Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico*

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Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico*
Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 1-2011, pagg. 83-104
gruppoMontepaschi
Amintore Fanfani
e la storiografia del pensiero economico*
AntOnIO MAgLIULO**
This work aims at reconstructing the contribution of Amintore Fanfani to the
Historiography of Economic Thought. Fanfani wrote a history of economic
doctrines based on the indissoluble link among vision, theory and policy. He
developed a method alternative to the dominant approach à la PantaleoniBlaug. This paper tries to show strength and weakness of Fanfani’s attempt as
well as the reasons of its failure.
(J.E.L.: B00, B20)
1. Introduzione
nel 2001 Mark Blaug, uno dei maggiori storici contemporanei del pensiero economico, pubblica un influente saggio metodologico intitolato “no
History of Ideas, Please, We’re Economists”. In questa icastica frase è racchiuso il provvisorio punto di arrivo di una più che secolare riflessione su
natura, contenuti e compiti della storia del pensiero economico. Uno dei più
grandi storici che candidamente ammette: noi siamo economisti.
Amintore Fanfani è l’autore di un manuale di storia del pensiero economico o, come si diceva un tempo, di storia delle dottrine economiche, articolato in tre volumi: il primo apparso nel 1938 (e successivamente aggiornato),
il secondo nel 1946 (e ugualmente aggiornato), il terzo sempre annunciato e
mai pubblicato.
Il manuale, per sua natura, è un’opera destinata a sistematizzare e divulgare un sapere largamente condiviso all’interno di una comunità scientifica.
L’autore solitamente cambia lo stile narrativo o la partizione, ma non il contenuto. Fanfani narra invece una strana storia: singolare, atipica, sui generis per
metodo e interpretazione. Una storia condivisa da pochi, forse da nessuno.
* Articolo approvato nel mese di luglio 2010.
** Facoltà di Economia, LUSPIO di Roma: [email protected].
Una prima versione di questo lavoro è stata presentata al Convegno “Amintore Fanfani: Storico dell’economia e Statista” organizzato dalla Facoltà di Economia della Sapienza di Roma nei giorni 26-27 marzo
2009. Desidero ringraziare il prof. Piero Barucci per alcuni utili suggerimenti e tre anonimi referees della
rivista per una serie di puntuali osservazioni che ho cercato, nei limiti del possibile, di recepire. La responsabilità di quanto scritto rimane ovviamente soltanto mia.
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Cosa rappresenta il manuale di Fanfani nella storia della storiografia del
pensiero economico? Una risposta possibile (e plausibile) potrebbe essere:
nulla o poco. Rappresenta soltanto uno dei tanti casi di fallimento scientifico: un’opera che non persuade e che perciò viene lasciata cadere nell’oblìo.
In questo scritto sosterrò una tesi diversa. La sconfitta di Fanfani ha un
senso e, retrospettivamente, un’utilità. Deriva da limiti intrinseci, che cercherò di evidenziare, ma soprattutto da fattori esterni. Fanfani combatte e
perde una battaglia metodologica. Prima reagisce alla concezione pantaleoniana, rilanciata da Einaudi all’inizio degli anni trenta, di una storia ristretta
alle teorie divenute mainstream. Poi, dopo aver scritto una storia che definisce “integrale”, assiste alla progressiva trasformazione della history of economic thought in history of economics. Schiacciato tra Einaudi e Blaug.
La storiografia del pensiero economico versa oggi in una condizione di
paradossale crisi identitaria. negli ultimi anni i suoi cultori hanno compiuto
il massimo sforzo per scrivere una “storia di teorie” che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto interessare e incuriosire soprattutto gli economisti. In
cambio hanno ricevuto la minima attenzione e considerazione proprio da
parte degli economisti.
La crisi dell’approccio classico suscita, inevitabilmente, un interesse
nuovo verso tutti coloro che hanno osteggiato o criticato quell’approccio,
incluso Fanfani.
In questo scritto non voglio, né saprei, ricostruire l’intera storia e cioè stabilire compiutamente quale posto Fanfani occupa nella storia della storiografia del pensiero economico. Ciò richiederebbe un’indagine molto più estesa.
Voglio invece soffermarmi su tre momenti chiave: l’approccio classico
ridefinito e rilanciato da Einaudi all’inizio degli anni trenta, la nuova storia
proposta e scritta da Fanfani nelle varie edizioni del suo manuale, la history
of economics teorizzata da Blaug.
Lo scritto si articola in questi tre paragrafi. nelle conclusioni proverò a
spiegare il senso e la possibile utilità della sconfitta intellettuale patita da
Fanfani1.
2. La storia “propria” delle dottrine economiche: Einaudi reinterpreta
Pantaleoni
nell’autunno del 1930 la rivista “nuovi studi di diritto, economia e politica”, diretta da Ugo Spirito e Arnaldo Volpicelli, ospita una lunga lettera
aperta di Luigi Einaudi indirizzata a Rodolfo Benini. tema in discussione:
1 Sulla storia della storiografia del pensiero economico, cfr. Blaug 1991. Sul pensiero economico italiano
tra Otto e novecento, cfr. Faucci 2000. Sulla biografia di Amintore Fanfani, cfr. La Russa 2006. Su
Fanfani storico del pensiero economico, cfr. Porta 2001 e Roggi 2009.
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“Se esista, storicamente, la pretesa repugnanza degli economisti verso il concetto dello Stato produttore”.
La grande crisi è esplosa da appena un anno. In Europa la democrazia
vacilla. In Italia è già crollata. La crisi investe la stessa teoria economica che
molti considerano la più radicata e potente legittimazione di uno Stato minimo che si limita a garantire legge ed ordine astenendosi da ogni intervento
nel mercato. gli intellettuali organici al regime fascista accusano gli economisti neoclassici di aver esaltato il movente egoistico disconoscendo il ruolo
economico dello Stato2.
Einaudi interviene in difesa della tradizione. non ricorre né a filosofie
politiche né a teoremi economici, ma alla storia. La presunta ripugnanza degli
economisti verso lo Stato è semplicemente un errore storico. Deriva da una
“impropria” concezione della storia delle dottrine economiche che induce a
vedere nel passato soltanto una competizione – Einaudi dice una battaglia –
tra schiere di economisti divisi da un’opzione politica: giustificare o meno la
presenza dello Stato nel mercato. Scrive: “la storia delle dottrine economiche
è una specie di campo di battaglia in cui a vicenda trionfano gli interventistimercantilisti, fautori dell’intervento statale, e poi i fisiocrati e gli smithiani
detti anche ottimisti, contrari allo Stato ed amanti della libertà, combattuti
prima dalle varie sette socialiste e poi battuti in breccia dagli storicisti nuovamente teneri di un intervento dello Stato più o meno intenso” (Einaudi
1930 [1970]: 269).
Ma non è questa la storia “propria” delle dottrine economiche. Einaudi
ricorre all’autorità di Pantaleoni che in un famoso saggio del 1898 aveva
indicato i “criteri che devono informare la storia delle dottrine economiche”.
Prima di esaminare il pensiero di Einaudi può essere utile ricordare brevemente i contenuti di quel classico saggio.
Dunque, cos’è per Pantaleoni la storia “propria” delle dottrine economiche? È la storia di una scienza e cioè il racconto di come alcuni economisti,
partendo da pochi e frammentati assunti, siano riusciti nel tempo a costruire
un complesso organico di teorie dimostrate vere o non ancora confutate.
