LA PRIMA FASE DEL RITO SPECIALE IN MATERIA DI

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LA PRIMA FASE DEL RITO SPECIALE IN MATERIA DI
Domenico De Feo
Avvocato in Roma
LA PRIMA FASE DEL RITO SPECIALE
IN MATERIA DI LICENZIAMENTI
Sommario: 1. Non autosufficienza del nuovo rito. – 2. Sommarietà della prima fase del processo. – 3. Inquadramento sistematico nell’ambito delle tutele sommarie. – 4. Rapporti
tra rito speciale e tutela ex art. 700 Cod. Proc. Civ. – 5. Obbligatorietà del rito. – 6. Mutamento del rito. – 7. Termini di deposito del ricorso. – 8. Il ricorso. – 9. La costituzione
del convenuto. – 10. La proponibilità di domanda riconvenzionale. – 11. L’udienza di
trattazione della causa e la fase istruttoria. – 12. L’ordinanza di accoglimento o di rigetto
del ricorso.
1. – Il rito in materia di licenziamenti introdotto dalla legge n. 92 del
2012 si connota per un’assoluta specialità: la riforma Fornero ha infatti disegnato un nuovo ed articolato procedimento, che mutua le proprie caratteristiche ed i propri contenuti, senza un apparente filo logico-sistematico
unitario, da quello ex art. 28 della legge n. 300 del 1970, da quello sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis Cod. Proc. Civ. e da quello cautelare
ex art. 700 Cod. Proc. Civ. (1).
Si tratta di un rito speciale del lavoro extra-codice, di “secondo livello”
e non autosufficiente: pertanto, laddove la legge non abbia dettato disposizioni specifiche, dovranno trovare applicazione le norme del processo del
lavoro, nei limiti della compatibilità (si pensi, ad esempio, ai criteri per l’individuazione del giudice territorialmente competente, che non sono contemplati dalla novella del 2012, ciò rendendo necessario fare riferimento
all’art. 413 Cod. Proc. Civ.) (2).
È interessante notare che a distanza di nemmeno un anno dall’entrata
in vigore del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, mirante alla riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, è stato dunque introdot(1) P. Cosmai, L’impugnazione del licenziamento: limiti al sindacato giurisdizionale e specialità del rito. Primi spunti di riflessione, in Commentario alla riforma Fornero, a cura di F. Carinci
e M. Miscione, in Supplemento a Dir. Prat. Lav. n. 33 del 15 settembre 2012, pag. 25, osserva
come il nuovo processo sia piuttosto contorto ed avulso, in più punti, dai canoni vigenti nel
codice di rito.
(2) D. Borghesi, Licenziamenti: tentativo di conciliazione e procedimento speciale, in Commentario alla riforma Fornero, a cura di F. Carinci e M. Miscione, in Supplemento a Dir. Prat.
Lav. n. 33 del 15 settembre 2012, pag. 18, rileva come il nuovo rito speciale sui licenziamenti
sia “ricavato all’interno del, già speciale, processo del lavoro”, come reso evidente dal richiamo
agli artt. 414, 416 e 421 Cod. Proc. Civ. Nello stesso senso, v. P. Tosi, L’improbabile equilibrio
tra rigidità “in entrata” e flessibilità “in uscita” nella legge n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2012, n. 4-5, pag. 840.
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to un nuovo ed ulteriore rito, che si aggiunge a quello ordinario di cognizione, a quello del lavoro ed a quello sommario di cognizione.
2. – La prima fase del processo, disciplinata dai commi 48-50 dell’art. 1
della legge, assume i connotati di un giudizio a cognizione sommaria (3).
A tale conclusione conducono una pluralità di ragioni concorrenti, prima fra tutte una assorbente considerazione di ordine generale: la cognizione piena è per definizione perfetta, con la conseguenza che il nostro ordinamento non tollera che un provvedimento possa essere gravato dinanzi
allo stesso giudice che lo ha emanato, a meno che non sia stato pronunciato all’esito di un accertamento di natura sommaria. Nel caso del rito speciale in materia di licenziamenti, il legislatore ha stabilito che la fase della impugnazione dell’ordinanza debba essere proposta dinanzi al “tribunale che
ha emesso il provvedimento opposto” e non dinanzi alla Corte di Appello, analogamente a quanto del resto avviene in altri procedimenti a cognizione
sommaria, quali il ricorso per decreto ingiuntivo (4), od il ricorso ex art. 28
della legge n. 300 del 1970 (5).
Inoltre, il comma 48, nell’enucleare i requisiti del ricorso nel rito speciale, non rinvia all’art. 414 Cod. Proc. Civ., bensì all’art. 125 Cod. Proc.
Civ., che è norma di carattere generale volta ad individuare il contenuto
degli atti di parte, e che, nell’elencarne gli elementi, non contempla la indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti che si offrono in comunicazione; ciò palesa l’intenzione del legislatore di voler approntare una
prima fase del rito caratterizzata dalla deformalizzazione e dalla sommarietà della cognizione. Non sembra del resto casuale il fatto che, invece, l’art.
