Giugno 2009 - VII Congrès de l`Association Mondiale de Psychanalyse

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Giugno 2009 - VII Congrès de l`Association Mondiale de Psychanalyse
Numero 2 - Juin 2009 – Association Mondiale de
Psychanalyse
PAPERS
Bulletin Electronique du Comité d'Action de
l'École-Une Version 2009-2010
Sommario
Marie-Hélène Blancard
Editoriale
Silvia Elena Tendlarz
Le donne e l’amore, tra semblante e sinthome
Anne Lysy-Stevens
Interpretazione, parvenza e sinthomo (1° parte)
Miquel Bassols
Alcune osservazioni circa il "semblante"
Bernard Seynhaeve
Guerriero applicato e destituzione soggettiva
1
Editoriale
Il bordo di sembiante
Il lavoro preliminare al VII Congresso dell'AMP prosegue, puntuato da due avvenimenti
essenziali: la pubblicazione del volume "Scilicet", al quale hanno dato il loro contributo più di
un centinaio di autori, e la messa a disposizione sul sito internet della "Bibliografia" stabilita da
Catherine Bonningue, che costituisce per la Scuola Una uno strumento di lavoro preciso e
prezioso.
Questa seconda edizione dei "Papers" è fatta di quattro testi che costituiscono per ciascuno, e
ciascuna delle Scuole, un oggetto di lavoro e di riflessione che illumina il binario "Sembianti e
sinthomo". Silvia Tendlarz coniuga, sullo sfondo del non-rapporto, la questione dell'amore e
della femminilità con quella del partner-sinthomo; Anne Lysy-Stevens, in un testo che sarà
pubblicato in due parti, esamina il modo in cui Lacan ha stabilito le condizioni di una
interpretazione al di là del senso che potrebbe toccare il godimento; Miquel Bassols, passando
per Baltasar Gracian, interroga le differenti accezioni del termine "sembiante", attraverso le
lingue e i secoli; infine all'uscita dal suo primo anno di insegnamento come AE, Bernard
Seynhaeve ci consegna l'après-coup della sua passe e i suoi avanzamenti, passo passo, nel
labirinto delle questioni che gli si sono poste dall'istante in cui si è trovato, senza ricorso
possibile all'Altro del sapere, a dover testimoniare della "verità menzognera".
Ciascuno, secondo il suo stile e la singolarità che gli è propria, tocca questo "bordo di sembiante"
che Jacques-Alain Miller aveva messo in rilevo a Buenos Aires, al fine di farci percepire la posta
teorica del tema, non senza conseguenze sulla pratica dell'analisi e su quella della passe.
L'opacità del godimento proprio al sintomo implica che l'analisi utilizzi per delucidarlo "il
sembiante di un significante Uno", anche se "il senso ci permette solo di circoscrivere
l'inintelligibile". "Propongo così - concludeva - di articolare una dialettica del senso e del
godimento nell'esperienza analitica, e di mettere in evidenza nel nostro lavoro il bordo di
sembiante che situa il nodo di godimento. Non cancellare il sembiante, ma recuperarlo".
"Rinunciare alla trasparenza senza cedere sulla delucidazione" risuona con questa indicazione
data da Jacques Lacan in "Telvisione", quando interroga le condizioni di trasmissione di un
discorso che "non procede che dall'uno all'uno, dal particolare": "Lasciar cadere il ricorso a ogni
evidenza". E precisa: "Così proseguiamo a partire dall'Altro, dall'Altro radicale, che evoca il nonrapporto che il sesso incarna, - poichè si percepisce che c'è dell'Uno forse solo dall'esperienza
dell'(a)sessuato".
Marie-Hélène Blancard
Traduzione di Luisella Brusa
2
Le donne e l’amore, tra semblante e sinthome
Silvia Elena Tendlarz
"Siamo fatti della stoffa dei nostri sintomi (sinthomo)", afferma Jacques-Alain Miller nella sua
esposizione nel teatro Coliseo di Buenos Aires, nell'aprile del 2008, parafrasando Jorge Luis
Borges che diceva a sua volta che siamo fatti della stoffa dei nostri sogni. Ma, più esattamente,
dice "possiamo essere il sintomo (sinthomo) di altro o di altri",1 e ci confronta con la sfida di
elaborare un sapere attorno a come i nostri corpi si dispongono rispetto altri corpi secondo il
sinthomo a partire dal sembiante.
Il binomio sembiante e sinthomo diventa così un'asse centrale per esaminare la relazione tra i
partners e punteggia due tempi fondamentali nell'elaborazione di Lacan relativa alle donne e
all'amore.
Il primo tempo è caratterizzato dal fallo come meteora, sembiante per eccellenza che polarizza la
relazione tra i sessi. La teorizzazione di Lacan sul sembiante lo presenta come il primato del
simbolico sull'immaginario in opposizione al reale, e questa prospettiva determina il suo
abbordaggio della sessualità femminile e dell'amore durante gli anni '50.
Il cardine, il punto di inflessione si produce con la concettualizzazione dell'oggetto a, oggetto
causa di desiderio prima e più-di-godere in seguito. Il sembiante del Nome del Padre si
relativizza e, accanto alla sua pluralizzazione, il fallo, riserva operatoria di godimento,
accompagna il posto predominante che prende l'oggetto a nella teoria di Lacan. La dissimetria tra
i sessi e le pantomime della vita amorosa sono esaminate da Lacan da questa egida negli anni
'60, in particolare nel Seminario L'angoscia.
Nel secondo tempo, con l'al di là del Nome del Padre e la pluralizzazione dei godimenti,
l'oggetto a, definito come sembiante nel Seminario XX, permette che il sinthomo diventi il
concetto fondamentale per studiare la relazione con il partner.
A differenza della negatività del desiderio, ci confrontiamo con la positività del godimento che
alloggia il sinthomo. L'omologazione dei tre registri - immaginario, simbolico e reale -, a
differenza del godimento, introduce nuovi aspetti che devono essere esaminati circa la relazione
tra sembiante e sinthomo.
La dissimmetria fallica e i suoi sembianti
Precocemente, e alla migliore maniera freudiana, Lacan analizza la vita amorosa punteggiando i
suoi disincontri, le sue erranze, i suoi deliri, il malinteso fondamentale che prende le sue vesti e i
suoi sembianti nella psicopatologia della vita amorosa. La clinica del "rapporto fra i sessi" d'accordo con il termine utilizzato da Lacan ne La significazione del fallo - è orientata dal fallo
nei giochi di sembianti in quanto il fallo stesso è un sembiante. L'essere e l'avere coinvolti
includono il sembrare nella relazione sessuale per mezzo dell'azione del significante fallico.
Proteggere l'avere, cercare l'essere, mascherare la mancanza, sembrare d'essere, costruire un
avere, tutti questi sono sembianti che intrecciano il rapporto fra i sessi.
Jacques-Alain Miller in Della natura dei sembianti dice che "non si deve pensare che essere il
fallo può avere altro senso che quello di essere il sembiante, e che avere il fallo è altra cosa che
possedere un sembiante".2
3
L'essere si inscrive dal lato del sembiante ed entrambi si oppongono al reale e, allo stesso tempo,
la condensazione lacaniana di parétre (sembrare-essere) mostra come l'essere (étre) non si
oppone al sembrare (paraître) ma si confonde con esso. La logica della sessuazione è attraversata
dal parétre, in particolare nelle donne. Anzi, dice Miller nella anti-copertina del Seminario
XVIII, "nell'ordine sessuale non basta essere, bisogna anche sembrare".3
Quando Lacan formalizza il fallo come significante del desiderio, ricorda il suo posto essenziale
nei "Misteri" dell'antichità poiché, come oggetto, occupava un posto essenziale circondato di veli
che si alzavano nell'iniziazione. Il fallo stesso come sembiante è un velo che nasconde, dissimula
la castrazione.
L'esame della relazione tra il fallo e il velo è illustrato da Lacan attraverso il commento del
dipinto di Zucchi chiamato Psiche sorprende Amore.4 Quando Psiche alza la lampada sopra Eros
per conoscere il suo amante notturno, che non aveva mai visto fino ad allora, un vaso pieno di
fiori dissimula il fallo di Eros. Il velo dei fiori rende il fallo un significante: il corpo di Psiche
appare allora come l'immagine fallica presente nel quadro.
A partire dal fallo come significante del desiderio Lacan indica una dissimmetria. Nella vita
amorosa delle donne si produce una convergenza dell'amore e del desiderio sullo stesso oggetto.
Invece nell'uomo c'è una tendenza centrifuga, una divergenza in relazione all'oggetto d'amore e
di desiderio.
La particolarità dell'amore nelle donne è che in loro predomina il farsi amare e desiderare. Dice
Lacan: "ella intende essere desiderata e amata ad un tempo per quel che non è".5 Il farsi amare ha
una radice freudiana: paura della perdita dell'amore che opera come l'angoscia di castrazione
nell'uomo. Facendosi amare la donna riceve il fallo che le manca attraverso la metafora
dell'amore del suo amante, come una delle tre uscite dal Penisneid femminile.
Rispetto alla mancanza ad essere il fallo, oggetto desiderato dalla madre, il nevrotico desidera
averlo; deve trovare, dunque, una soluzione alla sua mancanza ad essere attraverso l'avere. C'è un
passaggio, indicato da Lacan nel primo tempo dell'Edipo, dall'essere all'avere. Dal lato
dell'uomo, questo passaggio gli porta dei problemi con l'avere. Se funzionano le identificazioni
virili con il padre, ha difficoltà in rapporto a che cosa fare con quello che ha. Dal lato delle
donne, dalla mancanza ad essere passa alla mancanza ad avere. La donna non ha il fallo né
tantomeno lo è, le resta allora la soluzione del sembrare d'essere.
Lacan pone tre soluzioni di fronte al Penisneid: la mascherata femminile, la maternità e la
relazione con il partner. Il sembrare d'essere è ciò che domina la mascherata femminile. Per
questo Lacan dice che quando un uomo vuole sembrare virile, si femminizza, perché è un
trattamento della mancanza dal lato del sembrare d'essere, dal lato del sembiante, non dal lato
dell'avere. In questo modo, la mascherata è femminile tanto per l'uomo quanto per la donna;
femminizza sempre.
La mascherata femminile può essere abbordata dai tre registri. Nell'immaginario esprime le
immagini che si sovrappongono sul corpo e resta in relazione con il narcisismo femminile. Nel
simbolico traduce l'azione del discorso sul soggetto nel suo sforzo per sembrare-essere donna. E
nel reale si annoda ad un godimento specifico.
Nella seconda soluzione al Penisneid, la maternità, il trattamento della mancanza è attraverso
l'avere: il bambino entra nelle equazioni simboliche e prende un valore fallico.
Le donne incontrano la terza soluzione di fronte alla mancanza tramite la loro relazione con il
partner che funziona in due modi: attraverso l'investimento fallico dell'amore - come indica
Miller in Della natura dei sembianti, è un trattamento della mancanza attraverso l'"essere avuta"6
- e attraverso l'organo dell'uomo. Nella seconda opzione, tramite il pene del partner, la donna
riceve il fallo rimpianto poiché il pene, per rappresentazione, prende il valore di feticcio.