Scrive: “Or bene, se, partendo da quella che è attualmente la scienza economica, volgiamo lo sguardo indietro e ricordiamo la storia dei singoli contributi, noi facciamo opera che ha una ragion d’essere per l’economista”
(Pantaleoni 1898 [1963]: 217).
Lo storico, per Pantaleoni, è innanzitutto un selezionatore di fatti. non
può ricostruire tutti i fatti che accadono e compongono il passato. E se anche
fosse possibile sarebbe inutile. Sarebbe pura e inservibile cronaca. Dunque
selezionare si deve. Ma come? Con quale criterio? Mirando ad uno scopo
utile. nella storia delle dottrine economiche i fatti sono le teorie. E le teorie
2
Cfr. Faucci (2000: cap. VII).
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si distinguono in vere, non ancora confutate e già falsificate. Pantaleoni crede
nell’esistenza di provvisorie verità scientifiche. Provvisorie perché possono
essere sempre perfezionate o confutate. Verità perché valide indipendentemente dall’ambiente in cui, e dalle ragioni per cui, furono formulate.
All’economista non interessa sapere, o interessa poco sapere, perché Ricardo
fu indotto a formulare la teoria dei costi comparati o Marshall la teoria dell’elasticità della domanda rispetto al proprio prezzo. Interessa molto di più
sapere se quelle teorie offrono una spiegazione soddisfacente dei fenomeni
indagati o se è possibile fornirne una migliore.
La storia può servire a più di uno scopo utile. Esistono molteplici criteri
con cui selezionare i fatti e cioè le teorie del passato3. A Pantaleoni preme la
storia utile all’economista, non al filosofo, al politico o ad altri storici. La storia utile all’economista è quella che mostra come e perché nel corso del
tempo sono state scelte e perfezionate alcune teorie anziché altre. Una tale
storia rende l’economista pienamente consapevole dei punti di forza e di
debolezza della tradizione ereditata:
“Sarà questa la storia delle verità economiche. Ogni pietra dell’edifizio attualmente esistente porterà una sigla che ricorderà donde è provenuta, chi la faccettò, che via seguì per giungere dove sta, chi la mise a posto, come e quante
volte se n’è provata la resistenza e così di seguito. Sarà questo un lavoro che
metterà l’economista in grado di meglio conoscere il proprio edifizio. La
conoscenza della genesi è una delle forme di conoscenza che più soddisfano
il nostro intelletto” (Ibid.).
Si tratta, in ogni caso, di una storia provvisoria. Per Pantaleoni “l’attuale
scienza”, e cioè la frontiera della conoscenza economica, è la teoria dell’equilibrio economico generale. La sua storia va da Smith a Walras, include
Marshall ma esclude (sostanzialmente) Marx. Se una nuova teoria o un
nuovo sistema teorico dovessero dimostrarsi migliori e superiori a quelli esistenti, allora anche la storia delle dottrine economiche dovrebbe essere
riscritta. E magari Marx e non Smith sarebbe considerato il padre dell’economia politica4.
Per spiegare la dinamica della ricerca scientifica si è ricorsi talvolta
3 “Ora, quando trattasi di scegliere uno o più criteri con cui fare la storia, – e a meno d’un criterio non
può farsi, – io ne veggo parecchi che sono possibili, cioè razionali, o conformi ad uno scopo utile, e intento mio è appunto quello di indicarvi il criterio che serve all’economista. È questo criterio il seguente: le
dottrine economiche si distinguono in quelle che sono state dimostrate erronee, in quelle che si sono dimostrate vere, e in quelle che ancora sono controverse” (Ibid.: 216)
4 “Se un giorno il sistema copernicano non dovesse più essere il sistema riconosciuto per vero, si dovranno gittare nel dimenticatoio tutti coloro che quel sistema hanno contribuito ad elaborare, se altro titolo non
hanno alla memoria della prosperità. non si sono forse dimenticati a quel modo gli scrittori del sistema
ptolemaico?” (Ibid.: 231).
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all’immagine della montagna. Popper (1969: 179), per esempio, considera la
verità, intesa come “corrispondenza ai fatti”, simile alla cima di un monte
avvolta nelle nubi. La verità esiste (la cima è reale) ma il ricercatore può non
riconoscerla (a causa delle nubi).
Anche Pantaleoni crede nell’esistenza di provvisorie verità scientifiche:
cime avvolte nelle nubi. La cima o mèta è una piena comprensione e spiegazione dei fenomeni economici. L’economista è lo scalatore che tenta di compiere l’ultimo tratto che lo separa dalla mèta. La storia delle dottrine economiche narra le gesta dei grandi scalatori che hanno scavato nella roccia il sentiero migliore, quello che conduce più vicini alla mèta. Lo storico è il cartografo che redige e aggiorna la mappa, che mostra all’economista l’itinerario
percorso e lo invita ad andare avanti, a non tornare indietro per imboccare
sentieri che altri, prima di lui, hanno già valutato più impervi e insicuri.
Quando Einaudi pubblica il suo saggio quello di Pantaleoni è già un classico su cui si sono cimentati, e divisi, molti studiosi5.
Einaudi, apparentemente, si limita a rilanciare la tesi di Pantaleoni. In
realtà apporta due modifiche non secondarie.
La prima: la storia “propria” delle dottrine economiche resta quella indicata da Pantaleoni, e cioè la storia di coloro che hanno formulato le teorie
migliori, ma sono utili e legittime storie diverse. Scrive:
“Aborro dalle scomuniche in materia di metodo; e mi affretto perciò a dichiarare subito che considero perfettamente legittimo il metodo prevalente nello
scrivere la storia delle dottrine economiche. Ad una condizione: che sia ben
chiaro che quella non è una storia delle dottrine economiche o del pensiero
degli economisti come tali, ma è una storia dei rapporti fra la filosofia e l’economia politica, fra la teoria politica e quella economica, fra la storia in generale ed il comportarsi concreto degli economisti” (Einaudi 1930 [1970]: 269).
Ed aggiunge:
“Una storia propria delle dottrine economiche dovrebbe studiare quale sia il
laborioso processo per cui si giunse alla costruzione dell’edificio scientifico
quale oggi esiste: come dai pochissimi teoremi sconnessi, rozzamente espressi che si era riuscito ad adombrare, dicasi, verso la metà del secolo XVIII, si
sia riusciti a moltiplicare quei teoremi, a perfezionarli, ad esprimerli sempre
più correttamente e soprattutto a connetterli tra loro, a formarne uno schema
sempre più compatto, coerente, logico. In questa storia non comparirebbero
protezionisti e liberisti, mercantilisti e fisiocrati, ottimisti e pessimisti, indivi5 In particolare si discute sul significato di “dottrina” e di “verità scientifica” e se sia possibile e utile scrivere una storia di sole verità o anche di errori commessi nel corso del tempo, cfr. Bertolino (1926 [1939]
e 1927 [1979]). Sulla visione storiografica di Pantaleoni e Einaudi, cfr. Barucci (1983).
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dualisti e socialisti, tutte classifiche di gran rilievo nella storia della politica,
della pratica economica, delle classi sociali, dei modi di governo, ma prive di
significato nella storia propria delle dottrine economiche. Comparirebbero
tizio e Caio, ciascuno col proprio nome, ciascuno per quel piccolo o grande
contributo, che egli apportò alla costruzione dell’edificio” (Ibid.: 271).
