Prof. Mons. Giulio Viviani
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Prof. Mons. Giulio Viviani
LA FIGURA DEL VESCOVO COME APPARE DAL RITO DI ORDINAZIONE A cura di don Giulio Viviani – marzo 2016 L’odierno Rito dell’Ordinazione di un Vescovo1, nei suoi Praenotanda, nell’eucologia e nei vari segni, contiene gli elementi essenziali per tratteggiare e definire l’identità del Vescovo nella Chiesa cattolica di rito latino (o romano). Occorre attenzione all’uso dei termini oggi codificato nei libri liturgici, dove non si usa normalmente il termine generico di consacrazione ma di: Ordinazione (per una persona che diventa diacono, presbitero, vescovo); Consacrazione (per una persona nel Battesimo; nella professione religiosa; per l’Ordo Virginum); Dedicazione (per una chiesa, un altare); Istituzione (per una persona che riceve uno dei ministeri: lettore, accolito, ministro straordinario della Santa Comunione). Nel rito dell’ordinazione episcopale il termine consacrare è rimasto nelle invocazioni litaniche dei tre gradi. Ricordiamo che anche in questo caso per la validità del Sacramento ci vuole prima di tutto la persona umana che lo riceve, in questo caso il sacerdote! Non va poi dimenticata l’azione dello Spirito Santo: è lui che “ordina”, che consacra! Non è solo l’eucologia redatta, scritta e codificata a documentare le modalità rituali di una celebrazione liturgica con i suoi testi e i segni, con le sue vesti e le suppellettili nel trascorrere dei secoli e nelle diverse regioni della terra. Spesso ci aiutano in questa analisi storica ed etnica le innumerevoli raffigurazioni artistiche: dagli affreschi alle tele, dai mosaici alle statue, dalle miniature dei codici alle stampe (ad esempio l’affresco usato per l’annuncio dell’Ordinazione di Mons. Tisi dagli affreschi della chiesa di San Vigilio in Pinzolo di Simone Baschenis -1539; o anche i preziosi ricami del vescovo di Trento Giorgio di Lichtenstein -1390/1419 conservati nel Museo Diocesano). Ma anche, appunto, le opere, di quella così ingiustamente definita arte minore e forse spesso più autentica, esplicita e precisa, contribuiscono a fare la storia della celebrazione liturgica. Basti pensare non solo alle diverse suppellettili “sacre”, come calici, patene, pissidi, ampolle, lavabi, croci e candelieri, turiboli e navicelle, ma anche le vesti liturgiche o più modeste tovaglie e altri accessori (copri calici e buste), che non solo nella loro funzionalità ma anche nel loro ornamento, fatto di ricami e disegni, di incisioni e bassorilievi, ecc., spesso testimoniano e registrano con le loro decorazioni scene e modalità celebrative di un periodo ben determinato. Certamente tali opere d’arte documentano la ritualità, i gusti e lo stile del tempo in cui vengono eseguiti e non quelli dell’epoca a cui fanno riferimento o del Santo che rappresentano. Tutti conoscono scene della vita di Cristo o episodi evangelici rappresentati con costumi e scenari di ben altre epoche storiche e di diverse regioni geografiche. Due segni, tipici dell’identità e del ministero del vescovo, sono evidenti in queste opere: il pastorale e la mitra, pronti per la consegna. Sono le due insegne che ancor oggi popolarmente identificano la figura di un vescovo quando celebra i divini misteri e amministra i sacramenti De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, Pontificale Romanum ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II renovatum Auctoritate Pauli PP. VI editum Ioannis Paili PP. II cura recognitum, editio typica altera, Libreria Editrice Vaticana, MCMXC. CEI, Pontificale Romano, Ordinazione del Vescovo dei presbiteri e del diacono, Roma 1979¹- 1992². 1 1 *** Il testo più antico, a noi giunto, che descrive un’ordinazione episcopale, è quello della Traditio Apostolica di Ippolito, redatta nei primi decenni del III