In questo modo la convergenza femminile comporta una certa duplicità: il suo desiderio si dirige
al pene del partner, mentre la sua domanda d'amore si dirige alla mancanza dell'Altro. Si tratta di
4
farsi desiderare ma, allo stesso tempo, dal lato del desiderio interviene anche il suo desiderio del
pene, cioè il suo desiderio del fallo, perciò si dirige all'organo dell'uomo, per soddisfare il suo
desiderio. Facendosi desiderare lei funziona come oggetto e riceve il fallo attraverso l'amore ma,
allo stesso tempo, si assicura la presenza del pene per ottenere il fallo che le manca e rispondere
così al suo desiderio del fallo. La domanda di essere il fallo rende le donne più dipendenti dai
segni d'amore del loro oggetto amato e fa emergere la sfumatura erotomane che enfatizza il farsi
amare, a differenza della forma feticista dell'amore maschile.
A chi si dirige l'amore di una donna? All'incubo ideale: al padre morto o all'amante castrato "che
per la donna si nasconde dietro il velo per invocarvi la sua adorazione...",7 dice Lacan. Essa
punta alla mancanza dell'Altro per produrre l'amore. La domanda d'amore, in definitiva, è una
domanda di castrazione. La donna rappresenta, nella dialettica fallocentrica, l'Altro radicale e, da
questa prospettiva, la direzione all'uomo, "il relais dell'uomo",8 permette alla donna di
raggiungere l'Altro che è per se stessa come lo è per lui.
La dialettica fallica dal lato dell'uomo si relaziona con la trilogia freudiana sulla psicopatologia
della vita amorosa. Freud afferma che la degradazione della vita erotica fa sì che, da un lato, ci
sia una donna idealizzata in quella che ama, che occupa il posto della madre, ed è inaccessibile a
livello erotico e, dall'altro lato, esiste un'altra donna degradata che gli permette di desiderare e di
accedere a lei sessualmente. Si produce così una divergenza tra la donna che può amare e quella
che può desiderare con un valore fallico. Sebbene esista una risoluzione a livello dell'avere, ha il
fallo come sembiante che, benché passi al significante, conserva il suo riferimento al corpo e al
pene reale; persiste nell'uomo il suo dilemma in relazione al suo desiderio di fallo vincolato alla
"castrazione della madre", al fallo desiderato dalla madre.
Più in là della dialettica fallica nella sessualità femminile, Lacan pone precocemente un
godimento nelle donne che resta fuori dal dominio fallico benché non sia ancora formalizzato
come tale. Qualche anno più tardi, nel Seminario L'angoscia, a partire dalla sua formulazione del
fallo come significante del godimento, Lacan indica che il desiderio della donna è indirizzato
dalla sua domanda riguardo al suo godimento. Diventare donna prende così la sua specificità in
relazione al godimento, dato che esse sono più vicine al godimento rispetto all'uomo e albergano
un godimento enigmatico. La negativizzazione del fallo attraverso il complesso di castrazione è
al centro del desiderio dell'uomo; invece, sebbene per la donna sia un nodo necessario, è anche in
relazione con il desiderio dell'Altro. Lei si prova provando. Nel suo sforzo per accondiscendere
al fantasma dell'uomo, per provocare il suo desiderio, rivela il posto che occupa per lui: lei è "aissata", elevata al posto dell'oggetto a, causa del desiderio.
A partire dal Seminario XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, Lacan comincia a
lavorare la particolarità della posizione femminile e maschile e introduce ciò che in seguito
diventeranno le formule della sessuazione. Il percorso attinente ai giochi dei sembianti della
dialettica fallica non scompare, ma prende una nuova significazione a partire dagli elementi
teorici che Lacan introduce in continuazione. Il fallo è allora definito come "il godimento
sessuale in quanto è coordinato ad un sembiante, è solidale di un sembiante".9 La dissimmetria
dei sessi in relazione al sembiante, come indica Miller nell'anti-copertina del Seminario, rende
l'uomo schiavo del sembiante dato che significa l'uomo come tale. Invece, nelle donne, nella
misura in cui il godimento femminile è non-tutto, non si lascia prendere da questo sembiante,
obbietta all'universale e la lascia più prossima al reale.
La distribuzione sessuata e il partner-sinthomo
I modi di godere degli esseri parlanti determinano la loro ripartizione in posizioni sessuate e le
sfumature nell'incrocio tra l'amore, il desiderio e il godimento. Il partner-sintomo è un modo di
5
situare il partenaire in termini di godimento e questo conduce ad una innovativa analisi della vita
amorosa.
Nel Seminario XXIII Lacan afferma che per ogni uomo una donna è un sinthomo. Per le donne è
invece necessario trovare un altro nome per designare ciò che l'uomo è per una donna: può essere
un'afflizione peggiore di un sinthomo, perfino una devastazione. Se non esiste un sinthomo
universale per entrambi i sessi, la non equivalenza lo porta a specificare il sinthomo in questione,
a captare la sua singolarità.
"Non c'è equivalenza - dice Lacan - è l'unica cosa, l'unico appiglio su cui si regge quello che nel
parlêtre si chiama rapporto sessuale ... quel rapporto si lega con un legame stretto al sinthomo".10
E continua, "...ormai abbiamo a che fare con il sinthomo nel rapporto sessuale stesso, che era da
Freud considerato naturale, ma questo non vuol dire niente".11
Questo chiarisce il paradosso segnalato da Lacan "c'è rapporto sessuale e non c'è rapporto".12 C'è
rapporto al sinthomo nella misura in cui il rapporto con l'altro sesso è supportato dal sinthomo;
non c'è rapporto, proporzione, equivalenza sessuale. La formula "non c'è rapporto sessuale"
implica che a livello del reale, c'è solo il sembiante; non c'è rapporto nella misura in cui il
sembiante consiste nel far credere che c'è qualcosa lì dove non c'è.
Cosa fa che due soggetti diventino una coppia? Il godimento per se stesso, il godimento dell'Uno,
dato il suo statuto autoerotico, rende solitari gli amanti. Il corpo dell'Altro, del suo partner, risulta
irraggiungibile. L'uomo resta solo con il suo organo, la donna, con il suo godimento. La
castrazione dà una possibilità di incontro nella misura in cui il godimento autistico risulta perso e
si torna ad incontrare sotto la forma dell'oggetto a, più-di-godere nel partner. In questo modo la
castrazione obbliga a trovare il complemento di godimento nell'Altro che prende parte di questo
godimento e gli dà la significazione della castrazione. La verità della castrazione è che per
godere bisogna passare dall'Altro e cedergli parte del proprio godimento. Così l'oggetto a è il
partner a livello del godimento.
In quanto il soggetto si allaccia ad un partner, può incarnare il suo sintomo dato che diventa
involucro dell'oggetto a. Il partner fondamentale per i due sessi, dice Miller in L' Altro che non
esiste e i suoi comitati di etica, è alla fine colui che è capace di diventare il suo sintomo.
Miller presenta nel corso L'Altro che non esiste... il caso di una donna che si lamenta del fatto
che il suo compagno è particolarmente scortese con lei e, nella vita quotidiana, arriva al punto di
ingiuriarla.13 Il suo ambiente le impone che lo lasci. Cosa le succede? Dicono spaventati. Davanti
alla pressione, decide di iniziare una consultazione. Lì si scopre che lei va bene e prospera. Dopo
l'ingiuria, lei lavora, gode sessualmente. Il suo godimento si concentra nel partner umiliante,
come una devastazione che la degrada ma, allo stesso tempo, per il resto rimane libera nelle sue
possibilità soggettive. In realtà lei ottiene, con questa ingiuria, un godimento della parola che
evoca il profondo disprezzo di suo padre per la femminilità. Dal lato del suo partner, la
degradazione è la condizione del suo desiderio. Dal lato del soggetto, l'Altro dell'ingiuria
commemora il sintomo del padre, e si soddisfa del suo sintomo. La relazione tra l'uno e l'altro si
stabilisce così attraverso il sintomo per la sua consonanza tra il soggetto e l'Altro.
Il non rapporto sessuale implica che i parlêtres formano una coppia a livello del godimento, non
del significante, e questo livello è sempre sintomatico. Miller si domanda in Il partner-sintomo:
"In che modo il parlêtre si serve dell'Altro, in quanto rappresentato dal suo corpo, per godere?".14
Il termine partner-sintomo è simmetrico al parlêtre e sostituisce la relazione costituita dal
soggetto cancellato e l'Altro. Tra l'uomo e la donna c'è sempre il sintomo. Il sintomo del parlêtre
include un modo di godere del corpo dell'Altro: corpo proprio con la sua dimensione di alterità,
corpo del prossimo come un mezzo di godimento del proprio corpo, e questo determina la
relazione con il partner-sintomo.
Sebbene ogni soggetto miri all'Altro per estrarre da esso il suo più-di-godere, e questo è un
livello che funziona allo stesso modo negli uomini e nelle donne, dal lato femminile si aggiunge
6
un elemento differente: la relazione con la mancanza nell'Altro. Questo ha delle conseguenze
nella vita amorosa.
Il partner come persona è il fagotto di un nucleo di godimento. In definitiva è un "mezzo di
godimento". Per l'uomo una donna è sempre un oggetto a, è un "partner-sintomo" che include un
godimento limitato, circoscritto e risponde ad un modello, ad un "divino dettaglio". La donna
invece ha anche una relazione con l'Altro barrato, per questo si vincola con un posto che non ha
limite, d'accordo con la logica dell'infinito. Appare così la dimensione di un uomo che diventa un
"partner-devastazione" nella misura in cui alloggia in S(A) barrato. Nelle donne il loro modo di
godere, dice Miller, esige che il partner parli e che le ami, nella misura in cui l'amore è annodato
al godimento. L'illimitato del godimento determina l'illimitato della domanda d'amore e conduce
a che l'uomo possa funzionare come una devastazione.
Sebbene la pulsione vale per i due sessi, Miller indica che dal lato maschio resta dominata
dall'autoerotico, anche nella relazione con l'Altro; invece, dal lato femminile, il godimento è più
agganciato all'Altro, stabilisce una relazione con l'Altro ed è più indipendente dall'esigenza
pulsionale.
La comune misura fallica fa sì che l'uomo cerchi il suo giusto equilibrio. Dal lato femminile si
incontra invece l'eccesso, l'amore estatico, l'apertura all'Altro. L'essere femminile incarna la
differenza, più che l'Uno, l'Altro. Dal lato maschile, il desiderio passa per il godimento, per il
versante feticista nella scelta dell'oggetto. Dal lato femminile il desiderio passa dall'amore che
comporta l'annullamento dell'avere dell'Altro ed esprime il suo versante erotomane.
Nel godimento femminile, godimento supplementare, il godimento si produce nel corpo senza
che arrivi a fare un Tutto, non è un'unità, è non-Uno. Il corpo femminile è Altro, la "alterità
radicale" invocata da Lacan negli anni '50. Il non-Uno diventa equivalente all'Altro, questo
impedisce di parlare di una per tutte, di un universale. In questo modo dal lato maschile si
incontra l'Uno, e dal lato femminile l'Altro, il non-Uno. L'amore nelle donne include
essenzialmente la domanda d'amore. In quanto la posizione femminile comporta il non-tutto - lei
è "non-tutta", dice Lacan -, questa domanda possiede un carattere assoluto e potenzialmente
infinito. Nella misura in cui il partner si situa dal lato del S(A) barrato, il ritorno invertito di
questa domanda illimitata è devastante.
La devastazione è l'altra faccia dell'amore dal lato femminile, dice Miller ne Il partner-sintomo, è
il ritorno della domanda d'amore con indice infinito.15 A differenza del sintomo localizzato dal
lato maschile, dal lato femminile la struttura del non-tutto produce che la risposta del partner o la
sua non risposta, sia sperimentata come una devastazione.