La seconda modifica: una storia propria delle dottrine economiche servirebbe non solo agli economisti (per le ragioni indicate da Pantaleoni) ma
anche ad altri storici. Essa mostrerebbe innanzitutto che la pretesa ripugnanza verso lo Stato è soltanto una prima approssimazione che gli economisti,
seguendo il metodo scientifico, adottano per formulare teorie logicamente
consistenti, che può essere rimossa in stadi successivi. D’altra parte, gli storici di altre discipline potrebbero avvalersi della “storia propria” per indagare le reciproche influenze tra economia, filosofia e politica:
“E ciò vuol dire ancora che, se è utile fare una storia delle dottrine di confine
fra l’economia e la politica e la filosofia, è bene fare, anche, un’altra storia,
delle dottrine proprie economiche, una storia questa assai più minuta e complicata e sottile dell’altra; e forse meritevole di esser scritta prima, perché l’altra sappia precisamente di che cosa si occupano gli economisti” (Ibid.: 273).
La storia delle dottrine economiche resta, per Einaudi, la storia dei grandi scalatori che hanno scavato nella roccia il mainstream, il sentiero principale. La mappa disegnata dallo storico delle dottrine economiche serve all’economista per avvicinarsi o raggiungere la mèta, ma anche ad altri storici
sociali per tracciare sentieri paralleli.
3. L’impossibilità di scrivere storie “parziali” e la storia “integrale”
di Fanfani
Maggio 1933. La rivista filocorporativista Economia ospita un articolo di
Fanfani, giovane docente all’Università Cattolica di Milano. L’articolo è preceduto da una breve nota di redazione in cui si precisa che “L’A. espone le
linee di un nuovo metodo per lo studio della storia delle dottrine economiche”; un metodo per il momento applicato soltanto al pensiero medioevale e
moderno ma presto esteso all’intera storia. Fanfani (1933) riporta il “fondato
giudizio” di Einaudi secondo cui, negli ultimi decenni, sono proliferate le storie “esterne” sui rapporti tra economia, filosofia e politica. Fanfani le considera storie “parziali”, che colgono soltanto una dimensione del problema. Ma
considera parziali anche le storie “interne” predilette da Einaudi.
Dicembre 1935. Sulla stessa rivista compare un altro articolo di Fanfani.
Questa volta all’equidistante insoddisfazione verso le due anime della storiografia subentra uno sprezzante giudizio verso la tradizione pantaleoniana:
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“La situazione di sfavore che incontra la materia può attribuirsi al credito che
hanno incontrato le note teorie pantaleoniane sul valore della storia delle dottrine economiche. Riducendola ad esplicatrice della genesi della scienza economica, pantaleonianamente intesa come culmine della verità economica, la
si faceva occupazione di perdigiorno o quasi, fanatici rievocatori di date e di
primati” (Fanfani 1935: 440).
Primavera 1938. Esce il primo volume dell’annunciato manuale e del promesso nuovo metodo per studiare la storia delle dottrine economiche. Fanfani
stesso, nelle successive edizioni, descrive, succintamente, la travagliata
vicenda editoriale dell’opera.
3.1 La storia editoriale
nella primavera del 1938 esce dunque, presso l’editore Cavalleri di
Como, il primo volume di una Storia delle dottrine economiche intitolato Il
volontarismo. A novembre appare, “pressoché immutata” e con lo stesso editore, la seconda edizione6. Agli inizi del 1942 il volume è ormai esaurito.
nell’ottobre dello stesso anno l’editore Principato di Messina pubblica la
terza edizione7.
Il secondo volume viene concepito in Svizzera dove Fanfani si rifugia
dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e dove insegna nei campi degli internati. Il primo corso si svolge tra gennaio ed aprile 1944, il secondo durante
l’estate, il terzo agli inizi del 1945. nell’aprile del 1945 appare a Losanna la
prima edizione litografata del volume. Fanfani annota (1946a: Prefazione):
“In giugno, nell’attesa prolungata del rimpatrio, rividi la prima edizione litografata, priva tra l’altro dei giudizi conclusivi su ogni dottrina e piena di svarioni e, miglioratola, la riportai in Italia”. La prima edizione tipografica del
volume, intitolato Il naturalismo, esce a Milano nel 1946. nello stesso anno
l’editore Principato di Messina pubblica la seconda edizione.
nel 1955 i due volumi vengono raccolti in un unico testo che forma la
Storia delle dottrine economiche dall’antichità al XIX secolo. Osserva
Fanfani (1971: Prefazione): “Riferendosi alle vicende del primo volume si
potè parlare di quarta edizione, ancorchè una parte apparisse in terza”.
Infine, nel 1971 viene licenziata, con lievi modifiche e aggiornamenti
bibliografici, la quinta edizione. In appendice compare un saggio sul neovolontarismo americano originariamente pubblicato nel 1946. Per Fanfani
(1946b) si tratta di un capitolo di quel terzo volume sulle dottrine neo-volontaristiche sempre promesso e mai realizzato. Un’integrazione sufficiente per giu6 Questo è quanto Fanfani afferma nella Prefazione della V Edizione del 1971. Sul frontespizio del volume è però riportato l’anno 1939, cfr. Fanfani (1939a).
7 Questo è l’anno riportato nel volume. Fanfani (1971: Prefazione) afferma invece che la III Edizione
apparve nel 1943.
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stificare il titolo di Storia delle dottrine economiche apposto sul frontespizio.
Si tratta, come detto, di un’opera originale per metodo e interpretazione.
Fanfani prima chiarisce cos’è e come dovrebbe essere scritta una storia delle
dottrine economiche. Poi ne scrive una.
Vediamo allora, distintamente, metodo e interpretazione.
3.2 Il metodo
La tesi di Fanfani è che le storie “parziali”, interne ed esterne, e cioè finalizzate a ricostruire la formazione della scienza economica o volte ad indagare le influenze che quel sapere ha subìto o esercitato in altri ambiti, filosofici e politici, sono inutili e impossibili. Inutili perché impossibili. Sono utili
e possibili soltanto storie “integrali” che tengano conto del nesso che unisce
le tre dimensioni che compongono ogni dottrina economica: visione, analisi,
policy. Fanfani le chiama: presupposti, osservazioni, norme. Scrive:
“Lo schema proposto ha lo scopo di mostrare in modo evidente che, se una, e
qualsiasi, dottrina economica è un complesso organico di presupposti, di
descrizioni od osservazioni, di norme, l’opera dello storico delle dottrine economiche non può esaurirsi né in una indagine che abbia per oggetto soltanto
le relazioni tra dottrine economiche e dottrine filosofiche, né in una indagine
che abbia per fine l’elenco delle osservazioni fatte, sia che si vogliano ricordare tutte, sia che si ricordino solo quelle dallo storico ritenute vere; né può
limitarsi infine alla rievocazione, più o meno elaborata, delle norme. La storia delle dottrine economiche è comprensiva di tutte queste indagini ed è da
esse costituita” (Fanfani 1939a: 6).
Fanfani enuncia una sorta di “teorema di impossibilità”. non sono possibili storie parziali. Sono possibili, e utili, soltanto storie integrali. Perché?
Perché non dovrebbe essere possibile scrivere, separatamente, storie parziali, interne ed esterne, da ricomporre poi nel grande libro della storia? Perché
non dovrebbe valere, in quest’ambito, quella divisione del lavoro che ha permesso, in tutti gli ambiti, una crescita della conoscenza?
Fanfani torna all’origine. Connette economia e storia.
