Scarica una breve guida all`Armeria Reale

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L’ARMERIA REALE DI TORINO
La storia del museo
L’idea d’istituire un museo dedicato alle armi nasce in conseguenza della fondazione della “Regia
Pinacoteca”, aperta nel 1832 nelle sale di Palazzo Madama: la futura Galleria Sabauda presentava al
pubblico le principali opere delle collezioni dinastiche, conservate nelle residenze dei Savoia. Si era così
vuotata la grande Galleria del Beaumont, annessa al Palazzo Reale, dove a partire dal 1833 s’iniziano a
raccogliere “tutte le armi antiche possedute dai diversi stabilimenti” e, in particolare quelle provenienti
dagli Arsenali di Torino e di Genova, insieme con quelle dell’Università e delle raccolte private dei
sovrani. In quello stesso anno, re Carlo Alberto acquista l’importante collezione di armi dello
scenografo milanese Alessandro Sanquirico: protagonista della vendita è il capitano Vittorio Seyssel
d’Aix che, negli anni seguenti, incrementerà l’Armeria comprando diversi pezzi sul mercato antiquario
di Parigi. Il museo è aperto al pubblico nel 1837, con un allestimento di scenografica bellezza che
affiancava, in modo armonico e suggestivo, la decorazione settecentesca della Galleria del Beaumont
alla sistemazione degli oggetti nelle vetrine e sulle pareti, secondo un gusto per il gothic revival caro al
Romanticismo europeo. Nel 1839 è acquisita la cospicua raccolta di armi e di armature dei conti
Martinengo di Brescia che annovera armi e armature cinquecentesche di eccezionale pregio. Nel 1842 è
completata la Rotonda, nelle cui eleganti vetrine neoclassiche, disegnate da Pelagio Palagi, si raccolgono
le armi e le bandiere entrate nel museo dopo il 1848 e, soprattutto, quelle legate alle guerre del
Risorgimento: questo settore è destinato ad arricchirsi ulteriormente, dopo il 1878, con il dono
all’Armeria delle collezioni di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II. Durante la prima metà del XX
secolo, il patrimonio dell’Armeria, che era stato attentamente catalogato fra il 1873 e il 1890 dal
maggiore Angelo Angelucci, aumenta la propria consistenza con l’arrivo delle raccolte di Umberto I e di
Vittorio Emanuele III e con la documentazione relativa alle guerre d’Africa e alla prima e la seconda
guerra mondiale.
Un importante intervento di riordino del museo, previsto fin dal 1951, è compiuto fra il 1969 e il 1977:
tutti gli oggetti, dopo essere stati attentamente selezionati per distinguere i pezzi autentici da quelli falsi
o dalle integrazioni di restauro, sono disposti in nuove vetrine progettate da Andrea Bruno: nonostante
l’indubbio fascino, l’allestimento, che per ragioni di sicurezza era stato ampiamente modificato, non
permetteva di cogliere l’aspetto storico del museo: di qui la decisione di recuperarne la sistemazione
ottocentesca, avviata nel 1998 con il restauro dello Scalone e proseguita nel 1999 con il riallestimento
del Medagliere. Nel 2005 è stata riaperta la Galleria del Beaumont: l’ambiente ha ritrovato il suo fastoso
volto romantico, con la sua brillante sequenza di cavalieri ed armature, le vetrine cariche d’oggetti e le
pareti ornate di trionfali trofei d’armi. Il visitatore è quindi chiamato non soltanto a esaminare a uno a
uno i pezzi esposti, ma soprattutto a immergersi completamente in un’atmosfera seducente, dove lo
scintillio dei metalli, lo splendore degli stucchi dorati e delle sculture, il colore squillante degli affreschi e
la ricchezza degli arredi concorrono a rievocare l’importanza della cultura torinese fra Sette e
Ottocento.