Questa impostazione ci lascia lontani dalle mitologie relative al cosiddetto masochismo
femminile tanto apprezzate dai post-freudiani. Per amore le donne affrancano un limite, fallico,
che convoca un godimento supplementare e, facendolo, godono della domanda d'amore,
rilanciano il loro godimento e restano catturate nel circuito che le avvilisce.
Eric Laurent ha indicato come l'amore per il padre, che in nessun modo è il padre della realtà, è
una funzione che nelle donne prende il valore del mito delle due facce di Jano: per un verso fissa
un limite e, per un altro verso, garantisce il rilancio del godimento dal lato femminile. Questo ci
porta a visualizzare l'"amore per il padre" nel cuore della omeostasi di godimento che rilancia la
domanda d'amore, a cui anche si domanda amore.
In questo modo nelle donne il padre e il godimento restano articolati senza possibilità di costruire
alcun universale, ma barrando la posizione femminile di un "non-tutta per il padre" anche se
cercano per amore di "essere l'unica".
Per concludere, che relazione conserva il partner come sinthomo con l'amore? Jacques-Alain
Miller pone la differenza tra il sintomo autoerotico, fissazione di godimento, e l'apertura all'Altro
che implica l'amore. L'amore è ciò che differenzia il partner da un puro sintomo, "è una funzione
7
che proietta il sintomo fuori",16 dice Miller. Ma, allo stesso tempo, "il partner è anche un
sembiante il cui reale è il sintomo del soggetto".17 L'amore cristallizza il corpo dell'altro come
partner-sintomo e come sinthomo. Questa coppia libidinale tocca ciò che è più singolare di
ciascuno, lo rende unico e annoda l'amore, il desiderio e il godimento in accordo alle posizioni
sessuate.
Partner-sintomo, tra sembianti e sinthomo, in definitiva si tratta di trovare le invenzioni che
introducano la contingenza e l'incontro nell'ambito dell'amore.
Note
1
Miller, J.-A., “Conferencia en el Coliseo”, El Caldero, Buenos Aires (2008).
Miller, J.-A., De la naturaleza de los semblantes (1991-92), Paidòs, Buenos Aires, 2002, lezione del 5 febbraio
1991, p. 148.
3
Lacan, J., El Seminario, libro XVIII, De un discurso que no fuera del semblante (1970-71), Paìdos, Buenos Aires,
2009, anti-copertina.
4
Lacan, J., Il Seminario, Libro VIII, Il transfert (1960-61), Einaudi, Torino 2008, cap. 16.
5
Lacan, J., “La significazione del fallo” (1958), in Scritti, Einaudi, Torino 1974, p. 692.
6
Miller, J.-A., De la naturaleza de los semblantes (1991-92), Paidòs, Buenos Aires, 2002, p. 156.
7
Lacan, J., “Appunti direttivi per un congresso sulla sessualità femminile” (1960), in Scritti, Einaudi, Torino 1974,
p. 729.
8
Ibidem, p. 728.
9
Lacan, J., El Seminario, libro XVIII, De un discurso que no fuera del semblante, op. cit., p. 33.
10
Lacan, J., Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo (1975-76), ), Astrolabio, Roma 2006, p. 97.
11
Ibidem, p. 98.
12
Ibidem, p. 97.
13
Miller, J.-A. (con E. Laurent), El Otro que no existe y sus comités de ética (1996-97), Paidòs, Buenos Aires, 2005,
lezione del 4 giugno 1997, p. 420.
14
Miller, J.-A., El partenaire-sìntoma (1997-98), Paidòs, Buenos Aires, 2008, lezione del 18 marzo 1998, p. 411.
15
Ivi.
16
Miller, J.-A., “Problemas de pareja, cinco modelos” (2001), in AA.VV., La pareja y el amor, Paidòs, Buenos
Aires, 2003.
17
Ivi.
2
Bibliografía:
J.Lacan, Scritti, Einaudi, Torino, 1974: “La significazione del fallo” (1958) e “Appunti direttivi per un Congreso
sulla sessualità femminile” (1960).
J.Lacan, Il Seminario. Libro VIII. Il transfert. (1960-61), Einaudi, Torino, 2008, cap.XVI.
J. Lacan, Le Seminaire. Livre XVIII. D'un discours que ne serait pas du semblant, Seuil, Paris, 2006, lezione del 20
gennaio 1971.
J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il sinthomo, Astrolabio, Roma, 2006, lezione del 17 febbraio 1976.
J.-A. Miller, Divini dettagli (1989), corso inédito.
J.-A. Miller, Della natura dei sembianti, lezioni del 10.11.1991 e 05.02.1992, in «La psicoanalisi», n.11 e n.14.
(con E. Laurent) El Otro que no existe y sus comités de ética (1996-97), Paidós, Buenos Aires, 2005, lezione del 4
giugno 1997.
El partenaire-síntoma (1997-98), Paidós, Buenos Aires, 2008, lezione del 18 marzo 1998.
“Problemas de pareja., cinco modelos” (2001), in AA. V.V., La pareja y el amor, Paidós, Buenos Aires, 2003.
“Risvolto”, in Il Seminario. Libro XXIII. Il sinthomo, op. cit.
“Conferencia en el Coliseo” (2008), El Caldero, Buenos Aires (2008).
Traduzione di Grazia D'Arino
8
Interpretazione, parvenza e sinthomo (1° parte)
Anne Lysy-Stevens
L’insegnamento di Lacan avvia un movimento che conduce dalla prevalenza del simbolico
all’orientamento verso il reale fuori-senso. Jacques-Allain Miller lo spiega da diversi anni nei
suoi corsi e interroga in forma sempre più avanzata le consegueenze che dobbiamo tirare
dall’ultimo insegnamento di Lacan. Il binomio « semblants et sinthome » « parvenza e
sinthome » da rilievo al campo di aporie e di domande di questo insegnamento, che è costruito
sull’incompatibilità del reale e del senso, o del reale e del vero, o ancora del godimento e del
senso.
Il binomio fa risuonare la domanda scottante che Lacan pone nel 1977 nel suo XXIVe Seminario
che io designo qui di scorcio : « L’une-bévue… » : come la psicoanalisi, in quanto pratica del
senso, può operare su ciò che è escluso ? Cito questo passaggio della lezione dell’8 marzo 1977 :
« (…) sfociare sull’idea che non c’è reale se non ciò che esclude tutte le forme di senso è
esattamente il contrario della nostra pratica, perché la nostra pratica nuota sull’idea che non
solamente i nomi, ma semplicemente le parole hanno una portata. Non vedo come spiegare ciò.
Se la nomina in un qualsiasi modo non regge le cose, come è possibile la psicoanalisi ? La
psicoanalisi sarebbe in un certo senso un bluff, voglio dire della parvenza. » (1)
E’ in relazione a « l’idea stessa di reale [che] comporta l’esclusione di tutti i sensi » che la
psicoanalisi è « parvenza » (2). Si sarebbe qui tentati di intendere : « non è che parvenza », con
una nota deprezzativa. Ma Lacan dice ciò con una certa prudenza ; utilizza il condizionale (
« sarebbe in un certo modo … ») e qualifica questa idea d’ « estremo » : « Sono ben contrariato
di avervi oggi intrattenuto con questa specie d’estremo. Bisognerebbe comunque che ciò prenda
un’altra piega. In effetti, sfociare sull’idea …. »
E’ sullo stesso qualificativo d’« estremo » che termina l’ultima lezione del Seminario.
Lacan pone una volta di più la questione di come opera la psicoanalisi ; « cosa fa si che essa
costituisca una pratica che è almeno qualche volta efficace ? » Si appella allora all’invenzione di
un « significante nuovo » ; un’altro genere di significante, che, a differenza del significante
producente effetti di senso (S1 → S2), sarebbe un significante « che non avrebbe, come il reale,
alcun genere di senso » :
« Un significante nuovo che non avrebbe alcun genere di senso, sarebbe forse questo che
ci aprirebbe a ciò che, con le mie parole goffe, chiamo il reale. Perché non si tenterebbe
di formulare un significante che, contrariamente all’uso che se ne fa attualmente, avrebbe
un effetto ?
Tutto ciò ha un carattere estremo. Non è senza portata che io sia introdotto alla
psicoanalisi. Portata vuol dire senso, ciò non ha nessuna incidenza. Restiamo sempre
incollati al senso. Come mai non si sono ancora forzate abbastanza le cose per verificare
ciò che significherebbe forgiare un significante che sarebbe altro ? » (3)
9
Si riconosce lo stesso accertamento del suo scritto su Joyce, al posto del termine « reale »,
troviamo quello di « sintomo ». Questo sintomo, nel modo in cui Joyce ne da l’astrazione, è,
come il reale, « inintelligibile » ; Lacan lo dice « disabbonato all’inconscio » e « inanalizzabile »
(4). Il « godimento proprio del sintomo », di cui Joyce testimonia, è « godimento opaco, di
escludere il senso » (5). In relazione a questo godimento, nel suo valore assoluto, l’analisi non
può che ricorrere al senso e si fa dunque « la stupida del padre » :
« Non c’è risveglio che per il tramite di questo godimento, sia svalorizato di ciò che
l’analisi, ricorrendo al senso per risolverla, non abbia altre possibilità di giungere che
facendosi la stupida … del padre come ho indicato. » (6)
Un dire che ha degli effetti : l’interpretazione
Ponendo come principio assoluto, « estremo », questa « esclusione » di senso e di reale o del
godimento, Lacan mantiene e ripete, nel suo ultimo insegnamento, che le parole hanno una
portata. Nel novembre 1977, avviando « Il momento di concludere », lo ricorda ancora, quasi
sotto forma di reprimenda : bisognerebbe che l’analista « sappia operare correttamente, vale a
dire che si renda conto della portata delle parole per il suo analizzante – ciò che
incontestabilmente ignora. » (7) L’analisi dovrebbe arrivare « a definire con la parola ciò che si è
fatto con la parola ». L’interpretazione è così al cuore del problema dell’operazione analitica e
di questa contraddizione tra esclusione di senso e la portata delle parole. « Ci sono delle parole
che portano e altre no. C’è ciò che si chiama interpretazione », dice a Nizza nel 1975.
L’interpretazione è un « dire che ha degli effetti », che va « più lontano della semplice
chiacchera alla quale il soggetto è invitato », è un dire che ha « un potere di modifica » (8). A
quali condizioni questo dire interpretativo ha questo potere ? cosa può modificare ?
Proponendo il binomio « parvenza e sinthome », Jacques-Alain Miller ci invita a non paralizzarci
di fronte all’impossibile rapporto di senso e di godimento, ma piuttosto ad « articolare una
dialettica di senso e di godimento nell’esperienza analitica e mettere in evidenza nei nostri lavori
il bordo di parvenza che segue il nucleo di godimento. Non cancellare la parvenza, ma
recuperarla. » (9) Appoggiandomi sui suoi corsi recenti e partendo principalmente da « l’ultimo
Lacan », propongo qualche pista per esplorare l’interpretazione e il sinthome, le loro definizioni,
i loro rapporti. Ciò dovrebbe chiarire il « bordo di parvenza » e forse problematizzerà il binomio
« parvenza e sinthome », che ho fin qui sovrapposto agli altri binomi dell’ultimo Lacan, divenuti
un pò più famigliari.
