Le molteplici identità del signor P

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Le molteplici identità del signor P
Anno 1 Numero 21d Del 1 - 6 - 2008
Le molteplici identità del signor P
“N” di Alessandro Pintus, tra sacralità e dissacrazione
Mariateresa Surianello
Un corpo raggomitolato che lentamente si distende, si allunga verso l’alto, ribaltando la sua verticalità,
con quei piedi in aria come in un camminamento infinito. A lungo Alessandro Pintus mostra ogni
dettaglio del movimento, ogni muscolo della schiena prima di ergersi a candela nel primo quadro di
questo suo N, proposto sul palco del Palladium nella serata del 30 maggio, con la sigla Non Company.
Nei giorni scorsi, lo avevamo già incontrato con l’etichetta V.I.T.R.I.O.L. questo attivissimo artista, nella
performance Si sedes non is, che mescola il suo corpo alle proiezioni video e alla penetrante musica
sintetizzata dal vivo. Ora con quest’altro network di artisti di varia formazione, Pintus sembra voler crea
una piccola antologia del suo lavoro di danzatore. Tre spettacoli in circa novanta minuti, uniti da un
sottile filo rosso, che emerge solo nell’ultima parte. Una sorta di percorso “evolutivo” dell’essere
umano, dalla sua natura organica, passando per le codificazioni e le sovrastrutture imposte dalla
società, fino al degrado e al nuovo imbarbarimento. Tre stati che corrispondono a tre diversi modi del
danzare.
La prima è decisamente un’apparizione butho, nella quale il corpo nudo di Pintus compare davanti a una
suggestiva quinta vegetale - illuminata da Riccardo Frezza – davanti alla quale lungamente si concede al
flusso del movimento, immerso nella musica originale di Gabriele Quirici. E’ questa la dimensione
originaria, in cui la materia vivente prende le sembianze umane. Dall’informe raggomitolamento iniziale
il corpo del danzatore si dischiude, scivola verso il boccascena per poi alzarsi sulle gambe,
impadronendosi della posizione eretta. Potrebbe finire qui, tra gli applausi del pubblico che non conosce
lo spettacolo, né la generosità del protagonista. E invece Pintus, indossato un tutù, torna in scena per
una lunga parodia del balletto classico. A piedi nudi, dal demi-plié in prima posizione lo vediamo
procedere nel tentativo di un battement tendu, di un port de bras e un ronde de jambe. Sbuffando e
sventolandosi il sudore, gioca (troppo) con l’intera sbarra di classico – tutta en dedans, ovviamente prima di lanciarsi al “centro” in un grand jeté goffo e brutto. Tra un pas de bourrée e pas de chat, il
lungo parodiare passa per La morte del cigno e giunge a Nijinski, a pose rubate all’iconografia
dell’Après-midi d’un faune. L’ironia non è felice e la parte centrale di N si mostra in tutta la sua
debolezza. Siamo lontani dai dissacranti, e molto borghesi, Trockadero di Monte Carlo che provocano
grandi risate nelle platee ingioiellate di mezzo mondo, ma anche dal lieve accenno alla sbarra classica
di Virgilio Sieni nel Solo Goldberg Improvisation, che provoca invece un riso sottile.
Una risalita dei toni arriva con il terzo quadro, quando Pintus riappare vestito da gondoliere, con i piedi
in una tinozza rossa come le righe della maglietta e il volant sul cappello di paglia. Siamo alla mimica da
avanspettacolo, e si diverte molto il danzatore a saltare con la corda, che srotola dalla cintola, o a
schizzare l’acqua di quel bagnapiedi. Guarda gli spettatori negli occhi e a un certo punto li incita:
«Italiani...». Una sola parola si ode uscire dalla bocca muta di Pintus, che poi inizia un’invasione
ripetuta della sala. Salta sulle poltrone fino a raggiungere l’ultima fila, e da lì poi esce di scena. Per
continuare a darsi senza risparmio anche quando si ricolloca sul palco, quello dei ringraziamenti è un
altro siparietto dell’infaticabile Alessandro Pintus.