L’essenza del fenomeno economico è la scarsità. Sempre e ovunque le
risorse, i beni, i mezzi disponibili, risultano insufficienti per appagare tutti i
bisogni, i fini, che gli uomini avvertono e perseguono. Cambia la forma del
problema economico. non l’essenza. L’essenza è una sproporzione tra mezzi
e fini, beni e bisogni. La forma cambia perché muta, nel tempo e nello spazio, sia la sproporzione tra mezzi e fini sia la stessa gerarchia dei fini. nelle
società povere gli individui soddisfano con difficoltà i bisogni vitali. nelle
società opulente soddisfano facilmente quei bisogni ma ne avvertono di
nuovi. E la rincorsa continua.
La soluzione del problema economico, per Fanfani, non è la fine della
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scarsità, la fine della corsa. Fanfani ironizza sui falsi profeti che periodicamente annunciano l’imminente avvio di un’era di abbondanza. L’uomo, finché resterà sulla terra, dovrà fronteggiare la sfida della scarsità. Dovrà procurarsi il pane col sudore della fronte.
La soluzione del problema è un ordine economico razionale e cioè una
allocazione delle scarse risorse esistenti conforme alla gerarchia dei fini.
Sarebbe irrazionale un ordine economico che, in una società povera, escludesse la maggioranza della popolazione dalla fruizione di beni vitali e consentisse ad un’élite di vivere nel lusso. Sarebbe irrazionale un ordine economico che, in una società opulenta, permettesse di appagare secondari bisogni
“materiali” sacrificando primari bisogni “spirituali”.
Una dottrina economica, ogni dottrina economica, è una spiegazione
sistematica del problema economico e della sua possibile (razionale) soluzione. Differisce da un’opinione, che pure può essere radicata e influente,
proprio per la sua sistematicità. L’opinione è una credenza, più o meno diffusa, più o meno radicata, sulla natura e la possibile soluzione del problema
economico. Una dottrina economica è invece una riflessione sistematica,
organica, esplicitamente formulata intorno alla scarsità. La credenza mercantilista che sia preferibile, per un Paese, conseguire e mantenere un surplus di
bilancia commerciale è ancora largamente diffusa. La dottrina mercantilista
della bilancia commerciale fu invece esplicitamente formulata da alcuni autori, prevalentemente inglesi, tra il XVI e il XVII secolo e fu successivamente
confutata.
In ogni dottrina economica, secondo Fanfani, sono riconoscibili tre interconnesse dimensioni: visione (presupposti), analisi (osservazioni), policy
(norme).
I presupposti influiscono su osservazioni e norme ma, a loro volta, le
osservazioni retroagiscono (o dovrebbero) sui presupposti. Il presupposto che
esista in natura un ordine economico razionale spinge gli economisti a ricercare e formulare le leggi, le uniformità, che disciplinano quell’ordine e a consigliare al principe di turno di rispettare e non violare quelle leggi. Ma se le
osservazioni, teoriche e fattuali, e cioè derivanti sia dalla scienza che dalla
realtà, dovessero dimostrare che in natura non esiste un ordine economico o
che, se esiste, non è razionale allora l’iniziale presupposto dovrebbe essere
modificato e con esso l’intera struttura della dottrina. Ugualmente, il presupposto che in natura non esista un ordine economico razionale spinge l’economista a non ricercare le (inesistenti) leggi naturali e a suggerire al principe
di turno una serie di precetti che consentano di costruire, deliberatamente, il
desiderato ordine razionale. Ma, ugualmente, se le osservazioni, teoriche e
fattuali, dovessero dimostrare che esistono in natura forze e resistenze che
limitano il potere della volontà umana di forgiare a proprio piacimento la
società allora l’iniziale presupposto dovrebbe essere rivisto e con esso l’intera struttura della dottrina.
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La storia delle dottrine economiche è l’archivio delle spiegazioni sistematiche e delle soluzioni razionali del problema della scarsità avanzate nel
tempo e nello spazio. Essa mostra, o dovrebbe, come la scienza economica
procede contaminando e lasciandosi contaminare dalla società. I presupposti
condizionano osservazioni e norme. Ma le osservazioni, e cioè gli avanzamenti teorici e l’esperienza fattuale (su cui pesano le stesse proposte di politica economica degli economisti) retroagiscono sui presupposti avviando un
nuovo ciclo conoscitivo.
La storia è una, indivisibile, integrale. Fanfani lo dice: lo storico delle dottrine economiche è il “ricostruttore integrale”. La storia “interna”, senza la
storia “esterna”, diventa incomprensibile, e viceversa. nell’ideale storia
“propria” di Einaudi, e cioè nella storia del mainstream, il mercantilismo
occuperebbe forse una pagina. Ma il mercantilismo è un capitolo fondamentale della storia politica europea. Lo storico “esterno” non saprebbe cosa farsene della einaudiana storia propria. Ma il mercantilismo è un capitolo fondamentale anche nella storia “interna” dell’economia politica. Senza Malynes e
Mun non ci sarebbero stati Quesnay e Smith. E senza Smith … La confutazione del mercantilismo avvenne sulla base di considerazioni sia teoriche (il
price-specie flow mechanism di Hume e la teoria della moneta di Smith) che
empiriche, e cioè valutando i perniciosi effetti del colbertismo sull’agricoltura e l’economia francese ed europea. Senza la storia esterna diventa incomprensibile anche la storia interna. Serve cioè una storia integrale.
Allo storico delle dottrine economiche, secondo Fanfani, compete il compito di scrivere una storia integrale, interna ed esterna, che mostri come i
ripetuti tentativi degli economisti di pervenire ad una razionale spiegazione e
soluzione del perenne problema della scarsità siano stati influenzati dalla
realtà (economica, politica, filosofica) del loro tempo ed abbiano influito su
di essa, alimentando un ininterrotto e indivisibile processo di sviluppo di
scienza e società.
In particolare allo storico delle dottrine economiche spetta un triplice
compito: stabilire l’influenza esercitata da una dottrina economica in un’epoca storica; valutare se quella dottrina fu in grado di spiegare la natura del problema economico così come si manifestava “lì ed allora”; dire che cosa rappresenti quella dottrina nello svolgimento dell’intera storia delle dottrine economiche. Lo storico della dottrina mercantilista, per esempio, dovrebbe stabilire quale influenza il mercantilismo esercitò sulla società europea del XVI
e XVII secolo, se interpretò correttamente i problemi del nascente capitalismo, quale ruolo svolse nel passaggio epocale tra la scolastica medioevale ed
il liberalismo classico.
Una storia integrale serve innanzitutto all’economista. Ma anche al politico e ad altri storici. Serve all’economista per le ragioni già indicate da
Pantaleoni e riprese da Einaudi: perché è utile far memoria, conoscere attraverso quale faticoso processo ci si è affrancati dagli errori del passato e si è
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pervenuti a quel complesso di provvisorie verità che compongono “l’attuale
scienza”. La conoscenza della genesi, come diceva Pantaleoni, è infatti una
delle forme di conoscenza che più appagano l’intelletto umano. Ma la scienza, aggiunge Fanfani, evolve dentro la società ed è da essa inseparabile.
La storia delle dottrine economiche serve anche al politico perché mostra
il ventaglio delle soluzioni operative di volta in volta escogitate dagli economisti per risolvere il problema della scarsità. E serve ad altri storici per
aggiungere tessere ai loro mosaici: per esempio, la storia della dottrina economica fisiocratica può servire allo storico della filosofia per rileggere l’illuminismo francese, allo storico dell’economia per spiegare l’abolizione delle
corporazioni di arti e mestieri (ispirata da turgot e sancita dalla Legge Le
Chapellier del 1791), allo storico politico per interpretare l’ascesa del liberalismo nella società europea.