414 Cod. Proc. Civ. sia stato espressamente menzionato dal comma 51 per
quanto riguarda l’opposizione, che pacificamente introduce un processo a
cognizione piena.
Ed ancora, l’istruttoria è dal comma 49 (che richiama l’art. 669 sexies
cod. proc. civ.) limitata ai soli atti “indispensabili”, mentre nel processo di
opposizione il giudice “procede... agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti”
(3) Nel senso della sommarietà della prima fase del rito, v. anche C. Consolo, Vere o
presunte novità, sostanziali e processuali, sui licenziamenti individuali, in Corr. Giur., 2012, 6, pag.
735; D. Borghesi, Licenziamenti ecc., op. cit., pag. 18; P. Tosi, L’improbabile ecc., op. cit., pag.
839.
(4) Ai sensi dell’art. 645 Cod. Proc. Civ., “l’opposizione si propone davanti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto...”.
(5) Il terzo comma dell’art. 28 stabilisce che “contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa... opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro...”, con la precisazione che
il pretore è stato sostituito, a far data dal 2 giugno 1999, per effetto dell’art. 244 del d. lgs. 19
febbraio 1998, n. 51, dal tribunale in composizione monocratica.
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(v. comma 57) (6): per dare senso al concetto di indispensabilità rispetto a
quelli di ammissibilità e rilevanza, che caratterizzano la fase del processo
(certamente) a cognizione piena, è ragionevole ritenere che in sede di prima istanza l’istruzione debba intendersi circoscritta alla sola prova del fumus boni iuris, raggiunta la quale il giudice si ferma; il che conferma la sommarietà dell’accertamento e, quindi, del rito.
3. – Occorrerà a questo punto inquadrare dal punto di vista sistematico
detta prima fase del nuovo procedimento nell’ambito del modello generale
delle tutele sommarie.
È noto che l’ordinamento distingue tra tutele sommarie cautelari e tutele sommarie non cautelari: le prime hanno natura meramente provvisoria
e la loro funzione è quella di ovviare ai pericoli che, durante il tempo occorrente per ottenere la tutela giurisdizionale, possano comprometterne il
risultato (7), mentre le seconde hanno una funzione di anticipazione satisfattiva della pretesa, essendo finalizzate alla formazione il prima possibile
di un titolo sul quale si possa poggiare l’esecuzione (si pensi, ad esempio,
tra i procedimenti speciali, al decreto ingiuntivo (8), o all’ordinanza di rilascio ex art. 665 Cod. Proc. Civ., ovvero ancora all’ordinanza presidenziale
di cui all’art. 708 Cod. Proc. Civ.).
Nell’ambito poi delle tutele sommarie non cautelari si distinguono
quelle necessarie, allorché il legislatore abbia previsto un procedimento tipico ed “esclusivo” da azionare ove sia lamentata la lesione di individuati
diritti, e quelle non necessarie, allorché venga rimesso alla parte se agire
con istanza di urgenza o procedere direttamente con l’azione di merito.
La prima fase del rito in materia di licenziamenti non ha certamente
(6) Alla nozione di “rilevanza” dell’atto istruttorio fa riferimento l’art. 702 ter, quinto
comma, Cod. Proc. Civ.; ed è noto che nel procedimento sommario di cognizione la sommarietà sta nella semplificazione del rito e non nell’accertamento del giudice, che è pieno.
(7) Come autorevolmente affermato da C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile,
10a ed., Torino, 1995, pag. 75, “l’attività cautelare è destinata ad ovviare ai pericoli che minacciano la fruttuosità della tutela giurisdizionale di un diritto”; le misure cautelari costituiscono uno
strumento preordinato ad assicurare la tutela provvisoria del diritto sul presupposto dell’esistenza di un pericolo nel ritardo, cosa che determina l’esigenza di adottare la decisione attraverso un giudizio a cognizione sommaria.
Sulla funzione della tutela cautelare e sul nesso di strumentalità rispetto al provvedimento principale, v. U. Corea, Autonomia funzionale della tutela cautelare anticipatoria, in Riv. Dir.
Proc., 2006, pag. 1251 e seg.
(8) Utilizzando l’efficace terminologia di G. Chiovenda, il procedimento d’ingiunzione
appartiene alla categoria degli “accertamenti con prevalente funzione esecutiva”, essendo appunto caratterizzato, dal punto di vista della funzione, dall’esigenza di conseguire in tempi rapidi
il titolo esecutivo, consentendo l’inizio dell’esecuzione, e, dal punto di vista della struttura,
dalla sommarietà della cognizione.
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natura cautelare, in quanto non è richiesta la deduzione e prova da parte
del ricorrente in ordine all’esistenza di un periculum in mora (9).