Da l’Altro a l’Uno
Interpretazione e sintomo sono concetti che si modificano nel corso dell’insegnamento di Lacan,
parallelamente a quelli di soggetto, di linguaggio e di inconscio. Per situarli, guardo allo spirito,
alla prospettiva che Jacques-Alain Miller traccia da numerosi anni mostrando come Lacan
esplora differenti articolazioni di due dimensioni etererogenee, presenti di primo acchito in
Freud, l’inconscio strutturato come un lingiaggio e il versante pulsionale. Dopo aver inizialmente
sistemato il pulsionale dal lato dell’immaginario, opposto al simbolico, Lacan lo
« significantizza » con il concetto di fallo e di desiderio (10). In seguito introduce con l’oggetto a
un elemento eterogeneo al significante ma, se questo è inizialmente molto incarnato (11), è in
seguito ripreso nella logica significante del discorso e diviene una « consistenza logica », poi una
« parvenza ». Il rovesciamento di prospettiva si produce con il Séminaire XX Encore, dove la
10
funzione di significante è completamente sovvertita : concepita fin lì come producente effetti di
significato e di mortificazione, ha ora effetti di godimento : « Là dove si parla, si gode ». Il
concetto di linguaggio si trova così svalorizzato a profitto di quello di lalingua. La definizione
di Encore, « il linguaggio è una elucubrazione di sapere sulla lalingua », è declinata in diversi
modi nell’ultimo insegnamento di Lacan e il concetto di lalingua è in primo piano.
E’ il caso per esempio nelle conferenze del 1975, a Genova, a Nizza e negli Stati-Uniti (12). Non
si tratta più di « linguaggio astratto », come struttura, ma della lingua particolare che un soggetto,
anche lui particolare, riceve, di cui è « impregnato ». Non è più il « linguaggio teorico », il
linguaggio come strumento di comunicazone : è « lalingua che è parlata e anche intesa dal tale o
tal’altro nella sua particolarità ». E’ il significante preso nella sua sonorità e materialità – da cui
il neologismo di « materialismo », che fa la sostanza dell’inconscio. L’inconscio è fatto di
marchi impressi « dall’incontro di queste parole con il corpo », segni particolari che portano le
tracce del desiderio dei genitori. Notiamo già qui che questa definizione della lalingua fa il paio
con una ridefinizione di sintomo. Lacan lo definisce nel « R S I » come « ciò che dell’inconscio
si traduce in una lettera ». A Nizza, precisa che i marchi sono la traccia dell’incontro marcato dai
due parlesseri : « Il sintomo è l’inscrizione a nuovo del reale, di questa proiezione d’inconscio »
- egli utilizza l’immagine del proiettile che buca, crivella una superfice ; « il sintomo è
l’inscrizione di questo crivellamento del parlessere per mezzo del desiderio dei due congiunti »
(13). E’ in questo contesto che dirà ugualmente che il sintomo è « ciò che molte persone hanno
di più reale » (14).
Non possiamo che sottolineare, come lo ha fatto J.-A. Miller (15), che Lacan mette già l’accemto
sulle unità elementari che precedono tutte le articolazioni S1 – S2. Tutto il rinnovamento
concettuale di questo ultimo insegnamento si chiarisce attraverso : lalingua, parlessere,
sinthome, svista (une-bévue ) sono altrettanti concetti che si sostituiscono a quelli di linguaggio,
di soggetto, di sintomo e inconscio, attraverso questo spostamento di accento dall’Altro verso
l’Uno, dalla prevalenza della struttura S1 → S2 verso l’al di-qua della materialità del S1 da solo,
dalla connessione che induce il senso, alla sconnessione S1 // S2 che abolisce l’effetto di senso.
Questi spostamenti importanti non lasciano indenne il concetto di interpretazione. Nella dottrina
classica l’interpretazione è come un pesce nell’acqua ; il soggetto essendo definito come effetto
di significante, si comprende facilmente ciò che opera : « intaccando il significante,
maneggiando il significante, si deve ottenere una tarsformazione su ciò che è (…) il suo effetto
soggettivo », osserva J.-A. Miller all’inizio del suo corso « La fuga del senso ». Ma aggiunge,
« l’interpretazione diventa un concetto dei più problematici da quando (…) il modo di godere è
installato al cuore dell’esperienza analitica » (16). Per utilizzare una espressioen ricorrente di
Lacan : l’interpretazione è imbarazzata dal godimento come un pesce da una mela !
L’interpretazione, è ancora un termine adeguato quando non ha più deciframento, applicazione
della struttura S1 – S2, postazione di formazione dell’inconscio ? Cos’è l’interpretazione quando
la partenza non ha più il linguaggio ma lalingua, quando ciò a cui si mira non è più la rivelazione
della verità inconscia o il senso del sintomo, ma il nucleo di godimento incluso nel fantasma, il
sinthome come modo di godere singolare ? Ci vorrebbe una parola nuova per designare questa
« pratica post-interpretativa », sembra suggerire per le sue domande ripetute al riguardo in questi
ultimi anni ; poiché, in effetti, « l’interpretazione non sarà più ciò che è stata ».
L’epoca dell’interpretazione, l’epoca in cui Freud sconvolse il discorso universale con
l’interpretazione, è chiuso. (…) Ciò che Lacan continua a chiamare « l’interpretazione » non è
più quella (17). Prima di esaminare quali piste ci propone, vorrei abbozzare, senza essere
esaustiva, qualcuna delle vie successive che Lacan ha preso a prestito per rispondere alla
domanda : « in che modo ciò opera ? » e ciò che era l’interpretazione in questi diversi momenti.
11
Scansioni nell’insegnamento di Lacan
L’inizio del suo insegnamento, segnato dal dominio del simbolico, afferma il potere del
linguaggio. L’interpretazione, attraverso la « risonanza semantica » (in « Funzione e campo
… » ) o attraverso l’ « allusione » metonimica (« Direzione della cura » ) permette la rivelazione
della verità inconscia ; essa è « liberazione del senso imprigionato » del sintomo (« Funzione e
campo … ») o punta verso il desiderio (« Direzione ») (18). Interpretare è essenzialmente
operare con del significante su del significante (19) e mirare verso ciò che sfugge al significante.
Usando il potere della produzione di senso dell’articolazione significante, ovvero la metafora e la
metonimia, l’interpretazione, come il dito levato di San Giovanni, indica un punto di
inarticolabile : la confessione del desiderio inciampa su « l’incompatibilità del desiderio con la
parola » (20).
L’oggetto a, questo elemento eterogeneo all’immaginario e al simbolico, ignorato dalla
linguaistica, sarà in seguito la posta in gioco. Nel 1972, nel «L’etourdit » la formulazione
« l’interpretazione deve portare sulla causa del desiderio » è ripresa in un contesto in cui Lacan
crede che la logica sia « una scienza del reale » - assioma al quale poco dopo rinuncerà, come
indica J.-A. Miller nella sua presentazione del tema del congresso : « l’ultimo insegnamento di
Lacan avanza verso : non c’è scienza del reale » (21). Nel « L’etourdit », il reale è definito come
« impossibile », come « ciò che non cessa di non iscriversi ». Questo è il reale proprio della
psicoanalisi : l’impossibile scrittura del rapporto sessuale. L’interpretazione deve circoscrivere
questo reale attraverso l’equivoco, che certo è omogeneo all’inconscio fatto di lalingua, ma che
lega prima di tutto le sue tre modalità (omofonia, grammatica, logica) sotto l’esigenza logica,
« senza la quale l’interpretazione sarebbe imbecille » (22).
« L’interpretazione deve essere equivoca », ripete Lacan negli Stati-Uniti, ma non si tratta qui di
logica. E’ lalingua, luogo dell’equivoco, che è l’alfa e l’omega dell’operazione analitica nelle
conferenze del 1975. « Nella lalingua di cui ne abbiamo ricevuto l’impronta, una parola è
equivoca », egli dice (23). « E di nuovo da lalingua che porta l’interpretazione « (24). Dà
l’esempio famoso di Freud, del feticismo (germanofono) attirato dal « luccichio sul naso), dove
nel « Glanz » tedesco (luccicante) consuona il « glance » (sguardo) dell’inglese, che era la
lingua che aveva appreso alla nascita. Lacan insiste sul fatto che « in ciò che è detto, c’è il
sonoro, e che questo sonoro deve consuonare con ciò che pertiene all’inconscio ». (25) Dunque,
dice a Nizza, « ci sono (…) delle forti possibilità che ciò che c’è di più operativo, sia un dire che
non ha senso ».
Rinviando alla scoperta freudiana della relazione del motto di spirito con l’inconscio, e facendo
del linguaggio non più una struttura astratta ma l’equivoco, deduce : « se il motto di spirtito ha
un senso, è precisamente d’equivocare. E’ in ciò che da il modello della giusta interpretazione
analitica ». L’interpretazione è qui dunque in qualche modo una operazione della lalingua sulla
lalingua.
Il riferimento al motto di spirito e all’equivoco è sempre presente nel « L’une-bévue », ma Lacan
non si soddisfa di ciò che ha elaborato fin qui. Stabilendo la disgiunzione radicale del reale e del
senso, Lacan cerca una via che sarebbe, diciamo, adeguata al reale. Richiamando dai suoi
desideri un « significante nuovo » che non avrebbe nessun genere di senso, come il reale, trova
nella poesia il paradigma di ciò che dovrebbe « inspirare » l’interpretazione analitica. « Non c’è
che la poesia (…) che permetta l’interpretazione », aggiungendo che egli non è « abbastanza
poeta » (« non sufficentemente poeta » ). In che cosa questo riferimento alla poesia è diverso da
ciò che ne ha potuto fare prima ? Rinvio al corso del marzo 2007 di Jacques-Alain Miller che
12
propone qualche pista illuminante per decifrare queste lezioni molto difficili. Ricordo qui solo
qualche punto.
Non si tratta di una poesia qualsiasi ; è una poesia « che è effetto di senso, ma benanche effetto
di buco » ; l’ha incontrata con il libro di François Cheng appena uscito, « La scrittura poetica
cinese », e raccomanda agli analisti di « prenderne il seme » (26) : « (…) vedrete che è il
passaggio forzato attraverso cui uno psicoanalista può fare suonare cose diverse dal senso ».
Aggiunge : « Il senso, è ciò che risuona in aiuto al significante. Ma ciò che risuona non va
lontano, è piuttosto molle. Il senso invece tampona ». dunque non si tratta più della « risonanza
semantica » del 1953, non si tratta solamente d’ottenere un senso con un gioco sul senso.
D’altronde, come lo dice in una delle sue lezioni, il senso addormenta, la poesia addormenta
anche lei, se va di senso in senso ; è quando non si comprende che ci si risveglia. Con questo
« significante nuovo » si tratta di un altro uso del significante che avrebbe un effetto di
« siderazione », che uscirebbe dal sonno del senso. Di questa forzatura operata dalla poesia,
Lacan ne rende conto operando in qualche modo lui stesso una sorta di forzatura
dell’articolazione significante minimale S1 → S2. Egli la modifica dando un’altra portata a S2 :
non è « secondo » ma ha un « senso doppio », e questo senso doppio ha ciò di particolare nella
costrtuzione di Lacan, non tanto che sia un raddoppio di senso (nel senso di « a doppio senso » di
« equivoco » ), ma che il secondo senso sia infatti assente : Il « tour de force » del poeta è « di
fare si che un senso sia assente » (27), è di eliminare un senso, « rimpiazzandolo, questo senso
assente, con la significazione. Il significante non è ciò che un vano popolo crede. E’ una parola
vuota. » (28) Questa significazione per la quale il poeta raddoppia il senso è l’equivalente del
buco, dice Jacques-Alain Miller. E’ « il buco nel reale che è il rapporto sessuale » (29). La poesia
secondo Lacan produce dunque un effetto di senso e un effetto di buco. L’interpretazione che
dovrebbe inspirarsi, per un uso « per cui si uniscono strettamente il suono e il senso » (30), « può
fare suonare cose diverse dal senso », come nella poesia cinese. E’ di un’altra « risonanza » di
cui si tratta, la « risonanza dell’effetto di buco», dice J.-A. Miller, e conclude il 28 marzo 2007 :
« l’interpretazione non è semplicemente un equivoco di senso a senso », ma « la forzatura per
cui un senso, sempre comune, può [fare] risuonare un significante che è vuoto, che è vuoto a
condizione che ci si voti .
