LA CARITÀ passione per Dio, passione per l`uomo
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LA CARITÀ passione per Dio, passione per l`uomo
LA CARITÀ passione per Dio, passione per l’uomo Meditazione offerta da don Mario Guariento all’incontro USMI di Vicenza. (15 marzo 2015) La Vita Consacrata per natura sua porta con sé come elemento costitutivo la passione, forza interiore potente, irrazionale e misteriosa dell’amore che spinge ad operare e a spenderci fino a perdere la vita, a sacrificare tutto per la realizzazione di un progetto, desiderio, ideale. La passione ha pertanto sempre in sé una componente sacrificale, la croce! La V.C. per essere autentica non può essere considerata e vissuta come un rifugio, un luogo dove sentirsi realizzati e sicuri, dove la vita è vissuta nella mediocrità, nella tiepidezza, nel comodo e nella superficialità individualistica. In una cultura dell’indifferenza, assetata di benessere, in un mondo di consumi e di povertà, di amore in mezzo al caos e disordine amoroso, la credibilità della V.C. è nulla se non è vissuta con passione. Comprendiamo allora come in questo nostro oggi il criterio evangelico della vita consacrata è certamente: - la passione per Dio vissuta in una esperienza contemplativo-mistica; - la passione per l’uomo vissuta nel dono di sé personale e comunitario. La rifondazione, la conversione, la identità evangelica della vita consacrata non può essere fondata se non su questi due parametri incarnati con quella radicalità evangelica che Gesù stesso ha vissuto. Vediamo ora di fondare e concretizzare nei nostri vissuti questi due volti della nostra vita consacrata, lasciandoci condurre dalla luce e dalla forza dello Spirito. La passione per Dio Un amore sconfinato, profondo, vero per Cristo che ci plasma a sua immagine. La nostra vocazione ci chiama a quella pienezza di vita spirituale in cui domina l’influsso dell’azione dello Spirito Santo a tal punto che non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive e opera in me. Tale vita è la vita mistica. Per i Fondatori e le Fondatrici la regola in assoluto è stata il Vangelo, ogni altra regola voleva essere soltanto espressione del Vangelo e strumento per viverlo in pienezza. Il loro ideale era Cristo, aderire a lui con la passione dell’innamorato, fino a poter dire con Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Con la parola “mistica” intendiamo pertanto: la vita di unione con Dio, di trasformazione in lui, di comunione di vita sponsale con Cristo. Per dire la realtà della vita mistica non ci sono parole migliori di quelle di S. Paolo in 2Cor 3,18: E noi tutti, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine secondo l’azione dello Spirito del Signore. In questo senso mistica, santità e vita consacrata si fondono, si identificano ed esprimono con nomi diversi la stessa realtà, cioè il mistero dell’amore vissuto con pienezza, senza mediocrità, rassegnazioni, compromessi voluti, abitudinari età … Santa Teresa di Gesù Bambino passò la maggior parte della sua vita nell’aridità, nelle prove, nelle tentazioni contro la fede, nell’impotenza, e tuttavia stava in modo abituale sotto l’influsso dello Spirito Santo. Però, un’ardente sete di amore, una dolce passione per il Signore l’abitava e illuminava tutto ciò che doveva fare. Nella oscurità il Signore «la guidava e le ispirava ad ogni istante ciò che doveva dire o fare». Santa Teresa d’Avila per descrivere l’effetto dell’azione divina trasformante dice: «L’anima è come un verme, ma dopo e per opera di questa grazia è trasformata in una graziosa farfalla bianca» (Mansioni, Ca p. 11). La vita mistica è allora la vita religiosa giunta alla sua maturità, una vita di comunione con Dio, frutto del nostro amore appassionato per Lui e della nostra trasformazione in Lui. E questo avviene sotto l’azione dello Spirito Santo. Ma sono necessari due ingredienti: umiltà e obbedienza. Umiltà e docilità generata