Chiesa e Territorio in Italia - Dipartimento di Scienze politiche e

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Chiesa e Territorio in Italia - Dipartimento di Scienze politiche e
Chiesa e Territorio in Italia
21 maggio 2015
Massimo Bianchi
(Università di Siena)
Chiesa e Territorio
• La Chiesa in Italia si articola sul territorio
attraverso due istituti:
- Le Diocesi e le parrocchie
• Le diocesi italiane sono nell’insieme di
costituzione molto antica
• La loro media nazionale si aggira intorno ai
1200 anni
• Gli estremi sono costituiti dalle Regioni
Conciliari (R.C.) lombarda, veneta e umbra
(1500 anni) e dalla R.C. siciliana (700 anni)
• Di alcune di queste diocesi l’origine risale agli
albori del Cristianesimo: qualcuna vanta
persino origine apostolica
• Nella maggioranza sono sorte lungo la storia in
risposta alle effettive esigenze del momento
• Per la creazione di alcune diocesi sono valsi
motivi particolari, forse più culturali e politici
che propriamente pastorali, più di lustro che
di vera dimensione pastorale.
• Comunque sia il moltiplicarsi delle diocesi ha
portato ad una vera polverizzazione, non certo
a vantaggio dell’efficacia pastorale.
• Delle troppe diocesi esistenti in Italia si
parlava già nel 1860. Lo Snider scrive che:
“delle 845 diocesi esistenti nel mondo, 538 si
trovano nei Paesi latini, 293 nella sola Italia, la
cui popolazione ascendeva a circa 26 milioni di
abitanti. I rimanenti 134 milioni di cattolici dei
Paesi latini erano ripartiti in 245 diocesi”
• Dati i molteplici mutamenti storico, politici,
amministrativi, sociologici, demografici che si
sono avuti dalla lontana data di fondazione
delle diocesi a oggi è presumibile che i CRITERI
che determinarono la loro origine non
possono essere considerati più validi e che si
sono rese necessarie nel tempo varie
modifiche.
• In molti casi anche l’inadeguatezza della
struttura diocesana (ubicazione delle sedi
episcopali, delimitazioni territoriali, ampiezza
demografica, distribuzione del clero) è
risultato un motivo per la revisione dei confini
delle diocesi per ottenere una migliore
funzionalità
• La questione del riordinamento delle diocesi
italiane è tanto complessa quanto annosa, dal
momento che si trascina da più di un secolo senza
giungere ad una soluzione definitiva
• Fin dai primi anni del Regno d’Italia governo e
parlamento si dimostrarono molto sensibili
all’esigenza di ridurre il numero delle diocesi,
giudicato troppo eccessivo, tanto da promuovere
studi ed elaborare progetti senza risultati concreti
a causa della indisponibilità della Santa Sede
• La questione viene riproposta durante le
trattative per il CONCORDATO del 1929, che
prevede “una revisione delle della
circoscrizione delle diocesi allo scopo di
renderla possibilmente rispondente a quella
delle province dello Stato”.
• Infatti gli artt. 16 e 17 del Concordato dell’11
febbraio 1929 stabilivano:
- che le parti contraenti dovevano procedere
d’accordo ad una revisione delle circoscrizioni
delle diocesi allo scopo di renderle
possibilmente rispondenti a quella delle
province dello Stato e le eventuali modifiche
dovevano essere disposte dalla Santa Sede
previo accordo con il governo italiano
• Le norme del Concordato del 1929 erano
particolarmente impegnative e in particolare
quella che limitava, sia pure più in linea di
principio che di fatto, la libertà della Chiesa in
una materia tanto rilevante per la comunità
cristiana
• Se qualora si fosse dato piena attuazione alle
norme concordatarie le diocesi sarebbero
scese da 271 a 92, con una riduzione del 67%.
Sarebbero scomparse tutte le diocesi al di
sotto dei 100 mila abitanti (erano 132); quelle
tra 100 e 200 mila sarebbero state appena il
4,3% del totale contro il precedente 30,3% ; la
maggioranza delle diocesi sarebbe stata tra
200 e 500 mila abitanti (58,7%)
• Infine l’ampiezza media sarebbe stata di 550 mila
abitanti quasi il triplo di quella del 1929 (191.000
abitanti).
