Rubriche - Provincia Regionale di Catania
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48 CUCINA NOSTRANA Liquore di mandarino Il bravo contadino siciliano sapeva bene come difendersi dai rigori dell’inverno. Così, considerava il “vino cotto” un toccasana per i disagi provocati dal freddo. Quando si accostava alla tavola, aveva già pronto il suo bel boccale di vino in cui galleggiavano allegramente fettine di arancia e di limone. Una “sangria” questa, molto semplice in ricordo della dominazione spagnola nell’isola. Gli agrumi li adoperava anche per altre preparazioni insolite; per esempio, le arance, che teneva in lunga infusione nel vino bianco, con l’aggiunta di zucchero e aromi come la cannella e il chiodo di garofano. Da questo insieme veniva fuori un nettare prelibato, che ristorava dopo la lunga giornata di lavoro e infondeva calore e gioia. Con i limoni e i mandarini, le donne di casa, preparavano liquori e marmellate, secondo ricette tramandate da madre in figlia e con i riti usuali, che richiedevano pazienza e precisione. Nel vino trovavano posto spesso anche il miele, i fichi secchi, le piccole mele “puma”, le pere “spinelli” e altra frutta invernale. Queste brillanti invenzioni della cucina siciliana allietavano le feste ed erano oggetto di scambio con le vicine, in momenti di vera, poetica comunicazione. INGREDIENTI LIBRI IN VETRINA A costo della libertà. La vicenda di un politico siciliano Giuseppe Vecchio – Città Nuova – pag. 100 euro 7 Sul palcoscenico della politica sono di moda più le grida che i sussurri, prevalgono i proclami sulle idee, il sospetto sul confronto. La caccia al microfono, una “comparsata” nel talk show, la foto a tre colonne nella pagina di cronaca sono obiettivi da raggiungere ad ogni costo. In un ambiente sempre più costantemente sopra le righe, Giovanni Barbagallo è un esempio di equilibro e serenità. Al giornalista Giuseppe Vecchio ha affidato la sua storia da trasferire in un libro: in queste pagine è descritta , attimo dopo attimo, una vicenda tragica. L’arresto, il carcere, l’infamante accusa di politico corrotto, i lunghi arresti domiciliari e, alla fine, una condanna che sembra scritta non dai magistrati, ma da Pirandello o da un Camilleri particolarmente ispirato. Una condanna poi cancellata dalla Cassazione. Ne avrebbe di motivi, insomma, Barbagallo per gridare rabbia e sdegno, per rilanciare accuse, per buttare benzina sul fuoco dell’uso politico della magistratura, lui esponente di un partito – l’allora Democrazia cristiana - decimato dalle manette fino all’estinzione . Ma l’autore è rimasto coerente con il suo stile di politico misurato, non protagonista, che preferisce operare, potremmo dire, sottotraccia. Cattolico negli anni giovanili della formazione, praticante convinto nella maturità di marito e padre, Barbagallo ha vissuto con serenità e coraggio una terribile esperienza, quella di innocente in carcere, trovando nel conforto della fede la forza della speranza. Il libro è una sorta di diario, ricco di sentimento e riflessione, arricchito dalla prefazione di Nuccio Fava. Daniele Lo Porto mandarini verdi alcool puro zucchero PREPARAZIONE Procurarsi dei mandarini (sei - otto per ogni dose) molto verdi, lavarli e asciugarli perfettamente con un panno pulito. Con un coltellino tagliarne la scorza, facendo molta attenzione a non intaccare la parte bianca di essa (che intorpidirebbe il liquore) e mescolarla con cinquecento grammi di alcool puro, tenendola in infusione, coperta, per otto ore. A parte, preparare uno sciroppo portando a ebollizione quattrocentocinquanta grammi di acqua con quattrocentocinquanta grammi di zucchero. Quando si sarà raffreddato, mescolarlo, servendosi di una paletta di legno, all’essenza di mandarino preparata precedentemente; filtrarlo attraverso un panno di lino pulito e, se dovesse risultare un po’ torbido, aggiungere poco a poco dell’alcool puro, finché diverrà limpido. Versarlo nelle bottiglie, tappare ermeticamente e adoperarlo almeno dopo una trentina di giorni. Il liquore conserverà un bel colore verde smeraldo se si terrà in luogo fresco e al riparo dalla luce. Se durante l’invecchiamento si dovessero formare dei residui, filtrarlo ancora una volta e ricollocarlo nelle bottiglie. Con lo stesso procedimento si può preparare un liquore di limoni. Eleonora Consoli STORIE DI PIETRE L’ANFITEATRO ROMANO Quanti catanesi sanno che i ruderi di piazza Stesicoro sono una delle più evidenti testimonianze della grandezza di Catania antica? La nostra città, infatti è stata sede di un anfiteatro che per grandezza veniva dopo il Colosseo e l’Arena di Verona. La sua nascita è datata nel secondo secolo d.C., e poteva contenere 15 mila spettatori seduti. Nella sua arena vi si tenevano spettacoli, battaglie di gladiatori e scontri tra tigri e leoni. Per costruire l’immenso edificio furono impiegati blocchi di pietra lavica con della malta. L’anfiteatro veniva per gran parte ricoperto dalla lava nel 251 d.C. e da qual momento iniziava la sua completa e inarrestabile decadenza. Secondo il Ferrara nell’archivio storico del Senato catanese del 1505 vi è la concessione fatta a Giovanni Goieni delle rovine dell’anfiteatro per farne abitazioni e realizzare un giardino. Precedentemente, ai tempi di Ruggero il Normanno (XI secolo) l’anfiteatro era utilizzato come cava di pietre per la costruzione della cattedrale di Catania. Durante il XVI secolo venivano demolite le parti più alte della costruzione, riempite di terra le gallerie e l’arena. Successivamente, dopo il disastroso terremoto del 1693, veniva ricoperta anche la scalinata che ospitava gli spettatori. Solo alla fine del ’700 grazie al principe di Biscari, e quindi, nei primi del ‘900 col sindaco De Felice, è stato possibile riportare alla luce quello che catanesi oggi possono ammirare e cioè una piccolo parte della gradinata, uno scorcio di arena e delle enormi gallerie che si estendono per centinaia di metri sotto gli edifici della città, testimonianze di un glorioso passato. Antonio Di Paola