Fanfani ritiene di aver così risolto una vecchia disputa metodologica:
quella che vedeva contrapposti, da un lato, toniolo e Mauri e, dall’altro,
Pantaleoni ed Einaudi. Per i primi sono i fatti che generano le teorie. Per i
secondi il legame non sussiste e semmai è rovesciato. Scrive Fanfani: “La
vecchia disputa se le dottrine nascessero dai fatti o se i fatti fossero determinati dalle dottrine, è superata”8.
In breve. Per Fanfani la soluzione del problema economico non è la fine
della scarsità ma la costruzione di un ordine economico razionale in cui le
scarse risorse esistenti siano disposte in modo tale da appagare i bisogni nella
scala di importanza stabilita dalla società. La storia delle dottrine economiche è la memoria dei ripetuti tentativi compiuti dagli economisti di trovare
una soluzione razionale al problema della scarsità; una storia alimentata dalla
forza centripeta di presupposti, osservazioni e norme. Una storia tridimensionale o integrale.
La soluzione del problema economico è la vetta, avvolta nelle nubi, della
montagna. La storia delle dottrine economiche rimane, come in Pantaleoni ed
Einaudi, la storia di coloro che scavarono nella roccia il sentiero principale,
il mainstream. Per Fanfani il sentiero principale è però più largo e meno rettilineo: sconfina nei territori limitrofi della filosofia e della politica e subisce
continue deviazioni. Lo storico delle dottrine economiche resta il cartografo
che redige la mappa, che memorizza e aggiorna il cammino percorso. La
mappa serve all’economista per andare avanti e non tornare indietro, ma
anche al politico e ad altri storici per tracciare percorsi paralleli che lambiscono la stessa mèta: risolvere il problema della scarsità.
8 Fanfani, A. (1971), Storia delle dottrine economiche, Milano: Principato Editore, cit., p. 17. Si pone qui
il problema delle fonti. Fanfani sostiene di aver risolto la vecchia disputa metodologica. Ma a chi si ispira? Quanto deve ad entrambe le tradizioni, al di là della sua stessa consapevolezza? In questa sede non è
possibile affrontare un tema così complesso. Utili elementi di riflessione sono però presenti in letteratura.
Si veda in particolare: Duchini (1998), Porta (2001), Parisi (2001).
94
Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 1-2011
Fanfani non si limita a dichiarare come dovrebbe essere scritta una storia
delle dottrine economiche. ne scrive una. non disegna soltanto l’ideale e ipotetico sentiero. ne traccia anche uno effettivo: il suo.
3.3 L’interpretazione
Una storia integrale, secondo Fanfani, potrebbe essere scritta osservando
il passato dalle tre distinte postazioni: presupposti, osservazioni, norme. Ciò
che conta è tenere assieme le tre prospettive, non separare ciò che è indissolubile. Fanfani sceglie quella che considera la postazione più alta, i presupposti, e tra questi quello che reputa più generale: l’esistenza o meno di un
ordine spontaneo. Da questa altitudine vede la storia scandita da una successione di tre grandi epoche: volontarismo, naturalismo, neo-volontarismo.
nella prima epoca domina una credenza o presupposto o visione: in natura non esiste un ordine razionale, ma non esistono neppure ostacoli insormontabili che impediscono all’uomo di realizzarlo. nell’epoca successiva
prevale un’opposta credenza: l’ordine razionale è spontaneo. Infine, nella
terza epoca si diffonde una visione mediana: l’uomo ha il potere di creare un
ordine razionale ma deve tener conto delle forze e resistenze presenti in natura. Scrive Fanfani (1971: 26-27):
“tra tutti i presupposti fondamentalissimo sembra quello relativo alla spontaneità o meno dell’ordine economico … Sulla spontaneità o meno dell’ordine
economico tre sono le concezioni possibili: o si crede che l’ordine economico razionale e più benefico sia dalla natura previsto sempre e talvolta imposto
necessariamente, oltre che moralmente; o si crede che l’ordine economico
razionale e benefico, non esistendo in natura, né attuandosi spontaneamente,
possa essere immaginato ad arbitrio e realizzato senza sottostare a invincibili
resistenze; o si crede infine che pur non esistendo un ordine economico naturale razionale sia possibile costruirlo dall’uomo ossequiente alla ragione
umana, ma sottostando a limitazioni e a resistenze di varia natura, talora vincibili, tal altra no”.
Apparentemente si tratta di una semplice (e un po’ arida) classificazione.
Fanfani la considera una classificazione didattica. Secondo me è molto di
più: è un’interpretazione forte dell’intera storia del pensiero economico.
Vediamo perché, sinteticamente.
Il volontarismo copre oltre 2.000 anni di storia, dai greci ai mercantilisti,
da Platone a Montchrétien. In questa lunga epoca, secondo Fanfani, domina
il convincimento, il presupposto, che l’uomo abbia il potere di forgiare la
natura a proprio piacimento. Ma c’è un’evoluzione. Le dottrine greco-romane sono connotate dall’ideale di un ordine sociale razionale, perfetto o ideale, a cui è possibile e necessario sacrificare la libertà e la dignità dei singoli
individui.
A. Magliulo - Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico
95
Il cristianesimo opera una doppia rivoluzione: l’uomo, ogni uomo, è sacro
e si realizza in Dio. Il cristianesimo ispira le dottrine della scolastica medioevale. gli scolastici pervengono ad una importante conclusione: esiste un ordine naturale ma non è razionale. I mercati, lasciati liberi di operare, tendono
all’equilibrio. Ma non è un equilibrio ottimale. L’ordine economico è razionale se il processo di produzione e distribuzione dei beni è tale da consentire
ad ogni uomo o al maggior numero di persone di vivere in modo degno.
Occorre orientare l’ordine spontaneo verso l’ordine razionale, l’economia
verso l’etica. Come? Distinguendo tra scambi naturali (finalizzati a soddisfare bisogni primari) e innaturali (volti ad accumulare ricchezze) e dunque tra
interesse e usura, giusto e ingiusto prezzo, giusto e ingiusto salario. Mossi da
quest’intento gli scolastici studiano la natura del nascente capitalismo ed i
meccanismi che ne regolano il funzionamento. Vanno alla ricerca di quelle
forze e resistenze che facilitano o ostacolano il raggiungimento dell’ordine
razionale. Si domandano: perché gli uomini moderni sono restii ad accettare
le norme etiche che rendono razionale un ordine economico? Cosa impedisce
loro di scegliere il bene indicato dalla Chiesa?
Il medioevo termina quando si spezza l’unità cattolica. Il protestantesimo
e la formazione degli stati nazionali introducono la modernità. Cambia l’idea
stessa di ordine razionale. Per i mercantilisti un ordine economico è razionale se consente ai sovrani di disporre di sufficienti risorse finanziare per difendere ed espandere i nascenti stati nazionali. L’economista diventa il consigliere di un principe armato. Il colbertismo è l’emblema del mercantilismo.
Cosa rappresenta il volontarismo? Fanfani applica lo schema precedentemente esposto. Si tratta, lo ricordo, di stabilire quale influenza una dottrina
ha esercitato nella società del tempo, se è stata in grado di spiegare i problemi di quel tempo, che significato assume nella evoluzione della storia delle
dottrine economiche.
