Scarica una breve guida all`Armeria Reale
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L’ARMERIA REALE DI TORINO La storia del museo L’idea d’istituire un museo dedicato alle armi nasce in conseguenza della fondazione della “Regia Pinacoteca”, aperta nel 1832 nelle sale di Palazzo Madama: la futura Galleria Sabauda presentava al pubblico le principali opere delle collezioni dinastiche, conservate nelle residenze dei Savoia. Si era così vuotata la grande Galleria del Beaumont, annessa al Palazzo Reale, dove a partire dal 1833 s’iniziano a raccogliere “tutte le armi antiche possedute dai diversi stabilimenti” e, in particolare quelle provenienti dagli Arsenali di Torino e di Genova, insieme con quelle dell’Università e delle raccolte private dei sovrani. In quello stesso anno, re Carlo Alberto acquista l’importante collezione di armi dello scenografo milanese Alessandro Sanquirico: protagonista della vendita è il capitano Vittorio Seyssel d’Aix che, negli anni seguenti, incrementerà l’Armeria comprando diversi pezzi sul mercato antiquario di Parigi. Il museo è aperto al pubblico nel 1837, con un allestimento di scenografica bellezza che affiancava, in modo armonico e suggestivo, la decorazione settecentesca della Galleria del Beaumont alla sistemazione degli oggetti nelle vetrine e sulle pareti, secondo un gusto per il gothic revival caro al Romanticismo europeo. Nel 1839 è acquisita la cospicua raccolta di armi e di armature dei conti Martinengo di Brescia che annovera armi e armature cinquecentesche di eccezionale pregio. Nel 1842 è completata la Rotonda, nelle cui eleganti vetrine neoclassiche, disegnate da Pelagio Palagi, si raccolgono le armi e le bandiere entrate nel museo dopo il 1848 e, soprattutto, quelle legate alle guerre del Risorgimento: questo settore è destinato ad arricchirsi ulteriormente, dopo il 1878, con il dono all’Armeria delle collezioni di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II. Durante la prima metà del XX secolo, il patrimonio dell’Armeria, che era stato attentamente catalogato fra il 1873 e il 1890 dal maggiore Angelo Angelucci, aumenta la propria consistenza con l’arrivo delle raccolte di Umberto I e di Vittorio Emanuele III e con la documentazione relativa alle guerre d’Africa e alla prima e la seconda guerra mondiale. Un importante intervento di riordino del museo, previsto fin dal 1951, è compiuto fra il 1969 e il 1977: tutti gli oggetti, dopo essere stati attentamente selezionati per distinguere i pezzi autentici da quelli falsi o dalle integrazioni di restauro, sono disposti in nuove vetrine progettate da Andrea Bruno: nonostante l’indubbio fascino, l’allestimento, che per ragioni di sicurezza era stato ampiamente modificato, non permetteva di cogliere l’aspetto storico del museo: di qui la decisione di recuperarne la sistemazione ottocentesca, avviata nel 1998 con il restauro dello Scalone e proseguita nel 1999 con il riallestimento del Medagliere. Nel 2005 è stata riaperta la Galleria del Beaumont: l’ambiente ha ritrovato il suo fastoso volto romantico, con la sua brillante sequenza di cavalieri ed armature, le vetrine cariche d’oggetti e le pareti ornate di trionfali trofei d’armi. Il visitatore è quindi chiamato non soltanto a esaminare a uno a uno i pezzi esposti, ma soprattutto a immergersi completamente in un’atmosfera seducente, dove lo scintillio dei metalli, lo splendore degli stucchi dorati e delle sculture, il colore squillante degli affreschi e la ricchezza degli arredi concorrono a rievocare l’importanza della cultura torinese fra Sette e Ottocento. Gli ambienti Lo Scalone L’accesso all’Armeria oggi avviene attraverso lo scalone progettato da Benedetto Alfieri per le Segreterie di Stato, il lungo edificio di collegamento, che, fiancheggiando Piazza Castello, unisce il Palazzo Reale al Teatro Regio e agli Archivi di Stato. L’ambiente, illuminato