4_La mammella - filippolotti.it

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LA MAMMELLA
E’ un carattere sessuale secondario ( quelli
primari sono i genitali esterni ).
Anatomia
La mammella è una ghiandola sudoripara
modificata, ricoperta dai tegumenti (cute e
sottocute).
L’unità funzionale (a livello
microscopico) è il lobulo mammario costituito da
più acini tenuti insieme da uno stroma costituito
da tessuto adiposo e fibroso. All’apice dei lobuli
ci sono dotti escretori detti dotti galattofori
che sbucano sul capezzolo (tanti sono quelli che
partono dalle ghiandole quanti quelli che
arrivano al capezzolo). Attorno al capezzolo c’è
l’areola in cui ci sono ghiandole sebacee che
servono per lubrificare durante l’allatamento
così che non ci sia troppo frazionamento da
parte delle labbra del bambino e non si formino
le ragadi. Il capezzolo ha capacità erettile e
quando è stimolato dalla suzione da parte del
bambino l’erezione fa si che si liberi ossitocina
(per azione riflessa) che agisce sui miociti che
si trovano attorno ai dotti galattofori e
permette la fuoriuscita del latte ( è perciò che
si attacca il bambino dopo il parto, per far
avvenire
loostimolo.
Adagiata
sul muscolo grande pettorale è separata dalla
fascia di questo da uno strato adiposo che è in
continuità con quello interposto tra gli elementi
ghiandolari e che ne determina la grandezza
volumetrica ( perché gli stessi ormoni che
agiscono sulla ghiandola agiscono anche
sui
lobuli adiposi). All’epoca della pubertà la regione
mammaria si presenta piana, e quando la
mammella ha raggiunto il suo pieno sviluppo ha la
forma di una mezza sfera piena con il capezzolo
leggermente deviato verso l’esterno. La
mammella voluminosa è detta macromastia mentre piccola si dice micromastia. L’ipotrofia
mammaria può essere correlata ad una agenesia ovarica o ad altri difetti della produzione di
estrogeni, mentre l’ipertrofia (gigantomastia o macromastia) si può riscontrare
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frequentemente durante la fase puberale per un’aumentata increzione ormonale a causa di
turbe non solo ovariche, ma anche tiroidee, ipofisarie e surrenaliche.
Quindi si hanno tre strati: cute e sottocute - ghiandola con tessuto adiposo - muscolo
Drenaggio linfatico
E’ importante sapere il percorso della linfa per capire cosa succede quando c’è un cancro alla
mammella quindi come si diffonde. La mammella dal punto di vista obbiettivo viene suddivisa in
quattro quadranti con due linee perpendicolari passanti per il capezzolo e quindi abbiamo i
quadranti superesterno, interesterno, superinterno e interinterno; mentre in passato si
pensava che il drenaggio linfatico dipendesse da un collegamento in base ai quadranti (cioè che
ogni quadrante drenasse verso una certa zona con linfonodi), oggi si è visto che c’è una
notevole intersezione dei vasi linfatici e questo fa si che anche se c’è un tumore nel quadrante
interinterno si può trovare interessati linfonodi ascellari e viceversa dal quadrante
superesterno si può avere drenaggio verso i linfonodi sternali.
Fondamentalmente tre sono le vie di drenaggio linfatico: ascellare, interpettorale, e
mammaria interna. Le grandi stazioni linfatiche si trovano quindi nel cavi ascellare (lungo la
vena e l’arteria ascellare), nella
zona retrosternale (lungo la
vena toracica interna) e alla
base del collo. Quando i
linfonodi della base del collo e
quelli sopraclaveari, che sono
più distanti dalla mammella,
sono colpiti dal cancro vuol dire
che il cancro è già considerato
metastatico perché ha già
superato i “limiti” di organo e si
è già infiltrato.
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Un po’ di Fisiologia
( il prof non ne ha parlato è solo per noi)
La mammella rappresenta il crocevia ed il bersaglio di numerose sostanze ad azione ormonale
che, oltre ad agire nel determinismo della normale fisiologia della ghiandola, come gli ormoni
sessuali femminili, sono responsabili, sia direttamente, sia tramite la mediazione di ormoni
prodotti da altri organi (Fig. 5.3), di alterazioni diverse che si realizzano nelle varie forme di
patologia mammaria benigna e che possono assumere il ruolo di lesioni precancerose. L’ipofisi
agisce sulla ghiandola mammaria sia direttamente, mediante la prolattina (PRL) e l’ormone
della crescita (GH), sia indirettamente con le gonadotropine ipofisarie follicolostimolanti
(FSH) e luteinizzati (LH), destinate all’ovaio; l’ormone tireotropo (TSH), che influisce sulla
funzione tiroidea; l’ormone adrenocorticotropo (ACTH),che esplica la sua azione sulle
ghiandole surrenali.
La produzione degli ormoni ipofisari è inoltre controllata, attraverso la liberazione di sostanze
ormonali (releasing-factors), dall’ipotalamo.
L’ovaio, stimolato dall’FSH e dall’LH, agisce sulla mammella tramite gli estrogeni e il
progesterone ed anche mediante alcuni androgeni; la tiroide influisce con i suoi ormoni
triiodotironina (T3) e tiroxina (T4), mentre le ghiandole surrenali determinano la loro azione
non solo attraverso gli androgeni, ma anche con il cortisolo e l’aldosterone.
