Sussidiarietà e principio di prossimità, quali modelli per uscire dalla

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Sussidiarietà e principio di prossimità, quali modelli per uscire dalla
Sussidiarietà
e principio di prossimità,
quali modelli
per uscire dalla crisi?
Giovanni Maria Flick
Piazza S. Andrea della Valle 6,  Roma
tel.   ⁄  ⁄  ⁄  telefax  
www.arel.it [email protected]
in copertina: Gerardo Dottori, Forze ascensionali (1923)
Per gentile concessione di Futur-ism, www.futur-ism.it
responsabile delle pubblicazioni: Mariantonietta Colimberti
grafica: Attilio Baghino
Nell’incontro di oggi all’Arel desidero fare qualche riflessione
e un elogio. L’elogio va alla nostra Costituzione, in cui credo
profondamente e che va difesa ad ogni costo. Le riflessioni
nascono dal fatto che, da quando non sono più giudice alla
Corte costituzionale, faccio il commesso viaggiatore per la
Costituzione, girando l’Italia e non solo l’Italia: per uscire dalla
crisi, tento di trovare nella Costituzione qualche spunto che
suggerisca dei nuovi modelli, delle nuove regole.
Come penalista desidero fare una riflessione sulla
sussidiarietà, sul Terzo settore, sui principi di sussidiarietà e di
prossimità e sul rapporto con il territorio. Ho lasciato il diritto
penale dell’economia nel 1996, quando Romano Prodi mi
chiamò a far parte del suo governo, e mi sono dedicato a
un’attività istituzionale, al termine della quale, di fronte alla
crisi, ho ripreso in mano i vecchi «attrezzi» del mestiere. Mi
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sono però reso conto della totale inefficienza che c’è
nell’elaborare, e poi nell’applicare, le regole penalistiche, al fine
di offrire modelli validi per uscire dalla crisi stessa. Le regole, i
valori per uscire dalla crisi non possono essere trovati
nell’ambito dei vecchi schemi, come per esempio le regole
penali: è difficile, per non dire impossibile, affrontare una crisi
globale (come quella in corso) con una risposta locale (rectius
nazionale) come quella penale.
Ho invece scoperto il fascino della sussidiarietà e del Terzo
settore come mezzi di collegamento con il territorio e di
attuazione del principio di prossimità, proprio in un momento
in cui le recenti vicende politiche hanno posto in rilievo la loro
lontananza dalla dimensione del territorio. Nell’individuare i
problemi, abbiamo perduto la capacità di valutare il rapporto
con il territorio. Come persona che ha lavorato nove anni
nell’ambito dei diritti fondamentali, sono convinto che il
banco di prova dell’effettività dei diritti fondamentali non è
soltanto la loro proclamazione e la garanzia di una
giustiziabilità: soprattutto nei confronti dei diritti
fondamentali di tipo sociale occorre garantire un’effettività, il
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cui contesto di realizzazione è essenzialmente quello locale
e di prossimità.
Per la giustiziabilità esistente in Europa, l’Unione europea, il
Consiglio d’Europa, la Convenzione europea dei diritti umani,
hanno uno standard forte di tutela e di prospettazione dei
diritti fondamentali. Ma nel caso dei diritti sociali la
giustiziabilità non basta, occorre l’effettività, l’attuazione. Il
primo banco di prova per l’attuazione dei diritti fondamentali,
e prima ancora per la loro conoscibilità, è il territorio. Mi pare
dunque che il recupero di questa dimensione e della prossimità
attraverso la sussidiarietà orizzontale, cioè attraverso la
valorizzazione del Terzo settore, potrebbe essere uno dei
modelli a cui guardare per cercare di uscire dalla crisi. Sono
convinto infatti che il Terzo settore sia uno dei tanti modi
(e non certo il meno significativo) per riconoscere ancora
l’attualità della nostra Costituzione. L’improvvida riforma del
Titolo V nel 2001, con la querelle tra le varie competenze
legislative concorrenti, esclusive o residuali, la Corte
costituzionale l’ha pagata cara, per il lavoro di attuazione cui è
stata chiamata. La stessa riforma è stata invece provvida dal
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punto di vista dell’articolo 118 e anche dell’articolo 114, con il
riconoscimento della sussidiarietà orizzontale sullo stesso piano
della sussidiarietà verticale. Sono queste le ragioni per cui oggi
ho scelto di parlare del tema della sussidiarietà.