dall’amore in questo itinerario spirituale diventano condizioni indispensabili. S’intuiscono fin d’ora le conseguenze pratiche di questa centralità della mistica. La prima e più quotidiana è la unità di vita. Fare unità di vita non tra la molteplicità delle azioni e degli impegni ma tra interiore ed esteriore, tra quello che diciamo e facciamo, tra i sentimenti e la prassi, tra la volontà e i desideri. Pertanto la vita mistica non si dà senza una generosa lotta contro ogni ostacolo alla grazia, all’azione dello Spirito. Il mistico è il vero uomo spirituale che matura giorno dopo giorno amando con passione Colui che è il Tutto e Solo Amore della sua vita, cioè vive una vita sponsale. Suor Elisabetta di Digione, avendo coscienza che la sua vita spirituale fosse un assecondare la sua immersione in Cristo, asseriva: «Non voglio vivere la mia propria vita, ma essere trasformata in Gesù Cristo, perché la mia vita risulti più divina che umana, sicché il Padre - chinandosi su di me - vi possa riconoscere l'immagine del «Figlio diletto in cui ha posto tutte le sue compiacenze» (2Pt 1,17), un'immagine vivente, espressiva del ‘Primogenito’, del Figlio eterno, di colui che è stato la perfetta lode della gloria del Padre suo». Caterina Mectilde de Bar riteneva che la stessa unione a Cristo in pratica era autentica esperienza mistica in Dio: «Consiste nel vedere Gesù in tutte le cose, in tutti gli eventi e in tutte le nostre azioni; di modo che questo sguardo su Dio ci tolga la vista delle creature, di noi stessi e dei nostri personali interessi per non vedere altro che il Cristo. In una parola, è avere una presenza attuale di Dio» (Il sapere di Dio, p. 82). Charles De Foucauld suggeriva un mezzo pratico per iniziarci all'esperienza mistica di Dio in Cristo: «Il mezzo migliore è, mi sembra, di prendere l'abitudine di chiedersi, in ogni cosa, ciò che Gesù penserebbe, direbbe o farebbe al vostro posto, e di pensare, dire, fare ciò che egli farebbe. Per questo egli è venuto fra noi, affinché noi avessimo un mezzo sempre facile, a portata di tutti, di praticare la perfezione» (Lettera alle clarisse di Nazareth, aprile 1914). Melitone, nel suo noto inno, raccogliendosi in Cristo, assurge a meditare misticamente la Sua grandezza: «Sono io - dice il Cristo - sono io che ho distrutto la morte, che ho trionfato del nemico, che ho rapito l'uomo alla sommità dei cieli.Orsù, dunque, venite voi tutte stirpi umane». Per questo cammino occorrono delle condizioni interiori e un impegno che non si lascia vincere dallo scoraggiamento o dalla stanchezza. Quello che spesso ci manca nei nostri cammini spirituali sono la fedeltà e la perseveranza. Crediamo erroneamente che la vita spirituale sia un processo quasi naturale poiché ci troviamo circondati da pratiche religiose. Non sono queste che fanno la vita spirituale, esse sono un grande aiuto, ma il vero protagonista è il cuore. Condizioni: silenzio interiore spazi di incontro personale con il Signore desiderio derivante dall'amore pratica della carità vigilanza su se stessi essenzialità nella vita pace del cuore umiltà e nascondimento La passione per l’uomo La spiritualità, oggi, vuole uniti, anzi fusi in un unico atteggiamento, l’esperienza mistica e l’impegno della missione, l’appassionato amore per l’uomo, passione per i componenti della nostra comunità, passione per i “poveri”, per quanti sono il nostro prossimo. Se manchiamo di questa forza innovativo-creativa, saremo travolti dallo spirito borghese, senza saper riproporre e testimoniare il vissuto mistico secondo lo spirito evangelico della nostra spiritualità. La vita consacrata cercherà di esprimersi entro le realtà di questa vita consumistica, rassegnata, qualunquista, leggera … in modo da farvi risaltare l’amore per l’uomo in tutte quelle forme che appartengono al carisma. Essa è chiamata a mostrare che l’unica realtà che rimarrà di questa nostra esistenza mortale è l’amore. Giovani Paolo II, in