A Torino e in Canavese nessun capo, non si fidano

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A Torino e in Canavese nessun capo, non si fidano
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Dossier ‘ndrangheta
L’inchiesta
La maxi operazione,
denominata “il Crimine”, è scattata all’alba
del 13 luglio scorso.
Ha visto impegnati tremila uomini, tra carabinieri e poliziotti, ed
ha colpito le più importanti famiglie della
‘ndrangheta delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e
Crotone, oltre alle loro
proiezioni extraregionali ed estere.
L'inchiesta condotta
dalle Procure distrettuali di Reggio Calabria (dal procuratore
Giuseppe Pignatone, ndr), e Milano (dal procuratore aggiunto Ilda
Bocassini, ndr) ha portato a 304 arresti: 120
disposti dalla magistratura reggina, gli altri
da quella milanese. Le
accuse vanno dall'associazione di tipo mafioso al traffico di armi e
stupefacenti, dall'omicidio all' estorsione,
dall'usura ad altri gravi
reati.
Le indagini contro la
'ndrangheta hanno
“...documentato tecnicamente - sottolineano
gli investigatori - come
le cosche della provincia
di Reggio Calabria costituiscano il centro
propulsore delle iniziative dell'intera organizzazione mafiosa, nonché
il punto di riferimento
di tutte le proiezioni extraregionali, nazionali
ed estere”. La 'ndrangheta, infatti, “dopo un
lento processo evolutivo, già delineato da alcuni collaboratori di
giustizia nei primi anni
'90, ha ormai raggiunto
una nuova configurazione organizzativa, in
grado di coordinare le iniziative criminali delle
singole articolazioni, soprattutto nei settori del
narcotraffico internazionale e dell'infiltrazione negli appalti pubblici”.
Il “centro di coordinamento” di tutte queste
iniziative è appunto costituito dalle cosche di
Reggio. E a capo c’è
Domenico Oppedisano, 80 anni, di Rosarno, don Micu, considerato il numero uno,
finito in carcere insie-
LE COSCHE
“DESTRUTTURATE”
Le più importanti cosche egemoni destrutturate sono:
Operazione
il “Crimine”
me ai figli Michele e
Raffaele. E’ toccato a
lui, a questo vecchio
"saggio" che ha amici
un po' dovunque in Calabria prendere il bastone del comando di
una ‘ndrangheta ormai è strutturata e organizzata come Cosa
nostra.
Girando tra le vie e le
piazze di Rosarno, il
nome “don Micu” lo
conoscono tutti, anche
le pietre, e non perché
assunto agli onori della
cronaca. Anzi, di lui
non c'é traccia di imputazioni negli ultimi
40 anni e forse anche
di più. A Rosarno si conoscevano, infatti, i Pesce e i Bellocco, che
non solo qui controllano l'economia, le estorsioni, gli appalti pubblici e il mercato della
droga.
Si conosceva la potenza degli Alvaro di Sinopoli, per non parlare di
quella delle cosche di
San Luca in Aspromonte. Cosa diversa rispetto a don Mico Op-
I RETROSCENA DELLA MAXI-OPERAZIONE
Negli incontri di Polsi i battesimi
dei nuovi affiliati e l’investitura
del capocrimine “don Micu”
Ci sarebbe una copiosa documentazione, costituita anche
da riprese videofilmate, alla base dell’imponente operazione contro la ‘ndrangheta. Addirittura si parla di 40 incontri avvenuti nei
pressi del Santuario
di Polsi video filmati
dagli investigatori
dell’Arma.
Gli inquirenti, in
particolare, avrebbero documentato rapporti ed interessi, ricostruendo il tessuto
connettivo su cui o-
pera la mafia calabrese.
Oltre a delitti di varia natura, tra cui episodi di usura, estorsione ed intimidazione, gli inquirenti avrebbero individuato i canali di riciclaggio dei capitali
della ‘ndrangheta in
attività apparentemente “pulite” esercitate in Calabria e
nel Nord del Paese.