secolo. L’antico codice contiene solo pochi accenni rituali ma presenta già la triplice distinzione dell’ordine sacro nel ministero di vescovo, presbitero e diacono, con tre distinte celebrazioni liturgiche per conferire i tre gradi dell’ordine. Evidenzia, inoltre, come tale rito abbia sempre come celebrante il vescovo, si compia nella celebrazione della Santa Eucaristia e preveda le due componenti essenziali per ogni ordinazione: l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria. Il testo della grande preghiera di ordinazione riportata da Ippolito è più una proposta che una formula fissa e obbligatoria. Nel Pontificale romano odierno tale orazione è diventata il testo ufficiale per l’ordinazione di un vescovo. Nello stesso contesto la Traditio riporta anche fondamentalmente il testo di quella che noi oggi comunemente chiamiamo la II preghiera eucaristica dell’attuale Messale Romano. Già nei segni indicati da Ippolito romano si evidenziano, in particolare per l’ordinazione episcopale, alcuni elementi tipici e fondamentali per questo rito: il giorno di domenica, l’assemblea dei fedeli riunita, la presenza di più Vescovi (i soli che impongono le mani), il gesto apostolico e cristologico dell’imposizione delle mani, la preghiera silenziosa di tutti i presenti, sacerdoti e fedeli, e il segno di pace con tutti i presenti, quale accoglienza e riconoscimento da parte della comunità. Nei secoli seguenti con influenze orientali e occidentali (prima ispaniche e poi gallicane e germaniche) il rito di ordinazione episcopale della Chiesa latina o romana si arricchirà di tanti segni e testi legati a diverse tradizioni e all’identificazione della figura e del ruolo del vescovo con quella di un dignitario imperiale o comunque di rango. Dai Sacramentari e dagli Ordines romani, tanto essenziali e scarni, sulla linea della Tradito apostolica, si arriverà ad una simbologia che diventerà talmente esagerata e allegorica da oscurare persino il segno essenziale dell’imposizione della mani, che però rimarrà sempre insieme con l’orazione consacratoria (che pur conoscerà testi diversi) il momento peculiare e tradizionale del rito. Tali modalità, sviluppatesi nei secoli seguenti, consolidate intorno all’anno 1000 e ratificate poi dal Concilio di Trento, sono praticamente giunte fino a noi, pur con qualche modifica e sistemazione, anche dopo la riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II. Il rito è documentato dal vescovo Guglielmo Durando (+1296), redattore del Pontificale romano, che poi, complessivamente rielaborato e approvato dal Concilio di Trento, è arrivato fino agli anni ‘60 del secolo scorso ed è quindi servito per le ordinazioni episcopali di circa un millennio. Esso prevedeva, pur con qualche piccola variante o spostamento avvenuti nel corso dei secoli, la seguente scansione dei diversi sintagmi prima, durante e dopo la celebrazione dell’Eucaristia: la presentazione dell’Eletto, le interrogazioni (in certi casi un vero e proprio esame sulla scienza e la dottrina del candidato) e gli impegni (anche con la professione di fede), il canto delle litanie dei Santi con la prostrazione a terra (non solo dell’eletto ma anche dei celebranti), il gesto dell’imposizione delle mani (da parte dei Vescovi presenti: almeno tre) e del libro dei Vangeli sopra il capo dell’Eletto, la preghiera consacratoria, l’unzione con il sacro crisma, la consegna dell’Evangeliario, dell’anello e del pastorale e infine, al termine, la consegna della mitra e dei guanti, l’insediamento sulla cattedra e l’abbraccio di pace con i vescovi 2 presenti, quale accoglienza nel collegio episcopale. Una vera profusione di simboli atti a indicare ma anche a trasmettere un ministero da esercitare in nome di Cristo e in comunione con la Chiesa. Il linguaggio non verbale si avvale di gesti e segni molto chiari ed