Fanfani non si sottrae ad un giudizio critico. Le dottrine scolastiche e mercantilistiche, al contrario di quelle greco-romane, esercitano una grande
influenza politica. Basti pensare all’importanza della scolastica per la società
medioevale o del mercantilismo per l’Europa pre-rivoluzionaria. Vi fu progresso teorico: si compresero meglio, rispetto al passato, i meccanismi di formazione dei prezzi, il ruolo della moneta, le relazioni economiche internazionali. Ma vi fu anche un regresso nella visione dell’ordine razionale: da
un’economia orientata all’etica si passò ad un’economia subordinata alla
politica di potenza degli stati nazionali. Il volontarismo rappresenta la prima
tappa di avvicinamento verso una corretta comprensione del problema della
scarsità. E prepara il passo successivo: il naturalismo. Lo prepara introducendo l’idea, l’obiettivo, di un ordine razionale, variamente inteso, e ponendosi alla ricerca delle condizioni necessarie per realizzarlo.
La fase successiva è il naturalismo. Di nuovo siamo in presenza di un
grande affresco. Il naturalismo è un’epoca che va da Cantillon a Marshall
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Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 1-2011
passando (perfino) per Proudhon e Marx. In pratica copre l’economia politica moderna: da metà Settecento ai primi anni trenta del novecento.
Cos’hanno in comune tutti questi autori? Un’idea, un presupposto: l’ordine razionale è naturale. Si comincia con i Fisiocrati (e prima ancora con prenaturalisti come Cantillon che dubitano delle certezze volontaristiche). La
Fisiocrazia è un ponte tra volontarismo e naturalismo. Per i Fisiocrati infatti
l’ordine razionale è naturale ma non spontaneo. In natura c’è un ordine ottimale ma non emerge spontaneamente. Va fatto emergere con la sapienza della
scienza e la forza della politica. Spetta all’economista scoprire e formulare le
leggi dell’ordine naturale e al sovrano, illuminato dall’economista, adeguare
la legge positiva a quella naturale. In questo senso la Fisiocrazia collega
volontarismo e naturalismo: col primo condivide l’idea che l’ordine razionale non sia spontaneo, col secondo che sia naturale. Alla Fisiocrazia segue
l’Economia Classica. I classici, che Fanfani chiama “naturalisti della necessità”, pensano che l’ordine razionale sia naturale e spontaneo. Da qui, appunto, la necessità di lasciare gli individui liberi di perseguire il loro tornaconto.
I classici offrono il massimo contributo teorico alla comprensione dei meccanismi di funzionamento dell’economia di mercato. Le loro leggi economiche sono un’accurata descrizione di quelle “forze e resistenze” che condizionano il raggiungimento dell’ordine razionale. La legge dei rendimenti decrescenti, per esempio, descrive forza e limiti (resistenze) del lavoro applicato in
agricoltura o in altri settori produttivi. All’Economia Classica si affianca e
segue l’eresia socialista: dopo Ricardo, Marx. I socialisti, che Fanfani chiama “naturalisti della giustizia”, pensano che il capitalismo sia iniquo ma che
in esso operino forze naturali in grado di trasformarlo in un ordine nuovo
improntato a giustizia ed uguaglianza. Infine, dopo l’eresia, una nuova ortodossia. Dopo Marx, Marshall e Walras. I neoclassici, che Fanfani si limita a
definire “naturalisti della convenienza”, ritengono che l’ordine economico
sarà tanto più razionale quanto più gli individui uniformeranno la loro condotta ai criteri di “razionalità edonistica” descritti dalla teoria economica.
Cosa rappresenta il naturalismo? Alcune dottrine naturalistiche esercitano
una grande influenza politica. Si pensi alla Fisiocrazia durante il Settecento
riformatore o all’Economia Classica nell’Europa post-napoleonica. C’è progresso teorico, con la formulazione di fondamentali leggi e teoremi economici, ma anche un nuovo regresso nella visione dell’ordine razionale: prevale infatti l’idea che l’ordine razionale sia naturale e spontaneo. Il naturalismo,
secondo Fanfani, prepara il neo-volontarismo: lo prepara consolidando l’idea, il traguardo, di un ordine razionale e fornendo insieme la scienza dei
classici e le critiche degli eretici che, con le loro denunce, insinuano il dubbio che l’ordine razionale non sia né naturale né spontaneo.
Il neo-volontarismo è la terza e ultima fase della storia di Fanfani. Una fase
sempre incipiente e sempre incompiuta. Fanfani non pubblicherà mai l’annunciato terzo volume della sua storia. ne abbozzerà soltanto qualche capitolo.
A. Magliulo - Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico
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Anche le dottrine neo-volontaristiche hanno in comune un’idea, un presupposto: l’ordine razionale non è né naturale né spontaneo. Va costruito,
conoscendo e governando le forze e le resistenze presenti nella natura fisica
e sociale.
tre sono le principali dottrine neo-volontaristiche che Fanfani descrive.
negli anni trenta il corporativismo fascista che teorizza un’economia regolata e orientata verso un fine di giustizia sociale. nell’immediato secondo
dopoguerra il neoistituzionalismo americano che introduce l’idea di un controllo democratico (decentrato) dell’economia di mercato. nel lungo dopoguerra la dottrina sociale della Chiesa che, attraverso periodiche encicliche,
aggiorna gli eterni principi del cristianesimo per leggere una realtà in rapida
e profonda trasformazione9.
Cosa rappresenta il neo-volontarismo? Un complesso di influenti dottrine
economiche. Il corporativismo ispira la condotta dei governi totalitari
nell’Europa degli anni trenta; il neoistituzionalismo guida il new Deal di
Roosevelt e l’azione politica di molti costituenti italiani, a cominciare proprio
da Amintore Fanfani; la dottrina sociale cattolica permea la cultura politica
dei partiti di ispirazione cristiana nell’Europa del dopoguerra. Il contributo
teorico è parziale e riguarda principalmente aspetti di policy. Le dottrine neovolontaristiche, raccogliendo la lezione del passato, sono quelle che più si
avvicinano ad una corretta soluzione del problema economico della scarsità.
Fanfani scrive una storia integrale, interna ed esterna, non deterministica
ma progressiva. Implicitamente adotta una filosofia cristiana della storia. La
storia ha un senso, una direzione, tende verso il bene. non è deterministica
perché vi sono regressi e deviazioni ma è progressiva, procede verso un traguardo positivo. La mèta è la soluzione razionale del problema economico
della scarsità. Ad ogni tornante della storia – come amava ripetere La Pira –
c’è un’acquisizione nuova: il volontarismo genera l’idea di un possibile ordine razionale, il naturalismo descrive le forze che favoriscono e le resistenze
che ostacolano quell’ordine; il neo-volontarismo sintetizza la lezione di
entrambi e si avvicina alla soluzione del problema economico.
nella mappa di Fanfani il sentiero che conduce alla vetta segue un percorso elicoidale di progressiva approssimazione alla verità scientifica e cioè
di graduale costruzione di un ordine economico razionale a servizio della persona umana10.
9
Sul corporativismo come dottrina neo-volontaristica, cfr. Fanfani (1937: parte IV, 1939a: 8, 1939b), sul
neoistituzionalismo americano, cfr. Fanfani (1946 e 1971: Appendice), sulla dottrina sociale cattolica, cfr.
Fanfani (1953: Cap. VIII). Fanfani, insieme a Lombardini, redige anche la voce Storia delle dottrine economiche del Dizionario curato da Claudio napoleoni. In particolare Fanfani redige la prima parte utilizzando la tradizionale classificazione (pp. 1621-38) e Lombardini la seconda sul pensiero economico contemporaneo (pp. 1638-52).
