Agenzie di Rating: verso un nuovo assetto?

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Agenzie di Rating: verso un nuovo assetto?
RIVISTA BANCARIA
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MINERVA BANCARIA
ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA «FRANCESCO PARRILLO»
Gennaio-Febbraio 2010
Tariffa Regime Libero:-Poste Italiane S.p.a.-Spedizione in abbonamento Postale-70%-DCB Roma
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RIVISTA BANCARIA
MINERVA BANCARIA
ANNO LXVI (NUOVA SERIE)
GENNAIO-FEBBRAIO 2010 N. 1
SOMMARIO
G. FERRI
Agenzie di Rating: verso un nuovo assetto?
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L’evoluzione dal distretto industriale alle rete d’impresa.
Problematiche finanziarie connesse al sistema moda (Mario Cataldo)
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73
Bankpedia: Nuove voci pubblicate
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Saggi
G. HUBERMAN
Is the Price of Money Managers Too Low?
D. CURCIO
Bank loan pricing issues under Basel II:
I. GIANFRANCESCO a multi-period risk-adjusted methodology
Rubriche
Recensioni
A. Dell’Atti (a cura di)
I principi contabili internazionali nell’economia
e nei bilanci delle banche (P. Dacrema)
»
99
G. Michelagnoli
Amintore Fanfani. Dal corporativismo
al neovolontarismo statunitense (O. Ottonelli)
»
101
Abstract/Sintesi
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103
Presidente del Comitato Scientifico: Giorgio Di Giorgio
Direttore Responsabile: Giovanni Parrillo
Comitato di redazione: Eloisa Campioni - Mario Cataldo - Domenico Curcio - Vincenzo
Formisano - Pina Murè - Giovanni Scanagatta - Giovanpietro Scotto di Carlo
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ISSN: 1594-7556
Econ.Lit
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Editoriale
AGENZIE DI RATING: VERSO UN NUOVO ASSETTO?
Le agenzie di rating – settore dominato dalle americane Moody’s, S&P’s e
Fitch – sono da sempre croce e delizia dei mercati finanziari. Se, da un lato,
forniscono una guida agli investitori nella scelta degli investimenti, dall’altro le agenzie offrono agli emittenti uno strumento per raggiungere più facilmente la cerchia degli investitori secondo il loro profilo di rischio. Ciò le rende uno snodo centrale del sistema finanziario.
I rating sintetizzano una serie di informazioni economico-finanziarie in
un semplice indice alfa-numerico – da AAA a CCC o D – che dà un giudizio
complessivo su solidità e solvibilità di chi emette titoli. Se è facile capire la scala dei rating, non altrettanto vale per l’attribuzione del rating, ovvero cosa influenzi, in effetti, la solidità finanziaria di una società ed in che modo. Per non
dimenticare il problema più grande: spesso il rating non corrisponde al vero
stato di salute dell’emittente.
Puntualmente, ad ogni bufera finanziaria le agenzie finiscono sul banco degli imputati. Ma quanta responsabilità hanno effettivamente1?
Troppo spesso, a giudizio di molti, le agenzie hanno rivisto al ribasso troppo
tardi i rating di emittenti importanti e poi, quando lo hanno fatto, hanno magari calcato eccessivamente la mano – si ricordi per tutti il caso della crisi asiatica nel 1997-1998 – aggravando così la pro-ciclicità dei flussi di capitale.
Uno dei punti chiave è che alcuni emittenti possono avere una forza contrattuale tale da forzare l’emissione di un determinato rating (inflazionato)
piuttosto che di un altro.
È evidente che in vari casi le agenzie hanno avuto qualche responsabilità nei
crack finanziari. Spesso nonostante le avvisaglie di problematiche hanno
abbassato il rating troppo tardi.
1 Per una trattazione recente del ruolo e delle problematicità si rimanda a G. Ferri e P. Lacitignola (2009), Le agenzie di rating tra crisi e rilancio della finanza globale, Bologna, il Mulino.