Gli ambienti
Lo Scalone
L’accesso all’Armeria oggi avviene attraverso lo scalone progettato da Benedetto Alfieri per le
Segreterie di Stato, il lungo edificio di collegamento, che, fiancheggiando Piazza Castello, unisce il
Palazzo Reale al Teatro Regio e agli Archivi di Stato. L’ambiente, illuminato da una grande finestra
aperta verso i Giardini Reali, è stato realizzato fra il 1738 e il 1740: la sobria raffinatezza dell’architettura
si riflette anche nella delicata colorazione degli intonaci e nei leggiadri stucchi eseguiti da Domenico
Ferretti. Le pareti accolgono alcune interessanti sculture, armoniosamente inserite nella decorazione
delle pareti: i nove rilievi con storie di mostri marini, collocati sotto il cornicione e opera di scuola milanese
del XVI secolo; i busti di Flora e di Diana, eseguiti dal francese Pierre Legros nel XVIII secolo e
collocati sopra le porte, a riscontro di altri due busti classici raffiguranti Marco Aurelio e Demostene. Un
marmo antico è anche la figura di Minerva nella nicchia centrale.
La Rotonda
La sala, chiamata in origine il Rondò, era fino all’inizio del XIX secolo lo spazio di raccordo fra il
Palazzo Reale e il Palazzo Madama, prima che quest’ultimo fosse isolato con la demolizione del braccio
di collegamento attraverso Piazza Castello. Utilizzato come piccolo teatro di corte, la Rotonda è
trasformata, nel 1820, in sala da ballo per le nozze di Maria Teresa di Savoia con il duca di Lucca. Deve
il suo aspetto odierno a Carlo Alberto che, dopo il 1837, la inserisce nel percorso espositivo
dell’Armeria: in quell’occasione è sistemato il prospetto esterno verso la piazza e Pelagio Palagi ne
progetta la decorazione fornendo il disegno per le vetrine, per il ballatoio superiore, provvisto di armadi
e di scaffali, e per il soffitto, dove sono incastonati tre dipinti (al centro Giove che fulmina i giganti di Carlo
Bellosio; ai lati Storie dell’Iliade di Francesco Gonin). La sala espone le armi delle guerre risorgimentali e
degli ultimi conflitti, nonchè una scelta di bandiere e di stendardi: è in progetto una generale
sistemazione e una revisione dell’allestimento.
La Galleria del Beaumont
L’ambiente, pensato come sala di alta rappresentanza, occupa il posto della Grande Galleria che
collegava il Palazzo Reale al Palazzo Madama ed ospitava le collezioni dei Savoia: distrutta dopo gli
incendi del 1659 e del 1667, la sua ricostruzione è progettata da Filippo Juvarra nel 1733 che ne disegna
anche la decorazione a stucco, eseguita da Pietro Filippo Somasso e Pietro Giuseppe Muttoni, aiutati
dai figli Giovanni Antonio Somasso e Domenico Muttoni. Il nome con il quale la galleria è oggi
conosciuta gli viene dal pittore di corte, il torinese Claudio Francesco Beaumont: questi, fra il 1738 e il
1743, dipinge ad olio sulla volta le Storie di Enea, rievocando, con movimentata scioltezza compositiva,
gli affreschi eseguiti nel Palazzo Reale da Daniel Seyter nel XVII secolo.
Il completamento degli apparati decorativi è portato avanti sotto la direzione di Benedetto Alfieri: tra il
1760 e il 1763 i fratelli Ignazio e Filippo Collino realizzano le quattro grandi sculture agli angoli della
sala e raffiguranti la Beneficenza, la Fortezza, la Rettitudine e l’Affabilità, mentre al 1766 risalgono gli ovali
inseriti nelle pareti laterali sopra i camini (Minerva e la Storia, L’eroe incoronato dalla Fama, La città di Torino
riceve dalla Fama le insegne della Pace e del Commercio, Minerva consigliera dell’Eroe). Il gusto classicista espresso
dalle opere dei Collino è confermato da altri quattro rilievi (Scena di sacrificio, L’arringa dell’eroe, Il trionfo
dell’eroe, La distribuzione dei premi ai soldati) di Giovanni Battista Bernero e collocati nel 1787-1790.
Dopo l’occupazione francese di Torino, la decorazione scultorea viene completata da Giacomo Spalla
con una serie di rilievi dedicati a Napoleone, sostituiti nel 1832 con altri, eseguiti sempre dallo stesso
autore ma dedicati alle più importanti vittorie dei Savoia (La battaglia di Torino del 1706, La battaglia
dell’Assietta del 1747, La battaglia di Guastalla del 1734, La battaglia di Authion del 1796).