da una grande finestra aperta verso i Giardini Reali, è stato realizzato fra il 1738 e il 1740: la sobria raffinatezza dell’architettura si riflette anche nella delicata colorazione degli intonaci e nei leggiadri stucchi eseguiti da Domenico Ferretti. Le pareti accolgono alcune interessanti sculture, armoniosamente inserite nella decorazione delle pareti: i nove rilievi con storie di mostri marini, collocati sotto il cornicione e opera di scuola milanese del XVI secolo; i busti di Flora e di Diana, eseguiti dal francese Pierre Legros nel XVIII secolo e collocati sopra le porte, a riscontro di altri due busti classici raffiguranti Marco Aurelio e Demostene. Un marmo antico è anche la figura di Minerva nella nicchia centrale. La Rotonda La sala, chiamata in origine il Rondò, era fino all’inizio del XIX secolo lo spazio di raccordo fra il Palazzo Reale e il Palazzo Madama, prima che quest’ultimo fosse isolato con la demolizione del braccio di collegamento attraverso Piazza Castello. Utilizzato come piccolo teatro di corte, la Rotonda è trasformata, nel 1820, in sala da ballo per le nozze di Maria Teresa di Savoia con il duca di Lucca. Deve il suo aspetto odierno a Carlo Alberto che, dopo il 1837, la inserisce nel percorso espositivo dell’Armeria: in quell’occasione è sistemato il prospetto esterno verso la piazza e Pelagio Palagi ne progetta la decorazione fornendo il disegno per le vetrine, per il ballatoio superiore, provvisto di armadi e di scaffali, e per il soffitto, dove sono incastonati tre dipinti (al centro Giove che fulmina i giganti di Carlo Bellosio; ai lati Storie dell’Iliade di Francesco Gonin). La sala espone le armi delle guerre risorgimentali e degli ultimi conflitti, nonchè una scelta di bandiere e di stendardi: è in progetto una generale sistemazione e una revisione dell’allestimento. La Galleria del Beaumont L’ambiente, pensato come sala di alta rappresentanza, occupa il posto della Grande Galleria che collegava il Palazzo Reale al Palazzo Madama ed ospitava le collezioni dei Savoia: distrutta dopo gli incendi del 1659 e del 1667, la sua ricostruzione è progettata da Filippo Juvarra nel 1733 che ne disegna anche la decorazione a stucco, eseguita da Pietro Filippo Somasso e Pietro Giuseppe Muttoni, aiutati dai figli Giovanni Antonio Somasso e Domenico Muttoni. Il nome con il quale la galleria è oggi conosciuta gli viene dal pittore di corte, il torinese Claudio Francesco Beaumont: questi, fra il 1738 e il 1743, dipinge ad olio sulla volta le Storie di Enea, rievocando, con movimentata scioltezza compositiva, gli affreschi eseguiti nel Palazzo Reale da Daniel Seyter nel XVII secolo. Il completamento degli apparati decorativi è portato avanti sotto la direzione di Benedetto Alfieri: tra il 1760 e il 1763 i fratelli Ignazio e Filippo Collino realizzano le quattro grandi sculture agli angoli della sala e raffiguranti la Beneficenza, la Fortezza, la Rettitudine e l’Affabilità, mentre al 1766 risalgono gli ovali inseriti nelle pareti laterali sopra i camini (Minerva e la Storia, L’eroe incoronato dalla Fama, La città di Torino riceve dalla Fama le insegne della Pace e del Commercio, Minerva consigliera dell’Eroe). Il gusto classicista espresso dalle opere dei Collino è confermato da altri quattro rilievi (Scena di sacrificio, L’arringa dell’eroe, Il trionfo dell’eroe, La distribuzione dei premi ai soldati) di Giovanni Battista Bernero e collocati nel 1787-1790. Dopo l’occupazione francese di Torino, la decorazione scultorea viene completata da Giacomo Spalla con una serie di rilievi dedicati a Napoleone, sostituiti nel 1832 con altri, eseguiti sempre dallo stesso autore ma dedicati alle più importanti vittorie dei Savoia (La battaglia di Torino del 1706, La battaglia dell’Assietta del 1747, La battaglia di Guastalla del 1734, La battaglia di Authion del 1796). Gli oggetti sono esposti nelle vetrine e sulle