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Un noto esempio è quello di Enron; già da maggio 2001 circolavano chiari
segnali negativi sull’impresa, ma le agenzie abbassarono il rating solo a dicembre, quattro giorni prima del suo fallimento. Un altro esempio a noi più vicino è Parmalat. La società fino al giorno del default (8 dicembre 2002) aveva un rating (investment grade) BBB- di indubbio rispetto, per poi crollare nel giro di 24 ore a un rating CC.
Si dirà che nei mega-fallimenti societari del 2001-2002 il tratto comune fu il
coinvolgimento di alcune società di certificazione dei bilanci conniventi
con cricche aziendali spregiudicate a danno degli investitori. Non a caso, la
società di certificazione che aveva assistito Enron fu smembrata e il SarbanesOxley Act introdusse una regolamentazione stringente delle società di auditing, segmentandone la consulenza dalla certificazione, laddove era parso evidente che la commistione di queste due attività fosse stata all’origine dei
conflitti di interesse che avevano aperto la strada ai comportamenti devianti. Allora in molti pensarono che anche le agenzie di rating avrebbero dovuto saperne di più e agire prima e, infatti, il Sarbanes-Oxley Act diede mandato alla SEC di valutare come rivedere la regolamentazione delle agenzie.
Però non se ne fece di nulla. E così, pur con qualche limitata apertura, continuò a sopravvivere presso la SEC la lista delle Nationally Recognized Statistical Rating Organizations (NRSRO) – rimasta bloccata alle sole principali agenzie dalla sua istituzione nel 1975 – conferendo, di fatto, alle grandi agenzie una sorta di licenza regolamentare.
Per di più, il ruolo delle agenzie è stato fortemente potenziato su scala globale dall’uso che, nonostante gli ammonimenti alla cautela avanzati da varie
parti, Basilea 2 ha fatto dei loro rating.
Ma è stata la percezione del loro coinvolgimento nel piazzare su scala globale i c.d. “titoli tossici” legati ai mutui subprime che ha riportato le agenzie di
rating nell’occhio del ciclone, con la recente crisi culminata con il fallimento di Lehman Brothers a settembre 2008, laddove le agenzie avevano prima elargito rating piuttosto elevati su quei titoli e poi, con lo scoppio della crisi, li avevano declassati in massa di vari livelli. In effetti, in molte emissioni di finanza strutturata le agenzie avevano avuto sia la funzione di consulenza che di assegnazione del rating: ovvero esse determinavano le caratteristiche che lo strumento di debito doveva avere per ottenere un dato rating
ed al tempo stesso attribuivano il rating a quello stesso strumento. A tal
proposito, vari osservatori sospettano che l’inerente conflitto di interessi
abbia giocato un ruolo centrale nello spiegare come da un portafoglio di qua4
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lità media B+ sia stato possibile ottenere circa il 70% di tranche CDO
valutate AAA2.
Ogni volta che venivano additate, le agenzie si sono sottratte a ogni responsabilità schernendosi dietro la libertà di espressione sancita dal primo emendamento della Costituzione USA. Ma è evidente che, data la portata degli effetti connessi al loro comportamento, vi è un limite a questo loro status di irresponsabilità.
Uno degli strali più recenti contro le agenzie è partito in Italia, ove un gruppo di risparmiatori ha avviato la prima causa collettiva contro S&P’s, chiedendo di essere risarciti del capitale investito in titoli Lehman Brothers. I risparmiatori – acquirenti di obbligazioni emesse da Lehman o di polizze assicurative a valere su di essa – hanno chiesto al Tribunale di accertare la responsabilità di S&P’s per aver diffuso e pubblicizzato informazioni errate sulla solvibilità di Lehman violando i principi e le norme di condotta a cui era
tenuta. La tesi proposta è che S&P’s abbia concorso in modo determinante al
danno dei risparmiatori, prima inducendoli all’acquisto per l’affidamento e
la convinzione che i prodotti finanziari Lehman fossero titoli sicuri ed affidabili – in quanto assistiti da un rating molto positivo ed accreditato – e poi,
omettendo di fornire tempestivamente al mercato notizie vere ed esatte sulla reale solvibilità di Lehman, inducendoli a mantenere serenamente in
portafoglio i titoli acquistati. Naturalmente, è immaginabile che S&P’s potrà
ragionevolmente obiettare che quasi nessuno riteneva che Lehman potesse fallire.