Ci sarebbe molto da dire del riferimento alla poesia cinese, in particolare nel modo in cui questa
giunge a creare il vuoto, come Cheng l’analizza nel suo libro ; anche dell’importanza della
nozione di « Vuoto mediano », che Lacan non riprende nel suo Seminario « L’une-bévue », ma
che lo interessava da vicino, come ne testimonia Cheng a proposito dei loro incontri (31). Questo
vuoto mediano, chiamato anche Soffio mediano, è un concetto dinamico e un termine terzo che
lega gli opposti nel seno dei binari, che introduce una circolazione tra l’Uno e il molteplice, tra
« ciò che ha un nome e ciò che non ha nome ». Rinvio su questo punto all’articolo di Eric
Laurent, « La lettera rubata e il furto sulla lettera », che sviluppa come questo Vuoto mediano è
« una sorta di versione del litorale, sia ciò che separa due cose che non hanno tra loro nessun
mezzo di stare insieme, nè nesssun mezzo di passare dall’una all’altra, » (32) ; è la possibilità di
fare stare insieme ciò che non sta insieme, il reale e il senso (…) » (33).
Note:
1) Lacan, J., « L’insu que sait de l’une-bévue, s’aile à mourre », lezione del 8 mars 1977, Ornicar ?, 16,
autunno 1978, p. 13.
2) Ibid., p. 12.
3) Ibid., 17 maggio 1977, Ornicar ?, 17/18, primavera 1979, p. 23.
4) Lacan, J., « Joyce le symptôme », in Le Séminaire Livre XXIII Le sinthome, Paris, Seuil, 2005, p. 164 et
p. 167.
13
5) Lacan, J., « Joyce le Symptôme », Autri scritti, Paris, Seuil, 2001, p. 570.
6) Ibid. Vedere il commentario di J.-A. Miller al suo del 14 mai 2008.
7) Lacan, J., « Una pratica di chiacchera », Il momento di concludere, lezione del 15 novembre 1977, in
Ornicar ?, 19, p. 7 e p. 5.
8) Lacan, J., « Le phénomène lacanien » [30 novembre 1974], Les cahiers cliniques de Nice, 1, juin 1998,
pp. 9-25.
9) Miller, J.-A., « Parvenza e sinthomes. Presentazione del tema del VIIe Congrèssso dell’AMP, La Cause
freudienne, 69, p. 131.
10) Vedere J.-A. Miller, in particolare « I sei paradigmi del godimento », La Cause freudienne 43,
11) Vedere Lacan J., Il Séminario Libro X L’angoscia, Seuil, Paris, 2004.
12) A Nizza: “Il fenomeno lacaniano” (30 novembre 1974), Les cahiers cliniques di Nizza, 1, giugno 1998,
pp. 9-25. A Genova : « Conférenza à Genèva sul sintomo » (4 octobre 1975), Le Bloc-notes de la
psychanalyse, 5, 1985, pp. 5-23. Negli Stati-Uniti : « Conferenze e colloqui nelle università nordaméricane » (nov.-déc. 1975) , Scilicet 6/7, Seuil, 1976, pp. 5-63.
13) Lacan, J. « Il fenomeno lacaniano», op. cit., p.22.
14) Lacan, J., « « Conferenze e colloqui nelle università nord-américane », op. cit., p. 41.
15) Vedere in particolare Miller J.-A., « L’orientamento lacaniano », « L’ultimo Lacan », corso del 14 mars
2007.
16) Miller, J.-A., « L’orientamento lacaniano », « La fuga di senso », lezione del 22 novembre 1995, inédito.
17) Miller, J.-A., « Il rovescio dell’interprétazione », La Cause freudienne, 32, p. 11.
18) Lacan, J., « Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi » e « La direzione della cura e
i principi del suo potere », in Scitti, Seuil Paris, 1966.
19) Miller, J.-A., « La fuga del senso », op. cit., 20 marzo 96 ??
20) Lacan, J., « La direzione della cura… », op. cit., p. 641.
21) Miller, J.-A., « Parvenza et sinthomes », op. cit., p. 130.
22) Lacan, J., « L’étourdit », Autres écrits, op. cit., p. 492.
23) Lacan, J., « Conférenza a Genova sul sintomo ».
24) Lacan, J., « Il fenomeno lacaniano », op. cit.
25) Lacan, J., « Conferenze e colloqui nelle università nord-américane », op. cit., p. 41.
26) Lacan, J., « L’insu que sait de l’une-bévue… », op. cit., lezione del 19 aprile 1977, Ornicar ?, 17/18, p.
15.
27) Ibid., lezione del 15 marzo 1977.
28) Ibid.
29) Miller, J.-A., « L’orientamento lacaniano », « L’ultimo Lacan », lezione del 28 marzo 2007.
30) Lacan, J., op. cit., 19 aprile 1977.
31) Vedere gli incontri con Cheng, L’Ane, 1, 1981, et L’Ane 48, 1991, e sua conferenza « Lacan e il
pensiero chinese », pubblicato nel volume Lacan, lo scritto, l’immagine, Champs Flammarion, Paris,
2000.
32) Laurent, E., « La lettera rubata e il furto della lettera », La Cause freudienne, 43, p. 4.
33) Ibid., p. 45.
Traduzione di Valerio Canzian
14
Alcune osservazioni circa il "semblante"
Miquel Bassols
I
E' un fatto che questo termine fa parte ormai del nostro vocabolario come traduzione del
semblant francese. Non trovando una più precisa traduzione lo abbiamo adottato in
spagnolo. Dovremmo però non mancare di indicare un certo uso neologico che questa
adozione comporta. Non indicarlo raddoppierebbe l'equivoco di pensare che "facciamo
sembiante" di dire in ogni lingua lo stesso, cosa impossibile come si legge nel titolo del
libro di Umberto Eco 1 circa il reale con cui abbiamo a che fare nella traduzione: si tratta
quindi di Dire quasi lo stesso, ammettendo però che c'è qualcosa che non cessa di non
scriversi nel passaggio di una lingua all'altra.
Nell'introdurre il suo corso “Della natura dei sembianti” 2, Jacques-Alain Miller fa un
percorso del termine semblant nella lingua francese, percorso necessario per poter capire la
torsione che Lacan le da quando estende il suo uso alla psicoanalisi.
Consultando i dizionari di lingua castigliana ci si indica che soltanto nel suo uso antico, o in
espressioni molto concrete, il “semblante” castigliano giungerebbe a dire quasi lo stesso
che il semblant francese. Generalmente, il termine “semblante” designa oggi il volto della
persona, riferimento che, seguendo il Petit Robert, non troviamo in nessuna delle accezioni
di semblant 3. Sebbene il Diccionario de la Real Academia include una quarta ed ultima
accezione di “semblante” come “apariencia” (parvenza) , il Diccionario de Uso del Español
di María Moliner l'abbandona, per circoscrivere il suo uso alla faccia, al volto di una
persona. Solo in senso figurato prende il senso specifico di “aspecto favorable o
desfavorable que presenta un asunto” (aspetto favorevole o sfavorevole che presenta un
assunto). Il così preciso Diccionario Crítico Etimológico Castellano e Hispánico de Joan
Corominas y José A. Pascual ci indica le strettoie che il termine ha dovuto traversare nella
sua storia. Anticamente, dal XIII e fino il XV secolo almeno, veniva usato il termine
“semblar” come “parecer” e, più comunemente, il participio attivo “semblante” con la
accezione de “parecido” (simile) , como “apariencia de algo” (parvenza di qualcosa). Nel
migliore dei casi potremmo riprendere questa accezione. Tuttavia, il suo uso versò presto
verso il senso di “rostro, aspecto de la cara” (volto, parvenza della faccia) dell'essere che
parla, e soltanto nell'essere che parla, per restare a loro circoscritto.
La parte è stata presa per il tutto - cosa che la retorica chiama precisamente metonimia- ed
il “semblante” come “el parecido” (l'assomigliante) di qualcosa o di qualcuno, finì per
restare ridotto al suo volto.
Per questo stesso spostamento, il termine “semblante” che prima era applicato alle cose, è
passato ad essere applicato all'anima della persona 4. Già nel secolo XVII, momento del
barocco a cui occorrerà tornare ancora per capire qualcosa del semblant, l'accezione del
termine “semblante” permase fissata come “rostro” (volto), come ce lo indica il Tesoro de
la Lengua Castellana o Española (hecho en 1611): “el modo en que mostramos en el rostro
alegría o tristeza, saña, temor o otro cualquier accidente, latine vultus a similitudine, porque
15
semeja en el rostro lo que uno tiene en el coraçón” ( il modo in cui facciamo vedere nel
volto allegria o tristezza, timore o qualsiasi altro incidente latine vultus a similitudine,
perché esprime nel volto ciò che uno ha nel cuore) . Sarà questa l'accezione che permarrà
fino l'attualità come la più usata in castigliano.
Da questi riferimenti si conclude che non è facile estrarne un uso del “semblante” vicino al
faire semblant, al être du semblant, o a quello che risulterebbe dalla opposizione tra il fauxsemblant ed il vrai-semblant. In castellano, espressioni come “hacer semblante de” o “ser
semblante” non avrebbero alcun senso dal punto di vista del linguista, tranne che
considerati come neologismi sorti nell'uso del termine, sia che avvengano in piccola o
grande scala. Ma proprio in questo potrebbe risiedere il loro pregio. La opzione di traslare
il semblant a “apariencia” (parvenza) , attraverso il “hacer parecer” (fare sembrare) o
persino per il “parecer ser” (sembrare di essere) non risulterebbe più facile. Con la
importazione del “semblante” si tratta, dunque, di una sorta di mutazione nella lingua che
ci indica, in realtà, la stoffa di cui è fatta la propria lingua: meaning is use. Forse un giorno
i dizionari del castellano si faranno eco di essa e in includeranno l'accezione lacaniana di
“semblante” come un effetto di verità del discorso della psicoanalisi nella lingua. Vadano
queste osservazioni come esercizio volto a situare questo nuovo “semblante” (sembiante) .
II
E' da fare notare come, quell'artigiano del fare sembrare che è stato Baltasar Gracián nel
barocco spagnolo, non usasse in tutta la sua opera il termine “semblante” se non come
accezione di “rostro” (volto). Lacan ha qualificato lo scrittore aragonese come "stella di
prima grandezza nel cielo della cultura europea" 5, torna a riferirsi a lui consigliandone la
lettura, nel Seminario XVIII 6. Vale la pena visitare un paio di riferimenti dove il termine è
forzato oltre la sua riduzione all'immaginario del simile, per così giungere ad evocare il
simbolico del semblant, anche sé non senza evocare il versante più reale della lettera.