pareti laterali (campi) secondo un ordine che tiene conto non tanto della sequenza cronologica, ma piuttosto di criteri prevalentemente estetici, secondo il gusto del XIX secolo. I pezzi più antichi sono collocati verso Palazzo Reale, dal lato opposto rispetto al quale il pubblico entra normalmente oggi nella Galleria, perché il percorso dell’Armeria era concepito per chi arrivava dalla reggia e proseguiva verso le Segreterie. Il recupero dell’allestimento ottocentesco ha fatto sì che siano oggi esposti anche oggetti ritenuti un tempo autentici ma in realtà rivelatisi come falsi in stile: per questa stessa ragione si è scelto di ricollocare tutte le integrazioni che i restauri avevano aggiunto alle armature. Lo scopo è dunque quello di proporre al pubblico, nella sua affascinante integrità, uno straordinario documento della cultura del Romanticismo storico. Entrando nella Galleria, il visitatore incontra subito, alla sua destra, il manichino raffigurante il principe Eugenio di Savoia-Soissons a cavallo che veste la corazza bianca indossata, secondo la tradizione, durante l’assedio di Torino. Lo fronteggiano tre guerrieri (uno a cavallo e due a piedi) che indossano armature turche del primo Cinquecento, caratterizzate dall’esteso uso della maglia di ferro. Il campo E esibisce una ricca selezione di armi in asta e da botta disposte attorno ad uno scudo ovale ottocentesco, acquistato come un cimelio della prima Crociata che si riteneva appartenuto a Goffredo di Buglione. Vetrina 38: la parte superiore è dedicata alle armi da fuoco lunghe del Cinque e del Seicento tra i quali il moschetto a ruota (M 24), di produzione tedesca (Augusta), il cui calcio ha una decorazione a intarsio con una veduta prospettica di Venezia; la zona inferiore mostra le difese del cavallo, tra le quali spiccano due testiere persiane del XVI secolo (D. 28; D. 29). Vetrina 36: scudi ed elmi di produzione milanese della fine del Cinquecento. Vetrina 34, dedicata all’affermazione delle prime armi da fuoco: fra queste la terzetta tedesca ( prodotta a Monaco o Norimberga) appartenuta a l’imperatore Carlo V d’Asburgo (N. 49); nella parte inferiore, tra difese e finimenti da cavallo, si trova un raro morso di produzione limosina del XIV secolo, con gli stemmi degli Acciauoli e dei Grimaldi (D. 58). Il campo F presenta altre armi in asta, insieme con elementi di armatura: fra queste emerge una corazza tardosecentesca contraddistinta da una fastosa decorazione a cesello di cultura franco-piemontese (C. 36). Vetrina 39: la parte superiore è anch’essa dedicata alle armi da fuoco, dove spicca la stupefacente Turiner Garnitur, un complesso di produzione monacense, costituito dal moschetto da caccia a ruota (M. 12), dalla chiave (N’. 12), dalla fiasca da polvere (N’. 22), dall’archibusetto a ruota (M. 11) con chiave (N’. 13) e polverino (N’. 23): donato nel 1680 a Carlo Emanuele I dal duca Massimiliano I di Baviera, esso rappresenta uno dei più splendidi esempi di arti decorative, frutto della collaborazione fra l’incisore Emanuel Sadeler e degli incassatori Adam Vischer e Hieronimus Borstoffer, che affianca intarsi d’avorio straordinariamente raffinati a parti metalliche di perfetta lavorazione. La parte inferiore della vetrina espone alcune testiere da cavallo, in parte d’imitazione ottocentesca, in parte del XVI secolo. Vetrina 37: altri scudi, anch’essi realizzati a Milano intorno al 1570 e decorati secondo il gusto del Manierismo internazionale; armi da botta orientali e italiane (XVI e XVII secolo). Vetrina 35: nella parte superiore, armi da fuoco italiane e tedesche del XVI e XVIII secolo: tra cui una coppia di iperdecorati pistoletti bresciani del 1665-1666 (N. 41; N. 42) e due pistole, sobriamente decorate, prodotte in Scozia nel 1790 (N. 84; N. 85). L’armatura equestre B. 9 è, con ogni probabilità, una bella imitazione ottocentesca di un pezzo