1° incontro - Parrocchia San Paolo Apostolo – Vicenza

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1° incontro - Parrocchia San Paolo Apostolo – Vicenza
Uomini di pace e
di riconciliazione
Carlo Maria Martini
Avvento 2015
Primo incontro
Misericordes sicut Pater! [cfr. Lc 6,36] [motto del Giubileo]
1. [cfr. Sal 135/6] [cfr. Lc 15]
Rendiamo grazie al Padre, perché è
buono
in aeternum misericordia eius ha creato il mondo con sapienza
in aeternum misericordia eius
conduce il Suo popolo nella storia
in aeternum misericordia eius
perdona e accoglie i Suoi figli
in aeternum misericordia eius
Misericordes sicut Pater!
Misericordes sicut Pater!
2. [cfr. Gv 15,12] [cfr. Mt 25,31ss]
Rendiamo grazie al Figlio, luce delle
genti
in aeternum misericordia eius
ci ha amati con un cuore di carne
in aeternum misericordia eius
da Lui riceviamo, a Lui ci doniamo
in aeternum misericordia eius
il cuore si apra a chi ha fame e sete
in aeternum misericordia eius
Misericordes sicut Pater!
Misericordes sicut Pater!
1
3. [cfr, Gv 15, 26-27] [cfr. 1Cor 13,7]
Chiediamo allo Spirito i sette santi doni
in aeternum misericordia eius
fonte di ogni bene, dolcissimo sollievo
in aeternum misericordia eius
da Lui confortati, offriamo conforto
in aeternum misericordia eius
l’amore spera e tutto sopporta
in aeternum misericordia eius
Misericordes sicut Pater!
Misericordes sicut Pater!
4. [cfr. Mt 24,14] [cfr. Ap 21,1]
Chiediamo la pace al Dio di ogni pace
in aeternum misericordia eius
la terra aspetta il vangelo del Regno
in aeternum misericordia eius
grazia e gioia a chi ama e perdona
in aeternum misericordia eius
saranno nuovi i cieli e la terra
in aeternum misericordia eius
Misericordes sicut Pater!
Misericordes sicut Pater
Introduzione
l'apostolo sente di fare ciò che vuole e nello
stesso tempo di fare ciò che un altro vuole per
lui e in lui.
Lo troviamo nel libro degli Atti e sarà il
punto di riferimento dei nostri Esercizi: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla
quale li ho chiamati” (13, 2). È il Signore che
mette da parte, che chiama.
Intendo dunque, per consapevolezza
missionaria, la coscienza di perseguire
un progetto e insieme di obbedire a un
mandato.
E desidero approfondire questa intuizione
di consapevolezza per me e per ciascuno di
voi, in modo che possiate cogliere il momento
specifico del cammino che state vivendo come
scelta e come mandato.
Ho acconsentito a predicarvi questo ritiro
per il desiderio vivo di una comunicazione
nella fede di cui anche il Vescovo ha bisogno.
Il Vescovo, infatti, vive - come ogni cristiano
- della Parola di Dio: della Parola comunicata
direttamente da Dio e anche di quella comunicata e circolata nell'ambito della Chiesa.
Nutro quindi la speranza di dare e di
ricevere, in questi giorni che trascorreremo
insieme, la circolazione della Parola.
Tuttavia sento che c'è un motivo ancora
più profondo che mi ha fatto accettare il vostro
invito e lo esprimo con le parole dell'apostolo
Paolo: «È un dovere per me predicare il Vangelo. Guai a me se non predicassi il Vangelo!»
(1 Cor 9, 16).
È una necessità a cui non posso sottrarmi,
soprattutto predicarlo a coloro che più sono
vicini al mio cammino. È una necessità così
forte in me da sentirla come tema sul quale
riflettere insieme a voi. A partire dall'esclamazione di Paolo, potremmo esplicitare il tema in
questo modo: la consapevolezza missionaria,
la consapevolezza di essere mandati.