Gli investigatori hanno scoperto anche
l’attuale organigramma del vertice della
‘ndrangheta: capocri-
mine Domenico Oppedisano; capo società, Antonino Latella (già arrestato);
mastro generale Bruno Gioffrè. Oppedisano, sottolineano gli
investigatori, che è
nato e viveva a Rosarno, appartiene al
mandamento ‘Tirrenico’, Latella a quello
del ‘Centro’, e Gioffre’ a quello ‘Jonico’.
Gli investigatori fanno notare come i tre
ruoli apicali sono
stati equamente divisi per ogni mandamento.
I Pelle di San Luca, i
Commisso di Siderno,
gli Acquino-Coluccio
ed i Mazzaferro di
Gioiosa Ionica, i Pesce-Bellocco e gli Oppedisano di Rosarno,
gli Alvaro di Sinopoli, i
Longo di Polistena, gli
Iamonte di Melito
Porto Salvo.
pedisano, che invece è
rimasto sempre appartato, quasi come un
“sacerdote” delle vecchie regole e dei vecchi
codici. Eppure aveva
in mano un’organizzazione criminali estesa
in Calabria, in Lombardia, in Liguria, in
Piemonte e persino
all’estero...
La 'ndrangheta ha ormai una struttura verticistica e tutti gli affiliati, sia che operino in
altre regioni, sia che si
trovino all'estero, dipendono gerarchicamente dalle cosche
della provincia di Reggio Calabria. La
'ndrangheta non ha
piu una struttura familistica, ma si e' organizzata sul modello
di Cosa nostra siciliana.
ORGANIGRAMMA
DELLA ‘NDRANGHETA
CAPOCRIMINE:
Domenico Oppedisano
CAPO SOCIETÀ:
Antonino Latella
MASTRO GENERALE:
Bruno Gioffrè
La nomina di Oppedisano sarebbe divenuta effettiva il 1 settembre 2009 a mezzogiorno in punto, al
Santuario di Polsi
durante le celebrazioni per la festa della Madonna della
Montagna.
Secondo gli investigatori, Oppedisano è
”punto di riferimento dell’intera orga-
nizzazione” e “fautore di una politica pacifista all’interno dell’organizzazione”,
chiamato in causa
per la ”risoluzione di
controversie” sorte
nell’ambito della criminalità organizzata
per la spartizione di
appalti, anche al
nord, sia per le liti
tra ‘locali’ anche all’estero”.
I numeri del “Crimine”
2
Sono le Procure che hanno lavorato
all’operazione: quella di Reggio Calabria e quella di Milano.
304
Sono i provvedimenti restrittivi - tra
fermi di indiziato di reato e ordinanze
di custodia cautelare - emessi dalle autorità giudiziarie.
2.600
Sono le pagine che compongono l’ordinanza, divisa in 4 volumi, del gip di
Milano e Reggio Calabria.
3.000
Gli uomini, tra carabinieri e polizia,
impegnati nella maxi operazione.
500
Sono i milioni di euro che costituiscono il fatturato di ‘ndrangheta spa nelle
attività criminali nel nord del Paese.
DALL’INCHIESTA Dal fascicolo della Procura di Reggio emerge come qui non ci fosse un organismo di controllo delle 9 “locali”
A Torino e in Canavese nessun capo, non si fidano
TORINO - L’operazione “il Crimine” ha scoperchiato “la cupola” torinese della ‘ndrangheta
e ha portato all’arresto dei boss
della loalle struttura di comando. In manette sono finiti: Francesco D’Onofrio, calabrese, elemento di spicco che comandava le ’ndrine che agiscono a Torino e in provincia, i fratelli Giovanni e Giuseppe Catalano, sorpresi nelle loro abitazioni di Orbassano e Volvera, Carmelo Cataldo, Michele Correale e Francesco Tamburi.
Accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso e di
traffici illeciti di varia natura:
armi, droga, riciclaggio, usura, i
sei della “cupola” riferivano direttamente al “boss dei boss”,
Domenico Oppedisano.
A Torino le indagini proseguono e quelli che finora sono so-
spetti, potrebbero trasformarsi
in prove tali da scoperchiare
contiguità e complicità tra il
mondo degli affari e la mafia.
La situazione del Piemonte è
molto differente rispetto a quella delle altre regioni in cui la ‘ndrangheta si è radicata.
Le investigazioni effettuate dal
commissariato di Siderno, su
delega della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno confermato l’esistenza di “camere di
controllo” - che hanno la funzione di controllo delle dinamiche
criminali territoriali e vengono
autorizzate dal “Crimine di Polsi” - in Liguria e in Lombardia,
mentre in Piemonte, e in particolare nella zona di Torino, tale
organismo non è stato istituito
il che, a parere di alcuni associati, sarebbe fonte di maggiori
problemi di organizzazione.
In Piemonte, dunque, non essendo stata istituita la “camera
di controllo”, il collegamento è
assicurato dai rapporti diretti
tra gli elementi di spicco dell’organizzazione operante nel nord
Italia ed esponenti di spicco del
“Crimine” o della “Provincia”,
vertici dell’organizzazione calabrese.
Nelle oltre 2.600 pagine dell’ordinanza del gip di Reggio Calabria, i problemi legati agli delle
“nove locali” presenti nella nostra regione emergono chiaramente.
Scomparso Pasquale Marando,
la “locale” piemontese ha segnato il “passo”. E non solo per
la maxi operazione di carabinieri e polizia, ma anche perché
il “boss dei boss” Domenico
Oppedisano, ad esclusione di
un vecchio amico astigiano
(Rocco Zangrà) non si è mai fidato della cupola calabrese in
Piemonte.
I fratelli Giuseppe e Giovanni
Catalano, residenti a Volvera e
Orbassano, intercettati in centinaia di conversazioni, parlano a
ruota libera e chiedono la costituzione di «una camera di controllo per il Piemonte». Una specie di consiglio di amministrazione di ’ndrangheta spa al quale dovrebbero partecipare i rappresentanti di tutte le famiglie:
“In Lombardia l’hanno fatta, anche in Liguria. Perché qui no?”.
Dalla Calabria si tergiversa e la
cosa va per le lunghe. Ciò che
preoccupa Oppedisano è il basso profilo criminale “dei compari di sù”. Insomma, gentaglia
che che non riesce a mettere in
piedi un “business come si deve
e che renda un po’”. I piemontesi quando si mettono nella droga vengono presi quasi subito,
non riescono neppure a “tenere
in pugno un politico” e vogliono
pure comandare.
Così, più o meno, la pensa Oppedisano che non darà mai il
via libera alla “camera di controllo”.
Allora gli ‘ndranghetisti si arrangiano come possono e puntano tutto, forse troppo, sul pizzo. Si presentano spavaldi nei
locali, offrono protezione e
chiedono soldi. Mettono in piedi truffe o furti, spesso alla maniera dei peggiori ladruncoli.
Insomma, vivono così. Per farsi
belli cercano di ricostituire le
“locali” di Rivoli, Moncalieri e
Chivasso ma le vecchie famiglie
di ’ndrangheta - ormai decimate dai numerosi blitz delle forze
dell’ordine -, non si presentano
alle riunioni. I sei uomini d’oro
vengono ripetutamente snobbati, sia dai boss in Calabria, sia
dai capi clan torinesi.
Questo il quadro: “forse ancora
più inquietante - confida un investigatore -. Non ci sarà la benedizione del ‘Crimine’ ma queste ‘cellule’, troppo autonome,
possono impazzire da un momento all’altro e una sanguinosa
“guerra di mafia” a Torino e provincia non è un’ipotesi buttata
in aria, tutt’altro”.