evidenti, accompagnati anche da formule esplicative che normalmente fanno riferimenti a testi biblici. L’unzione con il sacro olio del crisma, oggi prevista solo sul capo (sulla testa) del Vescovo (e non sulla fronte come nel caso della confermazione!), era allora anche sulle mani (e sui pollici!) a ripetere quella dell’ordinazione presbiterale (retaggio forse di quando il candidato passava direttamente dall’ordine diaconale a quello episcopale). Seguivano e seguono anche oggi quelle che il rito antico definiva traditio instrumentorum e oggi riti esplicativi, la consegna delle insegne e degli “strumenti” del ministero episcopale: il Libro dei Vangeli, l’anello, il bastone pastorale e la mitra. Sono questi in pratica i segni che oggi, come allora, identificano immediatamente per il popolo di Dio la presenza e la funzione del vescovo con il compito e l’autorità degli apostoli, come sommo sacerdote dei divini misteri e pastore di una porzione del gregge di Cristo. *** Anzitutto le Premesse (i famosi Praenotanda) del Rituale, introdotte dalla Costituzione Apostolica di Papa Paolo VI (18 giugno 1968), ci parlano in generale dell’Ordine sacro e poi in particolare dell’ordinazione episcopale e del Vescovo stesso. Interessante poi la traccia (allegata) di omelia, il così detto canovaccio. Assai intrigante dal punto di vista del liturgista è il fatto che Papa Francesco, in occasione di ordinazioni episcopali e presbiterali abbia fatto uso degli schemi di omelia presentati nel rispettivo libro liturgico2. Testi che in genere i Vescovi ignorano del tutto! In alcuni casi egli si è limitato alla sola e semplice lettura del testo; in altre circostanze l’ha ampliata con i suoi commenti, frutto della sua esperienza pastorale delle sue intuizioni e della sua sapida capacità di provocare l’uditorio con stimoli arguti e profondi, veramente evangelici. Va doverosamente segnalato il testo dell’Orazione consacratoria, desunta dalla Traditio Apostolica di Ippolito, che ci offre il pensiero e la tradizione teologica che fin dai primi decenni del cristianesimo caratterizza la figura episcopale nella Chiesa: O Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre di misericordia e Dio di ogni consolazione, tu abiti nell’alto dei cieli e volgi lo sguardo su tutte le creature e le conosci ancor prima che esistano. Con la parola di salvezza hai dato norme di vita nella tua Chiesa: tu, dal principio, hai eletto Abramo come padre dei giusti, hai costituito capi e sacerdoti per non lasciare mai senza ministero il tuo santuario, e fin dall’origine del mondo hai voluto esser glorificato in coloro che hai scelto. Effondi ora sopra questo eletto la potenza che viene da te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida: tu lo hai dato al tuo diletto Figlio Gesù Cristo Si tratta della proposta di omelia del Rito dell’Ordinazione presbiterale ed episcopale, contenuta nell’apposita edizione del Pontificale Romano. Questo è accaduto in occasione delle Ordinazioni presbiterali dei Diaconi della Diocesi di Roma nelle domeniche 21 aprile 2013, 11 maggio 2014 e 26 aprile 2015 e almeno in due Ordinazioni episcopali (15 novembre 2013 e 30 maggio 2014). 2 3 ed egli lo ha trasmesso ai santi Apostoli, che nelle diverse parti della terra hanno fondato la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode perenne del tuo nome. O Padre, che conosci i segreti dei cuori, concedi a questo tuo servo, da te eletto all’episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio. Egli ti serva notte e giorno, per renderti sempre a noi propizio e per offrirti i doni della tua santa Chiesa. Con la forza dello Spirito del sommo sacerdozio abbia il potere di rimettere i peccati secondo il tuo mandato; disponga i ministeri della Chiesa secondo la tua volontà; sciolga ogni vincolo con l’autorità che hai dato agli