Inoltre, come si vedrà meglio più avanti, l’ordinanza emessa dal Giudice ai sensi del comma 49 è immediatamente esecutiva e, ove non opposta,
tende ad acquistare efficacia analoga a quella del giudicato: dunque, non si
tratta di un provvedimento avente finalità e caratteristiche meramente interinali o strumentali.
Quanto alla natura necessaria o meno del rito in esame, sembra potersi
affermare che le nuove disposizioni costituiscano l’unico ed esclusivo procedimento per le controversie nelle quali si discuta della legittimità dei licenziamenti rientranti nella sfera applicativa dell’art. 18 legge n. 300 del
1970. In tal senso depone il tenore del comma 47, che non presenta difficoltà interpretative in quanto la formulazione letterale del testo è univoca:
ed infatti, la legge stabilisce che il rito speciale si applica “alle controversie
aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti...”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve convenire che la prima fase del rito speciale introdotto dalla riforma trovi collocazione, nell’ambito delle procedure sommarie, tra quelle non cautelari di natura necessaria.
4. – Le conclusioni alle quali si è appena giunti chiariscono il rapporto
che si pone tra la fase sommaria del rito speciale in materia di licenziamenti
e la tutela cautelare ex art. 700 Cod. Proc. Civ. È chiaro che la discussione
in ordine alla alternatività o complementarità dei due procedimenti deve
intendersi riferita e limitata ai giudizi di impugnativa di licenziamento nelle ipotesi regolate dall’art. 18 legge n. 300 del 1970.
Il tema da affrontare richiama un po’ la questione, postasi all’indomani
dell’entrata in vigore della legge 11 agosto 1973 n. 533, delle interferenze
tra il (allora) nuovo processo del lavoro ed i procedimenti di urgenza di
cui all’art. 700 Cod. Proc. Civ.: all’esito di ampio ed interessante dibattito,
si era giunti ad affermare unanimemente che la tutela cautelare poteva comunque essere azionata anche per assicurare provvisoriamente gli effetti
della decisione di merito nelle controversie in materia di lavoro, pur osservandosi che la maggiore rapidità del rito speciale, da poco, introdotto
avrebbe ridotto al minimo i casi in cui il tempo occorrente per far valere il
diritto in via ordinaria avrebbe potuto provocare un pregiudizio imminente ed irreparabile (10). L’esperienza giudiziaria ci ha, poi, insegnato che
(9) A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, pag. 75, ben rileva che l’urgenza è valutata “una volta per tutte dal legislatore per il tipo di controversia”.
(10) V. Andrioli, Il rito speciale, in A. Proto Pisani, G. Pezzano, C.M. Barone, V. An-
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l’apprezzabile intento del legislatore del 1973 di costruire un processo caratterizzato dalla oralità, dalla concentrazione e dalla immediatezza non
sempre, per una pluralità di motivi concorrenti, ha trovato concreta attuazione e che il ricorso ex art. 700 Cod. Proc. Civ. ha avuto ampia diffusione
nei tribunali del lavoro.
C’è ancora preliminarmente da dire che la questione posta non è meramente teorica e speculativa: l’interesse del lavoratore alla proposizione di
un ricorso d’urgenza ex art. 700 Cod. Proc. Civ. potrebbe permanere pur a
fronte della introduzione del nuovo rito, laddove si consideri che, con
l’istanza cautelare, il lavoratore potrebbe proporre, unitamente alla impugnazione del licenziamento, anche domande diverse e non fondate “sugli
identici fatti costitutivi”.
Inoltre, non è da escludere che il lavoratore abbia una concreta esigenza di ottenere giustizia in tempi ancora più rapidi di quelli contemplati
dal nuovo rito (che impone al giudice di fissare l’udienza di comparizione
delle parti non oltre 40 giorni dall’avvenuto deposito del ricorso, assegnando un termine per la notifica non inferiore a 25 giorni prima dell’udienza, nonché un termine, non inferiore a 5 giorni prima dell’udienza,
per la costituzione del resistente). Va qui ricordato che invece l’art. 669
sexies Cod. Proc. Civ. non stabilisce termini per la convocazione delle parti,
rientrando nel potere discrezionale del giudice fissarli contemperando le
esigenze di celerità del procedimento con il rispetto del diritto di difesa
del convenuto.
Ed ancora, l’instaurazione di un ordinario ricorso d’urgenza consentirebbe al lavoratore di chiedere, ove ne sussistano i presupposti, l’emanazione di un decreto motivato ex art. 669 sexies, comma 2, Cod. Proc. Civ. di
sospensione del provvedimento impugnato inaudita altera parte. Tale possibilità non è, invece, contemplata nel procedimento speciale introdotto
dalla riforma Fornero.