Gli oggetti sono esposti nelle vetrine e sulle pareti laterali (campi) secondo un ordine che tiene conto non tanto della sequenza cronologica, ma
piuttosto di criteri prevalentemente estetici, secondo il gusto del XIX secolo. I pezzi più antichi sono collocati verso Palazzo Reale, dal lato opposto
rispetto al quale il pubblico entra normalmente oggi nella Galleria, perché il percorso dell’Armeria era concepito per chi arrivava dalla reggia e
proseguiva verso le Segreterie. Il recupero dell’allestimento ottocentesco ha fatto sì che siano oggi esposti anche oggetti ritenuti un tempo autentici ma
in realtà rivelatisi come falsi in stile: per questa stessa ragione si è scelto di ricollocare tutte le integrazioni che i restauri avevano aggiunto alle
armature. Lo scopo è dunque quello di proporre al pubblico, nella sua affascinante integrità, uno straordinario documento della cultura del
Romanticismo storico.
Entrando nella Galleria, il visitatore incontra subito, alla sua destra, il manichino raffigurante il principe
Eugenio di Savoia-Soissons a cavallo che veste la corazza bianca indossata, secondo la tradizione,
durante l’assedio di Torino. Lo fronteggiano tre guerrieri (uno a cavallo e due a piedi) che indossano
armature turche del primo Cinquecento, caratterizzate dall’esteso uso della maglia di ferro.
Il campo E esibisce una ricca selezione di armi in asta e da botta disposte attorno ad uno scudo ovale
ottocentesco, acquistato come un cimelio della prima Crociata che si riteneva appartenuto a Goffredo
di Buglione.
Vetrina 38: la parte superiore è dedicata alle armi da fuoco lunghe del Cinque e del Seicento tra i quali il
moschetto a ruota (M 24), di produzione tedesca (Augusta), il cui calcio ha una decorazione a intarsio
con una veduta prospettica di Venezia; la zona inferiore mostra le difese del cavallo, tra le quali
spiccano due testiere persiane del XVI secolo (D. 28; D. 29).
Vetrina 36: scudi ed elmi di produzione milanese della fine del Cinquecento.
Vetrina 34, dedicata all’affermazione delle prime armi da fuoco: fra queste la terzetta tedesca ( prodotta
a Monaco o Norimberga) appartenuta a l’imperatore Carlo V d’Asburgo (N. 49); nella parte inferiore,
tra difese e finimenti da cavallo, si trova un raro morso di produzione limosina del XIV secolo, con gli
stemmi degli Acciauoli e dei Grimaldi (D. 58).
Il campo F presenta altre armi in asta, insieme con elementi di armatura: fra queste emerge una corazza
tardosecentesca contraddistinta da una fastosa decorazione a cesello di cultura franco-piemontese (C.
36).
Vetrina 39: la parte superiore è anch’essa dedicata alle armi da fuoco, dove spicca la stupefacente Turiner
Garnitur, un complesso di produzione monacense, costituito dal moschetto da caccia a ruota (M. 12),
dalla chiave (N’. 12), dalla fiasca da polvere (N’. 22), dall’archibusetto a ruota (M. 11) con chiave (N’.
13) e polverino (N’. 23): donato nel 1680 a Carlo Emanuele I dal duca Massimiliano I di Baviera, esso
rappresenta uno dei più splendidi esempi di arti decorative, frutto della collaborazione fra l’incisore
Emanuel Sadeler e degli incassatori Adam Vischer e Hieronimus Borstoffer, che affianca intarsi
d’avorio straordinariamente raffinati a parti metalliche di perfetta lavorazione. La parte inferiore della
vetrina espone alcune testiere da cavallo, in parte d’imitazione ottocentesca, in parte del XVI secolo.
Vetrina 37: altri scudi, anch’essi realizzati a Milano intorno al 1570 e decorati secondo il gusto del
Manierismo internazionale; armi da botta orientali e italiane (XVI e XVII secolo).
Vetrina 35: nella parte superiore, armi da fuoco italiane e tedesche del XVI e XVIII secolo: tra cui una
coppia di iperdecorati pistoletti bresciani del 1665-1666 (N. 41; N. 42) e due pistole, sobriamente
decorate, prodotte in Scozia nel 1790 (N. 84; N. 85).
