione Giovanni appartiene già
al tempo messianico, ma il protagonista ne sarà Gesù. Il predicatore nel deserto ha la funzione di
anticipatore.
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo
erano cavallette e miele selvatico. Quella di Giovanni è una figura di essenzialità, egli è il nuovo Elia (Ml
3,23), profezia che ritrova la sua voce: peli di cammello, cintura di pelle (vedi 2Re 1,8), cavallette e miele
selvatico. Forse essenzialità può essere il nome del Natale. Essenzialità, come capacità di fare spazio a Dio.
Ecco perché il grido del Battista avviene nel deserto. Deserto è ritorno all’essenziale, a quella povertà
interiore dove siamo autentici, dove siamo piccoli, dove non temiamo più il nostro limite. Lì Dio viene nel
profondo della nostra umanità. Quanto più saremo in rapporto con Dio, tanto più scenderemo nel
profondo della nostra umanità, nello spogliamento di ogni ruolo, di ogni maschera, di ogni cosa superflua.
Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano
battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Il suo battesimo è legato alla conversione
e alla confessione e al perdono dei peccati: in questo si distingue dai bagni rituali dei Giudei, legati alle
impurità rituali. Per Giovanni è in gioco la dimensione morale, il ritorno a Dio. Si colloca in un contesto
penitenziale. Inoltre il battesimo non poteva essere ripetuto. Esso è segno di una conversione (metanoia),
un cambiamento di mentalità: dagli idoli a Dio. È un cambiamento radicale che riporta l’uomo alla sua
identità. Voltarsi dagli idoli a Dio è un ritorno a casa.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere
di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter
dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare
figli ad Abramo. La predica del Battista si rivolge con toni polemici contro i rappresentanti religiosi del
giudaismo. Si parla di “vipere”, quasi a voler dire che sono avversari del progetto salvifico di Dio. Il
messaggio non andava solo contro i capi dei Giudei: qui Matteo si rivolge anche alla sua comunità cristiana
per scuotere i credenti dalla falsa sicurezza di un ritualismo sterile. Lo stesso battesimo non è una garanzia,
così l’appartenenza religiosa: abbiamo Abramo per padre. Il criterio ultimo è una prassi di conversione, che
è cambiamento di mentalità derivante dall’adesione alla mentalità di Dio.
Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e
gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di
me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la
pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco
inestinguibile». Le immagini dell’albero tagliato alla radice e del fuoco riprendono la predicazione dei
profeti. L’imminenza messianica di colui che viene dopo Giovanni imprime un accento di urgenza alla
necessaria conversione.
La sua predicazione si concentra tutta sulla imminente venuta del messia e sul riconoscimento della sua
superiorità. È Gesù, non Giovanni, la figura decisiva. Sono posti a confronto anche i due battesimi, di acqua
e di Spirito e fuoco. La purificazione operata dal battesimo di Giovanni è provvisoria, quella di Gesù è legata
allo Spirito e concerne la realtà ultima dell’esistenza di ciascuno, e avviene nel fuoco, con una chiara
connotazione di giudizio che viene ripresa nella similitudine della purificazione dell’aia.
La stessa menzione al gesto dello slegare i sandali evoca il rapporto tra il padrone e lo schiavo. Gesù viene
dopo Giovanni (è la posizione del discepolo), quasi a dire che è suo discepolo. Ma sciogliere i sandali è
lavoro da schiavi. Giovanni sta dischiarando: ho un discepolo, di cui non son degno di essere discepolo e
neppure lo schiavo.
Ma lo sfondo simbolico può essere anche un altro. L’immagine (vedi R. Vignolo in «Parola, Spirito, e Vita» 60 (2009) 85-126)
risulterà più appropriatamente comprensibile – come già intuito da alcuni Padri come Girolamo, Cipriano, Ambrogio, Gregorio
Magno, Beda, Tommaso d’Aquino – nella più specifica chiave di diritto matrimoniale, in riferimento cioè al rito giuridico
cosiddetto dello scalzamento (halitzà) riconducibile nel più ampio quadro della ben nota legge del levirato (Dt 25,5-10; Rt 4,1-17,
soprattutto vv. 7-8; cf Is 54). Com’è noto questa istituzione mosaica cercava di risolvere la penosa situazione di un giovane sposo
morto prematuro senza figli e di una vedova precoce, che poteva essere presa in moglie dal «fratello» del morto, il parente suo
più prossimo in ordine a suscitare una figliolanza che ne avrebbe portato il nome. Qualora poi il più prossimo avesse rinunciato
al proprio diritto, poteva allora subentrarne un altro, sempre il più vicino in grado di parentela, a prendersi lui la donna in moglie
con pieno diritto, alle stesse condizioni e con gli stessi obbiettivi. Il passaggio del diritto di levirato da un soggetto all'altro
avveniva tramite questo rito dello «scalzamento» (halitzà), un’azione simbolico-giuridica che comportava appunto lo
scioglimento e la sottrazione del/dei sandalo/i, individuabili quale simbolo di diritto e di proprietà. Secondo Dt 25,5-10 lo
scalzamento aveva addirittura qualcosa di infamante, venendo effettuato dalla stessa donna in questione, dopo avere sputato in
faccia al cognato che aveva osato rifiutarla.
Così Giovanni Battista riconosce di non essere lui il Messia/sposo, nel senso di non poter vantare alcun diritto di acquisizione
«sponsale» nei confronti del popolo, nonostante il proprio carisma profetico, riconosciutogli da Gesù in persona (Mc 1,9-11;
11,27-33).
Questa tonalità sponsale del linguaggio del Battista sarà esplicitata dal Quarto Vangelo, dove proclamando: «E' lo sposo che ha
la sposa!», potrà lui stesso qualificarsi solo come «l'amico dello sposo». Interessante notare (vedi Renzo Infante, Lo sposo e la
sposa, p. 120) che la simbologia nuziale è presente anche nel richiamo di Giovanni al popolo nel deserto per prepararlo alla
venuta del messia, allo stesso modo in cui gli antichi profeti riconducevano la sposa nel deserto per spingerla al ritorno (Os 2,1617; Ger 2,2-3). Il deserto è dunque luogo-esperienza ideale in cui si riallaccerà il definitivo patto d’amore tra Dio e il suo popolo.
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Conversione. Se la Parola della prima domenica di Avvento ci chiedeva la vigilanza, la parola chiave
di questo Vangelo è invece conversione (metanoia), cambiamento di mentalità e di vita capace di mostrare
la differenza del cristiano. Conversione è la capacità di ritorno a Dio. La conversione a cui tutti siamo
chiamati è dunque il superamento dell’autoreferenzialità, di quella philautia che ci impedisce l’incontro,
del ripiegamento su di sé, dell’autosufficienza che illude e soffoca l’uomo.