Scrive Paolo: “Se predico il Vangelo di mia
iniziativa, ho diritto alla ricompensa” - è una
cosa che faccio io, che dico io, che mi riguarda
e che riguarda la mia professione - “ma se non
lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi
è stato affidato” (1 Cor 9, 17).
Per me è stato proprio così: accettare il
vostro invito l'ho sentito come un dovere che
mi veniva dato da un Altro.
L'espressione dell'Apostolo che viene tradotta “non di mia iniziativa”, in greco è akon,
ossia “non spontaneamente”. Ed è interessante
perché il termine opposto noi lo troviamo in un
passo della prima lettera di Pietro:
“Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri
“(5, 2). “Volentieri”, ekoúsion, è esattamente
il contrario di “non di mia voglia”, cíkon, usato
da Paolo.
È questo mistero che mi ha attratto,
inducendomi a riflettere su quale sia la coscienza dell'apostolo e quindi la coscienza
di vocazione apostolica o missionaria in senso
generale. Quale debba essere la coscienza di
qualcosa che scelgo io ma che in fondo non
scelgo perché mi viene data ed io la compio,
infatti, per un incarico ricevuto e non per un
progetto di vita che mi sono proposto.
A partire da voi
È importante che ciascuno entri in questi
giorni di Ritiro partendo dalla propria strada,
dal luogo in cui veramente è.
Possono aiutarvi tre domande:
a) Che cosa desidero da questi giorni? Come
vorrei uscirne? È una domanda che rappresenta “l'ideale” e che può fare emergere
qualche desiderio che avete nel cuore.
b) Che cosa mi attendo da questi giorni? È
diversa dalla prima perché concerne “il reale”. Che cosa mi attendo concretamente,
come modo di vivere e come risultato. Mi
attendo noia, fatica oppure contentezza?
Cerco soltanto momenti di tranquillità?
Mi attendo sentimenti di pace oppure ho
paura del silenzio prolungato, dei momenti
di lotta?
c) Quale tipo di tentazioni e di avvenimenti
potrebbe impedirmi di raggiungere ciò
che desidero?
Sarebbe molto bello poter comunicare tutto questo perché chi detta gli Esercizi
dovrebbe riuscire a seguire il cammino di
ciascuno. Dire “cammino” è diverso dal dire
“coscienza”: altro è la coscienza morale che si
esprime nella confessione sacramentale, altro
è il cammino costituito appunto da una serie
di desideri, timori, anticipazioni del futuro, che
ci sono in noi.
Suggerimenti e timori
a)
Vi do un suggerimento riguardo alla preghiera. Può darsi che le proposte
di preghiera di testi biblici siano un po' troppo
C'è un altro testo del Nuovo Testamento
che esprime bene la strana impressione che
2
ampie: è difficile che non avvenga perché
la proposta viene fatta a livello di “lectio” e
di “meditatio”, ampliando cioè il testo nella
sua struttura interna e nelle sue relazioni.
Ma altro è ciò che viene proposto e altro
ciò che ciascuno porta avanti. Non dovete
quindi essere ansiosi di riprendere tutte le
cose ascoltate o notate. È invece importante
che vi fermiate con calma su ciò che avvia alla
“contemplazione».
Ciascuno poco a poco impara a discernere tra le molte cose necessarie alla cultura
anche spirituale, e le cose da scegliere per il
proprio nutrimento interiore profondo.
b)
Provo sempre qualche timore iniziando un corso di Esercizi. Temo la fatica della
comunicazione della fede e soprattutto temo le
parole e gli atteggiamenti religiosi indotti dalla
consuetudine e dall'ambiente. Temo anche la
mia impreparazione di fronte alla Parola.
E, di conseguenza:
- che cosa vuol dire non averla oppure averla
in maniera immatura, imperfetta, offuscata?
La risposta ci viene suggerita da tre episodi del Nuovo Testamento.
Gesù predica a Nazaret (Lc 4, 16-30)
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto,
e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella
sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il
rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il
passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore
è sopra di me; per questo mi ha consacrato con
l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri
il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la
liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in
libertà gli oppressi, 19a proclamare l’anno di
grazia del Signore.