Apostoli. Per la mansuetudine e la purezza di cuore sia offerta viva a te gradita per Cristo tuo Figlio. A te, o Padre, la gloria, la potenza, l’onore per Cristo con lo Spirito Santo, nella santa Chiesa, ora e nei secoli dei secoli. Molto si sarebbe da dire nel commento e nell’approfondimento di questo testo fondamentale. Oltre i testi, i segni3 parlano del Vescovo e lo identificano ancor oggi. Egli è anzitutto un “uomo di Chiesa”, nel senso non banale, ma come è garanzia di comunione. Già il fatto che per una valida ordinazione ci vogliano almeno tre Vescovi “parimenti consacranti” indica un aspetto non secondario di comunionalità propria dell’episcopato. Esso appare nel momento più solenne che è appunto quello dell’imposizione delle mani. Il segno più importante compiuto singolarmente da parte di tutti i Vescovi presenti: il gesto apostolico dell’imposizione delle mani sul capo del Vescovo eletto. Un segno che anche Gesù spesso faceva per benedire chi si accostava a lui: piccoli, peccatori, ammalati, ecc. che così facevano esperienza della grazia di Dio, del dono del suo Santo Spirito. Gesto di invocazione, di benedizione, di trasmissione di un dono che viene da Dio per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo: la potenza e la grazia dello Spirito Santo. Esso continua e si compie quindi con la grande preghiera di ordinazione, alla quale sia associano tutti i Vescovi che fanno corona all’Ordinante principale (anche con la parola nella “formula” essenziale). Questa viene proclamata mentre due diaconi reggono il Libro dei Vangeli aperto sopra la testa dell’Ordinando quasi a simboleggiare che attraverso quella parola annunciata e accolta entra in lui la potenza stessa di Gesù che passò facendo del bene. Il valore ecclesiale dell’evento appare anche dal fatto che esso avviene nel cuore della Messa, dopo il Vangelo, quando tutta l’assemblea convocata invoca lo Spirito Santo con il canto del Veni, creator Spiritus. Seguono, davanti a tutti i presenti, le esplicite dichiarazioni di impegno dell’Eletto che risponderà alle varie interrogazioni, dichiarandosi pronto ad adempiere fino alla morte il suo ministero, ad essere fedele e perseverante nell’annuncio del Vangelo e nel trasmettere le verità della fede, a mantenere viva la comunione con il Papa, Successore di Pietro, e con tutti i Vescovi; e infine farà una promessa di amore per il popolo a lui Si veda il capitolo IV del Cæremoniale Episcoporum, ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II instauratum Auctoritate Ioannis Pauli PP. II promulgatum, editio typica, Libreria Editrice Vaticana, MCMLXXXV; reimpressio emendata 2008. 3 4 affidato, per i suoi collaboratori, sacerdoti e diaconi, e di particolare attenzione ai poveri, ai bisognosi e ai lontani. Tutto verrà suggellato dalla volontà di pregare senza stancarsi esercitando così il suo primario compito di Successore degli Apostoli per la sua comunità e per la Chiesa intera. Anche il gesto tanto caratteristico delle ordinazioni, quando l’Eletto è prostrato a terra in segno di totale abbandono nelle mani del Signore, di profonda preghiera e di riconoscimento della propria povertà esprime una dimensione ecclesiale. In quel momento non basta neppure la preghiera di tutti i presenti ma si invoca anche l’intercessione dei Santi – soprattutto degli Apostoli – della Chiesa celeste che presso il Padre si unisce alla nostra implorazione perché non manchi il dono della sua grazia a colui che sta per essere ordinato Vescovo. Il valore ecclesiale si esprime anche nell’abbraccio di pace scambiato con gli altri Vescovi a suggello – ultimo gesto – del rito di ordinazione. Esso rappresenta e significa l’ingresso nel Collegio Episcopale che nel suo insieme subentra ai Dodici Apostoli. Non è fuori luogo ricordare ancora, al riguardo, che il Rito avviene con la partecipazione