In gravidanza, la placenta, mediante la liberazione di mammotropina corionica, estrogeni e
progesterone favorisce modificazioni strutturali alla ghiandola mammaria. Infine un ruolo
sulla mammella, anche se a tutt’oggi non ben chiarito, sembra essere svolto dal pancreas
mediante l’insulina. Affinché gli ormoni possano esplicare la loro azione su una cellula bersaglio
è necessario che essa possieda i recettori specifici per quell’ormone. Nelle cellule epiteliali
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della ghiandola mammaria i recettori ormonali sono fondamentalmente di due tipi:
citoplasmatici per gli ormoni steroidei (estrogeni, progesterone, androgeni) e di membrana per
gli altri ormoni (PRL, GH, T3, T4, insulina). Le modificazioni strutturali fisiologiche della
mammella femminile sono legate a stimoli ormonali che agiscono sulla ghiandola in modo assai
complesso.
Nella fase puberale, in seguito alla stimolazione ormonale, avviene lo sviluppo della ghiandola
mammaria nella donna, mentre nell’uomo, tranne una transitoria fase di ipertrofia
(ginecomastia prepuberale) tra i 14 ed i 16 anni, la ghiandola va incontro ad atrofia.
Contestualmente alla crescita della porzione ghiandolare, aumenta la quantità di tessuto
adiposo del sottocute e del connettivo con una proliferazione di elementi duttali.
L’approfondimento dei dotti nei tessuti del sottocutaneo è accompagnato dallo sviluppo dei
lobuli terminali. La ghiandola subisce modificazioni, anche dopo la fase di sviluppo puberale,
legate al ciclo mestruale, alla gravidanza, all’allattamento e successivamete alla menopausa. Lo
sviluppo della mammella può durare diversi anni e può non essere completo fino alla terza
decade di vita.
Nella pubertà inizia lo stimolo ipofisario sulle ovaie mediante l’increzione di gonadotropine
(fondamentalmente FSH), che portano a maturazione i follicoli oofori i quali a loro volta
cominciano a produrre estrogeni. Sotto lo stimolo di questi ultimi inizia, nella ghiandola
mammaria, la proliferazione dell’epitelio dei tubuli, da cui deriveranno poi gli acini ghiandolari;
contemporaneamente si sviluppa il connettivo mantellare e di sostegno responsabile
dell’iniziale aumento di dimensioni della mammella in toto. In seguito alla prima ovulazione nelle
ovaie si sviluppano i corpi lutei che a loro volta inducono alla produzione del progesterone,
sotto il cui effetto si ha lo sviluppo dei lobuli e delle strutture acinose della ghiandola.
La donna ha ormai raggiunto la maturità sessuale ed è pronta per la gravidanza.
Durante la fase proliferativa del ciclo mestruale (3-7 giorni), si nota un aumento delle mitosi
delle cellule acinose dei lobuli, circondati da un denso tessuto connettivo mantellare. Fra
l’VIII ed il XIV giorno (fase follicolare), a livello degli acini, le cellule mioepiteliali e
ghiandolari cilindriche appaiono più ricche di collageno mentre l’attività mitotica è diminuita.
Nel corso della fase luteinica o secretoria, che avviene fra il XV ed il XX giorno, nelle cellule
dei lobuli si verifica la desquamazione dello stroma seguita da una vera secrezione apocrina
nei tubuli. Nei tessuti all’interno dei lobuli si osserva edema accompagnato da una congestione
venosa, la mammella diventa turgida e può anche essere notevolmente dolente. Durante la
mestruazione i lobuli regrediscono e vanno incontro a fibrosi. La congestione e l’edema si
riducono fino a scomparire e la mammella raggiunge nuovamente le minime dimensioni all’ottavo
giorno circa dall’inizio delle mestruazioni.
La gravidanza incide profondamente sulla struttura macroscopica e microscopica della
mammella.
Già nel I trimestre si possono osservare variazioni del tessuto epiteliale. Durante il II
trimestre i lobuli aumentano di dimensioni per una proliferazione degli acini lobulari, molti dei
quali ripeni di secreto. Tale fenomeno, noto come “adenosi della gravidanza”, è influenzato
dagli elevati livelli circolanti di estrogeno e progesterone, oltre che dai livelli di prolattina che
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aumentano costantemente durante la gestazione. La quantità di tessuto connettivo intra- e
interlobulare nel III trimestre si riduce a tal punto da apparire, all’inizio dell’allattamento,
come un sottile setto fibroso che separa i lobuli aumentati di volume e distesi dalla
secrezione.
Dopo il parto, vi è una repentina scomparsa degli ormoni placentari ed un mantenimento
dell’alto livello di prolattina. Questo potrebbe essere il principale stimolo all’allattamento. Le
cellule mioepiteliali si allungano, consentendo, con la loro capacità contrattile, l’espressione del
latte verso i dotti; la loro contrazione sembra essere una risposta al peptite ossitocina di
derivazione pituitaria. La stimolazione del capezzolo sembra essere il segnale fisiologico per il
proseguimento di secrezione pituitaria di prolattina e per il rilascio acuto di ossitocina.