• Una soluzione sicuramente inadeguata (per la
quale alcune grandi diocesi come Roma, Torino,
Genova, Palermo, Napoli sarebbero divenute
ancora più grandi) che, se da un lato risolveva il
problema della polverizzazione, non convinceva
pienamente la gerarchia della Chiesa
• Un adeguamento quindi abbastanza
problematico, così che nei decenni successivi ai
Patti Lateranensi, mentre si rinuncia a dare
attuazione all’impegno concordatario, si
registrano, soprattutto dopo la seconda guerra
mondiale, solo alcuni provvedimenti diretti a
valorizzare i capoluoghi di provincia, ad esempio
come sedi vescovili.
• Probabilmente alle due parti i tempi non
dovettero sembrare ancora maturi
• Nel 1951 le diocesi in Italia erano 291 per
quasi 47 milioni di abitanti e la diocesi media
aveva quindi 162mila abitanti circa
• A partire da quella data andò affermandosi la
presa di coscienza dell’esigenza di ridurre il
numero delle diocesi soprattutto mediante la
fusione di quelle più piccole
• E dal 1951 al 1965 effettivamente un certo
processo di riduzione ebbe luogo seguendo una
triplice via:
A) unificazione di più diocesi sotto un solo vescovo
– si ottenne una riduzione di circa 20 diocesi
B) riduzione del numero delle Curie in seno a più
diocesi già riunite sotto un solo vescovo
(passano da 352 nel 1951 a 282 nel 1965)
C) Aumento delle sedi vacanti: sedi affidate a
vescovi “viciniori” in attesa della sistemazione
definitiva
• Malgrado questo processo di riduzione
avviato, il numero delle diocesi italiane
rimaneva sempre cospicuo.
• Nel 1965 restavano 271 diocesi con una
popolazione di 52 milioni di abitanti con una
media di 191 mila abitanti per diocesi.
• Il confronto con altre realtà di altri paesi mostrava una
certa anomalia della situazione italiana.
• Su 19 paesi (328 milioni di cattolici):
- La diocesi media era di 341 mila abitanti (quasi il doppio
della diocesi media italiana)
- Solo 4 paesi (Inghilterra, Irlanda, Canada, Australia)
avevano una media inferiore a quella italiana ma la loro
situazione appare giustificata in quanto paesi
pluriconfessionali e la loro azione doveva rivolgersi anche a
gruppi di non cattolici
- la popolazione cattolica italiana era il 15% di quella globale
dei 19 paesi, mentre l’episcopato italiano era ben il 28%
dell’episcopato totale di essi.
• Il problema assunse attualità grazie alle
disposizioni del Concilio Vaticano II, in particolare
con il
• Decreto Christus Dominus del 28 ottobre 1965
circa la revisione delle circoscrizioni diocesane:
- Al n. 22 viene affermato il criterio generale per la
revisione delle diocesi: “il bene delle anime”,
ossia l’assistenza spirituale del popolo al quale
provvedere il più perfettamente possibile
• Pertanto il Concilio decreta che, ove sia
richiesto dal bene delle anime,
prudentemente si giunga il più presto
possibile a una revisione dei confini delle
diocesi, dividendole, smembrandole,
unendole o modificando i loro confini, o
trasferendo in luoghi più adatti le sedi
episcopali e, nel caso di diocesi formate da
grandi città, dando ad esse una nuova
organizzazione interna
• La revisione, per raggiungere i suoi fini
pastorali, doveva naturalmente comportare
non solo una conveniente delimitazione dei
confini territoriali delle diocesi, ma anche una
distribuzione del clero corrispondente alle
esigenze dell’apostolato.
- Al n. 23 si elencano i criteri specifici della revisione delle
diocesi.