L’armatura equestre B. 9 è, con ogni probabilità, una bella imitazione ottocentesca di un pezzo
lombardo del Cinquecento, mentre l’armatura B. 28, subito accanto, riproduce un coevo modello della
Germania meridionale. L’armatura equestre B. 10, collocata di fronte, è un prodotto di officina
milanese del 1570 circa, come la vicina B. 44, commissionata dal governatore spagnolo di Milano Don
Diego Felipe de Guzman, marchese di Leganes, mentre la B. 39 è appartenuta ad un ufficiale di Carlo
Emanuele I, di cui compaiono le iniziali.
Campi L, M, R, S: elementi di armatura del XVI e XVII secolo.
Vetrina 32: corazze, elmi e morioni italiani e tedeschi del XVI secolo.
Vetrina 30: accosta le spade alle armi da fuoco: tra queste ultime, interessanti pezzi di produzione
bresciana del XVIII secolo. Sopra il camino, alcune pellegrine cinquecentesche.
Vetrina 28: corazze ed elmi tedeschi e italiani del XVI secolo.
Vetrina 33: altre parti di armatura fra cui un’elegante corazza cinquecentesca probabilmente appartenuta
a Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova (C. 23).
Vetrina 31: armi bianche e armi da fuoco corte del XVIII e del XIX secolo: nella parte superiore,
un’ingegnosa accoppiata di due spade gemelle, destinate a stare nello stesso fodero (G. 158 e G 159).
Vetrina 29: corazze ed elmi tedeschi e italiani del XVI secolo.
L’armatura equestre B. 7 è milanese, mentre la B. 45 è bresciana ed è caratterizzata da fitte incisioni a
bulino di gusto popolareggiante; la B. 46, appartenuta ad Alessio Maurizio Parella di San Martino,
documenta il gusto filofrancese della corte sabauda intorno al 1630-1640. L’armatura equestre B. 8 è di
fattura lombarda risalente al 1570-1580, mentre la B. 35 è un prodotto tardo della bottega del milanese
Pompeo della Cesa, databile intorno al 1600 e molto integrato dai restauri; la B. 36 è un falso
ottocentesco che riutilizza pochi frammenti di un armatura tedesca della fine del XVI secolo.
Campi C e D: armi bianche corte, armi da botta, armi in asta ed elementi di armatura.
Vetrina 26: sul ripiano superiore sono esposte spade del XVII secolo, su quello inferiore si trovano
invece parti di armature del Cinque e del Seicento, fra i quali i resti di una guarnitura appartenuta a
Carlo Emanuele I ed eseguita da Pompeo della Cesa intorno al 1600 ( composta dai pezzi: E. 17; C.
181, 182; C. 98; C. 233, 234; D. 24).
Vetrina 24: accanto a spade e ad altre armi bianche del XVI e del XVII secolo, uno scudo con scene di
battaglia, raffinata imitazione di modelli manieristi eseguito dallo scultore francese Antoine Vechte
intorno al 1830; sul ripiano è la venerata spada di San Maurizio, uno fra i simboli del potere dei Savoia
proveniente dall’abbazia di Saint Maurice d’Agaune, nel Vallese, e conservata, non a caso, nella Cappella
della Santa Sindone fino al 1858: si tratta di una spada del XIII secolo, provvista del suo fodero
originale di legno (G. 25) e di una custodia di cuoio, eseguita fra il 1434 e il 1438 (Q. 12).
Vetrina 22: nella parte superiore, spade di produzione italiana e tedesca del XVI e del XVII secolo; nel
ripiano inferiore, elmi e parti di armature dal XIV al XVI secolo.
Vetrina 27: presenta una serie di armi combinate, esperimenti tecnici che tentano di riunire le
caratteristiche delle armi bianche con quelle da fuoco; nel ripiano superiore parti di armature di area
tedesca e soprattutto un nucleo decorato dall’incisore Jörg Sorg il Giovane, attivo ad Augusta fra il 1548
e il 1563.
Vetrina 25: lo scudo di Vechte è circondato da spade e armi bianche del XVI e del XVII secolo. Tra
queste: una cinquedea ferrarese di primo Cinquecento, la cui lama è ornata con scene bibliche e romane
(H. 6), e due spade da cavallo con lama persiana e fornimento di manifattura baverese del 1600 circa
(G. 98; G. 99).
Vetrina 23: una serie di spadini del XVII, XVIII e XIX secolo e, nella parte inferiore, scudi istoriati
milanesi del Cinquecento.
L’armatura B. 18 è ottocentesca, mentre la B. 41, prodotta ad Augusta intorno al 1580, è in larga misura
autentica. L’armatura B. 24 è un’imitazione del XIX secolo, così come largamente integrata risulta
anche la sua compagna B. 40.