- “Yo diría que, a pocas palabras, buen entendedor. Y no sólo a palabras, al semblante, que
es la puerta del alma, sobrescrito del corazón” (Io direi che, a poche parole, buon
intenditore. E non solo parole, al sembiante, che è la porta dell'anima, sovrascrittura del
cuore) 7. Il sembiante, il volto, é qui la porta di entrata ai secreti dell'anima, ma per questo
anche sovrascrittura – palinsesto che cancella un testo con l'altro- delle passioni del cuore.
- “El apasionado siempre habla con otro lenguaje diferente de lo que las cosas son: habla en
él la pasión, no la razón; y cada uno según su afecto o su humor, y todos muy lejos de la
verdad. Sepa descifrar un semblante y deletrear el alma en los señales; conozca al que
siempre ríe por falto y al que nunca por falso…” (L'appassionato parla sempre con un altro
linguaggio, differente da ciò che le cose sono: parla in lui la passione, non la ragione; e
ciascuno secondo il suo affetto e il suo umore, tutti sono molto lontani dalla verità. Sappia
decifrare un sembiante e sillabare l'anima nei segnali; conosca colui che sempre ride per le
sue mancanze (o per la sua stupidità) e mai per la sua falsità..8. Il sembiante designa anche
qui il volto, - seguiamo la referenza all'immaginario del sembiante -, ma continua ad essere
un messaggio cifrato che bisogna decodificare nei suoi segnali.
In effetti, Baltasar Gracián ha intuito l'arrivo del discorso della scienza e dei nuovi
sembianti che abitano la natura, dalla costellazione di stelle al tuono evocato da Lacan
come uno dei nomi del padre. Quando nella sua opera spiegherà tutta la sua arte di fare
apparire- è in questo punto dove possiamo imparare qualcosa del semblant come categoría 9
– incontreremo nella sua opera momenti suggerenti come questo che segue: “No ser
tenido por hombre de artificio, aunque no se puede ya vivir sin él. Antes prudente que
astuto. Es agradable a todos la lisura en el trato, pero no a todos por su casa. La sinceridad
16
no dé en el extremo de simplicidad, ni la sagacidad, de astucia. Sea antes venerado por
sabio, que temido por reflejo. Los sinceros son amados, pero engañados. El mayor artificio
sea encubrir lo que se tiene por engaño…” ( Non essere considerato uomo di artificio,
benchè non si possa vivere senza di esso. Prima prudente che astuto. E' gradevole per tutti
la semplicità dei modi, ma non per tutti a casa propria. La sincerità non giunga all'estremo
della semplicità, nè della sagacia, dell'astuzia. Sia prima venerato come saggio, che temuto
per riflesso. I sinceri sono amati ma ingannati. Il maggior artificio sia nascondere ciò che si
considera inganno.) 10. Si tratta de una specie di artificio elevato alla seconda potenza e che
si sottrae alla prima nella misura in cui fa della verità, precisamente, un “hacer parecer”
(fare sembrare) , in un uso singolare della sembianza, del sembiante come luogo del
discorso. E' proprio qui che è necessario distinguere molto bene l'identificazione con il
significante padrone, dell'uso della parvenza, del sembrare di essere o del sembiante.
Questa stessa circostanza sarebbe atta a sciogliere un altro artificio nell'uso implicito che
alle volte si da a questo termine: quello di sembiante come inganno, finto, o menzogna. Il
riferimento di Lacan alla verità come un sembiante - alla verità, attenzione, non ai suoi
effetti- mette già in questione quella accezione di uso. la critica ai discorsi che farebbero di
tutto un sembiante, non sfugge, in realtà, al paradosso di considerare una verità aldilà del
sembiante. Senza dubbio, lo spirito del barocco ci verrà in aiuto per “brujulear”
("bussolare") – il termine veniva usato proprio per indicare l'azione di orientarci con la
bussola - con il sembiante, nel modo giusto.
Ciò che resta in questione è l'idea, sostenuta dalla prossimità linguistica al senso ed al
godimento, del fatto che ci sarebbe un referente preciso del termine “semblante”. Sarà
precisamente a proposito del semblant e del referente che Lacan manifesterà di passare
dalla linguistica nella misura che ci se ne serva, indicando che “il referente non è mai il
buono, e questo è ciò che fa un linguaggio” 11. Da questa prospettiva, ogni designazione è
metaforica ed il referente reale resta come vuoto, come impossibile da designare.
Quindi, non si tratta tanto di faire semblant, espressione che in francese si avvicna a "fare
commedia", ma di alloggiarsi, di esserci nella categoria del semblant come luogo inerente
al discorso. Nell'uso lacaniano del termine, come ci ricordava il collega Patrick Monribot
recentemente a Barcellona, non si tratterebbe tanto del “fare come se”, del fingere o
dell'ingannare nascondendo la verità, ma dell' essere nel sembiante, e da lì farsi prendere
per quello che in realtà, si é.
III
Allora, disinganniamoci quanto basta della linguistica, o meglio, della linguisteria, per
poter cogliere la singolarità del sembiante nel discorso analitico. Come indicava Éric
Laurent nella sua presentazione del numero 1 di “Papers”, intitolata precisamente “Senza
referenza”: “Lo psicoanalista, contrariamente al linguista, denuncia il miraggio della
referenza, specialmente in una prospettiva di calcolo di questa, nel mito di una lingua
mentale computerizzata, artificiale.” 12. L'unico rifermimento del discorso, l'unica
Bedeutung é, per la psicoanalisi la significazione del fallo come sembiante. E' per questo
che Lacan giungerà a dire riguardo al titolo del proprio testo del 1958, Die Bedeutung des
Phallus, “La Significazione del Fallo”, che in realtà é un puro e semplice pleonasmo 13.
Non c'è nel linguaggio altra Bedeutung se non il fallo stesso come riferimento della
significazione, il sembiante per eccellenza che viene al posto dell'impossibilità di
simbolizzare il rapporto tra i sessi. Il fallo come significante del godimento é così una sorta
di sembiante universale, presente in ogni cultura e discorso in una forma o nell'altra come il
17
sembiante che vale per tutti e per ognuno. E' per questo che Lacan lo assimilerà al
significante Uno, S1, significante Padrone.
Ma non è questa l'unica dimensione del sembiante, e neppure quella che il discorso
dell'analista vorrà utilizzare nel luogo dell'agente. C'é un altra dimensione, che possiamo
situare ne registro singolare di ogni soggetto, per differenziarlo dell'uso universale del
sembiante del fallo, e che Lacan affronterà con l'oggetto a. Si tratta in questo caso di un
sembiante singolare, un sembiante che si propone di essere ciò che sembra, quello che
sembra di essere, ciò che fa apparire come essere. Di fronte al "niente è ciò che pare" del
significante, l'oggetto a si innalzerebbe come un'eccezione, come un sembiante di essere,
certamente, ma l'unico che non è un significante e che risulterebbe impossibile da
negativizzare come presenza di un godimento irriducibile a lui. In questo punto, l'uso che fa
la psicoanalisi del sembiante, mostra un'affinità dell'oggetto con il "sembrare essere"Questo é, secondo Lacan, proprio del discorso dell'analista: “La affinità di a con il suo
involucro è una delle articolazioni principali proposte dalla psicoanalisi ” 14. Si tratta in
questo caso di una “affinità” dell'oggetto con il suo involucro, ma non di una identità con la
sostanza di godimento riguardo la quale non è che un sembiante.
In realtà, un oggetto affine al suo involucro sarà sempre un oggetto vuoto, vuoto quanto lo è
il referente stesso della catena significante che cerca di coglierlo.
Ma è anche facendolo presente, facendo comparire questo involucro che il soggetto potrà
cogliere qualcosa del godimento che abita nella sua lingua.
Il sembiante sembra ora svanire, avvolgendosi nella propria contiguità, e si riduce ad un
bordo, quel "bordo di parvenza che localizza il nucleo di godimento" come indicava
Jacques-Alain Miller nel presentarlo per il nostro prossimo Congresso della AMP 15. E'
questo stesso bordo quello che così diventa l'unico punto di accesso all'opacità del sintomo.
Traduzione di Laura Rizzo
Note
(1) Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzioni, Bompiani 2003. Traducción al
castellano, Decir casi lo mismo. Experiencias de traducción, Lumen 2008.
(2) Jacques-Alain Miller, Curso de 1991-92, De la naturaleza de los semblantes, Paidós, Buenos Aires 2002.
(3) Stessa cosa sembra succeda con il portoghese, dove “semblante” indica prevalentemente il senso di
“fisionomia, rosto, face”. In italiano, il “sembiante” sarebbe invece più vicino "all'aspetto, apparenza”,
conservando anche in questo caso il senso di “sembianza, volto”. In inglese, sarebbe stato più prudente
conservare il termine in francese invece di tradurlo al “semblance”. Si veda Russell Grigg, “The Concept of
Semblant in Lacan's Teaching”, Lacanian Ink. Anche sé lo stesso Russell Grigg indica una buona contingenza
nella lingua inglesa: “Foolish men mistake transitory semblance for eternal fact” (Thomas Carlyle). Esiste
anche l'espressione “a semblance of truth” per esprimere la verosomiglianza.
(4) Questo uso ultimo, ristretto al “semblante” come “rostro” (volto) é stato, di fatto, preso dal catalano –
dove esistono semblar e semblant –, lingua in cui il termine ha conservato, l'antica accezione.
(5) Jacques Lacan, “La cosa freudiana”, en Escritos, Siglo XXI, México 1984, p. 389.
(6) “Alguien del que habría que ocuparse un día es por ejemplo Baltasar Gracián, que era un eminente jesuita
que escribió cosas de las más inteligentes que se puedan escribir”. Jacques Lacan, Le Séminaire, livre XVIII,
“D’un discours qui ne serait pas du semblant”, du Seuil, Paris 2006, p. 36. Traduzione allo spagnolo,
Seminario 18, “De un discurso que no fuera del semblante”, Paidós, Buenos Aires 2009, p. 35.
(7) Baltasar Gracián, “El discreto”, Obras Completas II, Turner, Madrid 1993, p. 123.
(8) Baltasar Gracián, “Oráculo manual y arte de prudencia”, Obras completas II, p. 294.
(9) Una interessante giornata di lavoro convocata da Jacques-Alain Miller nel Febbraio 1992 ha dato luogo
ad una serie d'interventi sul tema, pubblicati in spagnolo con il titolo “Arte del Hacer Parecer. Clínica del
Semblante”, Fascículos de Psicoanálisis, Ediciones Eolia, Barcelona 1992.
(10) Baltasar Gracián, op. cit. p. 275.
(11) Éric Laurent, “Senza referenza”, en Papers nº 1, marzo de 2009.
18
(12) Jacques Lacan, Le Séminaire, livre XVIII, “D’un discours qui ne serait pas du semblant”, du Seuil, Paris
2006, p. 148.
(13) Jacques Lacan, op. cit., p. 45.
(14) Jacques Lacan, Le Séminaire, livre XX, “Encore”, du Seuil, Paris 1975, p. 85. Traduzione allo spagnolo,
“Aún”, Paidós, Buenos aires 1975, p. 112. Da sottolineare il termine “envoltura” (enveloppe- involucro) che
potremmo fare estensivo all'espressione “envoltura formal del síntoma” (involucro formale del sintomo) che Lacan
indica in un altro luogo, “De nuestros antecedentes”, en Escritos, Siglo XXI, México 1984, p. 60.