Considero questo tema importante sotto due profili. Il
primo riguarda la necessità di evitare il rischio di
un’autoreferenzialità del Terzo settore, e mi riferisco a una serie
di fenomeni diversi fra loro ma legati da una matrice comune,
come ad esempio il settore delle Fondazioni di origine
bancaria. Si tratta di un problema importante, perché ormai il
Terzo settore ha assunto dimensioni tali che occorrerà
affrontare una sua regolamentazione.
Il secondo profilo, che comporta il rischio di un’analisi
riduttiva del fenomeno del Terzo settore, è quello di vederlo
soltanto nella sua proiezione negativa, senza coglierne l’enorme
potenziale positivo ancora abbastanza inesplorato. Il Terzo
settore, in negativo, non è Stato e non è mercato; non è
pubblico e non è privato. Il suo potenziale positivo si raffigura
nella valorizzazione del pluralismo, della dimensione sociale
della Costituzione.
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La diffidenza verso lo Stato e la considerazione del Terzo
settore in chiave solo negativa nasce da un punto di vista
teorico e culturale, prima ancora che dal punto di vista
concreto. Qualcuno sostiene che la nascita del Terzo settore è
strettamente collegata alla crisi del Welfare State,
all’insufficienza dei suoi strumenti economici, alla
impossibilità di continuare in questa direzione. Io invece
interpreto la nascita del Terzo settore come utile per non
lasciare soltanto allo Stato la cura, la tutela, la protezione dei
diritti fondamentali, dato che lo stesso Stato, al di là delle sue
prospettive assolutizzanti, ha dimostrato poco rispetto per quei
diritti fondamentali che pure proclamava nella sua
Costituzione.
Una bella riflessione di Valerio Onida, richiamando
Dossetti, ricorda che dal crogiolo ardente della guerra è nata
l’internazionalizzazione del diritto costituzionale; è nata la
considerazione dell’individuo come protagonista della scena
internazionale al pari degli Stati; è nata poi tutta la prospettiva
della giurisdizionalizzazione dei diritti fondamentali e
dell’ingerenza umanitaria. A me sembra che a questa
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valorizzazione dell’individuo si leghi anche la legittimazione
del Terzo settore, che deve ricavarsi dal superamento della
contrapposizione Stato/mercato, contrapposizione alla quale
siamo stati abituati in questa radice culturale.
In realtà, lo Stato, dopo averne preso coscienza, ha
cominciato ad aprirsi verso l’alto attraverso l’esperienza
sopranazionale dell’Unione europea, costruita partendo
proprio da una dimensione molto concreta – la dimensione
del mercato – per arrivare alla dimensione dei diritti, con la
Carta di Nizza.
Quindi lo Stato si è certamente aperto «verso l’alto» alla
dimensione sopranazionale: la grande novità europea è stata la
scoperta delle cessioni parziali di sovranità. Accanto a questa
apertura «verso l’alto» – la modifica del Titolo V ce ne dà
conferma e dimostrazione – c’è stata poi una serie di
aperture «verso il basso»: la rivalutazione delle autonomie
locali e la rivalutazione (almeno in teoria) del territorio.
Sembra evidente che quando lo Stato apre verso l’alto e apre
verso il basso (sussidiarietà verticale), viene altresì naturale il
superamento di quella contrapposizione rigida
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pubblico/privato e l’apertura alla dimensione sociale
(sussidiarietà orizzontale).