10 In una nota dell’edizione del 1971 (p. 28) Fanfani scrive che i suoi criteri di classificazione hanno suscitato consensi ed avversioni; avversioni che non hanno tuttavia avuto la forza di modificare l’opinione del-
98
Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 1-2011
4. Un cenno agli sviluppi successivi: la history of economics di Blaug
nei decenni in cui Fanfani elabora ed aggiorna il proprio manuale altri
storici compongono i loro testi.
Una storia della storiografia del pensiero economico dovrebbe prendere le
mosse almeno dalla classica distinzione di Schumpeter (1954 [1979]: 46),
contenuta nell’opera postuma apparsa nel 1954, tra storia dell’analisi economica (gli affinamenti teorici), storia dei sistemi di economia politica (le
implicazioni di policy) e storia del pensiero economico (“la somma di tutte le
opinioni e desideri concernenti questioni economiche, e specialmente di politica economica, che, in una certa età e in un certo luogo, fluttuano nella
‘coscienza pubblica’”).
Lo storico della storiografia dovrebbe poi mostrare: la competizione tra
l’Historical Reconstruction Approach (che colloca gli economisti del passato nel loro tempo) ed il Rational Reconstruction Approach (che li riporta, per
valutarli, nel nostro tempo); il predominio del secondo sul primo; la critica di
Kuhn, Popper e Lakatos ad una filosofia della scienza continuista ed assolutista, simile ad una palla di neve che rotolando dall’alto diventa sempre più
grande senza incontrare ostacoli che la distruggano o la deviano; e ancora, la
ricezione dell’epistemologia kuhniana in ambito economico e la conseguente elaborazione di approcci discontinuisti e relativisti che descrivono l’evolversi della scienza economica in termini di paradigmi alternativi che competono e coesistono, fino agli sviluppi più recenti11.
Una tale storia non può essere qui, ovviamente, neppure abbozzata. Vorrei
soltanto evidenziare un aspetto.
Mark Blaug è stato il campione del Rational Reconstruction Approach. La
sua opera principale si intitola, non a caso, Economic Theory in Retrospect
(Blaug 1962 [1985]). L’economista si ferma, si volta indietro, e vede l’enorme progresso compiuto negli ultimi secoli, la lunga strada percorsa per emanciparsi da false credenze, errori teorici, condizionamenti ideologici, fino a raggiungere una provvisoria ma solida piattaforma di conoscenze scientifiche.
Il campione del Rational Approach, nel citato saggio del 2001, sembra
improvvisamente convertirsi all’alternativo Historical Approach. Scrive infatti:
l’autore. Si pone qui il problema della ricezione dell’opera di Fanfani. In proposito ho svolto soltanto un’indagine campionaria, dalla quale risulta che, negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del
manuale, alcune tra le più prestigiose riviste del tempo semplicemente ignorarono l’opera di Fanfani. In particolare non appaiono recensioni o commenti nella einaudiana “Rivista di storia economica”, nell’autorevole “giornale degli economisti” e perfino nella cattolica “Rivista internazionale di scienze sociali”. In quest’ultimo caso però il silenzio fu dovuto, molto probabilmente, alla nota sensibilità morale di Fanfani che,
in qualità di direttore della rivista, volle evitare un potenziale conflitto di interessi. Anche nel volume di g.
Capodaglio (1941), uno dei pochi manuali del tempo, non si trova alcun riferimento all’opera di Fanfani.
11 Oltre al volume curato da Blaug (1991) e citato nella nota 1, cfr. Screpanti (1992), Backhouse (1994,
2001), Blaug (2001), Barucci (2005) e Kurz (2006).
A. Magliulo - Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico
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“Although I have been guilty myself of the very sin I have just deplored, I
have come to the conclusion that the only approach to the history of economic thought that respects the unique nature of the subject material, rather than
just turning it into grist for the use of modern analytical techniques, is to labor
at historical reconstructions, however difficult they are” (Blaug 2001: 152).
Si tratta, a mio parere, di un’apparente conversione. Per Blaug conta lo
scopo, non il metodo. E lo scopo della storia del pensiero economico rimane
la genesi della moderna scienza economica. L’Historical Approach può servire soltanto a capire meglio come e perché si formano e prevalgono certe
teorie anziché altre. non solo: siccome la scienza economica è la somma
delle acquisizioni teoriche avvenute nel tempo, la storia del pensiero economico non è altro che l’economia in verticale, nella sua dimensione sincronica: “no History of Ideas, Please, We’re Economists”. Scrive Blaug: “History
of economic thought is not a specialization within economics. It is economics
– sliced vertically against the horizontal axis of time” (Ibid.: 157).
Il saggio di Blaug riapre un dibattito metodologico che in realtà non si era
mai chiuso.
Kurz (2006) apparentemente sostiene una posizione diversa. gli storici
dovrebbero muovere, non dal presente al passato, ma dal passato al presente.
La storia del pensiero economico non può essere (soltanto) la storia del mainstream. Muovendo dal passato lo storico recupera una ricchezza di idee e di
teorie che altrimenti andrebbe persa e che invece può essere utile per costruire nuovi paradigmi. Anche per Kurz, implicitamente, lo scopo è la genesi
della scienza economica: la history of economic thought è in realtà una
history of economics allargata alle correnti eretiche.
Altri studiosi sostengono che gli storici dovrebbero concentrarsi sull’ultimo trentennio. Come può essere interessante per l’economista una storia che
si interrompe proprio sul più bello, quando lo storico dovrebbe spiegare come
si è giunti al punto in cui siamo? Anche in questo caso lo scopo implicito è
una storia solo della scienza economica12.
In breve, negli ultimi decenni sembra consolidarsi una prospettiva riduzionista. La storia del pensiero economico è innanzitutto una storia “interna”
della scienza economica. La storia “esterna” (filosofica e politica) può essere introdotta solo nella misura in cui aiuta a capire meglio la storia interna.
Alcuni ritengono che lo storico debba concentrarsi sul mainstream, altri che
debba tener conto anche delle non taken roads13.
12
Si vedano in particolare Weintraub (2007), Moscati (2008) e Palma (2008). Scrive Weintraub (2007:
267): “It is not news that the history of economics is disesteemed by most economists”.
13 Sarebbe interessante, e auspicabile, una storia della storiografia che mettesse in evidenza il contributo
di autori che hanno rifiutato l’approccio riduzionista cercando di tenere aperta una prospettiva metodologica più ampia. In questa storia W. Mitchell e la sua Types of economic theory occupano un posto di primo
piano.
100
Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 1-2011
La storia diventa così una mappa in cui, accanto al sentiero principale,
sono tracciati altri percorsi, più o meno frequentati. Lo storico è il cartografo
che mostra all’economista il cammino compiuto e semmai, di fronte ad
imprevisti ostacoli, gli segnala nuovi percorsi. Sentieri stretti e rettilinei che
non sconfinano mai in territori contigui.
5. Conclusioni
Prima di avanzare una risposta al quesito che ha ispirato questa ricerca –
cosa rappresenta il manuale di Fanfani nella storia della storiografia del pensiero economico – ricordo e riassumo brevemente i tre passaggi che ci hanno
condotto fin qui.
Il primo. All’inizio degli anni trenta Einaudi, reinterpretando Pantaleoni,
delinea una prospettiva metodologica riduzionista: sono possibili e utili storie diverse – interne ed esterne – ma la storia propria delle dottrine economiche è una storia interna utile all’economista.
