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“Vivere Basso, Pensare Alto”: come adattarsi alla “nuova
normalità” post-crisi
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post-crisi:
febbraio 3, 2015 ,
E’ ancora consentito, al giorno d’oggi, coltivare un ideale? E inseguire i propri sogni? Che prezzo devono avere i
valori, per essere ritenuti praticabili? Nel libro “Vivere Basso, Pensare Alto“, da poco pubblicato da Terra Nuova
edizioni, a metà strada fra un diario privato e un saggio, troviamo la testimonianza di un ex business-strategist
che, negli anni, ha avviato una seria riflessione sulla sostenibilità delle proprie scelte di vita, arrivando oggi a
rifiutare definitivamente un modello socioeconomico in cui non si riconosce più e scegliendo di comunicare agli altri
la sua personalissima strategia per il cambiamento. La narrazione di Andrea Strozzi intreccia dati economici, studi
ed esperienze personali, e in modo insieme chiaro e documentato argomenta la necessità di un nuovo patto
economico, sociale e culturale, per iniziare a immaginare e praticare – per volontà o per necessità – modelli
sociali improntati al vivere basso, che cioè sfuggano al dogma dell’accumulo a ogni costo e riscoprano
valori più vicini ai bisogni reali di individui, comunità e territori. Un Low Living che perderebbe però la propria
forza, se non fosse accompagnato dal pensare alto, dall’aspirazione cioè a una trasformazione solidale globale. Un
testo che è anche un’esortazione ad agire, prima che sia troppo tardi, ad abbandonare l’abitudine alla delega e a
prendere finalmente nelle proprie mani il destino, individuale e collettivo, della nostra società e del nostro habitat. Per
la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi la prima parte del capitolo che dà il titolo al libro.
La maggior parte delle persone che si imbattono, intenzionalmente o meno,
nel motto “Low Living High Thinking” finiscono prima o poi per chiedersi (e
chiedermi) cosa significhi, nella pratica, “vivere basso” e “pensare alto”.
“Va bene pensare alto,” concordano in tanti, “d’accordo non perdere tempo
davanti ai reality-show, ma… quanto alla prima parte della frase, vivere low,
siamo pragmatici: cosa vuol dire poi esattamente? E soprattutto: perché
farlo?”.
Ecco alcune delle sollecitazioni/provocazioni che ho ricevuto: La vita “low” è
un po’ come lo “slow-food”? Un’alimentazione più sana e genuina? È una
vita contemplativa, sottotono, ai margini? Una vita da emarginati? Un clochard
vive più “low” di chiunque altro, ma non è questo che intendi, mi auguro…! Che
sciocchezza! È solo una delle tante mode passeggere: vivere “low” farà anche
figo, ma è un po’ come… cancellarsi da Facebook, è un sottrarsi
volontariamente ad una cosa di cui comunque non potrai fare a meno! A me
non me ne frega un cazzo di vivere “low”: io, finché posso, vado al ristorante
tutte le volte che mi pare!
Le reazioni che ho ascoltato alla summa filosofica di H. D. Thoreau sono le più svariate. Alcune buffe. Alcune
irritanti. Alcune con un fondo di verità. Tutte, comunque, legittime. Vivere “low” significa innanzitutto emanciparsi
volontariamente e consapevolmente dalla morbosa ipnosi dell’accumulo incondizionato, scegliendo di
derubricare progressivamente l’importanza di quelle comodità che la modernità ci ha abituato a considerare
come scontate. Solo così facendo, otterremo ciò che realmente ci serve: la resilienza.
Avere in casa 24 gradi durante l’inverno, possedere più di un’auto per famiglia, fare almeno due vacanze all’anno
(magari in posti esotici) sono tutte pratiche che non è detto che il futuro possa ancora garantirci. O, per lo meno,
potranno essere garantite a quote sempre più ristrette di popolazione. Almeno qui in Italia. È una realtà
amara, ma con cui occorre fare i conti il prima possibile.
Molti di noi, addirittura, si stanno già scontrando con questi nuovi stili di vita, magari senza rendersene conto
appieno. I trend, ormai paralleli, dei consumi delle famiglie e dei livelli retribuivi medi stanno lì a dimostrarlo:
il potere d’acquisto della popolazione italiana sta progressivamente contraendosi. E i nostri carrelli della
spesa, ormai sempre più vuoti, ce lo confermano ogni settimana di più.
I più ottimisti sono assolutamente certi che si tratti soltanto di una parentesi. La chiamano “crisi”. E come tale –
dicono – è destinata a concludersi con una ripresa. Quanto durò quella del ’92? E quella energetica degli anni ’70?