Le due armature equestri B 5 e B. 6 - la prima è detta “dei fulmini” per il motivo decorativo che allude
allo stemma della famiglia Martinengo - sono un’opera tedesca del 1560 circa. Le due armature B. 31 e
B. 38 sono di fattura ottocentesca e riprendono modelli italiani del Cinquecento. Italiane, e sempre del
XVI secolo, sono anche le due armature da ragazzo B. 29 e B. 30.
Vetrine 20 e 21: elementi di armatura del Cinquecento: fra questi una borgognotta di manifattura
francese con una ricca decorazione a grottesche (E. 61).
Vetrina 18: una serie di armi bianche dal XVI al XVI secolo, fra le quali si segnala la cosiddetta spada di
Donatello (G. 79 bis): la lama è ottocentesca, mentre il fornimento, adorno di motivi ‘all’antica’
magnifici per invenzione e qualità esecutiva, è stato eseguito a Padova da Andrea Briosco detto il Riccio
intorno al 1507-1515.
Vetrina 16: elementi di armatura italiani e tedeschi del XVI secolo.
Vetrina s. n.: lo scudo detto del Cellini. Si tratta di una targa da parata eseguita in Francia intorno al
1556-1559, che presenta la Vittoria di Mario contro Giugurta, inserita all’interno di una cornice decorativa
di iperbolica raffinatezza, largamente debitrice dei modelli italiani di Primaticcio, Nicolò dell’Abate e
Benvenuto Cellini.
Vetrina 19: armi bianche con impugnature in avorio e un raro corno da caccia, anch’esso in avorio (Q.
10), eseguito da un artista africano della Sierra Leone che utilizza modelli decorativi del primo
Rinascimento portoghese.
Vetrina 17: elementi di armatura italiani e tedeschi del XVI secolo.
Le armature B. 22 e B. 23 sono imitazioni ottocentesche di modelli italiani del Cinquecento, mentre
sopra i camini sono presentati elmi del XVI e del XVII secolo. L’armatura equestre B. 3, proveniente
dalla raccolta Martinengo, è fra i capolavori di Pompeo della Cesa e si data agli ultimi anni del
Cinquecento, nonostante le ampie (ma intelligenti) integrazioni ottocentesche: presenta una
decorazione rigogliosa con tralci vegetali abitati da figure di selvaggi e, sul petto, l’effige della Madonna
di Guadalupe. È affiancata da due armature cinquecentesche (B. 32; B. 33), anch’esse molto resturate.
L’armatura equestre opposta (B. 4) è legata, nello stesso momento, al fondatore del Piemonte moderno
nel XVI secolo e a una delle immagini più note della Torino risorgimentale: si tratta di quella
commissionata da Emanuele Filiberto nel 1561 al milanese Giovanni Paolo Negroli e riprodotta da
Carlo Marocchetti nel celebre monumento equestre del duca, voluto da Carlo Alberto per essere
collocato in Piazza San Carlo (1831-1838). Sempre a Emanuele Filiberto è appartenuta l’armatura B. 34,
prodotta in Baviera intorno alla metà del Cinquecento, mentre la B. 43, che si distingue per l’attraente
motivo a sole ripetuto, è di manifattura bresciana del XVII secolo.
Campi A e B: armi in asta e bianche con elementi di armature del XV e del XVI secolo.
Vetrina 14: nel ripiano superiore, armi bianche italiane del XVI, XVII, XVIII e XIX secolo; in quello
inferiore elementi di armatura di produzione francese, tedesca e italiana fra cui il petto di corazza
eseguito da Pompeo della Cesa per Carlo Emanuele I (C. 71).
Vetrina 12: appoggiata su di una console marmorea eseguita dai Collino, presenta una serie di scudi da
parata lombardi del XVI secolo, integrati dagli interventi ottocenteschi, e due elmi francesi di gusto
manierista (notevole l’ E. 24).
Vetrina 10: archi e balestre del XVI secolo.
Vetrina 15: nella parte superiore: armi bianche italiane e francesi del XVI, XVII e XIX secolo; nel
ripiano inferiore, elementi di armature italiane del XVI secolo, fra cui il corsaletto con borgognotta
all’antica appartenuto a Gerolamo Martinengo e direttamente ispirato alle loriche dei condottieri romani
(C. 11).
