L`ITALIA PUNTA SUL ROSSO Amarone, Chianti e Primitivo
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L`ITALIA PUNTA SUL ROSSO Amarone, Chianti e Primitivo
22 ATTUALITÀ Giovedì 11 aprile 2013 @ commenta su www.liberoquotidiano.it Record al Vinitaly: 148mila visitatori ::: L’ITALIA PUNTA SUL ROSSO Amarone, Chianti e Primitivo: si beve meno e meglio Vanno forte i vini locali, amatissimi anche all’estero ::: CARLO CAMBI Beviamo meno, sicuramente beviamo molto locale. È questa la sentenza del Vinitaly che ha chiuso ieri i battenti con l’ennesimo record di visitatori: 148 mila di cui 53 mila esteri. Le cantine italiane confermano la loro leadership mondiale con un aumento del 6,5 del fatturato estero arrivato a 4,7 miliardi e con un balzo del 7% del fatturato complessivo che supera i 14 miliardi e garantisce il lavoro a un milione e 200 mila persone. Ma l’esportazione è la sola strada del successo perché il mercato interno è in profonda contrazione. Siamo scesi al di sotto dei 37 litri pro capite. E se ne sono accorti anche i supermercati (con il 65% del mercato sono il primo canale) che per la prima volta quest’anno hanno avuto una contrazione del 3,7% nelle vendite. Con due fenomeni registrati dalla ricerca Symphony-Iri: il primo è che si vendono molte bottiglie a marchio delle catene di distribuzione, il secondo che mentre si contraggono di molto i volumi dei vini di poco prezzo, s’incrementano i vini di maggior pregio. A guidare la classifica del gradimento sono il Lambrusco e il Chianti, ma emergono anche nuove preferenze: Pecorino marchigiano e abruzzese, Primitivo pugliese, Falanghina campana e Rosso di Montalcino. Tengono ancora gli spumanti, si affacciano i rosati. Per capire come si orientano gli italiani tra le bottiglie serve anche una ricerca della Coldiretti che conferma un antico adagio contadino: mogli e buoi dei paesi tuoi. Quanto alle mogli, le donne sono diventate il miglior cliente delle cantine. Sono loro a bere fuori casa e se il 44% dei maschi beve ogni giorno ma tra le mura domestiche, quelle che spendono di più per il vino sono proprio le signore che peraltro hanno conquistato la guida di un terzo delle cantine italiane e spesso le vignaiole si affidano alle enologhe. Insomma vanno di moda le cantine in rosa. Quanto ai buoi eccoli. In ogni regione in testa al gradimento ci sono i vini locali e possibilmente biologici. Così la Toscana beve Chianti, Morellino e Sangiovese che è poi la stesa cosa. Il Piemonte sceglie Barbera, Dol- Giro d’affari delle cantine italiane: 14 miliardi [Lapresse] cetto e Bonarda (che arriva dall’Oltrepò), il Trentino Teroldego e Marzemino, l’Emilia il Lambrusco, la Sicilia il Nero d’Avola, le Marche il Verdicchio, la Campania la Falanghina, l’Abruzzo il Montepulciano, la Puglia il Negroamaro. Tra gli internazionali emergono soprattutto Merlot e Syrah. Discorso a parte per il Prosecco che resta un fenomeno e sulla sua scia emergono altri due bianchi frizzanti come il Pignoletto emiliano e la Passerina marchigiana, e per l’Amarone che nella fascia alta del mercato insidia il Barolo piemontese mentre must assoluti rimangono il Brunello di Montalcino e i supertuscans. Tra gli spumanti un vero e proprio boom è quello della Franciacorta. Completamente diverso il panorama per quel che riguarda l’esportazione. Gli Stati Uniti, nostro primo cliente, vogliono il romanzo del vino, cioè comprano le bottiglie che narrano storie di vignaioli ed evo- ::: LA SCHEDA AUMENTA IL FATTURATO Vinitaly ha chiuso ieri i battenti con l’ennesimo record di visitatori: 148 mila di cui 53 mila esteri. Le cantine italiane confermano la loro leadership mondiale con un aumento del 6,5 del fatturato estero arrivato a 4,7 miliardi e con un balzo del 7% del fatturato complessivo che supera i 14 miliardi e garantisce il lavoro a un milione e 200 mila persone. CANTINE ROSA Le mogli seguono i mariti: le donne sono diventate le migliori cliente delle cantine. Sono loro a bere fuori casa e se il 44% dei maschi beve ogni giorno ma tra le mura domestiche, quelle che spendono di più per il vino sono proprio le signore che peraltro hanno conquistato la guida di un terzo delle cantine italiane e spesso le vignaiole si affidano alle enologhe. Insomma vanno di moda le cantine in rosa cano immagini di territori; in Germania dove il prezzo conta le bollicine vanno forte, in Gran Bretagna il vino deve essere come natura crea. I mercati emergenti hanno altre logiche. I cinesi vogliono assolutamente i vini che costano tanto. Dunque Toscana e Piemonte. I russi guardano alle firme, trattano le bottiglie come la moda. E fanno follie per Masseto di Ornellaia, per il Sassicaia, per il Solaia di Antinori, per il San Leonardo di Guerrieri Gonzaga, per il Sagrantino 25 anni di Caprai o per le bottiglie di Franciacorta come Bellavista o Ca’ del Bosco. I brasiliani invece vogliono vini di territorio, freschi e allegri. Si divertono con il Lambrusco, impazziscono per il Verdicchio, adorano le bollicine dell’Oltrepò. Anche se i dazi gliele le mandano di traverso. Ma in un’Italia che stenta, dal Vinitaly, emerge per la nostra economia una tendenza ben più