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Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi
di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a
dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura
che voi avete ascoltato».
22
Tutti gli davano testimonianza ed erano
meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui
il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro:
«Certamente voi mi citerete questo proverbio:
“Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito
che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella
tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi
dico: nessun profeta è bene accetto nella sua
patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando
il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci
fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma
a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a
una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano
molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta
Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non
Naamàn, il Siro».
28
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo
cacciarono fuori della città e lo condussero fin
sul ciglio del monte, sul quale era costruita la
loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando
in mezzo a loro, si mise in cammino.
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Diciamo dunque al Signore, con fiducia
ed umiltà:
«Signore, tu che hai parlato sempre secondo verità, aiutaci a parlare non secondo
luoghi comuni e associazioni spontanee del
linguaggio religioso ma con un linguaggio di
verità.
Tu che superi infinitamente ogni nostra
incapacità, metti in noi il tuo Spirito perché sia
lui a parlare in noi, perché ci faccia camminare
per strade autentiche.
Donaci di superare tutte le nostre remore
e donaci quel silenzio purificatore che taglia
le fantasie e approfondisce la consapevolezza
della nostra chiamata, nella nostra missione.
Guidaci, o Gesù, nella via del deserto e
del Battesimo perché fu proprio al Giordano,
dopo le tentazioni, che tu prendesti coscienza
del tuo mandato. Maria, madre di autenticità,
aiutaci a dire solo parole vere, semplici, corrispondenti a verità».
Invochiamo, come Santi protettori, S.
Carlo che acquistò coscienza della sua missione
poco prima della sua Ordinazione sacerdotale,
durante gli Esercizi spirituali del 1563, e S. Paolo che fa spesso ricorso nelle sue lettere alla
consapevolezza apostolica come a una delle
sue rocce di rifugio nelle difficoltà.
I.
Il primo episodio è la predica di Gesù
a Nazaret, secondo il racconto di Luca. Consideriamo brevemente la successione degli
eventi per capire la struttura del brano e come
esso metta in luce la coscienza di missione di
Gesù.
Gesù passa attraverso una serie contra-
la coscienza apostolica
Vorrei introdurvi alla riflessione personale
rispondendo alla domanda:
- che cosa vuol dire coscienza apostolica?
3
stante, opposta di reazioni, tali da mettere a
dura prova la coscienza che ha di sé.
- La prima reazione è di una attenzione assorta, intensa: «Gli occhi di tutti nella
sinagoga stavano fissi sopra di lui» (v. 20). È
una sensazione quasi magnetica che qualche
volta si può avere parlando in pubblico: la folla
sembra così interessata, colpita, a tal punto
da far concentrare fortemente la persona che
parla, investendola, in un certo senso, di valore. Gesù sperimenta questa reazione: ecco,
la gente è pronta e disposta ad ascoltare da
me una parola importante!
- Tuttavia la situazione si deteriora rapidamente: «Tutti gli rendevano testimonianza
ed erano meravigliati delle parole di grazia
che uscivano dalla sua bocca». Sembra che
ci sia ancora la meraviglia ammirativa ma la
diffidenza appare subito dopo: «E dicevano:
Non è il figlio di Giuseppe?» (v. 22). È difficile
spiegare psicologicamente la complessità di
questo versetto: Gesù si sente oggetto di un
crescente scrutamento un po' maldisposto.
Questo accade quando una persona si rivolge
ad altri e si accorge che la disponibilità primitiva, pienamente favorevole, a un certo punto
si cambia inspiegabilmente in riserbo e critica,
creando disagio in chi parla e in chi ascolta. È
la sensazione faticosa e dolorosa dell'accorgersi che le proprie parole cominciano a essere
pesate, giudicate, forse fraintese, che possono
essere utilizzate proprio contro chi parla.
- La meraviglia diffidente diventa, dopo la
reazione forte di Gesù, ostilità e rifiuto:
«All'udire queste cose, tutti nella sinagoga
furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio
del monte sul quale la loro città era situata,
per gettarlo giù dal precipizio» (vv. 28-29).