Vetrina 13: anch’essa sistemata su di una console analoga alla precedente: vi sono esposti elementi di
armatura milanesi del Cinquecento, fra cui quelli eseguiti con fantasiosa invenzione dalla bottega dei
Negroli (C. 48; C. 146; C. 147; C. 188; C. 189; E. 50).
Vetrine 7, 8, 11: presentano una campionatura di armi da difesa e da offesa che va dall’età neolitica
all’età classica.
Vetrina 3: scudo ricavato da un guscio di tartaruga, di manifattura forse veneziana del tardo
Cinquecento (F. 2).
Vetrina 4: scudo di legno, rivestito di cuoio, di produzione italiana del 1550-1560 circa.
Vetrina 9: scudo di legno, rivestito in argento, dipinto con lo stemma della città di Zwickau (Germania)
del XV secolo.
Controrostro romano di bronzo, databile al III secolo a.C., ritrovato nel 1597 nel porto di Genova ed
esposto su di un basamento ottocentesco appositamente disegnato da Pelagio Palagi.
L’armatura equestre B. 1, che si riteneva fosse appartenuta al cardinale Ascanio Sforza, si è rivelata
essere una bellissima imitazione ottocentesca di un modello della fine del Quattrocento.
Il Medagliere
La fastosa decorazione della sala, che una porta collega al Gabinetto Cinese di Palazzo Reale, è stata
ideata da Pelagio Palagi per ospitare la ricca collezione di monete, di medaglie e di sigilli raccolta da
Carlo Alberto (1835-1847): a questo scopo sono stati progettati gli arredi intarsiati ed eseguiti, con
straordinaria abilità tecnica, dall’ebanista Gabriele Capello. Le vetrine e le cassettiere richiamano, nella
loro forma e nella loro decorazioni, i templi antichi, mentre i tavoli erano stati pensati per facilitare la
consultazione della raccolta. Il fregio in alto rappresenta putti che reggono ghirlande fiorite e medaglie,
con un’evidente allusione agli oggetti conservati nella sala: ne è autore Pietro Ayres di Savigliano che,
con Diego Martelloni, ha eseguito anche i dipinti del soffitto rappresentanti Minerva fra Apollo e Mercurio,
le Quattro parti del Mondo, le Muse ed altre figure allegoriche. La collezione numismatica del re, già depositata
presso il Museo Civico di Numismatica, Etnografia e Arti Orientali, sarà presto ricollocata nei mobili
pensati per ospitarla che Carlo Alberto aveva voluto. Nelle vetrine sono inoltre esposti alcuni oggetti
d’arte (bronzetti, avori, smalti, oreficerie) dall’antichità al Rinascimento che testimoniano il gusto
collezionistico dei Savoia.
Glossario
Archibusetto: piccolo archibugio (arma da fuoco lunga)
Arma bianca: arma che ferisce con una punta o un taglio: può essere lunga (spada, sciabola) o corta
(daga, pugnale)
Arma da fuoco: arma che lancia un proietto con la deflagrazione di un esplosivo in una canna: può essere
lunga (moschetto, archibugio, fucile) o corta (pistola)
Arma da botta: arma che colpisce con una percossa (mazza, martello, scure)
Arma in asta: arma che ha la parte offensiva (ferro) montata all’estremità di un’asta (lancia, picca,
alabarda)
Arma lanciatoia: arma che lancia un proietto senza esplosivo ma con mezzi elastici
Balestra: arma lanciatoia costituita da un fusto (teniere) che porta un arco montato trasversalmente.
Borgognotta: copricapo difensivo con protezione del cranio (coppo) provvisto di cresta
Cinquedea: arma bianca simile alla daga con lama corta e molto larga
Elmo: copricapo difensivo che protegge tutto il capo
Fornimento: nelle armi bianche, tutto ciò che completa la lama; nelle armi da fuoco, tutte le parti di
contorno, tranne canna, dispositivo d’accensione e cassa
Moschetto: arma da fuoco lunga, utilizzata in prevalenza dalle fanterie
Morione: copricapo difensivo a cresta bassa di profilo tondeggiante
Pellegrina: protezione del petto a forma di cotta e realizzata in maglia di ferro
Terzetta: arma da fuoco corta, simile alla pistola
Testiera: protezione della testa del cavallo