Si devono rispettare esigenze di varia natura:
1. Unità delle concentrazioni demografiche e adeguamento
alla varia composizione delle popolazioni (se permesso
dalle circostanze si osservino i confini delle circoscrizioni
civili e le particolari condizioni di persone e di luoghi, per
esempio le condizioni psicologiche, economiche,
geografiche e storiche)
2. Ampiezza territoriale e demografica adeguata per ogni
diocesi (non eccessiva per consentire il contatto diretto
vescovo-popolo)
3. Ogni diocesi deve avere un numero di sacerdoti
adeguato agli impegni pastorali e di mezzi
sufficienti per sostenere persone e istituzioni.
- Al n. 24 si indicava anche l’iter da seguire nel
procedere alle ricerche necessarie all’attuazione
della revisione (queste decisioni dovevano essere
sempre sottoposte all’esame delle Conferenze
Episcopali competenti per territorio dopo avere
sentito il parere del Vescovo)
• Il decreto Christus Dominus fu seguito dal
Motu Proprio Ecclesiae Sanctae del 1966 per
le norme di attuazione, che precisa l’esigenza
di svolgere una accurata indagine per porre in
luce la situazione delle diocesi in merito al
territorio, alle persone e ai beni, anche con
l’aiuto di esperti ecclesiastici e laici in modo da
valutare le ragioni oggettive per la modifica
delle circoscrizioni
• Gli Interventi di Paolo VI
• Già il 14 aprile 1964 Paolo VI indicava fra i gravi
problemi della Chiesa italiana il numero eccessivo
delle diocesi
• Il 23 giugno 1966 tornò sull’argomento
ricordando:
- che il Concilio aveva già sollevato il problema;
- che la revisione nasceva dal bisogno di dare alle
diocesi una dimensione demografica e
ecclesiastica sufficiente per adempiere
pienamente le proprie funzioni;
- che molte diocesi non possedevano tale
dimensione;
- che il nuovo ordinamento doveva tener conto
delle circoscrizioni civili facendo coincidere,
dove possibile, i confini diocesani con quelli
delle province dello Stato;
- che si doveva procedere a fusioni di non
poche diocesi;
- che l’operazione era difficile ma non doveva suscitare il
panico e l’opposizione delle piccole diocesi perché si
dovevano tenere presenti le tradizioni storiche e i
servizi morali resi alla Chiesa da questi minori centri
diocesani, dove la presenza del Vescovo era titolo di
onore e sorgente di fervore religioso
- ma l’interesse stesso di queste diocesi esigeva il loro
inserimento in una organizzazione canonica più vasta
per consentire una semplificazione di opere e servizi e
una distribuzione migliore del clero
• La Commissione Rossi
- Il riordinamento delle diocesi venne affidato
negli anni ‘60 alla Congregazione Concistoriale
(attuale Congregazione dei Vescovi) che lo ha
eseguito mediante Commissioni incaricate
volta per volta della valutazione delle varie
situazioni e della formulazione di nuove
proposte
• La Commissione Rossi (dal nome del cardinale
Agnelo Rossi che la presiedeva) preparò un
piano che però non venne mai reso operativo
frutto di un lavoro che Paolo VI definì molto
accurato perché aveva potuto usufruire del
primo studio della Conferenza Episcopale
Italiana (CEI)
• La Commissione dei 40
Ad essa seguì in seno alla stessa CEI la
Commissione dei 40 (dal numero dei suoi
componenti) nota per lo studio esaustivo che
compì e per il progetto ben motivato che
riuscì a presentare
• Per consentire alla Commissione di lavorare, gli
ordinari di ciascuna diocesi dovevano inviare dei
“formulari” debitamente compilati con
riferimento ai seguenti dodici punti:
- Abitanti della diocesi, sede, numero di parrocchie
e comuni, abitanti per parrocchie, situazione del
seminario, clero diocesano e regolare, religiosi e
religiose, associazioni cattoliche, opere
diocesane, situazione economica e sociale
- Si dovevano pure allegare delle “Note”
riguardanti la posizione geografica,le vie di
comunicazione e i confini della diocesi, le
caratteristiche etniche, religiose, sociali e
politiche degli abitanti, il piano di sviluppo
economico-sociale, gli edifici diocesani, ed
eventuali proposte concrete dell’ordinario
circa il riordinamento della diocesi
• Il progetto presentato nel 1968 prevedeva la
- Fusione di un numero notevole di diocesi, tale
da ridurre le circoscrizioni ecclesiastiche a 119
unità (da 325 che erano), numero ritenuto
molto vicino all’ideale, tenuto conto di criteri
quanto mai seri e convincenti
• Mentre tale progetto veniva applicato in
maniera molta lenta e graduale, la Santa Sede
procedeva al riordinamento in modo indiretto
e provvisorio, unendo cioè le piccole diocesi
che si rendevano vacanti nella persona del
Vescovo di una diocesi vicina
• Ai pastori chiamati a reggere due diocesi unite
si chiedeva di procedere anche per arrivare a
breve scadenza all’unione strutturale degli
organi vitali delle diocesi: un solo Consiglio
Presbiterale e Pastorale, un solo tribunale
ecclesiastico, un solo seminario, un solo
bollettino diocesano, il facile trasferimento dei
sacerdoti da una diocesi all’altra.