importante: fin che c’è vino c’è speranza. di DANIELA MASTROMATTEI Stile & stiletto Il fascino immortale della giacca nera Chanel negli scatti di Lagerfeld All’inizio era una tipica giacca tirolese con quattro tasche, indossata dallo staff dell’hotel Baron Pantz in Austria. Ora è la mitica Chanel nera di lana bouclèe che l’attento obiettivo di Karl Lagerfeld (nella foto) ha reso immortale con una mostra dal titolo “The Little Black Jacket”: ha già toccato Tokyo, New York, Londra, Parigi e Berlino e ora è a Milano nelle sale della Rotonda della Besana, allestite in perfetto stile rue Cambon. Fotografie con la giacca Chanel indossata dalla più giovane, una bambina di due anni e due cognomi, Scarlett Utzmann Huynh, dalla più anziana, Micheline Chaban-Delmas, vedova dell’ex premier francese. Su ogni tela la piccola giacca nera assume forme e suggestioni diverse: ora è imprigionata da strette corde indosso al cantante Ken Hirai, ora si trasforma in una divisa da suora di clausura con la modella Freja Beha. Diventa una stola settecentesca con Uma Thurman, un copricapo regale con Sarah Jessica Parker e l’abito del cigno nero con Roberto Bolle. In mezzo Jane Birkin, Tilda Swinton, Laetitia Casta, Lauren Hutton, Edgar Ramirez e Georgia May Jagger. Per l’esposizione in Italia sono stati aggiunti nuovi ritratti: Kiera Knightley, Carole Bouquet, Diane Kruger; più una Carla Bruni con chitarra che di Chanel non ha soltanto la giacca ma anche la gonna, perfetto tailleur parigino. E se Carlà mostra di essere la giovane signora chic c’è chi si è sbizzarrito, molto, e sotto la «mitica» ha messo short di jeans, gonnelline a fiori, merletti e reggicalze o ha mostrato il pancione della dolce attesa come Charlotte Gainsbourg. Kirsten Dunst la indossa col reggiseno leopardato, la modella Freja Beha col velo da suora, Sofia Coppola con la maglietta da marinaio, Clotilde Hesme con i guanti da Topolino. E Yoko Ono con il cilindro e gli occhiali neri è protagonista di un video intitolato “La storia della mia lunga vita”. La “petite veste noir” nasce nel 1954, quando Coco Chanel aveva già 71 anni. Il ritorno sulla passerella di una donna non certo giovane, determinata e scontrosa, amata e odiata, era atteso da una doppia fila di fuochi incrociati. Ma Mademoiselle riuscì proporre un modello semplice e bordato di passamaneria, senza revers e con quattro tasche frontali, due in corrispondenza del petto e due sui fianchi. Una livrea anonima, facile da confezione per rendere le donne libere ma femminili, cameriere e insieme principesse. Tagliò con un solo colpo di forbice le distinzioni sociali. La sua controtendenza, all’epoca lo stile era un trionfo di tessuto, balze, ruches come imponeva Christian Dior, la portò al successo. Quella giacca nera da cameriera di Coco, che faceva sparire con un colpo di spugna tutto il superfluo risultò subito simpatica alla stampa e alla Casa Bianca. E subito indossata dalla prima first lady della storia, Jaqueline Kennedy. La giacca Chanel entrò nei salotti che contano. E non ne è più uscita. Se ne va Franco, l’ultimo patriarca La stirpe che ha incoronato il Brunello Montalcino Franco Biondi Santi [Milestone] Se n’è andato a 91 anni Franco Biondi Santi, l’ultimo patriarca del Brunello di Montalcino. Era figlio di Tancredi, l’enologo che con la vendemmia del ’55, l’ultima da lui fatta e che segnò il passaggio di testimone a Franco, aveva prodotto - a parere di Wine Spectator, la Bibbia del vino - la bottiglia del secolo. Franco si specchiava nel suo vino tanto che non si poteva dire se il Brunello somigliasse al suo produttore o se invece non fosse quel vino a segnare il carattere dell’uomo: rigo- roso, elegante, profondo, colto. Aveva un suo sancta sanctorum nelle profondità de Il Greppo, la bellissima tenuta che domina quella val d’Orcia che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità: è la cella della cantina storica. Lì sono custodite le bottiglie annata per annata a partire dal 1880, la prima vendemmia di Brunello. E ogni volta che Franco doveva operare la ricolmatura delle bottiglie da collezione che gli arrivavano dai quattro angoli del mondo pareva un sa- cerdote di Bacco: con gesto solenne stappava, misurava le poche gocce di vino con cui riempire quelle bottiglie-reliquia, e poi ritappava sigillando con ceralacca e uno specialissimo rogito. E come un patriarca ortodosso si è battuto per una vita perché il Brunello restasse eguale a se stesso. Del resto nelle sue vene scorreva il sangue di Giorgio Santi che, collega di Lavoisier, aveva fatto studi di botanica che produssero la prima selezione del Sangiovese grosso di Toscana, l’uva del Bru- nello. I Biondi Santi sono stati i primi produttori di quel vino e sono tra le poche famiglie proprietarie esclusive di cloni di uva. Di questo patrimonio Franco Biondi Santi è stato custode e continuatore facendo il vino con passione e intelletto. Ora tocca al figlio Jacopo, pure lui enologo, produttore di un proprio vino al Castello di Montepò, perpetuare quest’opera. Sicuro che per Franco quella terra che ha servito con tanto rigoroso affetto, sarà lieve. C.CAM. Brunello di Montalcino [LaPr]