un discorso alla Curia romana il 22 dic. 1987, metteva in luce il binomio della Chiesa che consiste nel rapporto tra «profilo petrino» e «profilo mariano». Si rifaceva a H. U. von Balthasar, secondo il quale l’aspetto istituzionale/ministeriale della Chiesa rappresenta il profilo petrino, mentre quello profetico/carismatico può essere definito come il profilo mariano, vale a dire il profilo di Maria, la quale nella comunità dei credenti non ha un compito istituzionale ma, solo rivestita di Spirito Santo, sintetizza in sé tutti i doni di grazia che la Chiesa riceve da Dio per essere santa. Il carisma di Maria, come spiega von Balthasar, è come il carisma omnicomprensivo nel quale ogni carisma si riscopre. È il carisma di chi - come Maria al banchetto di Cana - si fa attento alla vita che languisce e si pone come persona del vino nuovo. È il carisma di chi, sul crinale tra il passato e il nuovo, è chiamato a trascinare il futuro nel presente, osando chiedere già da subito - come Maria - un «anticipo». La carità impregna in modo pluridimensionale l'esistenza. Non potremmo immaginare la giustizia, l'umiltà, la pazienza, la fortezza, il coraggio, la fedeltà, la stessa fede, senza la carità. Non potremmo pensare a queste virtù se non come ad «attuazioni» di un'unica esigenza, quella, appunto, della carità. Non potremmo pensare a un consacrato che prega nella quiete meditativa della sua stanza, di un monastero, o di un rifugio eremitico, mosso da qualcosa di diverso dalla carità. Non si può offrire il sacrificio delle labbra, celebrando nella liturgia i misteri di Cristo, senza la carità; o votare se stessi al servizio del prossimo senza che l'amore di Dio abbia riempito il cuore. Questi atti costituiscono l'aspetto visibile dell'unica carità, e contemporaneamente ne costituiscono anche il criterio di autenticità. Non potremmo pensare al termine ultimo della vocazione religiosa come a qualcosa di diverso dalla carità. Questa carità, che unisce a Cristo, è una carità che costringe a uscire da sé per diventare liberi. L'autotrascendenza identifica l'atto umano in base al quale una persona supera le proprie tendenze immediate, più naturali e sensibili, perché sceglie di realizzare degli ideali, o un progetto che è più grande di lei, che la supera, cioè che la trascende. L’orizzonte della nostra missione. Dal cuore di ogni consacrato deve sprizzare una luce, una tenerezza grande, un desiderio di Dio e della felicità dei fratelli che riempie il cuore di generosità, di gioia e di pace. Il Papa ci affida una grande missione: fare sentire a tutti che siamo abbracciati dal Signore. In una società inaridita e disumana è urgente oggi seminare misericordia e tenerezza che riscaldi i cuori, risvegli alla speranza e faccia esperienza del Dio della consolazione: “Dalla gioia dell’incontro con il Signore e della sua chiamata scaturisce il servizio nella Chiesa, la missione: portare agli uomini e alle donne del nostro tempo la consolazione di Dio, testimoniare la Sua misericordia. Gli uomini e le donne del nostro tempo aspettano parole di consolazione, prossimità di perdono e di gioia vera. Siamo chiamati a portare a tutti l’abbraccio di Dio, che si china con tenerezza di madre verso di noi: consacrati, segno di umanità piena, facilitatori e non controllori della grazia, chinati nel segno della consolazione”. In un mondo che vive la sfiducia, lo scoraggiamento, la depressione, in una cultura in cui uomini e donne si lasciano avvolgere dalla fragilità e dalla debolezza, da individualismi e interessi personali, ci è chiesto d’introdurre la fiducia nella possibilità di una felicità vera, di una speranza possibile, che non poggi unicamente sui talenti, sulle qualità, sul sapere, ma su Dio. A tutti è data la possibilità di incontrarlo, basta cercarlo con cuore sincero. La tenerezza ci fa bene. Testimoni di comunione al di là delle nostre visuali e dei nostri limiti, siamo dunque chiamati a