• In alcuni casi i Vescovi riuscirono nell’intento,
in molti altri invece prevalse un senso di
incertezza, precarietà e provvisorietà, e anche
sussulti di autonomia che rendevano difficile il
processo di fusione
• Pertanto ben presto si comprese che le forme
di unione sperimentale non si presentavano
come adeguata soluzione del problema e che
si doveva invece arrivare ad una soluzione
definitiva
• Nel 1978, dopo dieci anni, erano stati ritoccati
i confini di meno di una decina di diocesi
• Le nuove norme concordatarie
La revisione del Concordato da parte della Santa
Sede e del Governo italiano (1984), e anche le
Norme circa gli enti e i beni ecclesiastici
(1985), obbligando a compilare l’elenco delle
diocesi italiane in vista del loro
riconoscimento civile, offrirono la vera
occasione per il loro definitivo riordinamento
• Da segnalare comunque che la nuova
normativa concordataria non imponeva
comunque l’obbligo di revisione delle
circoscrizioni diocesane, ma consentiva invece
il riconoscimento di enti canonici fino ad allora
escluso
• L’accordo del 18 febbraio 1984 che apporta modifiche
al Concordato del 1929 assicura tra l’altro “alla Chiesa
la libertà di organizzazione” e sancisce che “la
circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie è
liberamente determinata dall’autorità ecclesiastica”.
• L’articolo 16 del Concordato del 1929 sanciva invece
che “Le parti dovevano procedere d’accordo, a mezzo
di commissioni miste, ad una revisione delle
circoscrizioni delle diocesi, allo scopo di renderla
possibilmente rispondente a quella delle Province dello
Stato italiano”
• L’unico impegno che restava in capo alla Santa
Sede era quello di non includere alcuna parte
del territorio italiano in una diocesi in cui la
sede vescovile si trovasse nel territorio di un
altro Stato
• Libertà dell’autorità ecclesiastica dovuta ai
principi della neutralità dello Stato in materia
religiosa e della separazione dei due ordini
indicati dalla Costituzione
• La Chiesa italiana quindi ottenne in questo campo
il pieno riconoscimento della propria piena
autonomia decisionale: ovvero, la personalità
giuridica che le diocesi (e le parrocchie)
acquisiscono nell’ordinamento canonico viene
riconosciuta anche nell’ambito civile
• Viceversa nel concordato del 1929 le diocesi non
venivano riconosciute dallo Stato come persone
giuridiche agli effetti civili in quanto non erano da
questo considerate come “entità giuridiche”
distinte dalle mense vescovili
• Il lavoro di riordino fu compiuto dalla
Congregazione per i Vescovi che stabilì d’intesa
con la CEI alcuni criteri fondamentali:
- Criterio della pastoralità: in forza del quale la
considerazione determinante non doveva essere
quella politica, e neppure principi di ordine
storico, culturale o socio-economico, bensì gli
orientamenti contenuti nel decreto Christus
Dominus, di natura prettamente ecclesiologica e
pastorale;
- Criterio dell’unità: per il quale soltanto in via
eccezionale un Vescovo può governare più
diocesi
- Criterio del bene comune: il quale postula che
i desiderata di una comunità particolare
debbano cedere il passo alle esigenze della
Chiesa locale o universale anche a prezzo di
qualche sacrificio
- Criterio dell’uniformità: in virtù del quale il
provvedimento di unione piena e definitiva o
fusione viene applicato a tutte le diocesi senza
eccezione (a parte il caso di San Marino, Stato
indipendente);
- Criterio di una certa gradualità: nel senso che
alcune rilevanti modifiche di confini,
indispensabili al riordinamento, dovranno
essere comunque adempiute;
- Criterio della continuità: nel senso che nella
