Scheda sul film

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Scheda sul film
Cose di questo mondo
Regia: Michael Winterbottom; fotografia: Marcel Zyskind; montaggio: Peter Christelis; musiche: D.
Marianelli; interpreti: Jamal Udin Torabi (Jamal), Enayatullah (Enayat); produzione: Anita Overland per
Revolution Film /The Works/The Film Consortium/Film Council/BBC; Gran Bretagna, 2003; 90
SINOSSI
L´odissea di due ragazzi profughi dall´Afghanistan post talebani che cercano di raggiungere Londra. Uno
dei due ce la farà ma a prezzo di un calvario inumano. Winterbottom non è nuovo all'intervento diretto sulla
realtà (basti pensare a Welcome to Sarajevo) . Questa volta però costruisce una narrazione volutamente
´sporca´con camera a mano e sgranature per sottolineare anche linguisticamente un viaggio che non ha più
bisogno della cronaca televisiva anche perché non sembra interessare più a nessuno. L´Afghanistan è stato
´liberato´ e questo gli basti. Il mondo ha da pensare ad altri fronti. Così l´infanzia viene negata e non c´è
posto per lei nel nostro mondo che ha continuamente bisogno di nuovi soggetti per cui ´commuoversi´.
Winterbottom li espone invece nuovamente dinanzi alla nostra falsa coscienza chiedendoci di non voltare il
capo fingendo di non sapere.
Orso d'Oro al Festival di Berlino 2003.
RECENSIONI
Michael Winterbottom ha volutamente scelto i protagonisti del film nei campi profughi di Peshawar,
cosa che lo ha costretto a ridurre all’osso la sceneggiatura, lasciando gran parte dei dialoghi
all’improvvisazione dei due personaggi reali. Anche la regia, che ricalca lo stile documentaristico, si
affida alla praticità e maneggevolezza di una piccola video camera digitale e all’assenza di
illuminazione artificiale, rinunciando per scelta etica a qualsiasi estetica. Lo spettatore si identifica così
perfettamente nella sofferenza e fatica dei due giovani protagonisti, i cui volti rimarranno scolpiti a
lungo nella memoria. Il progetto originale del film risale al giugno del 2000, quando cinquantotto
clandestini cinesi persero la vita stipati in un camion che li avrebbe portati all’estero. Ma neanche i
tragici avvenimenti dell’11 settembre hanno fermato il regista e forse gli hanno offerto una motivazione
in più a realizzare questo bel film. Il suo desiderio dichiarato è mostrare le condizioni di non vita di
milioni di persone, non solo chi è perseguitato politicamente e che è oggetto di un trattamento più
morbido da parte delle autorità occidentali, ma soprattutto chi è spinto dalla miseria e dall’assenza di
prospettive a cercare la fortuna all’estero.
L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica a fronte di una migrazione di popoli che ha assunto
ormai dimensioni epocali e che non potrà non avere ripercussioni sulla vita di ognuno di noi.
(Mariella Minna in “Centraldocinema” on line)
Lo sguardo senza metafora
Cose di questo mondo non è un documentario in senso stretto, appartiene di più al filone del cinema
semidocumentario, quello che in Francia sta vivendo una vera e propria età dell’oro. Il film di
Winterbottom non è certamente un film perfetto. Prima di tutto perché non è un film, come detto, e non
raggiunge il risultato estetico che ci si aspetterebbe da un film, ma soprattutto perché non contiene
quella riflessione sul cinema che sembra esser diventata la condizione necessaria e sufficiente per
rendere il cinema semidocumentario "digeribile" al pubblico, ma soprattutto alla critica occidentale. Ma
se non c’è più la metafora, rimane comunque uno sguardo, quello di Winterbottom, che ha il coraggio
di raccontare una parte della realtà meno (ri)conosciuta di questo mondo, che accade adesso (non
trent’anni fa come nel precedente vincitore della berlinese, Paul Greengrass con Bloody Sunday), e che
vuole impegnare le coscienze e gli sguardi di un pubblico occidentale che troppo spesso, questa sì è
ipocrisia, vuole ostinarsi a pensare e vedere quello che non ha sotto gli occhi attraverso una
mistificazione che ha nel registro grottesco e nei contenuti del kitsch (East is East, Jalla Jalla) la sua
essenza più genuinamente globalizzante. Da donare alla vista, perché il fine (l’impegno civile) a volte
deve fare a meno dei mezzi (le forme patinate), per farsi documento (se non monumento) dei tempi.
(Massimiliano Troni in “Centraldocinema” on line)
Con In This World Winterbottom sembra vada a cercare il già noto, da tempo divenuto vulgata, sui
viaggi aberranti a cui è costretta larga parte della popolazione mondiale per venirsi a riprendere l'80%
della ricchezza nei pochi feudi che se la spartiscono. Sceglie due non-attori a cui non lascia altra libertà
espressiva se non di essere quello che lui ha deciso che siano, fornisce di tanto intanto dati scritti che
puntualmente le immagini cercano di confermare nelle sequenze successive (clamoroso quando, dopo
aver annunciato la cifra dei deceduti durante i viaggi, Enayat muore). Da Peshawar a Londra, passando
per Iran, Turchia, Italia e Francia non si vede nulla; girando in digitale Winterbottom ha accumulato più
di duecento ore di girato e, nella foga di far vedere tutto, trita le immagini in un montaggio infernale da
videoclip, agendo sul lato emozionale (monocorde: tragico) per dare il senso della durata (di un tragitto
che trova lo scarto maggiore dalla nostra esistenza proprio nella forzata lunghezza e "fisicità
dell'attraversamento").
(Fulvio Baglivi, “Sentieri selvaggi”, 8/4/2003)
L'AUTORE
Insieme a Ken Loak e a Mike Leigh, tra i registi inglesi più apprezzati da pubblico e critica, Michael
Winterbottom (1961) attraversa negli anni tutti i generi del cinema, dalle pellicole drammatiche,
politicamente impegnate, a film-documentari sulla globalizzazione. A partire dal 1994, anno del suo
debutto alla regia cinematografica, quasi tutti i suoi film hanno partecipato al Festival di Venezia , di
Berlino o di Cannes, vincendo premi e segnalazioni importanti. Ricordiamo alcuni titoli come Jude
(1996), Benvenuti a Sarajevo, ispirato ad un fatto di cronaca accaduto durante la guerra nella exJugoslavia, Wonderland, che racconta le vicende di una coppia senza amore nella periferia londinese
durante un lungo weekend, Le bianche tracce della vita, tratto ancora da Thomas Hardy, sullo sfondo di
un paese della Sierra Nevada nel periodo della corsa all'oro e 24 Hour Party People in concorso al
Festival di Cannes 2002. Seguono Cose di questo mondo, il fantascientifico Codice 46 per poi tornare alla
politica con The Road to Guantanamo (Orso d'Oro a Berlino come miglior regista).
Forse il miglior film è uno degli ultimi A Mighty Heart – Un cuore grande (2007) con Angelina Jolie, storia
della moglie gravida di Daniel Pearl, giornalista ebreo del Wall Street Journal che il 23 gennaio 2002,
cade nella trappola di un movimento integralista musulmano.

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