(15) Jacques-Alain Miller, “Semblants et sinthomes. Présentation du thème du VIIe congrès de l’AMP”, La
Cause freudienne 69, setembre 2008, p. 131. Jacques-Alain Miller Il tema del VII Congresso dell’AMP,
Attualità lacaniana N.8 2008, p.25
Guerriero applicato e destituzione soggettiva
Bernard Seynhaeve
Ho letto in questi giorni il “Discours à l’E.F.P”1 di Jacques Lacan.
Questo scritto è stato stilato alcune settimane dopo che Lacan aveva prodotto la sua
“Propositio”2. Vi sottopongo un passaggio relativo alla questione della destituzione soggettiva di
cui gli AE sono invitati a rendere conto. E’ un testo di cui non avevo misurato del tutto la
portata: “Si tratta proprio di far intendere che non è la destituzione soggettiva a fare disessere,
quanto piuttosto essere singolarmente e ampiamente. Per averne un’idea, supponete la
mobilitazione della guerra moderna […]Il guerriero applicato, è la destituzione soggettiva nella
sua salubrità.”
Ho letto questo testo per la prima volta. Guerriero applicato… quante volte avevo inteso
utilizzare questo significante? Non lo avevo, però, mai articolato al secondo: “destituzione
soggettiva”3. “ Non c’entra niente con il disessere, prosegue Lacan, in cui si tratta di sapere come
la passe possa affrontarlo affibbiandosi un ideale il cui disessere si è scoperto, precisamente in
quanto l’analista non supporta più il tansfert di sapere supposto in lui. “4
La risposta di Lacan all’esperienza del disessere mi tocca intimamente.
“Essere piuttosto, singolarmente e ampiamente”. La sua risposta riguarda il rapporto decisamente
stretto con l’insegnamento che ci si attende da un AE, una volta che è stato nominato, il suo
legame con la Scuola.
Insegnare? Lacan risponde: “se c’è qualcuno che passa il suo tempo a passare la passe, sono
io”5..
Un anno dopo essere stato nominato, mi sono accorto che ciò che mi permette di andare avanti
sono le domande che mi si pongono sulle domande che mi pongo, questa è la mia bussola. E’ una
bussola che non ha il nord. Avanzo senza sapere dove vado. Come? Con le domande che si
formulano sulle mie domande. Non ho altro soggetto di lavoro se non questa pioggia di
domande.
Come sono emerse? Quali sono?
Tiriamo il filo tessuto dopo il mio passaggio all’analista.
19
“Affrontare il disessere”
Affinchè la cura potesse chiudersi, bisognava da prima fare l’esperienza dell’Uno. L’intervento
dell’analista era stato un intralcio allo sviluppo della catena significante Separava S1 da S2,,
isolando l’Uno. La storia apparve improvvisamente come parte della macchina per godere. A
partire dal momento in cui si rivelò, dopo che io associai due significanti, che non c’era più la
fascinazione prodotta dal senso, ma il godimento delle chiacchere, morii. Penetrai nella
solitudine del deserto. Quando ci se ne accorge, più niente vale la pena di essere detto. Mi
confrontai con il silenzio, il deserto, la solitudine. La mia storia aveva improvvisamente preso
l’aspetto miserabile di una chiacchiera. Tale era stato l’effetto di questa interpretazione.
avanzavo in uno spazio in cui l’Altro non esiste , senza il ricorso del senso, necessario per
passare attraverso l’Altro.
Alla fine di questo deserto si produsse una chiarezza, un effetto di brivido che espelle il soggetto
fuori dal disegno del fantasma. S’era prodotta un’inversione grammaticale, che rinvia il soggetto
al piano dell’enunciazione, quello del fantasma inconscio. Il posto degli attori si ritrova
rovesciato. Era chiaro: il timore delle mosse dell’analista si muta nel desiderio delle mosse,
desiderio che velava quello del soggetto di occupare il posto della donna violata nel fantasma.
L’angolo del velo era stato sollevato. Questo fu l’effetto dell’interpretazione dell’analista che si
era prodotto nell’apres-coup.
Sono stati necessari due anni di traversate del deserto per accorgermi in un colpo che si trattò
della traversata del mio fantasma. Avrei potuto fermarmi là. Perché mi sono intestardito a volere
perseverare? Da dove veniva questa mia tenacia, questa determinazione ad avanzare verso il
reale? Perché io lo volevo. Volevo perseverare, andare al di là del taglio prodotto dall’intervento
radicale dell’analista. Al di là dell’Uno senza l’Altro. Al di là dei sembianti.
Era necessario fare l’esperienza dell’Altro che non esiste affinchè i sembianti si
scombussolassero e affinché, dall’inconscio, potesse sorgere una punta di reale di cui stavo
impadronendomi. La fine sorse allora. “E’ questo”, me ne impadronii, Sapevo che era finita.
Senza spegazioni.
Dunque la passe
Era finita, dunque la passe. Era indiscutibile. Era per dire ai passeurs che “era questo”, che era
finita, che lo riconoscevo, dovevo ammetterlo.
Perché questa ostinazione, questa imperiosa necessità di presentarmi ancora al jury della passe?
Perché questa congiunzione coordinativa? Dunque. E’ finita, dunque la passe. Ancora, avrei
potuto fermarmi su questo altro bordo, sulla soglia della passe. Nella mia vita niente mi aveva
preparato a questo. Questo non era il mio destino. E’ strano come si è imposta la necessità del
legame con la Scuola. Alla convinzione di una fine, si articola necessariamente la questione della
passe, perché fine del percorso e passe mi sono apparsi legati. Dato che è così, dato che c’è la
fine, allora la Scuola. Questa decisione si è collocata al cuore stesso del mio rapporto con la
Scuola. Era necessario. Io lo volevo. Non era pensabile in altro modo. Da un lato, volevo il
riconoscimento, del soggetto che ha fatto la prova dell’Uno, che deve consentire e ammettere
che ha terminato il suo circuito, non quello che viene dall’Altro,. Si trattava di consentire ad un
“è questo”, dall’altra, alle conseguenze, alla sua articolazione con la Scuola; ossia la sua
articolazione etica. Questo tempo fu vissuto come acefalo, non esente d’angoscia. Bisognava
deciderlo da solo, solamente deciderlo. Fu per me un atto senza riflessione che sorse da
un’imperiosa necessità. Era necessario andare ancora e sempre all’incontro con il reale. Non si
20
trattava di pesare i pro e i contro, di riflettere sulle conseguenze. Se ci avessi riflettuto, avrei
mancato e lasciato passare il tempo dell’atto. No! Prendere il tempo per pensare, sarebbe stato
arrivare troppo tardi. Non si trattava solamente di “dirsi si”, ma di “dire si” alla Scuola.
“ Essere piuttosto, singolarmente ampiamente”
Il passaggio dallo psicoanalizzante allo psicoanalista della Scuola è un atto dell’analizzante. E’
un “dire si” senza l’Altro. E’ un “dire si” al “è finita” che si articola al dire “si” alla Scuola.
Dovetti prendere questo rischio autorizzandomi da me soltanto, nella radicale solitudine
dell’Uno. L’analista non può autorizzarsi che da sé.
Eric Laurent, sottolineava il carattere performativo di questo dire: “è finita”. “E’ un “è finita”,
diceva, che diviene performativo […] A quel punto, c’è passaggio, da verificare dall’analizzante
all’analista. Rimane da verificare che l’analizzante, il quale si sostiene con il suo dire senza il
soggetto supposto soggetto, abbia, effettivamente, superato questo punto. L’atto analitico è un
modo performativo nel quale si compie qualche cosa, […] dove qualche cosa del godimento è
sufficientemente toccato per essere trasformato. A quel punto, la traversata si è compiuta in
questo atto che consiste nel dire: “E’ finita”6, attraverso il lungo cammino di questo fantasma
(quello che ho sviluppato nella mia testimonianza) – tra virgolette – masochista sulla mossa e
l’articolazione delle mosse, ecc., (vedi “un bambino è battuto”)
Il jury aveva detto “si”. Davanti a me si apriva ora un nuovo deserto. Ho lasciato un deserto per
entrare in un altro. Bisognava andarci. Ci andai. Ci andai senza sapere verso che cosa e senza
alcun sapere, senza ricorrere all’Altro, con S di grande A barrato, come solo indice. E io mi sono
ingaggiato. Come J. A. Miller ha sottolineato, testimonierò, questa volta, davanti al pubblico.
Farò la mia passe davanti a lui. Spiegherò questo passaggio inspiegabile dall’analizzante
all’analista. Era esigibile dalla mia Scuola; era indispensabile per me. Spiegherò anche perché ho
preso questo “rischio folle, come ha rimarcato Lacan, di diventare un oggetto a”8 Spiegherò in
cosa io non mi autorizzo che da me stesso, senza il ricorso ad un sapere supposto. Formalizzerò
l’atto, l’atto analitico.
Da dove cominciare? Avevo trovato del grano da macinare. Racconterò la mia cura. Uffa!
Comincerò formalizzando la clinica del “mio caso”, il mio mito.
Mi ritrovai tuttavia sempre nelle chiacchiere. Ciononostante, era necessario per fare un passo in
avanti.
La logica della decisione
Il passo successivo consiste nello spiegare la temporalità logica della fine della mia cura: è una
passe in tre tempi.
Al di là del deserto, quello che aveva provocato l’interpretazione dell’analista, si produsse un
sogno. Accolsi questo sogno e l’esperienza si puntualizzò. Presi il pezzo di reale che porta e
nomina. Patè de tete, (patè di testa), questo era l’ombelico del sogno, l’ombelico della mia cura.
Questo sogno aveva interpretato: “Guarda ciò che ne è del tuo essere. L’immondo”. Accolsi
l’immondo e lo elevai alla dignità di un oggetto prezioso. Così si precisa l’episodio analizzante.
La fine è contingenza nella quale si coniugano casualità dell’incontro e decisione dell’essere.
Ci vuole il caso, nonostante vi cada addosso. E’ così. Il caso non dipende dall’essere. Non è
garantito da nessuno. Il riconoscimento della fine dipende dalla decisione dell’essere durante
l’incontro.
L’inizio della fine si è sviluppato secondo la logica seguente. C’era:
21
1. L’istante del vedere l’immondo che si avvicinava al reale.
2. Il tempo per comprendere, cioè riconoscervi il suo essere. E’ il tempo dell’ammissione,
del riconoscimento, senza il ricorso dell’Altro. “E’ così, riconosco in te il segno della
fine”.
3. Il momento di concludere infine, di acconsentire, d’accettare, di ratificare l’evidenza. E’
il momento, soprattutto, di trarne la doppia conseguenza logica: uscire dalla cura per
entrare nella procedura della passe.
La logica della cura
Nello slancio di questo passo, si delinea progressivamente un disegno. La mia cura si era svolta
tra due interpretazioni.
La prima interpretazione, quella dell’avviamento della mia cura, tocca la congiunzione del corpo
e del linguaggio. Questa interpretazione avrà d’altra parte due effetti che si coniugheranno lungo
tutta la cura: la proliferazione di un fantasma masochista costruito all’uscita dall’infanzia e la
riattivazione di un sintomo ossessivo apparso all’inizio dell’adolescenza.
La conseguenza di questa prima interpretazione sarà il dispiegamento della catena significante a
partire da un sogno. Questo sogno di inizio cura fu per me il punto di Archimede della catena
significante: S1 –S2 . E’ la stagione dell’avviamento della cifrazione-decifrazione. Entrai nella
dimensione dell’inconscio transferenziale. Questa prima interpretazione ebbe valore
d’interpretazione perché credevo all’inconscio.