di tutta la comunità diocesana nelle sue varie articolazioni; come ci ricorda il Concilio: “Il Vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c'è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri” (SC, 41). Nel giorno dell’ordinazione episcopale esso appare più che mai vero4 anche nel momento finale del canto del Te, Deum, mentre il Vescovo acclamato percorre la sua “Chiesa” benedicendo. Egli è erede della messianicità e del profetismo nel segno dell’olio profumato del Crisma versato con abbondanza sul capo dell’eletto e nella consegna del Libro dei Vangeli che è stato posto anche sul suo capo durante l’orazione di ordinazione, con le due formule previste: - Dio, che ti ha fatto partecipe del sommo sacerdozio di Cristo, effonda su di te la sua mistica unzione e con l’abbondanza della sua benedizione dia fecondità al tuo ministero. - Ricevi il Vangelo e annunzia la parola di Dio con grandezza d’animo e dottrina. Egli appare nel suo ruolo di Pastore quando riceve il baculo (bastone) pastorale. Interessante che l’aggettivo sia diventato sostantivo (il pastorale) per presentare il gesto che forse più di ogni altro esprime la vera dimensione dell’episcopato: un Vescovo che incede, che presiede con il suo bastone pastorale. Ci vorrebbe Papa Francesco5 a spiegare chi è un Vescovo e quale è il suo ruolo Stranamente nel caso che un eletto Papa sia carente del carattere episcopale si prevede ancora nel Rituale e nella normativa che egli riceva l’ordinazione episcopale durante il Conclave con i soli Cardinali. Ben più senso avrebbe prevedere la che la Messa di Inizio del Ministero del Vescovo di Roma fosse anche quella della sua ordinazione episcopale. 5 Diego Fares, Il profumo del pastore. Il Vescovo nella visione di Papa Francesco, Milano 2015 4 5 davanti, in mezzo e dietro alla sua gente, al suo gregge, al suo popolo. La consegna6 è accompagnata dalle parole: - Ricevi il pastorale, segno del tuo ministero di pastore: abbi cura di tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo ti ha posto come Vescovo a reggere la Chiesa di Dio. Egli si presenta, inoltre, come lo “sposo” della Chiesa in generale e di quella Chiesa particolare che è la sua Diocesi, porzione del Popolo di Dio, nel segno dell’anello che lo lega per sempre alla comunità ecclesiale. Purtroppo non appare spesso nell’iconografia, o per lo meno non si riesce a intravvedere, l’anello episcopale, segno dell’unione del Vescovo con la Chiesa diocesana sua sposa, da amare anche nell’esperienza vitale della castità. Anticamente esso serviva anche come sigillo per autenticare i documenti vescovili (“Bolle”); in certi periodi esso conteneva anche una reliquia. Veniva per questo fatto baciare; un bacio che esprimeva anche venerazione (spesso nell’antica liturgia), sottomissione e obbedienza alla sua autorità. Esso viene oggi consegnato con la formula: - Ricevi l’anello, segno di fedeltà, e nell’integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo. Egli è chiamato a vivere in speciale comunione con il Romano Pontefice, segno e garante dell’unità della Chiesa universale. Una comunione particolare “cum e sub Petro”, come viene identificata nella consegna e lettura della Bolla di nomina e quindi espressa nelle interrogazioni/promesse all’inizio del rito di ordinazione. Nel caso del nostro Arcivescovo Metropolita questo viene indicato in modo ancor più evidente e forte dal segno del Pallio. Simbolo della dignità di Metropolita, esso è anche “tessera di unità” con il Vescovo di Roma. Un segno da rivalutare nel suo vero significato simbolico: intessuto di lana di agnello esso rappresenta la pecorella che il buon Pastore ha cercato e trovato e ora si carica sulle spalle con amore e tenerezza. Un simbolo che invita il Pastore anche a dare la sua vita per il gregge come ha fatto Cristo; e di questa sono