portare il sorriso di Dio, e la fraternità è il primo e più credibile vangelo che possiamo raccontare. Bellissime e impegnative queste parole di Francesco: “Testimoni di comunione al di là delle nostre visuali e dei nostri limiti siamo dunque chiamati a portare il sorriso di Dio, e la fraternità è il primo e più credibile vangelo che possiamo raccontare. Ci è chiesto di umanizzare le nostre comunità: curare l’amicizia tra voi, la vita di famiglia, l’amore tra voi. I problemi ci sono, ci saranno, ma cercare la soluzione con amore; non avere competizione, curare la vita di comunità, sempre con un cuore grande; non vantarsi, sopportare tutto, sorridere dal cuore. E il segno ne è la gioia . Una fraternità senza gioia è una fraternità che si spegne. Una fraternità ricca di gioia è un vero dono dell’Alto ai fratelli che sanno chiederlo e che sanno accettarsi impegnandosi nella vita fraterna con fiducia nell’azione dello Spirito .Una comunione che nasce dalla fede e che si prolunga in una comunione fraterna”. Il Papa ci esorta a uscire dal nido per abitare la vita degli uomini e delle donne del nostro tempo, e consegnare noi stessi a Dio e al prossimo. Il fantasma da combattere è l’immagine della vita religiosa intesa come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso . La gioia nasce dalla gratuità di un incontro! E la gioia dell’incontro con Lui e della sua chiamata porta a non chiudersi, ma ad aprirsi; il bene si diffonde. E anche la gioia si diffonde. Non abbiate paura di mostrare la gioia di aver risposto alla chiamata del Signore, alla sua scelta di amore, e di testimoniare il suo Vangelo nel servizio alla Chiesa. E la gioia, quella vera, è contagiosa; contagia ... fa andare avanti. Di fronte alla testimonianza contagiosa di gioia, serenità, fecondità, alla testimonianza della tenerezza e dell’amore, della carità umile, senza prepotenza, molti sentono il bisogno di venire a vedere. “Siamo chiamati a compiere un esodo da noi stessi in un cammino di adorazione e di servizio. Uscire dalla porta per cercare e incontrare! Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficientista, a questa cultura dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà e la fraternità sono elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana. Essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro! Il fantasma da combattere è l’immagine della vita religiosa intesa come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso . Dinanzi alla testimonianza contagiosa di gioia, serenità, fecondità, alla testimonianza della tenerezza e dell’amore, della carità umile, senza prepotenza, molti sentono il bisogno di venire a vedere”. Il Papa ci invita a non privatizzare l’amore, ma avere l’inquietudine di chi cerca: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, la libertà necessaria per trovare sempre la novità del vangelo nella nostra vita e anche nelle strutture, la libertà di scegliere otri nuovi per questa novità. Siamo invitati ad essere uomini e donne audaci, di frontiera. La nostra non è una fedelaboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci. Accanto alla sfida della beatitudine dei poveri, il Papa invita a visitare le frontiere del pensiero e della cultura, a favorire il dialogo, anche a livello intellettuale, per dare ragione della speranza sulla base di criteri etici e spirituali, interrogandoci su ciò che è buono. La fede non riduce mai lo spazio della ragione, ma lo apre ad una visione integrale dell’uomo e della realtà, difende dal pericolo di ridurre l’uomo a « materiale umano ». La cultura, chiamata a servire costantemente l’umanità in tutte le condizioni, se autentica, apre itinerari inesplorati, varchi che fanno respirare speranza, consolidano il senso della vita, custodiscono il bene comune. Un autentico processo culturale fa crescere l’umanizzazione integrale e la cultura dell’incontro e della relazione; questo è il modo cristiano di promuovere