Alla fine dell’allattamento, vi è una caduta di prolattina e l’assenza di stimolo per il rilascio di
ossitocina. Si assiste quindi, per l’involuzione delle strutture ghiandolari, ad una riduzione di
volume della mammella che, a causa della permanente dilatazione dei tubuli, non ritorna quasi
mai alle dimensioni originarie.
Con il passare degli anni cominciano a manifestarsi, in alcuni distretti della ghiandola, dei
processi di atrofizzazione apparentemente non in correlazione all’attività ovarica. Questo
processo involutivo inizia molto probabilmente fra la III e la IV decade di vita della donna e
progredisce decisamente con la menopausa. Le cellule di rivestimento degli acini diminuiscono
ed i lobuli stessi si riducono di volume. Il tessuto connettivale dei lobuli diventa densamente
fibrotico e piccole cisti possono formarsi dalla coalescenza degli acini, che possono anch’essi
andare incontro a fenomeni fibrotici. Anche l’epitelio duttale progressivamente si atrofizza,
molti dotti si obliterano e vengono via via sostituiti da una notevole quantità di tessuto
adiposo.
Prevenzione primaria - Autopalpazione
Il cancro alla mammella colpisce il 20% di donne, con una mortalità del 30-35% ed è il cancro
che colpisce di più le donne. La migliore metodica diagnostica ai fini di una diagnosi precoce
del cancro della mammella si è dimostrata l’autopalpazione del seno che tutte le donne sopra i
20 anni dovrebbero sistematicamente praticare ogni mese in modo da conoscere bene la
propria mammella e acquisire una sensibilità tale da poter apprezzare lesioni anche assai
piccole; già ad un cm di dimensione vuol dire che il cancro ha avuto un tempo di
raddoppiamento di 6 anni.
La palpazione della mammella è fondamentale
perché il cancro alla mammella non è prevenibile.
·
Quando fare l’autopalpazione? In un momento in cui la mammella è a riposo
cioè quando non subisce modifiche correlate con il ciclo mestruale poichè c’è il minimo stimolo
ormonale, che va dal 6° all’8° giorno.
A torace nudo in stazione eretta, dovrebbe ispezionare (visivamente) il seno inizialmente
di fronte allo specchio, con le braccia poste prima lungo i fianchi e dopo alzate sopra la testa,
mettendo a confronto i profili delle due mammelle, eventuali asimmetrie di forma e/o di
volume. L’esame della superficie cutanea può mostrare: zone di irregolarità con aree di
retrazione circoscritta (infossamento) o più o meno estesa (buccia d’arancia); iperemia,
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·
edema, reticoli venosi; aspetti nodulari con o senza ulcerazioni. Un’accurata attenzione deve
essere posta alla ricerca di eventuali segni di infiammazione, deviazione o retrazione del
capezzolo o alterazioni di tipo eczematoso od ulcerativo.
. Successivamente, in posizione supina, ciascuna mammella dovrebbe essere attentamente
palpata con le dita della mano controlaterale (mano a piatto - in modo circolare - schiacciando
la mammella sul piano toracico) e titillato il capezzolo per verificare la sua capacità erettile e
che sia sempre la stessa (se i miociti sono intaccati non funzionano). L’esame deve tendere alla
ricerca di segni precoci sospetti come l’asimmetria delle mammelle, la retrazione della cute o
del capezzolo o sue eventuali secrezioni sierose od ematiche e l’eventuale presenza di noduli .
L’esame della superficie cutanea può mostrare: zone di irregolarità con aree di retrazione
circoscritta (infossamento) o più o meno estesa (buccia d’arancia); iperemia, edema, reticoli
venosi; aspetti nodulari con o senza ulcerazioni. Un’accurata attenzione deve essere posta alla
ricerca di eventuali segni di infiammazione, deviazione o retrazione del capezzolo o alterazioni
di tipo eczematoso od ulcerativo.
Devono quindi essere attentamente esplorati i linfonodi ascellari per valutarne il numero, le
dimensioni, la consistenza, la dolorabilità, ed i rapporti tra loro e con i tessuti circostanti,
impiegando la mano destra per l’ascella sinistra e viceversa. Successivamente vanno esplorate
anche le stazioni linfonodali regionali sopraclaveari alla ricerca di eventuali segni di
linfoadenopatia
Diagnosi precoce - Mammografia
Tanto più è precoce la diagnosi, minore sarà stata l’evoluzione del cancro (ciò vale per tutti i
tipi di cancro). Nella fascia di età tra 40 e 45 anni viene eseguita come screening la
mammografia. E’ un indagine radiologica diretta (senza mezzo di contrasto) della mammella in
toto. La mammella viene poggiata su di un supporto, dove i raggi assorbiti dalla lastra
consentono di visualizzare la presenza di noduli anche molto piccoli (meno di un cm) oppure
microcalcificazioni
che molto spesso
sono associabili al cancro. Poiché queste
formazioni devono essere scisse per
farne l’analisi istopatologica, chi fa la
mammografia
inserisce un repere
metallico,
così
da
consentire
successivamente
al
chirurgo
di
individuare la zona da incidere.