Quanto al mercato, bisogna riconoscere che esso ha
clamorosamente fallito: la crisi che stiamo vivendo si è
trasformata da crisi finanziaria in crisi economica, globale,
sociale e umana. Non è certamente il mercato che può supplire
alle carenze dello Stato.
Dalla pubblica amministrazione si colgono segnali che
indicano la strada verso le privatizzazioni. Lo stesso mercato ha
cercato di aprirsi alle dimensioni sociali: il commercio equo e
solidale, il bilancio sociale delle imprese, la banca etica.
Dunque è chiaro il messaggio che ne viene fuori. Si tratta di
superare la contrapposizione pubblico/privato, la concezione
dello Stato come unico depositario della dimensione del
pubblico, e di un privato che ha come unico obiettivo la
realizzazione del profitto in chiave di esclusività, per arrivare ad
attuare ciò che un tempo era considerato un ossimoro: il
privato-sociale, un’impresa sociale.
Mi chiedo se questa non possa essere una delle strade da
percorrere per cercare di uscire da una crisi in cui gli Stati, con
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l’inefficienza delle regole e della loro applicazione in ambito
solo nazionale, e il mercato, con la volontà di finanziarizzare a
tutti i costi e in termini esasperati, hanno dimostrato di non
riuscire nell’impresa.
Ma esiste un problema. Il Terzo settore ha trovato un
riconoscimento esplicito nell’articolo 118, nel testo varato con
la modifica del 2001. In esso – dopo aver dato con
l’articolo114 una definizione più ampia di Repubblica,
facendo riferimento anche alle realtà territoriali – al comma 1,
si richiama esplicitamente il principio di sussidiarietà verticale
con la collocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli
e all’ultimo comma si conclude affermando che «Stato, regioni,
città metropolitane, favoriscono l’autonoma iniziativa dei
cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attività di
interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà». Si
impone dunque una rilettura, che finora non è stata fatta,
dell’articolo 5 della Costituzione: «La Repubblica una e
indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali, attua
nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi
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della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del
decentramento».
La prima domanda che nasce è se questa esplicitazione del
principio di sussidiarietà orizzontale, nell’ambito del nostro
sistema costituzionale, richieda interventi normativi e regole
per evitare il rischio di una eccessiva autoreferenzialità del
Terzo settore. Certamente c’è la necessità di una legge
ordinaria. Basta pensare al confronto tra la regolamentazione
delle persone giuridiche e le entità non fisiche che si occupano
del campo delle imprese, del profitto (Libro V del Codice
civile) e le poche norme del Libro I sulle associazioni e sulle
fondazioni, cui è riconducibile il Terzo settore. C’è,
ovviamente, una differenza fondamentale tra la società
economica e le associazioni o le fondazioni che sono alla base
del Terzo settore; si tratta di un settore in cui deve essere
valorizzata al massimo l’iniziativa dei singoli e in cui vi è
un’ampia serie di tipologie e modelli; basta pensare alla grande
differenza che vi è tra le fondazioni di origine bancaria che
hanno una realtà patrimoniale fondata sul denaro del pubblico
e gli altri tipi di fondazioni o di associazioni originate da
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volontà private. Conosciamo tutti i tentativi che sono stati fatti
nel tempo per ricondurre le fondazioni di origine bancaria alla
dimensione pubblicistica. Ci sono due sentenze della Corte
costituzionale che hanno affermato che le fondazioni di
origine bancaria sono in realtà espressione delle libertà sociali,
coinvolgendo e richiamando così il principio pluralistico
(art.18 della Costituzione).
Finora, a proposito della disciplina e della regolamentazione
del Terzo settore, si sono affastellati alcuni interventi
disorganici soprattutto su profili specifici del volontariato,
delle Ong e dell’impresa sociale. Probabilmente occorrerebbe
una disciplina generale di sistema, che però tenga salva e
rispetti la specificità delle singole tipologie di realtà e di
fondazioni. Nasce allora il dubbio se questa disciplina di
sistema, che include tutte le realtà del Terzo settore,
rafforzandone le caratteristiche, non corra il rischio di
comprimere troppo le differenze che vi sono, ad esempio, tra
Ong, Onlus e fondazioni di origine bancaria.