Orbene, l’inquadramento sistematico della prima fase del rito speciale
in esame tra i procedimenti sommari (non cautelari) di natura necessaria
rende evidente come il lavoratore non possa impugnare giudizialmente il
licenziamento (nell’ambito della sfera di operatività dell’art. 18) con altre
misure atipiche e residuali.
drioli, Le controversie in materia di lavoro, Bologna, 1974, pagg. 26-27. Per la prima giurisprudenza in tema di compatibilità tra ricorso d’urgenza e procedura di cui alla legge n. 533 del
1973 per le controversie di lavoro v. Pret. Roma, 30 luglio 1974 (ord.), in Riv. Giur. Lav.,
1975, II, pag. 887; Pret. Milano, 4 aprile 1975 (ord.), in Riv. Giur. Lav., 1976, II, pag. 223;
Pret. Bassano del Grappa, 16 gennaio 1976 (ord.), in Foro It., 1976, I, col. 831. A favore della
compatibilità si poneva la risolvente considerazione che l’allora nuovo rito del lavoro non approntava misure cautelari, ma disciplinava un giudizio di merito.
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Il ricorso ex art. 700 Cod. Proc. Civ., del resto, costituisce una tutela
sommaria (cautelare) con funzione sussidiaria. La sussidiarietà è palesata
dal fatto che la misura de qua può essere utilizzata “fuori dei casi regolati
nelle precedenti sezioni di questo capo”, e cioè laddove l’ordinamento non
fornisca altri strumenti volti a garantire una celere protezione del diritto
leso; in buona sostanza, il giudice può pronunciare provvedimenti di contenuto non predeterminato dalla legge solo quando l’esigenza alla quale
soccorrono non sia già conseguibile con altra misura tipica e nominata (11).
Si consideri poi che l’esistenza del rito speciale in materia di licenziamenti, la cui prima fase ha natura urgente, sembra escludere in radice la
configurabilità di un pregiudizio irreparabile (12).
Infine, non si vede come la fase di merito del ricorso ex art. 700 Cod.
Proc. Civ. possa essere raccordata con il procedimento introdotto dalla legge n. 92 del 2012.
5. – Occorrerà a questo punto valutare se sia consentito al lavoratore di
“saltare” la fase sommaria del rito e depositare direttamente il ricorso di
cui al comma 51, considerato che tale disposizione rinvia espressamente all’art. 414 Cod. Proc. Civ. e che, ai sensi del comma 57, con la sentenza che
decide il giudizio viene accolta o rigettata la domanda e non, semplicemente, l’opposizione.
La questione ha probabilmente scarso rilievo pratico, essendo di regola interesse del prestatore di lavoro licenziato ottenere giustizia in tempi
rapidi, anche se non può escludersi che quel prestatore, a fronte di questioni particolarmente complesse e richiedenti approfonditi accertamenti
istruttori, ritenga preferibile affidarsi direttamente al giudizio a cognizione
piena.
Ampliando il discorso, a favore della facoltatività dell’intero rito specia(11) Si veda F. Tommaseo, I provvedimenti d’urgenza, Padova, 1983, pag. 180 e pag. 203,
che ben evidenzia come l’art. 700 Cod. Proc. Civ. abbia ruolo di “norma di chiusura” di un sistema di forme nominate di cautela. Sul principio di residualità poggia tutto il sistema della
tutela cautelare atipica, che opera non per categorie di diritti, ma per categorie di pericula.
Inoltre, il provvedimento cautelare deve apparire idoneo ad assicurare provvisoriamente gli
effetti della decisione sul merito, la quale a sua volta rappresenta il limite per il contenuto della misura d’urgenza, nel senso che quest’ultima non può attribuire beni non conseguibili per
effetto della sentenza di merito (v. ancora F. Tommaseo, op. cit., pag. 113; G. Arieta, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1985, pag. 89).
(12) A conforto di tale conclusione si possono porre le argomentazioni di F. Tommaseo,
op. cit., pag. 195, ad avviso del quale, laddove le esigenze della tutela urgente siano soddisfatte da specifici strumenti di carattere non cautelare, il ricorso al procedimento di urgenza è
escluso non perché inammissibile, ma per il difetto di una condizione di accoglimento.
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le (e non della sola prima fase sommaria) rispetto al giudizio di cognizione
ordinaria, deve essere considerato che, quando dovesse proporre domande
ulteriori rispetto a quella di impugnazione del licenziamento, il lavoratore
sarebbe costretto ad incardinare due processi separati, così ingenerandosi
una insostenibile moltiplicazione dei giudizi; ciò indurrebbe a ritenere che
debba essere data al lavoratore la scelta se proporre distinte azioni, oppure
agire con un unico ricorso ai sensi dell’art. 414 Cod. Proc. Civ.