designazione della nuova diocesi i nomi delle
diocesi fuse in essa dovevano essere associati,
in modo che nessuna di fatto venisse abolita,
ma tutte amalgamate nell’entità nuova nella
quale mantengono il proprio nome, la propria
storia, le proprie tradizioni, le proprie
Concattedrali;
- Criterio dell’unicità: mediante il quale sarebbe
esistita una sola e unica diocesi, con un solo
seminario, unico tribunale, unico Consiglio
presbiterale, anche se con la possibilità di
decentramento di alcuni servizi amministrativi
• Nel settembre 1986 si attuò finalmente quel
processo di revisione di ventennale ideazione,
anche se in misura molto più contenuta di
quanto si auspicava nei progetti iniziali
• La Santa Sede non mancò di far notare
nell’occasione che non era insensibile alla
sofferenza che una profonda revisione delle
diocesi avrebbe potuto provocare nel Clero e
nelle popolazioni interessate
• Tuttavia la Santa Sede confidava nel fatto che i
cattolici avrebbero accolto con maturità di
spirito e serenità d’animo le disposizioni, che
essendo di natura ecclesiale, richiedevano un
atteggiamento ugualmente ecclesiale nel
comprendere le intenzioni e gli scopi della
Chiesa quando adotta tali provvedimenti
• Infatti, può succedere che a uno sguardo
meno profondo la permanenza di una diocesi
o meno venga considerata in un’ottica di
preoccupazioni e interessi meno ecclesiali: ad
esempio per il lustro che conferisce, per la
memoria storica che evoca, per la presunzione
che la presenza del Vescovo basti da sola a
evitare alcuni problemi e risolverne altri
• Diversa è l’ottica della Chiesa la quale, in un
orizzonte prettamente pastorale, lungo tutta la
sua storia e alla luce del Concilio Vaticano II, nel
creare o unire diocesi, nell’ordinare la geografia
ecclesiastica di un paese, ha sempre in vista
l’opportunità di assicurarsi strumenti adeguati
alla sua missione evangelizzatrice e salvifica
• In questo senso il “bonum animarum” rimane la
suprema legge al di sopra di ogni altra
considerazione
• Il decreto della Congregazione per i Vescovi del
30 settembre 1986 fissò la denominazione e la
sede delle 228 diocesi italiane, numero al quale
si era giunti
- dopo che alla fine della seconda guerra mondiale
l’Italia era suddivisa in 348 circoscrizioni
ecclesiastiche;
- dopo che tra il 1951 e il 1966 vi era stata una
riduzione non tanto delle diocesi quanto dei
vescovi che ne reggevano a vario titolo più di una;
- dopo che prima del Decreto del 30 settembre
1986 le diocesi erano 326;
- in virtù del Decreto del 1986 hanno chiesto il
riconoscimento civile al Ministero dell’Interno
228 diocesi di cui 64 al Nord Italia; 62 al Centro;
73 al Sud e 28 nelle Isole;
- hanno chiesto il decreto di estinzione 98 diocesi
di cui 13 al Nord, 34 al Centro, 46 al Sud e 5 nelle
Isole. Estinzione significa concretamente fusione
di più diocesi in un’unica entità sia giuridica che
territoriale;
• per effetto del Decreto la media nazionale di
abitanti per diocesi è passata da 191mila nel
1966 a 251mila nel 1986. Gli aumenti più
significativi si sono avuti nelle diocesi del
Centro (da 120mila a 173mila); 190mila
abitanti per quelle del Sud; 236mila per le
Isole, mentre immutata o quasi la diocesi
media del Nord (338mila)
• Immutata è rimasta l’età media nazionale
delle diocesi: intorno ai 1200 anni; di circa un
secolo più vecchie sono le diocesi del Nord e
del Centro; l’età media di quelle delle Isole è di
circa 900 anni;
• Quest’ultima osservazione conferma il dato
sociologico che quanto più le strutture
invecchiano tanto è più arduo e difficile