Questa disciplina deve rispondere a un’esigenza
fondamentale: quella di evitare, da un lato, la pressione
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soprattutto della dimensione pubblica sulle fondazioni di
origine bancaria, che cerca di riassorbirle e di considerarle
paraventi sottratti alle regole più tipiche della responsabilità
pubblica; da un altro, evitare la pressione del mercato che
tenta di riassorbire le stesse fondazioni nell’ambito della
contrapposizione pubblico/privato.
Insomma, una disciplina generale di sistema e specifica deve
avere alcuni punti fondamentali: riconoscere gli spazi di
autonomia e di libertà tipici del Terzo settore, evitando di
funzionalizzarne l’attività; affrontare il tema dei benefici fiscali
per le fondazioni in particolare – anche alla luce di una
sentenza recente della Cassazione che ha limitato i benefici
fiscali delle stesse – e per il Terzo settore in generale. Infatti,
più in esso si afferma l’impresa sociale, più il tema del
trattamento fiscale particolare fa sorgere degli interrogativi: c’è
il rischio di arrivare a quella che era la cooperazione nel credito
che, in spregio alle prospettive di concorrenza, continuava a
godere di particolari trattamenti fiscali.
Questa nuova disciplina legislativa deve poi affrontare anche
il tema del controllo, cercando di specificare quale tipo di
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controllo e quale tipo di procedimentazione vanno dati al
Terzo settore, affinché vengano attuati completamente i criteri
di trasparenza, di efficienza, di imparzialità e di eguaglianza,
per evitare l’autoreferenzialità del settore stesso. Ma è emerso
anche il problema circa l’auspicabilità di arrivare alla
istituzione di una o più Authority per il Terzo settore e in
particolare per le fondazioni ex bancarie. Vi è il timore che
l’istituzione di una forma di controllo di questo tipo possa
essere espressione della tendenza strisciante alla
pubblicizzazione, situazione già verificatasi nel 2003 con la
legge che prevedeva un legame organico tra le fondazioni di
origine bancaria e le istituzioni locali, che la Corte
costituzionale dichiarò incostituzionale.
Da questa riflessione ne nasce anche un’altra. I pochi che si
sono occupati di Terzo settore sono divisi tra coloro che
ritengono necessaria una modifica costituzionale e coloro che
ritengono sia sufficiente invece una rilettura dell’articolo 118.
In effetti, l’unico riferimento esplicito alla sussidiarietà
orizzontale si trova nell’articolo 118, collocato però in modo
marginale e in modo accessorio, in calce alle competenze
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pubbliche e alla sussidiarietà verticale. Qualcuno sostiene
invece che occorrerebbe collocarlo nella prima parte della
Costituzione, riformulando i principi generali.
Io però penso che se si mettesse mano ai principi generali
della Costituzione, si correrebbero gravi rischi, visti i tempi e le
idee di riforma a maggioranza che corrono; si dovrebbe invece
mettere mano alla seconda parte (il bicameralismo ad
esempio), con cautela. Occorrerebbe, infatti, ricordare sempre
la stretta sinergia che vi è tra la seconda e la prima parte della
Costituzione, così da evitare che una modifica della seconda
parte vanifichi le garanzie previste dalla prima. Faccio un
esempio, anche se non pertinente con la sussidiarietà. Penso al
valore fondamentale della libertà personale e alle sue garanzie:
la riserva di legge, la riserva di giurisdizione. In effetti, se nella
seconda parte della Costituzione si annullano le garanzie poste
a favore del legislatore o le garanzie a favore del giudice, si
annulla automaticamente l’efficacia sostanziale dell’articolo
13 della stessa.