memoria le cinque croci nere (rosse in alcune raffigurazioni, per indicare le piaghe di Cristo) e i tre spilloni che vengono conficcati nel Pallio (i chiodi della Croce; originariamente solo per tenerlo fermo). Il significato del Pallio, arcaica insegna episcopale confezionata con lana di agnelli, è illustrato da varie testimonianze dei Padri. Simeone di Tessalonica scrive: «Il Pallio indica il Salvatore che incontrandoci come la pecora perduta se la carica sulle spalle, e assumendo la nostra natura umana nell’Incarnazione, l’ha divinizzata; con la sua morte in croce ci ha offerto al Padre e con la risurrezione ci ha esaltato»7. Esso ricorda insieme, simmetrica al triplice rinnegamento la triplice Il pastorale che il Vescovo Lauro riceverà è quello storico, ricco e prestigioso che ha l’apparenza di un bastone fiorito, lo splendido pastorale (custodito nel Museo Diocesano e tutt’oggi usato dai vescovi di Trento) del Vescovo Giorgio Hack (1446 - 1465). 7 SIMONE DI TESSALONICA, De sacris ordinationibus 208, PG 155, 422; De divino templo 44, PG 155, 715. Cf. anche ISIDORO PELUSIANO, Epistola 1, 136: PG 78, 271 ; GERMANO DI COSTANTINOPOLI, Rerum ecclesiasticarum contemplatio: PG 98, 394. Cf. RABANO MAURO per il quale in modo peculiare al Sommo Pontefice si addice il Pallio «in cui è incisa la croce di colore rosso, perché indossandolo il Pontefice porti sul petto e dietro le spalle il segno della croce e nella sua mente abbia il pio e devoto ricordo della passione del Redentore, e al popolo per il quale prega il Signore ne mostri il segno» (De clericarum institutione: PL 107, 309). In Ordo Rituum pro Ministerii Petrini Initio Romæ Episcopi, Citta del Vaticano, 2005. 6 6 risposta amorosa alla richiesta fatta da Gesù risorto a Pietro di pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle. Egli incarna anche il ruolo dell’autorità nella Chiesa, il compito della rappresentatività istituzionale. Altro non trovo per indicare il ruolo della mitra; questo strano copricapo senza un significato chiaro e facilmente comprensibile (diversamente da pastorale e anello). Solo la II edizione del Pontificale Romano (1989) ha inventato una formula, che richiama addirittura la santità dell’eletto, per la consegna della mitra! Nella I edizione (1968) un silenzio eloquente accompagnava quel momento rituale. Per essere precisi occorre ricordare che nell’ordinazione del rito antico la mitra veniva consegnata solo alla fine della Messa insieme con i guanti (le chiroteche che nel rito attuale non vengono più consegnate e non sono più in uso), quasi come un’appendice. Ecco la formula odierna: - Ricevi la mitra e risplenda in te il fulgore della santità, perché quando apparirà il Principe dei pastori, tu possa meritare la incorruttibile corona di gloria. Egli è la guida e il servitore della sua Chiesa diocesana. Questo appare dal gesto più esplicito che non ha bisogno di parole: l’insediamento (la incathedratio!). Stranamente le Premesse non dicono una parola su questo segno tanto importante e significativo. In quel momento il Vescovo inizia il suo ministero e il gesto liturgico lo evidenzia soprattutto quando un Vescovo viene ordinato – come dovrebbe essere normale – nella sua Cattedrale. Un gesto che parla da solo. Il Celebrante principale invita il nuovo Vescovo a sedersi sulla cattedra. Non è solo un simbolo: il nuovo Vescovo siede su quella cattedra, da cui prende il nome, la chiesa cattedrale, non un trono, ma la sede del suo servizio come pastore e maestro della Chiesa, da quel momento in poi. Il Vescovo della nostra Chiesa locale, ci ricorderà continuamente il legame con le altre Chiese sparse nel mondo, ma anche il riferimento alla storia della Chiesa che vede nei Vescovi gli anelli della lunga catena che ci riporta agli inizi della predicazione del Vangelo; per noi con San Vigilio e su