Ancora a sostegno della facoltatività del rito de quo si potrebbe richiamare quella giurisprudenza formatasi con riferimento all’art. 28 della legge
n. 300 del 1970 (il cui procedimento ha molti aspetti in comune con quello
introdotto dalla riforma Fornero), in base alla quale la domanda volta ad
accertare l’antisindacalità di un determinato comportamento datoriale può
essere azionata, oltre che con la speciale procedura ex art. 28, anche con ricorso ordinario ex art. 414 Cod. Proc. Civ. (13)
Le considerazioni fin qui svolte non sembrano, però, sufficienti a superare il tenore letterale del comma 47, che è perentorio e, nella sua chiara
formulazione, non lascia spazio a dubbi interpretativi: il rito speciale si applica “alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti” e non
è, dunque, meramente alternativo a quello ordinario.
Del resto, negare l’obbligatorietà del nuovo processo nell’ambito del
suo specifico campo applicativo comporterebbe di fatto uno svuotamento
della ratio della riforma, che è quella di uniformare ed accelerare i tempi
della decisione delle cause vertenti su una così delicata materia, dando per
quanto possibile certezza e stabilità alle relazioni intersoggettive.
Oltretutto, nonostante il richiamo dell’art. 414 Cod. Proc. Civ., il tenore del comma 51 palesa l’intenzione del legislatore di costruire un giudizio
di natura impugnatoria, tant’è che il ricorso di cui si discute viene definito
di “opposizione”, ciò presupponendo il necessario incardinamento della
precedente fase sommaria, e si propone “contro l’ordinanza di accoglimento o
di rigetto”, nonché dinanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto; infine, i termini per il deposito dell’atto decorrono dalla notificazione di quest’ultimo o dalla sua comunicazione, se anteriore (14).
(13) Le tutele che il ricorso ex art. 28 mira a realizzare sono invero diverse e non sovrapponibili con quelle che un ricorso ex art. 414 Cod. Proc. Civ. può assicurare: a parte il fatto
che la legittimazione attiva deve essere valutata sulla base dei criteri comuni e non secondo
quelli restrittivi stabiliti dalla previsione statutaria (in tal senso, Cass., 3 maggio 2003, n. 6723,
in Riv. Crit. Dir. Lav., 2003, pag. 622), non può comunque essere richiesta in sede di giudizio
ordinario la rimozione degli effetti prodotti dalla condotta denunciata (v. Pret. Firenze, 11
aprile 1989, in Foro It., 1989, I, col. 2982).
(14) Nello stesso senso, cfr. D. Borghesi, Licenziamenti ecc., op. cit., pag. 17, il quale afferma che la funzione impugnatoria del ricorso in opposizione si ricava dal fatto che il relativo
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6. – Laddove il lavoratore depositi, naturalmente nei termini (decadenziali) sanciti dall’art. 6, comma 2, legge n. 604 del 1966 (così come modificato dall’art. 1, comma 38, legge n. 92 del 2012), un ricorso ex art. 414
Cod. Proc. Civ. avverso il licenziamento e detto ricorso abbia le caratteristiche ed i contenuti di cui ai primi due periodi del comma 48 dell’art. 1 della
riforma (che rinviano sul punto all’art. 125 Cod. Proc. Civ.) (15), il giudice
dovrà applicare il nuovo rito e conseguentemente gestire la controversia
nei tempi (serrati e cadenzati) e con le modalità di cui alla legge in esame.
Non si tratta di passare dal rito ordinario a quello speciale, e dunque
non è direttamente richiamabile l’art. 426 Cod. Proc. Civ., poiché il processo del lavoro è già un rito speciale, né appare applicabile l’art. 4 del d.lgs. n.
150 del 2011 che, nel disciplinare il mutamento del rito, prevede che il
giudice debba emettere ordinanza e fissare termini perentori per l’eventuale integrazione degli atti, in quanto gli scritti delle parti, essendo impostati sulla base dei dettami degli artt. 414 e 416 Cod. Proc. Civ., dovrebbero essere già completi.
7. – I termini per il deposito del ricorso, a pena di inefficacia dell’impugnazione (e, dunque, della definitività del provvedimento espulsivo), sono
quelli indicati dal comma 38 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012, che ha ridotto da 270 a 180 giorni il limite temporale per la proposizione della causa.
È bene precisare che il suddetto termine decorre non già dallo spirare
dei primi 60 giorni, ma dalla data di effettiva impugnazione: a tali conclusioni si perviene sulla base del tenore letterale della norma, che fa riferimento alla impugnazione allorché ne sancisce l’inefficacia in caso di mancato deposito del ricorso nei 180 giorni.
Resta da valutare se detti 180 giorni decorrano dalla mera spedizione
dell’impugnativa o dalla effettiva ricezione da parte del datore di lavoro: è
ben vero che l’impugnazione è un negozio giuridico unilaterale ricettizio e
dunque, in quanto tale, si perfeziona al momento in cui la manifestazione
giudizio ha inizio “quando la domanda non solo è stata proposta, ma è anche stata decisa” e che ad
instaurarlo non è l’attore, ma la parte soccombente. Coerentemente con detta funzione impugnatoria, l’Autore osserva – del tutto condivisibilmente – che in caso di soccombenza parziale
reciproca deve ritenersi ammissibile l’opposizione incidentale tardiva, in applicazione del modello disegnato per l’appello dall’art. 334 Cod. Proc. Civ. Del medesimo avviso è anche P. Tosi, L’improbabile ecc., op. cit., pag. 840.