Sono dunque convinto che sia meglio rileggere la
Costituzione, anziché riscriverla. In realtà, l’articolo 11 della
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Costituzione, aggiornato adesso dall’articolo 117 («la
legislazione regionale, la legislazione statale deve conformarsi
all’ordinamento comunitario»), ci ha consentito, ad esempio,
di recepire il mercato, la concorrenza in una Costituzione che
non ne parlava, che era presbite. Quando si dice che l’articolo
118 si limita a esplicitare il principio di sussidiarietà, significa
che quel principio nella Costituzione c’è, vuol dire che la
Costituzione ha una grande capacità di prevedere il futuro
partendo proprio dal principio pluralistico, dal principio delle
libertà sociali dall’articolo 18 e prima ancora dall’articolo 2.
È proprio su questo presupposto che le sentenze n. 300 e n. 301
del 2003 della Corte costituzionale, hanno potuto affermare
che le fondazioni di origine bancaria sono espressione di
libertà sociale (art. 18 della Costituzione), e sono
caratterizzate dalla piena autonomia gestionale e statutaria,
dall’utilità sociale degli scopi.
L’idea dunque di mantenere intatta la prima parte di questa
Costituzione finché è possibile, induce a una riflessione sul
comma 4 dell’articolo 118 secondo il quale tutti i soggetti
istituzionali sono obbligati a favorire l’autonoma iniziativa dei
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privati associati o singoli, attuando così la dimensione sociale e
pluralistica per lo svolgimento di attività di interesse generale
sulla base del principio della sussidiarietà. Esiste dunque un
collegamento molto stretto tra il comma 1 dell’articolo 118 e il
comma 4 dello stesso articolo, cioè tra la sussidiarietà verticale
e la sussidiarietà orizzontale; è un collegamento da porre non
in termini di gerarchia, ma in termini di parità in base al
principio di prossimità, secondo il quale prevale la formula più
idonea a risolvere i problemi in termini di reciprocità.
Ciò sottolinea l’importanza del rapporto con il territorio,
della valorizzazione dello stesso e della capacità di interpretare
meglio i bisogni e i diritti sociali sul territorio. Questo vuol
dire riaffermare con il comma 4 dell’articolo 118 la visione
pluralista della Costituzione (il principio di pluralismo) e
leggere in modo più approfondito l’articolo 114 che parla di
Repubblica ponendo sul medesimo piano lo Stato e gli
enti locali.
Sono assolutamente convinto che rileggere la Costituzione
vuol dire anche ricomprendere nella Repubblica – tra il
comma 1 e 4 dell’articolo 118 – anche le comunità e le
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formazioni sociali, menzionate esplicitamente dall’articolo 2
della Costituzione. Tutto questo vuol dire anche rileggere
l’articolo 3, che al comma 2 afferma che è compito della
Repubblica attuare l’eguaglianza sostanziale della pari dignità.
Quando la Costituzione parla di Repubblica (artt. 114, 118) si
deve intendere la stessa come quel pluralismo istituzionale e
comunitario di cui si trova conferma nell’articolo 2, che
richiama tutti all’osservanza dei doveri di solidarietà politica,
economica e sociale.
Noi dunque dobbiamo scoprire le potenzialità in positivo
del principio di sussidiarietà e quindi del Terzo settore, non
solo – come è stato fatto fino ad ora – la sua dimensione
negativa, di supplenza alle carenze dello Stato e del mercato.
Ciò vuol dire rileggere anche l’articolo 5 della Costituzione:
unità, riconoscimento e promozione delle autonomie locali,
adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione alle
esigenze di autonomia e di decentramento.
L’articolo 117 propone una ripartizione delle competenze
legislative tra lo Stato e la Regione (che è un punto di
riferimento più vicino alla sussidiarietà orizzontale, attraverso
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le competenze concorrenti e le competenze residuali), tentando
di dare un equilibrio tra le garanzie di uguaglianza e quelle di
unità, attraverso la competenza esclusiva dello Stato sui livelli
essenziali delle prestazioni per i diritti civili e per i diritti
sociali, attraverso la riserva di esclusività allo Stato per
l’ordinamento civile.