Essendo la mammografia deputata “non”
alla conferma diagnostica di un nodulo
già palpato ma all’evidenziazione di noduli
che non si sono palpati, ha un doppio
significato :
- nelle donne che hanno già un nodulo
palpabile serve per vedere l’altra
mammella che potrebbe avere un nodulo
simultaneo di dimensioni più piccole e non palpabile oppure microcalcificazioni
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- in donne che non hanno nulla e che vanno a fare la mammografia perché chiamate una volta
l’anno serve per vedere qualche reperto che ancora non è palpabile.
La mammografia è necessaria anche
quando
si
hanno
mammelle
particolarmente
voluminose
in
cui
l’autopalpazione può essere deficitaria .
Citologia
Quindi, quando si presenta una paziente
che riferisce di aver evidenziato un
nodulo non si fa la mammografia (che,
come abbiamo visto, ha altri scopi) ma il
chirurgo (o il
ginecologo)
fanno
contemporaneamente oltre alla visita per
confermare la presenza del nodulo anche
l’agoaspirato per un esame citologico.
SEMPRE!!!a meno che non si sappia che la
paziente non abbia ad esempio una
displasia fibrocistica (che si presenta con numerosissimi pallini che sono cisti e che all’esame
obbiettivo però sono caratteristici perché dolenti , coi margini distinti ecc.)
L’agospirato consiste in un prelievo di cellule direttamente da lesioni palpabili o, sotto guida
ecografica o radiologica, da lesioni non palpabili utilizzando un comune ago da siringa (Fig.
5.13).Tale tecnica presenta una sensibilità dell’87% circa, una specificità del 100%, e il valore
predittivo di una diagnosi positiva è circa il 100%, mentre il valore negativo di una diagnosi
negativa è del 60-90%.
Biopsia
Non si tratta di biopsia per incisione ma nella mammella il nodulo viene portato via tutto quindi
si tratta di biopsia per escissione. Così, se da un nodulo ho l’esame citologico di risposta
sull’agoaspirato che mi dice che ho un reperto dubbio per degenerazione, fino a prova
contraria questo non esclude che c’è il cancro , ma dice solo che c’è la possibilità che ci sia.
Quindi devo accertare che il cancro non ci sia e siccome un agoaspirato non dà la certezza,
devo controllare tutto il nodulo asportandolo. A questo punto e ne faccio l’esame
istopatologico estemporaneo (cioè durante la stessa seduta) e se si ha una risposta che il
tumore è benigno, si richiude e finisce lì, se viceversa c’è un cancro si radicallizza l’intervento
senza più doverci ritornare sopra (tutto ciò col consenso informato).
Epidemiologia e fattori di rischio
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Il carcinoma della mammella rappresenta
la principale neoplasia della donna; nel
mondo occidentale è la più frequente
causa di morte tra i 40 e i 50 anni. In
Italia, attualmente, circa una donna su 13
(7%) sviluppa un carcinoma della
mammella, con 20.000 nuovi casi l’anno,
ed una mortalità di circa 8.000 pazienti
l’anno. La curva di distribuzione per età
dimostra un incremento costante, con
andamento bifasico a due picchi, il primo
tra i 45 e i 50 anni e il secondo tra i 60 e
i 65.
Come per la maggioranza dei tumori maligni, non si conoscono le cause del carcinoma
mammario, tuttavia sono noti alcuni elementi, definibili “fattori di rischio” (Tab. 5.4)
Per primo se la stessa donna ha già avuto in passato un cancro alla mammella, per effetto
della sua multicentricità ha molte più probabilità che si ripresenti.
Le donne, con una parente di I grado affetta da cancro della mammella, hanno una probabilità
doppia o tripla di ammalarsi di tale neoplasia e in età più giovane, rispetto alla restante
popolazione femminile. La familiarità è quindi importante perché è codificata cioè la
componente genetica è chiara; ci sono 2 antigeni (BRCA1 BRCA2) che quando hanno delle
mutazioni c’è la possibilità che si abbia il cancro della mammella e se ne può fare il dosaggio
nel sangue perciò viene fatto a famiglie :
•
•
•
in cui ci siano più di due casi di tumore alla mammella e un caso di tumore ovarico
con più di tre casi di tumore alla mammella prima dei 50 anni
con due sorelle con tumore alla mammella prima dei 50 anni
Se si trovano che questi due geni sono già mutati si avvicina molto di più il controllo con la
mammografia per una diagnosi precoce. Questo programma controlli è indetta dalla FONCAM
2003 (Forza Operativa Nazionale Cancro Alla Mammella).
-Il trattamento ormonale sostitutivo in donne in post-menopausa, dove vengono prescritti
estrogeni e/o progestinici, è controindicato perché il cancro alla mammella è di tipo
ormonodipendente quindi per la sua crescita necessita di una certa secrezione ormonale. I
fattori mestruali comprendono un insieme di associazioni che rivelano l’importanza della
funzione ovarica nella genesi del tumore. Il menarca dopo i 15 anni e la menopausa chirurgica
sono associate con una più bassa incidenza di cancro della mammella, mentre il menarca
precoce (sotto i 12 anni) e una menopausa tardiva (dopo i 50 anni) sono associati con una lieve
aumento di rischio di insorgenza di cancro mammario.