lombardo del Cinquecento, mentre l’armatura B. 28, subito accanto, riproduce un coevo modello della Germania meridionale. L’armatura equestre B. 10, collocata di fronte, è un prodotto di officina milanese del 1570 circa, come la vicina B. 44, commissionata dal governatore spagnolo di Milano Don Diego Felipe de Guzman, marchese di Leganes, mentre la B. 39 è appartenuta ad un ufficiale di Carlo Emanuele I, di cui compaiono le iniziali. Campi L, M, R, S: elementi di armatura del XVI e XVII secolo. Vetrina 32: corazze, elmi e morioni italiani e tedeschi del XVI secolo. Vetrina 30: accosta le spade alle armi da fuoco: tra queste ultime, interessanti pezzi di produzione bresciana del XVIII secolo. Sopra il camino, alcune pellegrine cinquecentesche. Vetrina 28: corazze ed elmi tedeschi e italiani del XVI secolo. Vetrina 33: altre parti di armatura fra cui un’elegante corazza cinquecentesca probabilmente appartenuta a Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova (C. 23). Vetrina 31: armi bianche e armi da fuoco corte del XVIII e del XIX secolo: nella parte superiore, un’ingegnosa accoppiata di due spade gemelle, destinate a stare nello stesso fodero (G. 158 e G 159). Vetrina 29: corazze ed elmi tedeschi e italiani del XVI secolo. L’armatura equestre B. 7 è milanese, mentre la B. 45 è bresciana ed è caratterizzata da fitte incisioni a bulino di gusto popolareggiante; la B. 46, appartenuta ad Alessio Maurizio Parella di San Martino, documenta il gusto filofrancese della corte sabauda intorno al 1630-1640. L’armatura equestre B. 8 è di fattura lombarda risalente al 1570-1580, mentre la B. 35 è un prodotto tardo della bottega del milanese Pompeo della Cesa, databile intorno al 1600 e molto integrato dai restauri; la B. 36 è un falso ottocentesco che riutilizza pochi frammenti di un armatura tedesca della fine del XVI secolo. Campi C e D: armi bianche corte, armi da botta, armi in asta ed elementi di armatura. Vetrina 26: sul ripiano superiore sono esposte spade del XVII secolo, su quello inferiore si trovano invece parti di armature del Cinque e del Seicento, fra i quali i resti di una guarnitura appartenuta a Carlo Emanuele I ed eseguita da Pompeo della Cesa intorno al 1600 ( composta dai pezzi: E. 17; C. 181, 182; C. 98; C. 233, 234; D. 24). Vetrina 24: accanto a spade e ad altre armi bianche del XVI e del XVII secolo, uno scudo con scene di battaglia, raffinata imitazione di modelli manieristi eseguito dallo scultore francese Antoine Vechte intorno al 1830; sul ripiano è la venerata spada di San Maurizio, uno fra i simboli del potere dei Savoia proveniente dall’abbazia di Saint Maurice d’Agaune, nel Vallese, e conservata, non a caso, nella Cappella della Santa Sindone fino al 1858: si tratta di una spada del XIII secolo, provvista del suo fodero originale di legno (G. 25) e di una custodia di cuoio, eseguita fra il 1434 e il 1438 (Q. 12). Vetrina 22: nella parte superiore, spade di produzione italiana e tedesca del XVI e del XVII secolo; nel ripiano inferiore, elmi e parti di armature dal XIV al XVI secolo. Vetrina 27: presenta una serie di armi combinate, esperimenti tecnici che tentano di riunire le caratteristiche delle armi bianche con quelle da fuoco; nel ripiano superiore parti di armature di area tedesca e soprattutto un nucleo decorato dall’incisore Jörg Sorg il Giovane, attivo ad Augusta fra il 1548 e il 1563. Vetrina 25: lo scudo di Vechte è circondato da spade e armi bianche del XVI e del XVII secolo. Tra queste: una cinquedea ferrarese di primo Cinquecento, la cui lama è ornata con scene bibliche e romane (H. 6), e due spade da cavallo con lama persiana e fornimento di manifattura baverese del 1600 circa (G. 98; G. 99). Vetrina 23: una serie di spadini del XVII, XVIII e XIX secolo e, nella parte inferiore, scudi istoriati milanesi del Cinquecento. L’armatura B. 18 è ottocentesca, mentre la B. 41, prodotta