fino agli Apostoli. L’invito gestuale è quello di salire alla Cattedra sulla quale è fondata la Chiesa diocesana, perché come il vignaiolo, che sorveglia dall’alto la vigna, il Vescovo è stato posto in posizione elevata per governare e custodire il popolo che gli è affidato. Egli occupa la Cattedra del Pastore per dedicarsi al gregge di Cristo. Il suo onore è l’onore di tutta la Chiesa; il suo onore è valido e sicuro sostegno per i suoi fratelli: egli sarà veramente onorato quando a ciascuno è riconosciuto l’onore che gli spetta.8 Interessanti al riguardo sono anche le Premesse, i testi e i segni previsti dal rito per la Benedizione di una Cattedra nel Benedizionale (n. 1214-1237). Similmente ci sarebbe da accennare ad altri due elementi (non li definisco neppure simboli) che oggi identificano normalmente un Vescovo anche fuori delle celebrazioni liturgiche. Lo zucchetto: non era altro che un panno posto sulla testa dopo il rito dell’unzione con il sacro crisma per proteggere la mitra. Oggi quell’inutile copricapo è segno (bianco, rosso, paonazzo … anche nero) della propria dignità da far notare e riconoscere! Così la croce pettorale: essa è pressoché sconosciuta in tutta l’iconografia fino a quasi tutto il ‘700 e nessun rito 8 Cfr. Ordo Rituum pro Ministerii Petrini Initio Romæ Episcopi, Citta del Vaticano, 2005. 7 liturgico ne ha mai conosciuto la consegna. Purtroppo essa oggi normalmente, più ancora dell’anello, identifica nella Chiesa latina i Vescovi; in Oriente invece la portano normalmente tutti i sacerdoti, mentre i vescovi indossano la Panaghia la Tutta Santa – un’immagine mariana. L’uso, tanto ostentato persino sotto la giacca (importante anche per le foto dell’Annuario CEI è vedere la catena … come quella di un orologio sotto il panciotto… o peggio occultata nel taschino della camicia o della giacca: che triste fine!): non importa la Croce, ma la catena! La Croce pettorale anticamente conteneva una reliquia e per questo veniva data da baciare. Solo ai tempi (anno 1997) del Cardinale Arturo Giorgio Medina Estevez, Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, si è voluto che la croce venisse usata sopra la casula (o la pianeta);9 sempre essa era rimasta sul camice sotto le vesti liturgiche con il suo cordone (verde/oro per i Vescovi; rosso/oro per i Cardinali). Essa viene usata normalmente sopra la mozzetta nell’abito corale. La motivazione vera: nella Messa dopo il prefazio (quando scompare lo zucchetto) il Vescovo appare uno come gli altri sacerdoti! Egli, infine, appare come il vero sacerdote del suo gregge, quando finalmente celebra e presiede la liturgia eucaristica. Questa non è un di più, come appare e avviene purtroppo spesso anche nella veglia pasquale, quasi come un appendice; ma ne è la pienezza. Nel cuore della prece eucaristica10 si prega ancora dicendo: - Assisti nel suo ministero il nostro fratello, che oggi è stato ordinato Vescovo della Chiesa: donagli la sapienza e la carità degli Apostoli, perché guidi il tuo popolo nel cammino della salvezza. Un autentico programma di vita per il nuovo Pastore chiamato a essere guida del suo popolo con sapienza e amore, come Cristo di cui è servo e icona per la sua Chiesa diocesana. “Cristo Signore conceda al clero e al popolo, uniti nel suo amore, di godere del suo favore per lunghi anni, sotto la tua guida pastorale”: sono le parole della benedizione rituale che sono augurio, auspicio e preghiera. CE, nota 57 bis. Ricordiamo sempre che nella prece eucaristica il nome del Papa e del Vescovo vengono normalmente pronunciati non tanto e non solo per pregare per loro, ma per pregare con loro ed esprimere la comunione con quel Papa e con quel Vescovo. Il presbitero celebra l’Eucaristia su mandato del suo Vescovo e in comunione con lui e con la Chiesa universale, in quella determinata comunità. 9 10 8