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Fasi di sviluppo
Il cancro alla mammella origina principalmente dai duttili dove ci sono cellule epiteliali che lo
rivestono e che poggiano su di una membrana basale. Da cellule che hanno una attività di
iperplasia cioè attività proliferativa normale soltanto che proliferano più del dovuto, si passa
alla fase di displasia cioè di cellule che oltre ad avere l’attività proliferativa cominciano a
presentare delle alterazioni cellulari che possono essere molto importanti quando coinvolgono
il nucleo tanto che diventano vere e proprie anaplasie, dove l’anaplasia corrisponde al massimo
dell’evoluzione al carcinoma in situ
(carcinoma che è all’interno dell’epitelio
ma che non ha superato la membrana
basale)
La fase successiva è il carcinoma
infiltrante.
Quindi in un nodulo della mammella dove
si trova il cancro, questo può essere in
due forme: o di carcinoma in situ
(limitato nella struttura da cui ha
originato) o di carcinoma infiltrante (che
ha superato i limiti perché ha valicato la
membrana basale). E’ ovvio che questo lo
possiamo verificare soltanto all’esame
istopatologico del nodulo asportato non
avendo la possibilità di giudicarlo prima
palpatoriamente
oppure
con
la
mammografia o anche con l’agoaspirato.
Aspetti classificativi
Le patologie maligne della mammella sono generalmente divise in tumori epiteliali delle cellule,
che rivestono i dotti ed i lobuli, e patologie maligne non epiteliali dello stroma di supporto. Una
seconda importante divisione dei tumori epiteliali, che tiene conto della loro evoluzione, è tra
carcinomi invasivi e non invasivi. Teoricamente i tumori non invasivi non possono
metastatizzare e dovrebbero essere curabili mediante terapia locale nel 100% dei casi, ma ciò
può risultare non sempre vero; un focolaio microscopico di invasione in un tumore altrimenti
non invasivo può sfuggire anche al più esperto anatomopatologo.
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Clinica del cancro della mammella
La metà circa dei carcinomi della
mammella sono localizzati nel quadrante
supero-esterno, probabilmente per la
presenza di una maggiore quantità di
tessuto ghiandolare in tale sede, mentre
l’alta percentuale di incidenza di tumori
nella porzione centrale della mammella,è
dovuta alla loro diffusione nella regione
subareolare dai quadranti limitrofi.
Inoltre la mammella sinistra è nel 5-10%
più frequentemente interessata rispetto
alla destra. La sede anatomica meno
favorevole per il cancro della mammella è
il quadrante infero-interno (Fig. 5.21).
Il cancro della mammella si manifesta
con modalità diverse a seconda dello
stadio in cui perviene all’osservazione. La
sintomatologia infatti è legata a diversi
fattori quali: l’età della paziente, il tipo
istologico, il grado di differenziazione cellulare ed infine la sua diffusione locale o a distanza.
Di solito quando la neoformazione si rende apprezzabile clinicamente, un accurato esame
obiettivo è in grado da solo di fornire
quegli elementi utili per la diagnosi. La
lesione infatti si presenta di volume
variabile, non dolente, di consistenza
durofibrosa o duro-lignea, a margini
irregolari e limiti indistinti, non
dissociabile dai tessuti circostanti e
poco mobile sui piani sia superficiali sia
profondi (Tab. 5.5).
A conferma della diagnosi, nelle fasi più
avanzate della malattia, il carattere
infiltrativo della lesione può essere
evidenziato dall’irregolarità del profilo
della mammella, caratterizzata dalla
retrazione della cute o del capezzolo,
dalla presenza di eventuali secrezioni o
ulcerazioni, dall’edema per diffusione
nodulare dei linfatici intradermici con
l’apetto a buccia d’arancia della cute
(quando il cancro invade i tralci
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connettivali tra i lobuli e non ne permette più lo scorrimento) e dalla presenza di linfonodi
ascellari o sopraclaveari.
L’adenopatia ha grandissima importanza in quanto i linfonodi sede di metastasi sono aumentati
di volume e di consistenza, tanto che nelle forme avanzate possono conglobarsi tra di loro ed
essere adesi alle strutture circostanti.
Stadiazione clinica
Quindi abbiamo visto che, anche se con
qualche eccezione, la maggior parte dei
tumori
della
mammella
si
sviluppa inizialmente all’interno di un dotto
e in una fase successiva, man mano che il
tumore aumenta di volume, si infiltra nello
stroma periduttale, raggiunge
le
strutture linfatiche e vascolari ed
infine diffonde ai linfonodi
ascellari o
ad altre
stazioni linfatiche
e
agli organi a distanza. Nel tentativo di
meglio comprendere e trattare il cancro
della mammella, è stato proposto di
raggruppare le lesioni nelle diverse fasi di
accrescimento, in quattro
stadi,
al momento della diagnosi.
In tal modo i cancri della mammella possono
essere facilmente inquadrati per il loro
sviluppo all’interno della mammella
(diffusione
locale), per
l’interessamento neoplastico ed il carattere
dei linfonodi ascellari regionali (diffusione
regionale), e per lo stato dei restanti
organi dell’organismo in termini di
metastasi (diffusione a distanza).