(15) Ed invero, poiché le prescrizioni di cui all’art. 414 Cod. Proc. Civ. in ordine al contenuto del ricorso pongono a carico dell’istante oneri di allegazione ben più ampi di quelli
contemplati dall’art. 125 Cod. Proc. Civ. (si pensi alla “indicazione specifica dei mezzi di prova di
cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione”),
non appaiono ipotizzabili questioni attinenti alla completezza dell’atto.
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di volontà del lavoratore licenziato giunge nella sfera di conoscenza del
datore di lavoro, ma una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione ha affermato che, applicando in materia i principi in ambito
di notifiche degli atti processuali, deve ritenersi tempestiva l’impugnazione
se consegnata all’ufficio postale entro il termine di 60 giorni, ancorché ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine (16).
8. – Il legislatore ha scandito i tempi della prima fase del processo in
maniera tale da garantire una spedita trattazione ed una rapida conclusione della causa.
Il ricorso deve possedere i requisiti di cui all’art. 125 Cod. Proc. Civ.,
che è richiamato espressamente anche dall’art. 702 bis Cod. Proc. Civ., e comunque rappresenta il punto di riferimento implicito di ogni istanza di
parte. Detti requisiti sono l’indicazione dell’ufficio giudiziario, delle parti,
dell’oggetto (petitum), le ragioni della domanda (causa petendi) e le conclusioni.
Manca l’indicazione, specifica o no che sia, dei mezzi di prova: non si
tratta di una mera e casuale dimenticanza del legislatore (del resto, l’art.
414 Cod. Proc. Civ. è invece espressamente richiamato al successivo comma 51 per individuare i contenuti del ricorso in opposizione), ma piuttosto
di una volontà precisa, da un lato, di esprimere la natura sommaria della
cognizione, e, dall’altra, di rafforzare ed espandere i poteri istruttori del
giudice di cui al comma 49.
Si deve, comunque, ragionevolmente convenire che, collocandosi il rito speciale nell’alveo del processo del lavoro, permanga comunque in capo
al ricorrente l’onere, a pena di decadenza (17), di indicare in maniera specifica i mezzi di prova di cui intende avvalersi per dimostrare l’esistenza del
diritto azionato (ivi inclusi i documenti) e che i poteri istruttori del giudice
si esplicheranno con esclusivo riguardo alle modalità di ammissione e di
assunzione delle fonti probatorie richieste.
Del resto, il fatto che il convenuto debba costituirsi almeno cinque
giorni prima dell’udienza evidenzia che il legislatore ha inteso “concentra(16) In tal senso Cass., Sez. Un., 14 aprile 2010, n. 8830, in Mass. Giur. Lav., 2010, pag.
523.
(17) Invero, neppure l’art. 414 Cod. Proc. Civ., nel disciplinare i contenuti del ricorso in
materia di lavoro, prevede che l’indicazione dei mezzi di prova e la produzione dei documenti integrino attività da compiere a pena di decadenza; alla sanzione della decadenza si perviene attraverso il disposto dell’art. 416, comma 3, Cod. Proc. Civ. (in tema di costituzione del
convenuto) e facendo applicazione dei principi di reciprocità ed uguaglianza processuale fissati dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza 14 gennaio 1977, n. 13 (in Mass. Giur.
Lav., 1977, pag. 25).
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re” il processo: il giudice deve avere da subito piena contezza delle posizioni delle parti per poter gestire la causa anche, possibilmente, in un’unica
udienza, cosa che di fatto sarebbe impedita ove fosse permesso al ricorrente ed al resistente di indicare prove o di produrre documentazione senza
preclusioni o decadenze.
9. – La legge non disciplina la costituzione del convenuto, se non stabilendo che la stessa debba avvenire nel termine non inferiore a cinque giorni prima dell’udienza (18).
È ragionevole pensare che il contenuto della memoria difensiva debba
sostanzialmente avere le caratteristiche indicate all’art. 416 Cod. Proc. Civ.,
imponendo al resistente di prendere posizione sui fatti dedotti nel ricorso
e di contestare specificamente le avverse deduzioni, nonché di indicare i
mezzi di prova ed i documenti, che devono essere depositati contestualmente all’atto.
Ed invero, il fatto che l’art. 416 Cod. Proc. Civ. sia espressamente richiamato solo dal successivo comma 53 con riferimento alla costituzione
dell’opposto potrebbe indurre a ritenere che nella prima fase del rito in
esame il convenuto sia del tutto svincolato dagli oneri di specifica contestazione (19), allegazione e prova previsti dalla citata previsione.