Il secondo. tra la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni Quaranta
Fanfani pubblica i due volumi che compongono il suo manuale, poi aggiornato in successive edizioni, in cui sostiene che le storie parziali, interne o
esterne, sono impossibili e perciò inutili. Sono possibili e utili solo storie
integrali: interne ed esterne.
Il terzo. nei decenni in cui Fanfani rielabora e aggiorna il proprio manuale, e in quelli immediatamente successivi, nella storiografia prevale la tesi
classica: il compito dello storico del pensiero economico è scrivere una storia interna della scienza economica. La storia esterna può essere solo funzionale a quel fine. Da Pantaleoni a Blaug.
Che significato assume dunque l’opera di Fanfani nella storia della storiografia del pensiero economico? Mi pare di poter rispondere: è un tentativo
di contrastare il dominante approccio riduzionista e plurale aprendo la prospettiva nuova di una storia integrale delle dottrine economiche.
nel tentativo di Fanfani dobbiamo distinguere, e abbiamo distinto, metodo e interpretazione.
Il metodo si fonda sull’idea che la storia interna, senza la storia esterna,
diventa illeggibile. E viceversa. La storia interna procede lungo l’asse presupposti-osservazioni-norme (visione-analisi-policy). I presupposti influiscono su osservazioni e norme ma le osservazioni, teoriche e fattuali (e cioè ricavate dalla storia esterna) retroagiscono sui presupposti orientando il cammino conoscitivo della scienza. Solo chi conosce l’opera di Smith può capire e
descrivere l’importanza che quelle idee hanno avuto nel determinare il passaggio dal mercantilismo al liberalismo. Solo chi conosce la storia interna
può cioè scrivere la storia esterna della scienza economica. Ma il liberalismo
ha prodotto, insieme allo sviluppo economico, anche squilibri e ingiustizie
sociali che sono entrati nel campo delle osservazioni fattuali di economisti
A. Magliulo - Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico
101
come List e Marx. Solo chi conosce la storia esterna può capire e scrivere
anche la storia interna della scienza economica.
La storia integrale spiega il farsi della scienza dentro e in rapporto col
divenire della società. Spiega cioè la loro interdipendenza. La storia integrale è utile, oltre che all’economista, anche al politico e ad altri storici. Questa
è la lezione di metodo che Fanfani ci lascia.
La storia che egli scrive, l’interpretazione che propone, è costruita invece,
come abbiamo visto, sulla scelta preferenziale di un cardine: il presupposto
che esista o meno un ordine economico spontaneo.
A questo punto sorgono in me, e forse anche nel lettore, due brevi e interconnessi quesiti. Perché il tentativo di Fanfani fallisce? E c’è qualcosa da
recuperare di quel fallito tentativo?
Alla luce di quanto abbiamo visto mi pare di poter dire che fallisce per
ragioni esterne e per limiti interni. Per ragioni esterne perché prevale, da
Pantaleoni a Blaug, una diversa prospettiva metodologica. Per limiti interni
perché Fanfani, con la scelta del presupposto della spontaneità o meno dell’ordine economico, sale troppo in alto. Da quell’altitudine vede troppo e
troppo poco. Raggruppa oltre due millenni di idee economiche in tre grandi
famiglie: volontarismo, naturalismo e neo-volontarismo. Mette insieme,
prima, Platone, San tommaso e thomas Mun, poi, Quesnay, Smith, Marx e
Marshall, infine, i corporativisti italiani, i neoistituzionalisti americani e i
Pontefici che hanno scritto encicliche sociali. Anche stando a questa classificazione, emergono lacune. Per esempio, nel volume sul naturalismo manca
proprio il capitolo sui grandi economisti neoclassici: Marshall, Walras e
Pareto. Oppure nelle pagine sparse sul neo-volontarismo non vi è alcun
cenno a Keynes (e questo dovrebbe far riflettere sul presunto keynesismo di
Fanfani). Si tratta comunque, a mio giudizio, di lacune che altri storici, se
avessero condiviso lo schema generale, avrebbero potuto facilmente colmare. nell’approccio metodologico di Fanfani emerge invece un duplice limite
strutturale. Il primo è la sottovalutazione che ogni storia, per quanto ambisca
ad essere “generale”, non può che riflettere il punto di vista “parziale” del suo
autore. Il secondo è la presunzione (che Hayek definirebbe fatale) che la
ragione umana possa cogliere il movimento della storia fino a prevedere il
suo stadio finale. Fanfani, in fondo, applica una logica dialettica: tesi, antitesi, sintesi. E la sintesi è finale. Lo studioso della Cattolica sembra cioè cadere nella tentazione apocalittica o escatologica di chi vede e annuncia l’imminente “fine della storia”. Il neo-volontarismo sembra essere la soluzione ultima, definitiva, del problema della scarsità: l’anticamera del Paradiso. E invece la storia continua...
C’è qualcosa da salvare di quel fallito tentativo? Forse sì. Fanfani dice:
sono possibili e utili solo storie integrali. Ma chi può negare l’importanza di
Smith per il liberalismo, di Marx per il comunismo o di Keynes per l’interventismo? E chi non auspica una storia – ovviamente nei limiti intrinseci
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Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 1-2011
della ragione umana – più integrale o generale che sveli la misteriosa interdipendenza tra scienza economica e società? Evidentemente nessuno. non è
questo il punto in discussione. Il punto è: come si scrive una storia integrale?
nella prospettiva metodologica dominante si è di fatto affermata una divisione “verticale” del lavoro. Se davvero l’economia politica ha tre dimensioni – filosofica, analitica e politica – allora possono e devono esserci storici
delle idee, dell’analisi e della politica economica. Ciascuno acquisterà dall’altro i prodotti di cui ha bisogno. nella prospettiva metodologica di Fanfani
è invece delineata una divisione “orizzontale” del lavoro. Lo storico delle
dottrine economiche, sia che indaghi un’epoca, un autore o l’intera storia,
deve sempre tenere assieme le tre dimensioni: visione, analisi e policy. non
è facile stabilire quale tra i due sia il metodo migliore. L’esperienza recente
sembra però insegnarci qualcosa. negli ultimi anni ha dominato l’approccio
classico. Si sono scritte storie prevalentemente interne o esterne. Storie sbilanciate, che sembrano aver interessato poco sia gli economisti che altri storici. Perché? Alcuni sostengono che le storie interne sono risultate poco interessanti per gli economisti perché si fermano agli ultimi venti-trent’anni. Può
darsi. Ma anche se così fosse, resterebbe da spiegare come la storia dell’analisi possa essere utilizzata per comporre una storia esterna e dunque integrale dell’economia politica. Il metodo della divisione orizzontale del lavoro è
stato sicuramente minoritario e marginale. Eppure ha prodotto lavori eccellenti. non voglio fare citazioni. Penso però ad alcuni classici saggi sulla storia della politica economica italiana o a più recenti indagini sulla storia della
felicità in economia. Lavori costruiti sul rapporto tra visione, analisi e policy.
Esempi di storie integrali dell’economia politica che hanno interessato economisti, politici e storici di altre discipline.
Fanfani ci lascia un metodo e un’interpretazione. Un metodo di storia
integrale, che a mio parere è meritevole di essere ripreso e approfondito, e
un’interpretazione dialettica della storia che probabilmente resterà nell’oblìo.
Un’interpretazione comunque utile, come monito a non cadere nella tentazione apocalittica di predire l’imminente fine della storia. Perché, come è
noto, non sappiamo né il giorno né l’ora.
A. Magliulo - Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico
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