Mentre in passato si pensava che le vie che seguiva il
cancro fossero precise, oggi si sa che lo stesso
cancro può dare contemporaneamente metastasi
ascellari e metastasi di organi bersaglio (polmone,
fegato e ossa). Quindi la sua diffusione può avere
l’evoluzione più disparata così se si trova con
l’agoaspirato un reperto positivo, non basta solo
asportare i noduli ma dovranno essere fatte indagini
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supplementari per evidenziare metastasi (polmone-RX torace/ossa-scintigrafia/fegatoecografia) e poter fare una stadiazione corretta.
Per quanto riguarda la diffusione linfatica (importante in quanto il comportamento chirurgico
sta cambiando) i linfonodi dell’ascella sono stati suddivisi in livelli a seconda della loro
disposizione in rapporto al muscolo piccolo pettorale: i linfonodi di I livello sono quelli
localizzati nell’ascella lateralmente al margine del piccolo pettorale quindi più in prossimità del
cancro; i linfonodi di II livello sono localizzati sotto il muscolo piccolo pettorale; i linfonodi di
III livello sono quelli situati medialmente al margine mediale del muscolo piccolo pettorale o
sottoclaveari (Fig. 5.22). E’ intuitivo che a seconda del livello a cui sono colpiti i linfonodi, il
significato del tumore cambia. Ovviamente per poter fare una linfoaderectomia adeguata si
deve andare molto vicini al decorso della vena ascellare perciò nel momento che si leva il
nodulo si deve arrivare fino all’ascella per poterli asportare.
Una volta portato via il nodulo canceroso e i linfonodi, esaminandoli si ha la codifica del
tumore secondo il sistema TNM.
La stadiazione è un importante, ma
spesso
trascurato,
aspetto
di
valutazione in presenza di un tumore
della mammella, in quanto serve a
raggruppare
i
pazienti
in
base
all’estensione
della
malattia,
a
paragonarei
risultati
dei diversi
protocolli terapeutici e a formulare un
più accurato
giudizio prognostico.
Diversi sistemi di stadiazione sono stati
proposti nel corso degli anni, ma quello
più seguito è il TNM, adottato sia dal
UICC (Union International Contre le
Cancer) sia dal AJCC (American Joint
Commette on Cancer), che si basa sulla valutazione dei 3 elementi principali della malattia:
tumore primitivo (T), linfonodi regionali (N), metastasi a distanza (M). Per quanto riguarda il
tumore primitivo, deve essere considerata la sua sede di insorgenza nella mammella, i rapporti
con la cute e la parete toracica; i linfonodi regionali sono quelli dell’ascella, anche se il
drenaggio linfatico della mammella comprende la catena mammaria interna e i linfonodi lungo i
dotti che attraversano i muscoli pettorali. In base alla valutazione del T, dell’N e dell’M
avremo che le varie combinazioni ci permettono di dire quale è lo stadio interessato.
La stadiazione del cancro mammario è inizialmente clinica, formulata sulla base dell’esame
obiettivo (ispezione e palpazione), degli esami radiologici (mammografia, ecografia epatica, e
scintigrafia ossea) e successivamente istopatologica. Inoltre è stata oggetto di particolare
attenzione la possibile relazione tra il comportamento di neoplasie maligne e il loro grado di
“anaplasia”. I carcinomi mammari sono stati suddivisi in tre gradi istologici di malignità
osservando l’entità di formazione dei tubuli, la dimensione delle cellule e dei nuclei, l’entità
dell’ipercromatismo e il numero delle mitosi. I tumori con un basso grado di malignità sono
stati definiti di grado 1 mentre quelli con un alto grado di malignità appartengono al grado 3.
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Un altro dato che appare comunque oggi fondamentale per la valutazione della capacità
evolutiva del carcinoma mammario, e su cui si basa la successiva terapia adiuvante, è lo studio
dei recettori per gli ormoni sessuali (estrogeni e progesterone) sul tessuto neoplastico.
Sulle cellule tumorali la presenza di recettori per gli estrogeni e per il progesterone ha due
significati: da un lato dimostrerebbe che le cellule tumorali recettori positive sarebbero più
differenziate rispetto a quelle recettori negative, in quanto possiedono ancora le
caratteristiche tipiche del tessuto sano, dall’altro permetterebbe di discriminare i casi in cui
è opportuno effettuare una ormonoterapia.
Terapia
La terapia del cancro della mammella può avere intenti curativi per tumori al I, II e III
stadio, mentre è da ritenersi solamente a scopo palliativo nelle pazienti al IV stadio o già
precedentemente trattate, che sviluppano metastasi a distanza o recidive locali non
suscettibili più di asportazione radicale. L’estensione della malattia e l’aggressività biologica
della neoplasia rappresentano i principali fattori che condizionano i risultati del trattamento
primitivo. . Per circa ¾ di secolo la mastectomia radicale era considerata la terapia standard
per questo tipo di affezione, anche in considerazione del fatto che la gran parte delle pazienti
si presentava con una neoplasia localmente avanzata (III stadio), e si rendeva pertanto
necessario un intervento demolitivo, che consentisse di rimuovere tumori di grosse dimensioni.
Terapia chirurgica conservativa - QUADRANTECTOMIA
La grande trovata di Veronesi è stata il capire che era inutile portare via tutta la ghiandola e
tutta la mammella per lesioni di piccole dimensioni perché era molto improbabile che la
diffusione del cancro potesse invadere il resto dei quadranti e i fatti gli hanno dato ragione.