L’argomentazione, fondata su un dato esclusivamente formale, non
sembra però convincente: ancora un volta, dev’essere osservato che la domanda avente ad oggetto il licenziamento rientra tra le controversie di lavoro, è affidata alla competenza funzionale del giudice del lavoro ed è assoggettata ad un rito speciale del lavoro di “secondo livello”.
Inoltre, accedere alla tesi qui avversata comporterebbe un profondo
ed inammissibile squilibrio tra la posizione del convenuto e quella del ricorrente.
(18) Deve ritenersi che i cinque giorni non siano liberi.
(19) Con precipuo riferimento all’onere di contestazione, va però ricordato che, a prescindere dai principi che regolano le dinamiche del processo del lavoro, l’art. 115 Cod. Proc.
Civ., così come novellato dall’art. 45 della legge 18 giugno 2009 n. 69, è norma di carattere
generale, applicabile anche al rito sommario (v. C. Mandrioli, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2009, pag. 347; D. Volpino, Il procedimento sommario di cognizione e la delega sulla riduzione e semplificazione dei riti, in AA.VV., Il processo civile riformato, Bologna, 2010, pag. 541; F.
Tommaseo, Il procedimento sommario di cognizione, in Prev. For., 2009, pag. 127).
In materia di onere di contestazione nel processo del lavoro, v. A. Vallebona, Allegazioni
e prove nel processo del lavoro, Padova, 2006, pag. 77 e segg., il quale opta per una revisione critica della equiparazione tra fatto non contestato e fatto pacifico propugnata dalla nota sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, 23 gennaio 2002, n. 761 (in Arg. Dir. Lav.,
2003, pag. 603).
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10. – Il convenuto non può proporre domande riconvenzionali, attesa
la natura sommaria del rito speciale.
Il differimento dell’udienza e l’ampliamento del thema decidendum sono del resto incompatibili con la concentrazione e speditezza del giudizio,
nonché con la limitazione del suo campo applicativo.
Inoltre, è solo in fase di opposizione avverso l’ordinanza di accoglimento o di rigetto che il legislatore ha contemplato la possibilità di proporre domanda riconvenzionale (comma 56), dal che desumendosi, con argomento a contrario, che ciò non sarebbe consentito nella prima fase (sommaria) del processo.
11. – All’udienza di trattazione il giudice, sentite le parti “e omessa ogni
formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio”.
Il tenore letterale della disposizione ricalca il disposto dell’art. 669
sexies Cod. Proc. Civ. ed evidenzia, al pari del procedimento cautelare, una
vera e propria “deformalizzazione” del rito, fermo sempre restando il rispetto del principio del contraddittorio e della garanzia del diritto di difesa
delle parti in causa.
Il richiamo (implicito) all’art. 669 sexies Cod. Proc. Civ. conferma che il
modello istruttorio prescelto dal legislatore del 2012 è quello a cognizione
sommaria (20).
Prima di procedere all’eventuale istruttoria, il giudice, a parte la ordinaria verifica della regolare instaurazione del contraddittorio, deve operare alcuni specifici accertamenti preliminari atti a verificare se la materia del
contendere rientri tra quelle indicate nel comma 47.
Nel caso in cui la domanda proposta dal lavoratore non abbia ad oggetto l’impugnazione del licenziamento, il giudice dovrà dichiarare inammissibile la pretesa, che potrà naturalmente essere (ri)proposta in separato
giudizio, nelle forme del ricorso ex art. 414 Cod. Proc. Civ. o, in alternativa,
sempre che ne ricorrano i presupposti, ex art. 700 Cod. Proc. Civ.
Laddove poi il convenuto contesti l’applicabilità dell’art. 18 della legge
n. 300 del 1970 per mancanza del requisito dimensionale, si renderà necessario effettuare un accertamento preliminare, o meglio pregiudiziale, in
(20) Il modello istruttorio a cognizione sommaria non è invero unitario nel nostro ordinamento: si passa infatti dal decreto ingiuntivo, che viene emesso inaudita altera parte sulla base
della sola prova documentale del credito, al procedimento di convalida di sfratto, in cui il contraddittorio è completo, ma l’istruttoria non è “acquisitiva” (si basa solo sui documenti), fino a
giungere al più elevato grado di cognizione che connota il rito speciale sui licenziamenti.
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PARTE PRIMA - SAGGI
ordine alla forza lavoro occupata dal datore di lavoro (21). Se il numero di
dipendenti non raggiunge la soglia di cui all’art. 35 della legge n. 300 del
1970, il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, ferma restando la
possibilità per l’istante di agire con istanza ordinaria, ovvero, al ricorrerne
dei presupposti, cautelare atipica.