Infine, alla luce di questa impostazione, l’articolo 119 della
Costituzione parla del decentramento o federalismo fiscale (io
penso che sia meglio parlare di decentramento perché è
qualcosa che viene dall’alto e non sale dal basso).
Tutto questo consente di rileggere l’articolo 41 della
Costituzione sulla libertà di iniziativa economica. Finora
l’utilità sociale è stata vista negativamente come limite per il
privato nell’iniziativa economica; adesso invece va letta in
positivo come scopo dell’utilità sociale per il Terzo settore,
aprendo così al tema della impresa sociale.
In conclusione, non mi pare che si debba riscrivere la
Costituzione. Occorre piuttosto rileggerla a fondo, attuandola
in chiave di personalismo: la persona come fine. Obiettivi del
legislatore devono quindi essere il pluralismo, le comunità, le
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formazioni intermedie della diversità, del pluralismo
istituzionale e sociale in pari posizione per l’attuazione del
solidarismo.
Tutto questo porta una volta di più ad affermare che è stato
sottovalutato il territorio; che invece va recuperato attraverso
un raccordo con il Terzo settore (criterio di prossimità), non
considerandolo come chiusura, come declino o come
corporativismo locale, ma valorizzandolo come coefficiente di
identità in progress. Il territorio è la prima frontiera da
affrontare, per occuparsi seriamente di diritti umani.
Il poco tempo a disposizione non mi consente di
soffermarmi, infine, su un tema tipico del Terzo settore: le
fondazioni ex bancarie, che ne sono un’espressione
particolarmente importante. Esse esprimono infatti un
momento assai significativo del cammino del credito, dalla
prospettiva pubblicistica del pubblico servizio a quella
privatistica dell’impresa, con lo scorporo da quest’ultima della
dimensione sociale, affidata appunto alla realtà delle
fondazioni. Ma su ciò varrà la pena di ritornare in altra sede e
più ampiamente, per una riflessione che colga altresì la
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necessità – ampiamente dimostrata dalla crisi in corso – di
continuare a valorizzare anche per l’impresa-banca, e non solo
per le fondazioni ex bancarie, il principio di prossimità e il
rapporto con il territorio.
(Testimonianza resa in occasione della presentazione del n. 1/2009 della rivista
dell’Arel Crisi, che si è tenuta a Roma il 1° luglio 2009).
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AREL LA RIVISTA -
1/2005. Gli ultimi dieci mesi di legislatura. L’UE dopo i no alla Costituzione europea.
Basilea II
1/2005. Supplemento - La riforma dell’ONU
2/2005. Tornare a crescere. Idee per la competitività dell’Italia, a cura di PAOLO
GUERRIERI. Conclusioni di Enrico LETTA e PIERLUIGI BERSANI
3/2005. Vent’anni di idee, dibattiti e proposte, a cura di MARIANTONIETTA COLIMBERTI
1/2006. Compendio della XIV legislatura, a cura di MARIANTONIETTA COLIMBERTI,
RAFFAELLA CASCIOLI e GIANMARCO TREVISI
2/2006. Dibattito sulla Costituzione, con LEOPOLDO ELIA, MARCO FOLLINI, DARIO
FRANCESCHINI e GIORGIO NAPOLITANO
3/2006. Libano
1/2007. Immigrazione
2/2007. Nino Andreatta, a cura di MARIANTONIETTA COLIMBERTI
3/2007. Spagna-Italia. VIII Foro di dialogo, «Il momento di agire insieme»
1/2008. Città
2/2008. Confini
3/2008. Italia-Spagna. IX Foro di dialogo, «Alleate per il rilancio dell’Europa»
1/2009. Crisi
2/2009. Muri
3/2009. Spagna-Italia. X Foro di dialogo, «Un motore mediterraneo per il rilancio
dell’Europa»
Finito di stampare il 25 marzo 2010
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