Per cui per lesioni di meno o uguale a 2 cm l’intervento di elezione è la quardantectomia cioè si
asporta il quadrante interessato dal cancro. A questo si aggiunge che bisogna fare anche
bonifica quindi asportare i linfonodi ascellari ed infine per poter evitare che rimangano delle
cellule in quelle zone dei quadranti che potrebbero essere stati invasi e non sono stati
eliminati si fa radioterapia post-operatoria.
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Terapia dei linfonodi del cavo ascellare
Abbiamo già visto che il cancro della mammella si diffonde seguendo i linfonodi del I poi II poi
III livello. Però ricercando metastasi linfonodali da quelli contigui, se non sono stati colpiti
allora è presumibile che i linfonodi ascellari siano integri ed è inutile andare a fare interventi
chirurgici che possono provocare problemi anche al braccio per il drenaggio linfatico. Così si
cerca di essere meno invasivi possibile utilizzando questa tecnica del linfonodo sentinella.
La tecnica correntemente impiegata per
il mappaggio dei linfonodi consiste
nell’iniettare
la
sera
prima
dell’intervento
attorno
al
tumore
mammario un colorante visibile
o
proteine
marcate
con
elementi
radioattivi (albumine) o entrambe.
Questo
marcatore
viene
successivamente drenato andandosi a
localizzare nei linfonodi contigui e da
questi proseguirà oltre se non sono
ostruiti . Se invece il cancro invade un
linfonodo questo verrà ostruito e non
drenerà più la linfa per cui il marcatore
si bloccherà . Il linfonodo sentinella,
dopo essere stato localizzato con l’ausilio
di una sonda manuale per raggi gamma,
può essere rimosso attraverso una
piccola incisione. L’esame
bioptico
intraoperatorio,
attraverso
microdissezioni multiple, rappresenta la
fase più delicata della metodica, in
quanto richiede un’esatta definizione
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istopatologica del linfonodo esaminato; in presenza di linfonodo negativo si può anche non fare
la linfoaderectomia viceversa se il linfonodo è colpito si prosegue con la linfoaderectomia
ascellare. Questa tecnica ha portato ad un'altra conseguenza (in sperimentazione): se si
possono esaminare i linfonodi contigui al cancro quindi nel tessuto della mammella stessa è
ovvio che anche i cancri più piccoli possono non necessariamente richiedere l’asportazione di
tutto il quadrante se il linfonodo sentinella fosse negativo perché vuol dire che la diffusione
del cancro potrebbe non essere andata al di là di un certo limite e quindi si potrebbero fare
delle scissioni locali e non più quadrantectomie (radicalizzando l’intervento con radioterapia
nel post-operatorio). Non vi è dubbio che la linfoadenectomia del cavo ascellare o la
radioterapia sono indicate in presenza di metastasi linfonodali regionali accertate. La
presenza comunque di tumori di dimensioni maggiori (4- 5 cm di diametro) o con linfonodi
ascellari clinicamente positivi non preclude la possibilità di raggiungere il controllo locale della
malattia mediante terapia conservativa della mammella, previo trattamento chemioterapico e
nuova
stadiazione
della
neoplasia
stessa.
Le indicazioni per la dissezione dei linfonodi dell’ascella sono finalizzate sia alla stadiazione
sia alla rimozione dei linfonodi clinicamente interessati dalla neoplasia. Questi dati sono
importanti ai fini della prognosi e della successiva terapia adiuvante in pazienti con un cancro
dellamammella.
Al di là del suo importante valore prognostico, la dissezione ascellare rappresenta il mezzo più
efficace per il controllo regionale della malattia. Oggi la dissezione linfonodale del cavo
ascellare è oggetto di riconsiderazione dopo l’introduzione e l’impiego della biopsia del
linfonodo sentinella. Introdotta nel 1992 per il trattamento del melanoma, questa tecnica è
stata immediatamente utilizzata nel cancro della mammella. Il linfonodo sentinella viene
identificato attraverso il costante rapporto anatomico fra il tumore e le vie linfatiche di
drenaggio, che possono interessare sia l’ascella sia la catena mammaria interna (Fig. 5.27).
Mastectomia
Fino a qualche decennio fa, i chirurghi consideravano il carcinoma della mammella come una
patologia controllabile con il solo trattamento chirurgico. Ciò, a maggior ragione, era basato
sugli eccellenti risultati ottenuti con l’intervento di mastectomia radicale, che
comprende l’asportazione in blocco della mammella, dei muscoli pettorali e dei linfonodi
ascellari,indipendentemente-dalloMstadioMdiMmalattia.Al
fine di limitare l’aspetto
demolitivo dell’operazione e di ottenere risultati funzionali ed estetici migliori, sono
stati proposti
interventi
di
mastectomia
radicale
modificata.
Essa
consiste
nall’asportazione in blocco dei linfonodi ascellari, della mammella e della fascia del
grande pettorale e si differenzia per la conservazione o di entrambi i muscoli
pettorali
(intervento
secondo Madden) o del solo muscolo grande pettorale con
asportazione del muscolo piccolo pettorale
(intervento secondo Patey)
La mastectomia può oggi rivestire un ruolo importante nel controllo locale del carcinoma della
mammella al III e IV stadio, dopo trattamento neoadiuvante radio-chemioterapico. Infine,
tutte le volte che è comunque indicata la mastectomia, l’opzione per una ricostruzione
immediata deve essere presa in considerazione. Eccellenti risultati estetici possono essere
raggiunti con una varietà di opzioni ricostruttive che possono avvenire simultameamente o in
una fase successiva.