Venendo a questo punto all’istruzione della causa, la stessa, nel quadro di una cognizione a carattere sommario, sarà evidentemente limitata
alla delibazione dell’esistenza del fumus, e cioè dell’apparente legittimità o
illegittimità del licenziamento.
Il giudice, non essendo vincolato all’osservanza di particolari forme o
termini, può improntare liberamente ed autonomamente (“nel modo che ritiene più opportuno”, stabilisce infatti la legge) la propria attività di ricerca
delle fonti di prova; dunque, può muoversi anche al di fuori degli atti di
istruzione richiesti dalle parti, ma pur sempre nell’ambito delle allegazioni
delle stesse.
I poteri istruttori d’ufficio ex art. 421 Cod. Proc. Civ. (espressamente
richiamato dal comma 49), pur condivisibilmente costituendo il principale
strumento di mitigazione della rigidità del sistema di preclusioni che caratterizza in generale il rito del lavoro (essendo funzionalizzati a contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale),
non possono però essere esercitati arbitrariamente e restano comunque assoggettati ad una serie di limiti: tra questi, il rispetto dell’onere di allegazione dei fatti in capo alle parti (22), la coerenza con la natura e le finalità
del procedimento, il divieto per il giudice di utilizzare la propria scienza
privata, l’inammissibilità della prova atipica (23), l’impossibilità di ricorrere
alla prova illecita, la necessità che siano esplicitate – con motivazione logica
e congrua – le ragioni in base alle quali sono stati esercitati i poteri officiosi
e/o sono state rigettate le richieste istruttorie delle parti (24).
(21) La verifica del requisito dimensionale resta di regola subordinata alla contestazione
di parte, dovendo escludersi che il giudice possa d’ufficio sollevare la questione; si tratta infatti di una eccezione processuale in senso proprio (o in senso stretto).
(22) Cfr. Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004, n. 11353, in Foro It., 2005, I, col. 1135, n. E. Fabiani, Le Sezioni Unite intervengono sui poteri istruttori d’ufficio del giudice del lavoro.
(23) La tipizzazione dei mezzi di prova rappresenta una irrinunciabile garanzia di civiltà.
I mezzi di prova atipici sono mezzi di prova legali, ma acquisiti al processo usando strumenti
diversi dal mezzo istruttorio che la legge ha stabilito ai fini di detta acquisizione.
(24) La questione delle interferenze tra poteri officiosi del Giudice e principio dispositivo nel processo del lavoro ha costituito notoriamente oggetto di ampi ed approfonditi dibattiti dottrinali e di copiosi interventi giurisprudenziali. Senza qui voler affrontare la complessa
tematica, appare interessante richiamare quanto efficacemente affermato da A. Proto Pisani
nel formulare le proprie osservazioni critiche su Cass., Sez. Un., 20 aprile 2005, n. 8202 e
8203, in Foro It., 2005, I, col. 1690: “... il processo è strumentale rispetto al diritto sostanziale: deve
per quanto possibile dare e non negare a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che gli è assicu-
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12. – All’esito della (eventuale) istruzione della causa, il giudice pronuncia ordinanza di accoglimento o di rigetto del ricorso.
L’efficacia esecutiva del provvedimento non può essere sospesa o revocata fino alla sentenza che definisce il giudizio di opposizione.
Nonostante il legislatore abbia prescelto la forma dell’ordinanza, il
provvedimento sembra avere natura e contenuti di sentenza. Con quest’ultima condivide il fatto di produrre gli effetti del giudicato, ossia di generare preclusioni e vincoli analoghi a quelli propri di una sentenza di merito, e
ciò sia nel caso di accoglimento che di rigetto della domanda, sempre che
non intervenga solo su questioni di mero rito (25). A tale conclusione si
perviene sulla base della considerazione che il procedimento di cui ai commi 48-49 non dev’essere seguito necessariamente dal giudizio di merito (26); ed infatti, il giudizio di opposizione di cui al comma 51 è concepito
dal legislatore come meramente eventuale e non come condizione necessaria per garantire efficacia all’ordinanza.
Dunque, in caso di mancata opposizione (o di opposizione tardiva o
rigettata), il contenuto del provvedimento di cui al comma 50 non potrà
essere più oggetto di contestazione, restando immodificabilmente accertata tra le parti la situazione giuridica sottoposta al vaglio giudiziale (27).
rato dal diritto sostanziale; deve cioè per quanto possibile tendere alla giusta composizione della controversia”.
(25) La pronuncia negativa per ragioni di rito, sostanziantesi nella dichiarazione di
inammissibilità del ricorso, non dovrebbe precludere la possibilità per l’istante di riproporre
l’azione.
(26) Il principio di “strumentalità attenuata” è stato già introdotto dalla novella del 2005
per i procedimenti cautelari atipici.
(27) In tal senso, v. P. Tosi, L’improbabile ecc., op. cit., pag. 839, il quale evidenzia le analogie con il decreto ex art. 28 della legge n. 300 del 1970.
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