rinnovarle
• RILIEVI CONCLUSIVI
- Non va sottovalutata la portata dell’operazione
condotta a termine, in primo luogo perché
permette un risparmio del personale
ecclesiastico, un suo migliore impiego, la
diminuzione del tasso di burocratizzazione per
le diocesi interessate ma anche per la Chiesa
italiana nel suo complesso
- Il Decreto potrebbe essere considerato come il
primo significativo passo per una riforma più
ampia e incisiva, se come auspicabile, fosse
capace di mettere in atto processi di
cambiamento sociologico e psicologico: in tal
senso l’azione riformatrice iniziata con il
Decreto potrebbe non considerarsi conclusa
- Passi ulteriori di questa azione potrebbero
essere, ad esempio, il ritocco dei confini delle
diocesi, un eventuale smembramento di
quelle troppo vaste sia per territorio sia per
popolazione, il tentativo di far coincidere la
diocesi con provincia, come si è fatto per
Trento e Bolzano
- La convinzione che la riforma prodotta
contenga grandi potenzialità innovatrici e
riformatrici potrebbe indurre a riconsiderarla
nuovamente: viceversa, equivarrebbe ad una
“dignitosa archiviazione” il limitarsi a stabilire
semplicemente il titolo e la sede della diocesi.
• La riforma così operata è indubbiamente
imponente ma non può considerarsi
esauriente;
- la recente unione della diocesi di Fossano con
quella di Cuneo, infatti, è indice di una ripresa
di attenzione al problema da parte dei Vescovi
- A ben guardare la Congregazione dei Vescovi si
è limitata a codificare la situazione esistente,
semplificandone l’organizzazione e il governo;
- scelta giustificata dal fatto che nel breve
termine previsto dalle norme pattizie sarebbe
stato molto difficile, e forse impossibile,
superare tutte le difficoltà e resistenze che nei
decenni precedenti avevano impedito la
realizzazione dei vari progetti intrapresi
• Tutto questo non toglie che l’organizzazione
territoriale della Chiesa in Italia sia ancora
lontana dall’aver raggiunto un assetto del tutto
soddisfacente:
- mentre il numero delle diocesi continua a
risultare eccessivo in rapporto al numero dei
fedeli e rispetto a quanto avviene in altri Paesi,
accanto a grandi circoscrizioni ne esistano ancora
alcune del tutto minuscole e non sempre il
rispetto delle circoscrizioni civili ottiene
sufficiente soddisfazione.
• Forse proprio la ancora eccessiva presenza di
diocesi di ristrette dimensioni demografiche e
geografiche risulta il maggiore dato
caratteristico della struttura diocesana italiana
• Nessuno ignora o disconosce i motivi storici
che avevano determinato la proliferazione
delle diocesi in Italia, ma le situazioni storiche
sono profondamente cambiate esigendo il
riordino di strutture vecchie di secoli.
• I vantaggi di una piccola diocesi sono
rappresentati dalla possibilità di contatti
umani più personalizzati e da una presenza
pastorale continua e capillare
• Ma poste le odierne facilità di comunicazioni si
può ottenere lo stesso risultato evitando una
inutile dispersione di capitale umano e spreco di
energie per tenere in piedi le strutture diocesane
minime per il buon funzionamento
• Si aggiunga a questo la rarefazione del clero da
cui vanno scelti i docenti del seminario, i pastori, i
promotori di opere apostoliche e caritative, gli
assistenti del mondo laicale, ecc…
• Per questo è importante comunque unificare
le strutture principali come curia, seminari,
tribunali ecclesiastici, Istituto per il
sostentamento del clero, Istituto di Scienze
Religiose, Consiglio presbiteriale, consiglio
amministrativo, Commissione diocesane,
organizzazioni di carità e apostolato