L’altra conseguenza è l’apparizione di un sintomo, al quale non diedi importanza per una lunga
parte della mia cura. Era una sorta di piccolo saltellare che mi accompagnerà durante tutta la
cura: si trattava di non camminare sulle giunture dei marciapiedi quando mi recavo dal mio
analista. Lo chiamavo: “ il piccolo sasso nella mia scarpa” non gli darò importanza. Non creava
disturbo. Era solo utile per ricordarsi di un buon ricordo. Non ne parlai dunque. Semplicemente
non ci capivo niente. Durante la cura non ne parlai quasi mai. Mi sembrava che non avesse alcun
interesse. Restava per me una cosa opaca, una sorta di punto oscuro di cui non potevo dire niente
in senso stretto.
La seconda interpretazione taglierà netto il legame da S1 a S2. Mentre rispettavo la regola
analitica, questa seconda interpretazione produsse un taglio nella catena. Lasciai l’inconscio
transferenziale e mi precipitai nell’inconscio reale, nell’area del S1, tutto solo, dell’Uno senza
l’Altro. E’ in quel contesto che ho conosciuto la traversata del deserto.
I rovesciamenti sintattici del fantasma masochista si poterono produrre in fondo al deserto.
Bisognava passare logicamente per la prima interpretazione affinché aderissi all’ipotesi di Freud
e credessi all’inconscio. Era necessario per entrare nella cura propriamente detta. Quello fu
l’effetto della prima interpretazione. senza di essa, non ci sarebbe stata analisi.
Dopo c’era stata la seconda interpretazione che produrrà un taglio, una rottura della catena
significante. L’arresto dell’associazione era necessaria per entrare nella dimensione dell’Uno ed
avere accesso a S di A barrato.
La scrittura di un bordo
Vado avanti , dicevo, con delle domande.
Alla mia prima testimonianza a Buenos Aires avevo dato il titolo: “Scrittura di un bordo”.
Questo titolo lo ho abbandonato perché non mi sentivo all’altezza per formulare qualsiasi cosa
22
sulla scrittura. A Parigi avevo trovato un nuovo titolo: “Una lettera arriva sempre al suo
destinatario”, ma non potevo dire niente della lettera.
A Bruxelles, recentemente mi è stata posta questa domanda: “ Ci piacerebbe che ci dicesse
qualche cosa sull’iscrizione della lettera nel corpo”.
In questo modo risorse il piccolo sasso nella scarpa che con cura avevo fatto passare nel silenzio.
Questo sintomo prenderà un posto determinante alla fine della mia esperienza analitica; mi
disturberà sempre di più. Oggi che ho fatto la passe, voglio parlarne. Oggi, è ciò che metto al
lavoro.
Perché ho dato alla mia testimonianza di Buenos Aires il titolo: “Scrittura di un bordo”? Ho dato
questo titolo perché il ciglio in città è ciò che fa bordo tra il marciapiede e la carreggiata. “ Si
pensa con i piedi”, diceva Lacan. E’ quello che, a mio modo, verificavo. Questo sintomo è una
scrittura. E’ una scrittura speciale, singolare. Simile ad uno stilo, scrivevo con il mio corpo. Si
trattava di un evento del corpo.
La traversata del deserto che qui evoco situa una zona. E’ uno spazio flou situato tra pelle e
carne, tra due campi eterogenei: il reale e il simbolico.
Ho avuto già l’occasione di sottolineare il commento fatto da J: A. Miller del testo di Lacan nella
sua “ Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI”9.: Quando […] lo spazio di un lapsus non
ha più alcuna portata di senso (o interpretazione), solamente allora si è sicuri che si è
nell’inconscio”10. J. A. Miller fa valere il taglio, la sconnessione tra S1 e S2. “Ci troviamo a
ledere, diceva, la sua congiunzione, il legame del famoso S1 e del famoso S2. […] Questa frase,
continua J. A. Miller, comporta, se la si legge bene, che S1 non rappresenta niente, che non è un
significante rappresentativo. Questo attacca ciò che è, per noi, il principio stesso dell’operazione
psicoanalitica, in quanto la psicoanalisi ha il suo inizio nel fondamento minimo S1 –S2 del
transfert”11. Miller pone dunque in evidenza la sconnessione tra S1 e S2 nella cura analitica. La
seconda interpretazione dell’analista, di cui vi ho parlato, toccò, nella mia cura, precisamente
questo punto di congiunzione. Ciò che disgiunge S1 da S2.
Mi sembra che si possa meglio cogliere qui come questa riduzione, questa depurazione del
simbolico, renda possibile lo slittamento del sintomo verso il sinthomo. Questo slittamento è il
passaggio dal simbolico al reale del godimento.
La cerniera essenziale della cura che voglio porre in evidenza, relativa al passaggio nella
dimensione del reale, si situa precisamente in questo taglio tra S1 e S2. Esso isola il campo
dell’Uno da quello dell’Altro. Da questo fatto stesso, l’S1 perde il suo statuto di sembiante. Non
si trova più in una dinamica simbolica, cioè nella rappresentazione. Non ci si colloca più nella
dinamica del S1 come sembiante che rappresenta un soggetto, dato che è necessario l’Altro
affinché l’S1 risponda alla sua funzione di sembiante. Non ci si trova più nella dimensione
dell’S1, il quale rappresenta un soggetto per un altro significante. L’S1, in questo caso, è
dell’ordine del tratto, dell’Uno.
“Il godimento Uno fa a meno dell’Altro”
Ne I sei paradigmi del godimento, J. A. Miller sottolinea che “il godimento della parola
interviene in Lacan solo come una figura del godimento Uno, tagliato dell’Altro. Godimento
della parola vuole dire che la parola è godimento, nella sua parte essenziale non è comunicazione
all’Altro. E’ il bla-bla. […] La parola non è altro che una modalità del godimento Uno.
C’è un corpo che parla, che gode in differenti modi. Il luogo del godimento è sempre lo stesso: il
corpo […] Per il fatto che parla, il corpo non è, di per sé, legato all’Altro. E’ solo attaccato al suo
godimento Uno. Ci se ne accorge attraverso la psicoanalisi […] E’ su questa base, continua JAM
,che si giustifica la proposizione non c’è rapporto sessuale. Non c’è rapporto sessuale significa
23
che il godimento evidenzia come tale il regime dell’Uno, è godimento Uno”12 … “ Il godimento
Uno fa a meno dell’Altro” egli insiste.
Questo sintomo, questo evento del corpo, questo piccolo sasso nella scarpa è un tentativo fallito
di scrittura del rapporto sessuale. Disegna un bordo, un tratto. Lacan mette precisamente in
valore il tratto nella seconda parte del suo insegnamento, collocandolo nell’ordine della lettera.
La lettera però non è il significante.
La scrittura dell’Uno non ha la stessa natura dell’Altro.
L’Uno è godimento. L’Altro è sembiante.
“J. A. Miller sottolinea che il sintomo è al posto del non rapporto sessuale, Il sintomo è metafora
del non rapporto sessuale […] L’inconscio interpreta il non rapporto sessuale e interpretandolo lo
cifra”13
Alla fine dell’insegnamento di Lacan, l’S1 cambia. Non è più solo il significante padrone che
rappresenta un soggetto per un altro significante. Ci sono due versanti dell’S1.
Come significante padrone, rappresenta il soggetto dal momento in cui si articola all’Altro.
Questo è il versante della catena significante ed è anche l’inconscio come messaggio da
decifrare, secondo Freud. E’ il versante delle formazioni dell’inconscio. E’ anche quello del
sintomo che si può decifrare solo in parte. E’ la dimensione simbolica.
Ma c’è un altro versante sul quale Lacan pone l’accento alla fine del suo insegnamento. E’ quello
dell’S1 nella dimensione della lettera, preso nella dimensione del reale. E’ il versante
sinthomatico, che non si decifra, il versante godimento non simbolizzabile, non riducibile al
significante. E’ il versante godimento inerente al vivente, al corpo del parlante. Ci si pone a
questo livello, nell’ambito di ciò che fa l’essenza dell’uomo, nel punto d’incontro tra corpo e
linguaggio, in ciò che del linguaggio s’incorpora nel vivente, il corpo che gode e che parla, che
gode nel parlare. Siamo nell’incorporazione del linguaggio; in questa zona, S1 non rappresenta
niente e di conseguenza non appartiene al simbolico.
La scrittura di cui ci parla Lacan in Lituraterre è “ il bordo - sono io che sottolineo – del buco
nel sapere”; ritorno, come si vede, al titolo della mia testimonianza a Buenos Aires e a Parigi.
Ecco, cosa il piccolo sasso nella scarpa disegna come litorale. Uno spazio flou tra due campi
eterogenei.
Godimento e sembiante. Il mio tentativo di incalzare maggiormente da vicino ciò che costituisce
questo bordo, di disegnare questo tratto, non faceva altro che rappresentarlo, ossia
simbolizzarlo; non facevo altro che utilizzare il sembiante. Se volevo nominarlo, dovevo farlo
con i significanti e sarei stato ancora nel sembiante. Avrei mancato il reale del buco nel sapere.
Questo bordo del buco, se volevo pensarlo, potevo pensarlo solo con i significanti. Mentirei
volendo catturare il reale che posso solo mancare.
Non si scherza con il reale.
Note
1
Jacques LACAN, Discorso pronunciato da J. Lacan [6 déc. 1967], Scilicet, Feltrinelli, Milano, 2001.,pp, 135-153
Jacques LACAN, Proposizione del 9 octobre 1967 intorno allo psicoanalista della Scuola , Scilicet, Feltrinelli,
Milano, 1977, pp. 19-33.
3
Jacques LACAN, Discorso pronunciato da J. Lacan, Op. cit., p. 146.
4
Ibid, p. 146.
5
Jacques LACAN, Intervention dans la séance de travail « Sur la passe » du 3/11/1973, al congresso dell’EFP, La
Grande Motte, apparso dans les Lettres de l’École freudienne, 1975, N° 15, pp. 185-193.
6
Cf. Choses de finesse en psychanalyse , corso di Jacques-Alain Miller, Orientation lacanienne III, 11, del 25
marzo 2009, inedito.
2
24
7
Jacques-Alain MILLER, Choses de finesse en psychanalyse , L’Orientation lacanienne III, 9, insegnamento
pronunciato nel quadro del Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Paris VIII, corso del 25 mars 2009,
inédito.
8
Jacques LACAN, Intervention dans la séance de travail « Sur la passe », Op.cit.
9
Jacques LACAN, Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI [1977], La Psicoanalisi n° 36, Astrolabio,
Roma, 2001, p. 9.
10
Id.
11
Jacques-Alain MILLER, Le tout dernier Lacan, L’Orientation lacanienne III, 9, [2006-2007], inédit.o. Leggere
anche Quarto, N° 88/89, p. 7.
12
Jacques-Alain MILLER, I paradigmi del godimento », Astrolabio, Roma 2001, pp. 38
13
Jacques-Alain MILLER, La théorie du partenaire , Les effets de la sexuation dans le monde, Quarto N° 77, p.
Traduzione di Pietro Enrico Bossola
Délégué général AMP
Éric Laurent
Comité d'action de l'Ecole-Une
Lizbeth Ahumada
Marie-Hélène Blancard
Luisella Brusa
Anne Lysy
Ana Lydia Santiago
Silvia Tendlarz
Hebe Tizio
Design
João Carlos Martins
Réalisation
Philippe Benichou
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