Dall'attenzione benevola e sospesa siamo
arrivati, capovolgendo la situazione, addirittura allo sdegno prima e poi al rifiuto. E questo
avviene nell'ambiente in cui Gesù era conosciuto, e perciò con uno smacco pubblico, con
un profondo disagio di tutti i conoscenti di
Gesù, di sua madre, dei suoi parenti più stretti. È come se Gesù avesse disonorato il buon
nome familiare e si fosse meritato l'improvvisa
ribellione della gente: non ti vogliamo, non ci
interessa quello che dici, non sei uno dei nostri,
fatti i fatti tuoi, vattene altrove, non vogliamo
più sentirti, ci hai disonorato.
- Qual è la conclusione? «Ma Gesù, passando in mezzo a loro, se ne andò» (v. 30).
Leggo la coscienza apostolica di Gesù in
questo suo “passare in mezzo” così misterioso.
La gente, che era stata presa da un momento di furore popolare, capisce ad un tratto
che era esagerato sopprimerlo, gettarlo giù dal
precipizio e forse avrà titubato, tentennato.
Gesù, calmo e cosciente di sé, riprende il controllo della situazione e se ne va: «Poi, discese
a Cafarnao, una città della Galilea, e il sabato
ammaestrava la gente» (v. 31).
Di fronte a questa coscienza apostolica
di Gesù possiamo chiederci come avremmo
reagito noi al suo posto. Credo sia facile
immaginarlo. Prima, una grande ansietà per
la folla che cominciava a bisbigliare e poi una
grande rabbia interiore, stizza, ira, e molto
probabilmente una depressione: non sono
capace, non ce la faccio, la mia missione è
troppo, ho presunto di me, meglio che mi ritiri
e che pensi a fare altro.
Questa è la coscienza apostolica carente
o incerta: quella che si misura sulla risposta
degli altri.
Quando la risposta è eccezionale, ci si
“gonfia” e va tutto bene, ma quando la risposta
è negativa, si ha paura e nascono le ansietà
e i dubbi.
Gesù è modello di coscienza apostolica perché va diritto per il suo cammino
e come se niente fosse stato, riprende
altrove la sua predicazione paziente e
ordinata della Parola.
Paolo e il mondo pagano (At 13, 4-12)
Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo,
scesero a Selèucia e di qui salparono per Cipro.
5
Giunti a Salamina, cominciarono ad annunciare la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei,
avendo con sé anche Giovanni come aiutante.
6
Attraversata tutta l’isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo,
di nome Bar-Iesus, 7al seguito del proconsole
Sergio Paolo, uomo saggio, che aveva fatto
chiamare a sé Bàrnaba e Saulo e desiderava
ascoltare la parola di Dio. 8Ma Elimas, il mago
– ciò infatti significa il suo nome –, faceva loro
opposizione, cercando di distogliere il proconsole dalla fede. 9Allora Saulo, detto anche
Paolo, colmato di Spirito Santo, fissò gli occhi
su di lui 10e disse: «Uomo pieno di ogni frode
e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di
ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere
le vie diritte del Signore? 11Ed ecco, dunque,
la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco
e per un certo tempo non vedrai il sole». Di
colpo piombarono su di lui oscurità e tenebra, e
brancolando cercava chi lo guidasse per mano.
4
4
Quando vide l’accaduto, il proconsole credette, colpito dall’insegnamento del Signore.
Possiamo leggere, al di là delle parole,
una profondissima coscienza della propria
missione. Solo un uomo tranquillo, sicuro interiormente, mosso dallo Spirito, che ha capito
la forza della missione di Gesù e che ha compreso essere giunto il momento di qualificarsi
e di esporsi, può parlare così. La coscienza
apostolica di Paolo porta ad azioni lucide, luminose, determinate e precise. All'opposto, la
mancanza di tale coscienza diventa fonte
di oscillazione e di instabilità rendendo incerte e compromissorie tutte le azioni dell'uomo.