il bene comune, la gioia di vivere. E qui convergono fede e ragione, la dimensione religiosa con i diversi aspetti della cultura umana: arte, scienza, lavoro, letteratura. Un’autentica ricerca culturale incontra la storia e apre strade per cercare il volto di Dio. “La crisi di senso dell’uomo moderno e quella economica e morale della società occidentale e delle sue istituzioni non sono un evento passeggero dei tempi in cui viviamo ma delineano un momento storico di eccezionale importanza. Siamo chiamati allora come Chiesa ad uscire per dirigerci verso le periferie geografiche, urbane ed esistenziali - quelle del mistero del peccato, del dolore, delle ingiustizie, della miseria -, verso i luoghi nascosti dell’anima dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere”. Vivere la carità richiede un servizio educativo indispensabile, diverso secondo le età. Occorre un cammino di crescita personale e comunitario che, a poco a poco, faciliti la realizzazione di questo tratto centrale dell'identità di consacrati. Ciò che è in causa nel campo educativo è la nostra risposta o accoglienza di tale dono, la nostra collaborazione alla grazia indefettibile di Dio, il nostro essere veri servi per amore di Gesù. Infatti il dono di Dio si incarna nelle nostre strutture fisiche, psichiche, morali e spirituali individuali e collettive, subendone condizionamenti positivi e negativi. Esso richiede un prendersene cura. La capacità d'amare si esprime nella capacità o meno di stabilire relazioni oggettuali nei vari rapporti con le persone e le situazioni. La capacità d'amare e la vita di carità Consiste nella capacità di stabilire progressivamente relazioni positive e oggettuali con le varie realtà, persone e cose, rendendo capaci di dono, di gratuità, di servizio, di reciprocità, di mobilitazione di sé a favore di date persone e situazioni. L'educazione alla carità ha a che fare perciò in modo diretto non solo con i contenuti della carità, ma anche con i dinamismi psichici che la rendono possibile. Occorre tuttavia tener ben presente che il dono della carità, per la persona e per la comunità dei credenti, si traduce nella capacità d'amare e di essere amati, ma non si esaurisce in questa capacità, né vi si limita. Come tale in se stesso è una realtà teologale, una sorgente inesauribile e multipla. Da un lato si incarna nelle singole persone e comunità, ricevendone tutti i condizionamenti, dall'altro le trascende come ogni realtà dell'ordine della grazia. La notte oscura della purificazione: la consacrata d’oggi, attorniata e aggredita dalle cose mondane, più che ieri è chiamata ad avanzare nella notte oscura dei sensi e dello spirito. Tale purificazione richiede di essere esperimentata nella forma del quotidiano. Non più prove dello spirito esclusivamente raccolte nell’intimo della pietà interiore, non più uno smarrirsi fra i gemiti inesprimibili dell’interiorità intimistica, ma purificazioni di fede-carità che lo Spirito va disseminando nei nostri rapporti comunitari. La vita consacrata oggi deve purificarsi dalla mondanità. Il monaco del Carmelo alla fine poteva vedere la cima del suo Monte tutta splendente della luce trascendente, mentre oggi il religioso si sente impigliato tra limiti mondani e in un mondo reso impermeabile all’evangelo. Fare il consacrato, oggi, impegnato in un mondo secolare, al di fuori della trappa, è un cammino che abbisogna di fede ogni giorno rinnovata nello Spirito, di carità chiesta ripetutamente al Signore, di speranza in un perdono che il Signore instancabilmente conceda. L'apostolo Giovanni precisa: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da Lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello» (1Gv 4,19-21). E san Paolo, nella prima lettera ai Corinti, significativamente aggiunge: « Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono delle profezie e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova”. Don Mario Guariento