Notiziario Accademia Italiana Cucina

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LA CULTURA SARDA DEL PANE
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n Sardegna la cucina è orgoglio domestico e paesano
e significa innanzi tutto rispetto della tradizione, culto per i prodotti schietti, fantasia ed estro creativo,
sapiente esperienza collaudata nei millenni.
La civiltà agropastorale, la pratica venatoria e la ricchezza dei mari, forniscono a un popolo, che ha saputo
vivere in austerità, tutti gli elementi per fare buona cucina: ottimo grano duro, eccellenti ortaggi e verdure, squisita frutta spontanea e coltivata, ortaggi selvatici e funghi deliziosi, selvaggina e cacciagione, molluschi e frutti
di mare, latticcini e formaggi, insaccati, dolciumi ecc.
In questi ultimi anni, con l’affermarsi del fenomeno
turistico, c’è stata la rivelazione della cucina tradizionale
della Sardegna e così oggi è possibile gustare i cibi regionali in tutta l’area isolana nei locali di grido decantati
dalla pubblicità e nei più modesti ristoranti sparsi un po’
ovunque. Il richiamo del passato ha trovato e trova ancora oggi consensi ed entusiasmi.
Ma per apprezzare in pieno il valore della gastronomia sarda, forse sarebbe meglio che il turista, il viaggiatore o lo studioso e, perché no, il curioso non prestassero attenzione solo agli esclusivi locali di lusso, ma si recassero nell’ambiente più vero e originale, tra i pastori e
i pescatori, tra i contadini e le massaie paesane, proprio
tra i reali depositari dei segreti gastronomici tramandati
con incredibile abilità.
L’isola, accanto a un significativo patrimonio archeologico e artistico, può offrire la sua cucina dove tutto è
semplicità: dal rito domestico della massaia che attende
alla fatica della panificazione, al gesto misurato del pastore che allestisce arrosti col sistema primordiale, all’impiego di prodotti mai sofisticati né adulterati, all’offerta di un bicchiere di vino corposo e sincero o di un
dolce preparato per una particolare ricorrenza.
Il pane, questo alimento bilanciato e completo, è stato
abbastanza trascurato nella “gastronomia” quotidiana.
Eppure sino a molti anni fa era al pane che il pastore affidava le sue possibilità di sopravvivenza sui rigidi pascoli invernali del Supramonte. Un pugno di farina impastata senza lievito, schiacciata fino a raggiungere uno
spessore impercettibile, gli assicurava ogni giorno quello che un dietologo definirebbe, nel freddo linguaggio
della medicina, l’indispensabile fabbisogno degli aminoacidi. Ma, oltre al nutrimento, in una cucina sostanzialmente povera come quella sarda, il pane assolveva
la funzione di decorare la tavola nelle grandi occasioni.
IL PRESIDENTE GIUSEPPE DELL’OSSO CONFERMATO
ALLA GUIDA DELL’ACCADEMIA INTERNAZIONALE
L’Assemblea generale dell’Académie Internationale de
Gastronomie si è riunita a Parigi con la partecipazione dei Presidenti delle ventiquattro Accademie nazionali associate e di molti Accademici provenienti
da vari Paesi e con l’assistenza del Segretario generale permanente, l’Accademico italiano Giuseppe Tomé,
della Delegazione del Rodano (Svizzera). Il nostro
Presidente Giuseppe Dell’Osso, che presiedeva l’Assemblea, è stato riconfermato per acclamazione alla
Presidenza dell’Accademia internazionale per il
prossimo biennio. È stato anche convalidato l’incarico di Segretario generale permanente per l’italiano
Giuseppe Tomé.
Subito dopo, è stato approvato l’ingresso nell’Accademia internazionale delle Accademie nazionali di
Brasile, Siria e Perù. È stato anche approvato l’inizio
della procedura per l’ammissione delle Accademie di
Catalogna e Andalusia, mentre è stata confermata la
conclusione della procedura preliminare per l’ingresso delle Accademie di Grecia e Marocco. È stato an-
che approvato un particolare statuto per l’Accademia
della Colombia.
Veniva quindi entusiasticamente accolto e approvato
il progetto di dar vita a un particolare “Centro culturale e scientifico delle Accademie mediterranee”. Si
tratta di associare all’iniziativa le Accademie rivierasche del Mediterraneo, e cioè Spagna, Francia, Italia,
Grecia, Turchia, Siria, Libano, Marocco e anche (in
quanto appartenente alla penisola iberica) il Portogallo.
Il Presidente-Fondatore dell’Accademia internazionale, Michel Génin, e il Presidente d’onore Rafael
Anson hanno quindi proposto, tra gli applausi dei
presenti, che l’organizzazione e la guida di questo
ambizioso ma importantissimo progetto vengano affidate al Presidente Giuseppe Dell’Osso, persona di
grande spicco che ha dimostrato coi fatti il dinamico
e costruttivo impegno della sua Presidenza per lo sviluppo culturale dell’Accademia internazionale. (Giuseppe Tomé).