S. Giacomo descrive così questa situazione:
“(Chi fa una domanda) la faccia con fede, senza
esitare, perché chi esita somiglia all'onda del
mare mossa e agitata dal vento; e non pensi
di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che
ha l'animo oscillante e instabile in tutte le sue
azioni” (Gc 1, 6-7).
12
Il secondo episodio ci descrive lo scontro
di Paolo con il mondo pagano, dopo l'inizio
della sua missione. Paolo e Barnaba erano discesi a Seleucia, di qui erano passati a Cipro e
annunziavano la parola di Dio: «Attraversata
tutta l'isola fino a Pafo, vi trovarono un tale,
mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Jesus, al seguito del proconsole Sergio Paolo,
persona di senno, che aveva fatto chiamare a
sé Barnaba e Saulo e desiderava ascoltare la
parola di Dio. Ma Elimas, il mago, faceva loro
opposizione cercando di distogliere il proconsole dalla fede» (vv. 6-8).
Da una parte la situazione è positiva:
il proconsole, uomo intelligente e prudente,
ha convocato Barnaba e Paolo, aprendo loro,
quindi, una porta importante per l'evangelizzazione. Dall'altra parte c'è Elimas, consigliere
e amico del proconsole, che ha molta autorità
perché è un mago (nel mondo di allora, chi
aveva poteri occulti era molto considerato e
riverito). Sergio Paolo, pagano, è certamente
influenzato dal mago che è pure profeta, sa
parlare, proclamare cose profonde. Conosciamo scritti magici o ermetici di quel tempo o di
poco posteriori, ad esempio le opere di Ermete
Trimegisto: sono opere piene di grandi parole,
concetti misteriosi, un po' fumosi che possono fare grande impressione. E questo Elimas,
sfortunatamente per Barnaba e Paolo, portava
anche il nome di Bar-Jesus e quindi poteva
fruire di un alone di mistero collegato con la
persona di Gesù.
Toccare il legame di amicizia tra il
mago e il pro-console era pericoloso.
Noi avremmo forse cercato di girare alla
larga, di dire una qualche parola al proconsole
per non farcelo nemico, senza tuttavia affrontare la situazione.
Paolo, invece, pronunzia un'invettiva
pericolosissima che poteva rovinare tutto,
facendo finire la predicazione e rischiando di
farsi cacciare dall'isola: «Allora Saulo - detto
anche Paolo - (viene chiamato per la prima
volta Paolo nel momento in cui compie questo
passo coraggioso che lo strappa a una predicazione prudente e lo butta nella lotta!), pieno di
Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui e disse:
“O uomo, pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia,
quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del
Signore? Ecco, la mano del Signore è sopra di
te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai
il sole”» (v. 9-11).
La caduta di Pietro (Mc 14, 66-72)
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne
una delle giovani serve del sommo sacerdote
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e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo
guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con
il Nazareno, con Gesù». 68Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi
uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò.
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E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai
presenti: «Costui è uno di loro». 70Ma egli di
nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano
di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di
loro; infatti sei Galileo». 71Ma egli cominciò a
imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». 72E subito, per la seconda
volta, un gallo cantò.
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Dopo i modelli di consapevolezza apostolica di Gesù e di Paolo, possiamo riflettere sulla
figura di Pietro che rappresenta, in un certo
senso, la nostra situazione di immatura o
incerta coscienza apostolica.
Partiamo da alcuni versetti del Vangelo
di Marco, caratteristici del cammino di Pietro
verso la “negazione”:
«Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo
la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”.
Allora Pietro gli disse: “Anche se tutti saranno
scandalizzati, io non lo sarò. Gesù gli disse:
“In verità ti dico: proprio oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, tu
mi rinnegherai tre volte”. Ma egli, con grande
insistenza diceva: “Se anche dovessi morire
con te, non ti rinnegherò”» (Mc 14, 27-31).