ad Augusta intorno al 1580, è in larga misura autentica. L’armatura B. 24 è un’imitazione del XIX secolo, così come largamente integrata risulta anche la sua compagna B. 40. Le due armature equestri B 5 e B. 6 - la prima è detta “dei fulmini” per il motivo decorativo che allude allo stemma della famiglia Martinengo - sono un’opera tedesca del 1560 circa. Le due armature B. 31 e B. 38 sono di fattura ottocentesca e riprendono modelli italiani del Cinquecento. Italiane, e sempre del XVI secolo, sono anche le due armature da ragazzo B. 29 e B. 30. Vetrine 20 e 21: elementi di armatura del Cinquecento: fra questi una borgognotta di manifattura francese con una ricca decorazione a grottesche (E. 61). Vetrina 18: una serie di armi bianche dal XVI al XVI secolo, fra le quali si segnala la cosiddetta spada di Donatello (G. 79 bis): la lama è ottocentesca, mentre il fornimento, adorno di motivi ‘all’antica’ magnifici per invenzione e qualità esecutiva, è stato eseguito a Padova da Andrea Briosco detto il Riccio intorno al 1507-1515. Vetrina 16: elementi di armatura italiani e tedeschi del XVI secolo. Vetrina s. n.: lo scudo detto del Cellini. Si tratta di una targa da parata eseguita in Francia intorno al 1556-1559, che presenta la Vittoria di Mario contro Giugurta, inserita all’interno di una cornice decorativa di iperbolica raffinatezza, largamente debitrice dei modelli italiani di Primaticcio, Nicolò dell’Abate e Benvenuto Cellini. Vetrina 19: armi bianche con impugnature in avorio e un raro corno da caccia, anch’esso in avorio (Q. 10), eseguito da un artista africano della Sierra Leone che utilizza modelli decorativi del primo Rinascimento portoghese. Vetrina 17: elementi di armatura italiani e tedeschi del XVI secolo. Le armature B. 22 e B. 23 sono imitazioni ottocentesche di modelli italiani del Cinquecento, mentre sopra i camini sono presentati elmi del XVI e del XVII secolo. L’armatura equestre B. 3, proveniente dalla raccolta Martinengo, è fra i capolavori di Pompeo della Cesa e si data agli ultimi anni del Cinquecento, nonostante le ampie (ma intelligenti) integrazioni ottocentesche: presenta una decorazione rigogliosa con tralci vegetali abitati da figure di selvaggi e, sul petto, l’effige della Madonna di Guadalupe. È affiancata da due armature cinquecentesche (B. 32; B. 33), anch’esse molto resturate. L’armatura equestre opposta (B. 4) è legata, nello stesso momento, al fondatore del Piemonte moderno nel XVI secolo e a una delle immagini più note della Torino risorgimentale: si tratta di quella commissionata da Emanuele Filiberto nel 1561 al milanese Giovanni Paolo Negroli e riprodotta da Carlo Marocchetti nel celebre monumento equestre del duca, voluto da Carlo Alberto per essere collocato in Piazza San Carlo (1831-1838). Sempre a Emanuele Filiberto è appartenuta l’armatura B. 34, prodotta in Baviera intorno alla metà del Cinquecento, mentre la B. 43, che si distingue per l’attraente motivo a sole ripetuto, è di manifattura bresciana del XVII secolo. Campi A e B: armi in asta e bianche con elementi di armature del XV e del XVI secolo. Vetrina 14: nel ripiano superiore, armi bianche italiane del XVI, XVII, XVIII e XIX secolo; in quello inferiore elementi di armatura di produzione francese, tedesca e italiana fra cui il petto di corazza eseguito da Pompeo della Cesa per Carlo Emanuele I (C. 71). Vetrina 12: appoggiata su di una console marmorea eseguita dai Collino, presenta una serie di scudi da parata lombardi del XVI secolo, integrati dagli interventi ottocenteschi, e due elmi francesi di gusto manierista (notevole l’ E. 24). Vetrina 10: archi e balestre del XVI secolo. Vetrina 15: nella parte superiore: armi bianche italiane e francesi del XVI, XVII e XIX secolo; nel ripiano inferiore, elementi di armature italiane del XVI secolo, fra cui il corsaletto con borgognotta all’antica appartenuto a Gerolamo