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Mentre in regioni più ricche ci si scervellava per portare
sulle mense un pane con guarnizioni inverosimili tanto
belle a vedersi, usando anche ingredienti pregiati, costosi, ma poco digeribili, da noi il solito pugno di farina,
impastato pazientemente dalle mani delle donne sarde,
si modellava a poco a poco in figure geometriche complesse, in elaborate forme di animali, in figurazioni dove
la fantasia regnava senza limiti. Il forno si incaricava di
dare a quei capolavori d’arte popolare l’ultimo tocco di
grazia, arrotondando le forme, tingendo con i colori della natura le sculture forgiate secondo antichi modelli,
tramandati oralmente, eppure sempre diversi l’uno dall’altro, caratterizzati, diremmo oggi, dalla fantasia di ogni
singola esecutrice.
Tante, quindi, le varietà dei pani tipici sardi: pani “carasau” o carta da musica, che è un saporito pane quotidiano dei pastori della Barbagia, utilizzato, per la caratteristica lunga conservazione, anche per la preparazione
del pani “frattau”; “pani cottu”, pane povero ma gustoso.
I suddetti pani rappresentano l’emblema caratteristico
dei pani tradizionali sardi che noi tutti conosciamo e gustiamo.
Il pane, quindi, elemento fondamentale dell’economia
agropastorale simbolo della vita e del lavoro dei contadini, nella tradizione sarda è un elemento sacro e nei
suoi riti austeri di confezione diventa quasi una funzione
religiosa. Il popolo lo chiamava “civraxu” o “chivalzu”,
ossia il cibo per eccellenza, dal latino “cibarius”.
La cucina dei sardi, ancora oggi, fa assegnamento sul
pane confezionato in cento modi diversi: in grosse focacce di enorme pezzatura, in sfoglie sottili come ostie,
in forme plastiche dipinte come opere d’arte effimera, in
ciambelle schiacciate e spugnose. Da non tralasciare la
farina impastata con ciccioli di carne suina, con ricotta,
fave, patate, pomodori, strutto e anche col caprino in salamoia, con anguille e carni saporose (vedi “panada”).
Ma esistono altri tipi speciali: pane delle feste, pane rituale dei cicli dell’anno, prime comunioni, battesimi, ricorrenze di Natale e Pasqua; qui menzioniamo la focaccia pasquale e il pane “cocoi” con l’uovo incastonato
(simbolo di vera tradizione pasquale), pani per feste patronali, sagre campestri, circostanze liete e persino per la
celebrazione del 2 novembre, il disadorno pane dei
morti.
LAURA TRINCAS
Accademica di Cagliari
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LE RICETTE D’AUTORE
POLENTA ALLA MANIERA DI GIULIO
Fai macerare la semola nettata e mettila a cuocere
fino a raggiungere la bollitura. Quando bolle aggiungi l’olio e appena si addensa schiaccia con
cura i grumi. Prendi due cervella cotte e stemperale con mezza libbra di carne macinata come per
le polpette e sistemale in un tegame. Trita quindi
del pepe, del ligustico, dei semi di finocchio, stempera il tutto con il “garum” e un poco di vino. Travasa a poco a poco la polenta nella pentola sopra
alle cervella e alla carne. Condisci e mescola bene
con questa salsa, stemperando il tutto in modo che
raggiunga la consistenza di una crema.
MARCO GAVIO APICIO
Da “De re coquinaria” (I sec. d.C.)
LA SPELTA O POLENTINA DI FARRO
Abbi buona spelta libre una, bene mondata, e
mettila a boglire in un perrolo con bocali tre d’acqua tanto che questa sii quasi rasciugata. Lassala
cheta la notte accanto al foco, et alla dimane cavali l’acqua che per avventura ancora vi fosse. Di
poi giontali brodo buono di grasso, vantagiato di
buon safrano, e fai boglire pianamente e lungamente sì da avere spelta. Dimena torli d’ova con
un pocho d’essa e ponili nel parolo bene compartendoli lontano dal foco. Usasi essa spelta per compagnare civieri e stuffati, giovandosi alquanto delli savori di essi e fassene pure alla quaresima col
latte o latte d’amandole.
GUGLIELMINO PRATO
Da “Clypeo del gentilhuomo” (1618)
POLENTA DI GRANO D’INDIA
La farina del grano d’India è optima per farne polenta. Si fa cuocere nel brodo, o latte con parmegiano grattato, butirro e poco pepe, dimenandola sempre acciocché venghi morbida. Cotta, si stenda sopra una tortiera e freddata si taglia in fettoline, e si
servono rapprese nel forno con butirro e parmegiano. Si possono anche condire con sugo di carne e
cervellato. La polenta ridotta a fette si può friggere e
si può servire condita di zucchero, o senza.
VINCENZO CORRADO
Da “Il cuoco galante” (1786)
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