5
Per la riflessione personale
Pietro, in apparenza, ha una forte coscienza apostolica e di missione, si sente sicuro,
ma alle sue parole certe corrisponde un cuore
incerto: sono parole sincere e tuttavia non
vere. Anche noi spesso siamo sinceri, esprimiamo cioè quello che è alla superficie, nell'immediato, ma non siamo veri, non esprimiamo
quello che c'è nel profondo. Essere autentici
vuol dire essere “autòs”, se stessi, pienamente
se stessi: noi siamo noi stessi a metà e ciò che
diciamo non è la verità del nostro io.
Pietro, dunque, è sincero ma non è vero.
In lui c'è una consapevolezza apostolica incerta
e oscillante, e non lo sa.
Ben presto viene provata l'incertezza della
sua coscienza, allorché Gesù, nell'orto del Getsemani, dice: «Simone, dormi? Non sei riuscito
a vegliare un'ora sola?» (v. 37). Perché Pietro
non era riuscito a vegliare un'ora sola? Perché
noi non riusciamo a vegliare in certe situazioni,
mentre in altre riusciamo perfettamente? Noi
cediamo al sonno, alla fatica, alla noia quando
non siamo convinti di dover fare ciò che stiamo facendo o lo troviamo spiacevole e non
siamo sicuri che sia importante. Al contrario,
quando lo riteniamo importante, molto utile,
allora non sentiamo la stanchezza e l'organismo si dispone, le forze vengono mobilitate
dalla certezza dell'azione. Gesù invita Pietro a
pregare e Pietro non capisce né la gravità
dell'ora né la gravità del comando di Gesù. È
incerto interiormente, non sente il pregare, in
quel momento, importante per lui e allora le
sue forze non si mobilitano. Così Pietro cede.
È il primo segno della sua oscillazione a cui fa
seguito il secondo: «Tutti, allora, abbandonando Gesù, fuggirono» (v. 50).
Tutti, Pietro compreso, hanno perduto il
significato del loro dovere restare lì. Se Gesù
stesso si consegna, se si mostra tanto debole,
chi ci obbliga a rimanere? Perché dovremmo
farlo, in nome di chi, di quale autorità, di quale risultato da raggiungere? Rapidamente, la
coscienza di missione si sgretola.
Ho voluto semplicemente introdurvi ad
una riflessione sulla consapevolezza apostolica. Per il lavoro personale suggerisco due
possibilità:
- Riflettere sugli episodi paragonandoli
con la propria vita e domandarsi: dove trovo in
me segni di consapevolezza matura, come
quella di Gesù e di Paolo? E dove, invece, trovo
in me segni di consapevolezza immatura,
incerta, oscillante, di cammino faticoso? E
perché ci sono?
- Oppure, prendere gli episodi, rileggerli,
approfondirli, pregare su di essi, paragonarvisi,
trovare altri episodi del Nuovo Testamento e
della Scrittura in cui appare una chiara o una
incerta consapevolezza di missione.
Chiediamo al Signore di aiutarci a iniziare questo cammino di approfondimento e di
ricerca:
“Signore Gesù, noi contempliamo la calma
che tu hai vissuto a Nazaret, nella tua prima
predicazione; contempliamo il tuo dolore anche, perché hai certamente sofferto vedendo
la ribellione della gente a cui volevi bene e di
cui conoscevi le debolezze e le meschinità.
Tu non ti sei lasciato immeschinire, non ti sei
rivoltato contro di loro né contro di te.
Signore Gesù, noi ti ringraziamo perché
la tua coscienza di missione è tanto grande:
fa' che alla tua coscienza si appoggi la nostra!
Amen”.
E, infine, c'è la negazione di Pietro (vv.
66-72). Pietro annaspa, è incapace a controllarsi, si comporta diversamente da come
vorrebbe: vorrebbe stare vicino a Gesù però
ha paura di presentarsi apertamente e cade.
La caduta di Pietro è la conseguenza
dell'oscillare, dell'incertezza interiore, del non
sapere bene sino a qual punto bisogna seguire
Gesù, sino a quanto è giusto rischiare. Pietro
ha perduto il senso della missione, la coscienza
chiara di ciò a cui è chiamato.
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