Lasciando al giudice italiano di dirimere il caso specifico, va notato che il vento sembra essere cambiato anche negli USA, dove un giudice del distretto Sud
di New York, lo scorso anno, ha sentenziato che ormai non è più ammissibile che le agenzie richiamino a loro discolpa il primo emendamento della
Costituzione quando i rating vengono emessi su prodotti finanziari complessi, che non sono rivolti alla generalità del pubblico ma ad una ristretta cerchia
di investitori qualificati. Ma è ancora troppo presto per dire se il ricorso al primo emendamento sia stato definitivamente accantonato. Inoltre, è evidente
che la questione, data la molteplicità di interessi economico-finanziari coinvolti, non può essere lasciata solo in mano ai giudici ed alle class actions degli investitori sempre più inviperiti.
2 Cfr. Benmelech, E. e Dlugosz, J. (2009), “The Alchemy of CDO Credit Ratings”, Journal of Monetary Economics, Carnegie-Rochester Conference, vol. 56, no. 5.
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GIOVANNI FERRI
Nondimeno emblematica del comportamento a volte censurabile delle agenzie è la testimonianza di Eric Kolchinsky, un ex dirigente di Moody’s, che sospetta l’agenzia abbia attribuito rating troppo ottimisti ad alcuni titoli. Infatti, a suo avviso, nel gennaio 2009, Moody's ha dato un generoso rating a un titolo di finanza strutturata molto complesso, già sapendo di doverlo rivedere
presto al ribasso, come in effetti poi verificatosi. A luglio Kolchinsky ha scritto ai suoi superiori per denunciare questo comportamento, ma le sue rimostranze non sono state prese in considerazione, anzi Kolchinsky è stato sospeso dal lavoro perché, a detta di Moody’s, avrebbe rifiutato di cooperare con alcune inchieste interne.
Dopo la debacle della finanza strutturata i governi – specie quello USA – hanno preso seriamente in considerazione la necessità di una regolamentazione
delle agenzie di rating al fine di indurle ad un comportamento più responsabile. Ma resta il problema di fondo: come assicurare la responsabilità delle
agenzie senza pregiudicarne l’indipendenza? Da un lato, infatti, depotenziare i rating potrebbe tradursi in un impoverimento informativo per gli investitori e, perciò, in un peggioramento del funzionamento dei mercati finanziari. Dall’altro, però, seppure non paia appetibile la proposta, avanzata da
alcuni, di affidare l’emissione dei rating a organismi pubblici – alla luce
delle potenziali distorsioni di altra natura che ciò potrebbe ingenerare – non
sembra neanche desiderabile lasciare le agenzie dominanti al riparo congiunto della licenza regolamentare NRSRO e del ricorso al primo emendamento, che rischiano di rendere inoperante il meccanismo della reputazione.
Quindi non è da escludere che la via di una regolamentazione non eccessivamente invadente possa essere quella giusta. In particolare, questa regolamentazione dovrebbe, tra l’altro, mirare a: i) eliminare le situazioni di potenziale conflitto di interessi, separando consulenza e assegnazione dei rating e
favorendo il ripristino del pagamento delle commissioni in capo agli investitori piuttosto che agli emittenti; ii) ridurre le possibilità di rating shopping,
all’origine dell’inflazione dei rating; iii) generare una situazione di maggiore trasparenza, in modo da favorire il meccanismo della reputazione.
Giovanni Ferri
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EDITORIALE