Un paio d’anni? Forse tre. Dunque, ormai ci siamo! Questa è iniziata nel 2011, dunque ormai ne siamo fuori. No…
come nel 2007? Quella era la crisi precedente, finita nel 2009. Poi il 2010 ne eravamo usciti! Questa del 2011 è
un’altra crisi, una diversa! Certo… come no?
Discorsi come questo sono inquietanti. Sono l’effetto di un inconsapevole pressapochismo, il più delle volte inculcato
dai media, che costringerà molti di noi ad aprire gli occhi solo quando sarà troppo tardi. Questa non è una crisi: è
un declino. Gli economisti veri, quelli che non svendono la propria ragionevolezza all’opportunismo politico,
parlano infatti ormai di “new normal”, un termine tecnico che indica un nuovo stato delle cose, diverso dal
precedente ma talmente stazionario da poter essere considerato come, appunto, una nuova normalità. Quale sarà la
nuova normalità? Se ci pensiamo, da ormai cinque anni l’economia reale è in grave recessione. Le imprese
chiudono o, nel migliore dei casi, delocalizzano. Le banche hanno smesso di erogare credito. I grandi marchi che
hanno fatto la storia dell’industria italiana sono stati ceduti a società estere. Le grandi banche d’investimento e le
società di venture-capital stanno facendo shopping nella nostra penisola, incapaci come ormai siamo di badare a noi
stessi. Le ferite procurate al nostro tessuto socioeconomico da decenni di malgoverno e interessi di parte
sono ormai insanabili. La recessione non potrà essere cancellata, né nelle nostre teste né tantomeno nei conti
pubblici, dallo spauracchio di un più zerovirgolaqualcosa di PIL. Contestualmente, la politica fiscale di questo
governo resta saldamente improntata all’austerità che ci impone l’Europa, che comprime ulteriormente le capacità di
spesa e di risparmio delle famiglie: un circolo vizioso da cui non si uscirà se non con le ossa rotte. Non sarà
qualche uomo politico, a poterci curare. Come abbiamo visto in precedenza, la soluzione non passerà
questa volta attraverso l’istituto della delega. Affidare la fuoriuscita dalla Crisi a politici vecchi in corpi giovani, o a
politici dalla mente giovane e brillante in corpi stagionati, rischia di portarci nuovamente fuori strada. Dalla politica e
dall’economia, dunque, non arriveranno ricette miracolose. “Vivere basso” resta quindi la sola ed unica
soluzione. Per non farsi sorprendere. Per abituare progressivamente noi e i nostri cari a un regime
esistenziale diverso, più umile, meno pretenzioso, più autentico, genuino e – verosimilmente – anche più…
gustoso.
Quella che propongo ora, senza alcuna pretesa di scientificità, è una semplice “lista della spesa”, anch’essa
estrapolata – come altre slide pubblicate in precedenza – da un mio recente lavoro su questi temi. Se vivere “low” è
dunque l’obiettivo, se vivere “low” è dunque l’incognita che – in tanti ormai sosteniamo – può consentirci di affrontare
l’avvenire nel modo meno traumatico possibile, quello che segue è un banalissimo elenco di piccole azioni e
comportamenti che ognuno di noi, nella sua quotidianità, può liberamente scegliere di adottare per abituarsi
pian piano ad un “regime esistenziale” diverso, più… leggero. Il rispetto o meno di queste abitudini – o forse
dovrei dire “disabitudini” – non prevede una pagella. Non è un test psicologico. Non si dà un punteggio ad ogni
risposta, per poi far dipendere da quanto si è totalizzato l’interpretazione di un comportamento. Soprattutto: non è un
gioco!
Andrea Strozzi*
* Nato a Carpi (Modena) nel 1974. Dopo la laurea in Scienze statistiche ed economiche si avvia verso una
promettente carriera nella governance di alcuni gruppi bancari nazionali. Nel 2004, tre anni prima della crisi, acquista
sull’Appennino una vecchia stalla semidiroccata adiacente a campi e boschi, che ristruttura personalmente iniziando
a riflettere sull’insostenibilità del modello di sviluppo contemporaneo. Nel 2012 fonda Low Living High Thinking, un
think-net che discute di bioeconomia, decrescita e downshifting, promuovendo uno stile di vita meta-consumistico e
orientato al benessere. Nel 2014 abbandona il posto fisso per dedicarsi completamente a ciò in cui crede.
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