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Radioterapia e Chemioterapia post-operatoria
Per ottenere il controllo locale del cancro della mammella, il trattamento conservativo della
mammella consiste nell’associazione della terapia radiante e della chemioterapia alla escissione
chirurgica.
Esistono tuttavia precise controindicazioni alla radioterapia che condizionano quindi,
inevitabilmente, l’opzione per il trattamento conservativo. Queste sono rappresentate da:
presenza di una malattia multifocale occulta; precedenti terapie radianti al polmone, alla
parete toracica o alla mammella, che impediscono di distribuire uniformemente un’adeguata
dose di radiazioni; la gravidanza, che è una controindicazione assoluta alla radioterapia .La
tecnica impiegata per la radioterapia della mammella, dopo trattamento chirurgico
conservativo, dovrebbe adeguatamente coprire il volume a rischio, erogare una dose omogenea
attraverso i tessuti bersaglio, evitare la sovrapposizione o l’inadeguata apposizione dei campi
e minimizzare la dose che raggiunge il cuore ed i polmoni.
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La chemioterapia è indicata come terapia aggiuntiva dopo il primitivo trattamento chirurgico
nei tumori primitivi con linfonodi ascellari positivi, ma che non presentano metastasi a
distanza e che sono stati trattati dalla chirurgia, associata o meno alla radioterapia, con
intenti curativi L’obiettivo della chemioterapia adiuvante è di eradicare metastasi occulte a
distanza e cellule neoplastiche residue, mentre ancora questi foci neoplastici sono piccoli a
sufficienza da essere vulnerabili agli agenti antitumorali.
Tumori benigni
Fibroadenoma
Il fibroadenoma è una neoplasia benigna della mammella che origina dalle ghiandole con
proliferazione anche di fibrocellule. La caratteristica di questa neoplasia benigna è di essere
mobile, a superficie liscia, lobulata, con limiti netti, non dolente, con consistenza
parenchimatosa, delle dimensioni generalmente da 1 a 3 cm di diametro, ma talvolta anche fino
10 cm , che non regredisce dopo il ciclo mestruale. Stabilire però con certezza la natura
benigna non è possibile perciò il fibroadenoma deve essere asportato o ambulatoriamente
(aspettando successivamente l’esito dell’analisi bioptica) o in chirurgia trattandolo come fosse
un cancro quindi sotto anestesia si asporta il nodulo, si attende la risposta estemporanea
dell’analisi bioptica per radicalizzare (se la risposta è di cancro) o per richiudere (se la
risposta è di fibroadenoma).
Displasia fibrocistica
Una volta si pensava fosse una lesione precancerosa ma si è visto che ciò non è la regola. Si
tratta di una malattia in cui c’è una forte influenza ormonale e vi è un iperestrogenismo
relativo (per cui è importante che non venga assunta la pillola) i quali agirebbero sul tessuto
ghiandolare mammario solo nei casi in cui questo tessuto sia costituzionalmente predisposto
ad una reazione displastica a seguito di una alterazione ormonale. E’ una malattia che copre
tutto l’arco della vìta e colpisce tutte e due le mammelle.
Si verifica che già in età giovanile, oltre
alla mastodinia (dolore alle mammelle)
presente soprattutto durante il ciclo,
nell’autopalpazione evidenziano tanti
piccolissimi pallini che sono cisti e che
possono anche aumentare assumendo una
forma nodulare. La caratteristica della
displasia fibrocistica è di avere anche
una componente connettivale fibrotica
che andando avanti con l’età viene limitata parzialmente la componente cistica e aumenta la
componente fibrotica ed intorno a 35-40 anni ci sarà la presenza di modularità cistiche e
qualcuna anche di entità maggiore. Con l’agoaspirato oltre alla diagnosi (negativa di cancro)
verrà effettuata terapia in quanto il liquido presente nelle cisti sarà aspirato anche se questo
successivamente si riforma. E’ ovvio che le modularità solide sono quelle che danno più
preoccupazioni rispetto a quelle cistiche perché è sintomo di proliferazione dell’epitelio
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all’interno delle cisti stesse per cui ci sarà la possibilità che le cellule arrivino ad un grado di
displasia (cellule alterate nella funzione e nella proliferazione) anche se ciò avviene molto
raramente; può quindi accadere di dover fare una bonifica che consiste nel fare la
mammectomia bilaterale con l’asportazione delle ghiandole ed il posizionamento di protesi per
la ricostruzione estetica.
Una riflessione
Quando una donna giovane è affetta da cancro e gli viene portata via una mammella è permessa la
gravidanza e l’allattamento?La gravidanza ha un grande sovvertimento dal punto di vista ormonale
e di conseguenza si ha che il cancro è ormonodipendente (tra l’altro può succedere che per
eliminare lo stimolo ormonale venga effettuata l’ovarectomia bilaterale) quindi nell’immediato si
prevede possa essere fatta chemioterapia e automaticamente la gravidanza non potrebbe essere
condotta a termine perché i farmaci danneggerebbero il feto.
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