Martinengo e direttamente ispirato alle loriche dei condottieri romani (C. 11). Vetrina 13: anch’essa sistemata su di una console analoga alla precedente: vi sono esposti elementi di armatura milanesi del Cinquecento, fra cui quelli eseguiti con fantasiosa invenzione dalla bottega dei Negroli (C. 48; C. 146; C. 147; C. 188; C. 189; E. 50). Vetrine 7, 8, 11: presentano una campionatura di armi da difesa e da offesa che va dall’età neolitica all’età classica. Vetrina 3: scudo ricavato da un guscio di tartaruga, di manifattura forse veneziana del tardo Cinquecento (F. 2). Vetrina 4: scudo di legno, rivestito di cuoio, di produzione italiana del 1550-1560 circa. Vetrina 9: scudo di legno, rivestito in argento, dipinto con lo stemma della città di Zwickau (Germania) del XV secolo. Controrostro romano di bronzo, databile al III secolo a.C., ritrovato nel 1597 nel porto di Genova ed esposto su di un basamento ottocentesco appositamente disegnato da Pelagio Palagi. L’armatura equestre B. 1, che si riteneva fosse appartenuta al cardinale Ascanio Sforza, si è rivelata essere una bellissima imitazione ottocentesca di un modello della fine del Quattrocento. Il Medagliere La fastosa decorazione della sala, che una porta collega al Gabinetto Cinese di Palazzo Reale, è stata ideata da Pelagio Palagi per ospitare la ricca collezione di monete, di medaglie e di sigilli raccolta da Carlo Alberto (1835-1847): a questo scopo sono stati progettati gli arredi intarsiati ed eseguiti, con straordinaria abilità tecnica, dall’ebanista Gabriele Capello. Le vetrine e le cassettiere richiamano, nella loro forma e nella loro decorazioni, i templi antichi, mentre i tavoli erano stati pensati per facilitare la consultazione della raccolta. Il fregio in alto rappresenta putti che reggono ghirlande fiorite e medaglie, con un’evidente allusione agli oggetti conservati nella sala: ne è autore Pietro Ayres di Savigliano che, con Diego Martelloni, ha eseguito anche i dipinti del soffitto rappresentanti Minerva fra Apollo e Mercurio, le Quattro parti del Mondo, le Muse ed altre figure allegoriche. La collezione numismatica del re, già depositata presso il Museo Civico di Numismatica, Etnografia e Arti Orientali, sarà presto ricollocata nei mobili pensati per ospitarla che Carlo Alberto aveva voluto. Nelle vetrine sono inoltre esposti alcuni oggetti d’arte (bronzetti, avori, smalti, oreficerie) dall’antichità al Rinascimento che testimoniano il gusto collezionistico dei Savoia. Glossario Archibusetto: piccolo archibugio (arma da fuoco lunga) Arma bianca: arma che ferisce con una punta o un taglio: può essere lunga (spada, sciabola) o corta (daga, pugnale) Arma da fuoco: arma che lancia un proietto con la deflagrazione di un esplosivo in una canna: può essere lunga (moschetto, archibugio, fucile) o corta (pistola) Arma da botta: arma che colpisce con una percossa (mazza, martello, scure) Arma in asta: arma che ha la parte offensiva (ferro) montata all’estremità di un’asta (lancia, picca, alabarda) Arma lanciatoia: arma che lancia un proietto senza esplosivo ma con mezzi elastici Balestra: arma lanciatoia costituita da un fusto (teniere) che porta un arco montato trasversalmente. Borgognotta: copricapo difensivo con protezione del cranio (coppo) provvisto di cresta Cinquedea: arma bianca simile alla daga con lama corta e molto larga Elmo: copricapo difensivo che protegge tutto il capo Fornimento: nelle armi bianche, tutto ciò che completa la lama; nelle armi da fuoco, tutte le parti di contorno, tranne canna, dispositivo d’accensione e cassa Moschetto: arma da fuoco lunga, utilizzata in prevalenza dalle fanterie Morione: copricapo difensivo a cresta bassa di profilo tondeggiante Pellegrina: protezione del petto a forma di cotta e realizzata in maglia di ferro Terzetta: arma da fuoco corta, simile alla pistola Testiera: protezione della testa del cavallo