nota storica - CAI Cividale

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nota storica - CAI Cividale
SAN GABRIELE
“L’Arcangelo Maledetto”
di
Mariano Moro
Dopo la conquista di Gorizia, avvenuta nell’agosto 19161, il nome del monte San Gabriele come quello del
Monte Santo incominciò a fare giornalmente la sua comparsa nei dispacci e nei bollettini di guerra per i
continui e cruenti combattimenti che ivi si svolgevano, tanto da meritarsi tra i sodati l’appellativo di
“Santo Maledetto”. In quella “fornace” ci fu uno stillicidio continuo per entrambi gli eserciti che
persero su quel fronte, che di poco superava i due chilometri quadrati, più di 40.000 uomini: in quel
periodo essere inviati in quel settore del fronte equivaleva quasi ad una condanna a morte.
Gli Austro-Ungarici, per far fronte ai sempre più consistenti attacchi italiani, fortificarono
adeguatamente il San Gabriele che, unitamente all'anticima del Veliki Hrib, divenne il pilastro
angolare del nuovo fronte.
Numerose furono le azioni degli italiani, ma, per avere un apprezzabile risultato, fu necessario
attendere il 24 agosto 1917 quando, nel corso dell’11a Battaglia dell’Isonzo, i fanti dei reparti della
Brigata Messina riuscirono a conquistare, dopo aspri scontri, l’importante nodo stradale di Sella Dol
(q.332), quota 526 del Veliki Hrib e il Monte Santo.
Nonostante i progressi conseguiti dalle nostre truppe, le quali erano riuscite ad avanzare fino ad
oriente dell’altipiano della Bainsizza, l’offensiva nel suo complesso non aveva però dato i risultati
sperati in quanto, nonostante il valore e la tenacia delle nostre truppe, restavano nelle mani del
nemico due importanti e formidabili baluardi ovvero il San Gabriele e il San Daniele i quali da soli
sbarravano la via di accesso alla Valle del Frigido (Vipacco), attraverso la quale si sarebbe potuto
far cadere tutto il sistema difensivo austriaco.
Gli ordini del Comando Supremo Italiano furono pertanto perentori: il San Gabriele doveva essere
preso ad ogni costo, bisognava passare e distruggere il sistema difensivo austriaco del San Gabriele
per ottenere il cedimento di tutta la linea.
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Le truppe italiane entrarono a Gorizia tra l’8 e il 9 agosto 1916, nel corso della 6a Battaglia dell’Isonzo.
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Ma la solidità delle difese austriache comportava ad ogni nuovo assalto enormi perdite. Anche il
tentativo compiuto da parte di un battaglione di bersaglieri ciclisti si risolse in una nuova strage.
Il Generale Capello, Comandante della 2a Armata, il quale aveva apprezzato i risultati dagli Arditi
durante l’azione svolta sulla Bainsizza, decise di valersi di loro per compiere un ultimo disperato
tentativo per la conquista della fortezza campale del San Gabriele. Alle ore 01,00 del 2 settembre
1917, l’Ufficiale di Ordinanza del Comandante della 2a Armata convocò a Cormons, sede comando,
il comandante degli Arditi Ten.Col. Bassi. Il Generale Capello, nel ricevere il Ten.Col. Bassi
semplicemente gli disse “Gli Arditi debbono prendermi il S. Gabriele. Raggiunga questa notte
stessa il comando del VI Corpo d’Armata al cui comandante è stata preannunciata la sua visita.
Studi un piano d’attacco e lo sottoponga al mio esame entro questa sera”.
Bassi la stessa notte raggiunse Salcano e dopo un’attenta ricognizione ebbe modo di poter
constatare la formidabile sistemazione difensiva nemica. Il San Gabriele, infatti, si poggiava su due
capisaldi avanzati che si sviluppavano su più ordini di trincee protette da reticolati, munite di
numerose mitragliatrici, cannoni da trincea, lanciabombe collegate tra di loro in modo da favorire il
reciproco appoggio.
Le viscere del San Gabriele inoltre erano state trasformate dal nemico in un vero alveare con
numerose, profonde gallerie-dormitorio, capaci di ricoverare una brigata di fanteria, con i vari
comandi, servizi, depositi di munizioni e viveri nonché l’infermeria. In pratica una vera fortezza
sotterranea, illuminata con la luce elettrica2.
Tale sistema difensivo risultava quasi inespugnabile, ma, nella sua imponenza, conteneva gli
elementi della sua vulnerabilità cioè la caduta del baluardo sarebbe stata determinata soltanto
dall’isolamento simultaneo dei capisaldi principali che avrebbe prodotto in ciascuno di essi un
immediato squilibrio nei mezzi d’offesa con conseguente paralisi della manovra delle riserve
bloccate nelle gallerie del caposaldo centrale.
L'ordine di operazione elaborato dal Ten. Col.
Bassi, approvato tra l’altro dal Comandante
d’Armata, seguiva il predetto concetto di azione ovvero: due reparti d’assalto appoggiati da
autoblindo avrebbero dovuto sfondare il fronte avversario per poi spingersi in profondità causando
conseguentemente la caduta per manovra del San Gabriele, del Santa Caterina e del San Daniele.
Le altre unità del settore, una volta raggiunti gli obiettivi dei reparti d'assalto, dovevano assumere
sul terreno conquistato una dislocazione offensiva per penetrare ulteriormente nel sistema difensivo
avversario procurando la caduta dell’intero fronte austriaco in quella zona. L’ora d'attacco fu
stabilita per le ore 4,00 del 4 settembre 1917.
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Queste notizie sommarie erano state fornite in parte da un ufficiale datosi prigioniero la notte del 28 agosto e completate dalle
osservazioni terrestri e dalle ricognizioni aeree.
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L’audace piano operativo elaborato dal Ten. Col. Bassi, nonostante l’iniziale approvazione del
Generale Capello, ebbe vita breve. Una nuova circostanza era venuta a modificare gli ordini
precedenti: i comandanti del II e VI Corpo avevano insistentemente chiesto al Comandante
d’Armata che l’onore della conquista del San Gabriele fosse riservato alle loro truppe. Il Generale
Capello cedette alla decisa volontà dei due generali a condizione però che tre compagnie d’assalto
formate da Arditi precedessero le truppe dei due corpi d’armata.
Il concetto dell’azione e la modalità d’esecuzione rimasero invariate anche nel nuovo piano
d’attacco. Fu perciò previsto che le tre colonne d’attacco fossero formate dalle compagnie del primo
reparto d’assalto le quali, seguite da altrettanti battaglioni di fanteria delle Brigate “Arno” e
“Treviso”, avrebbero attaccato i tre capisaldi della sistemazione difensiva austriaca. I fanti della
brigata “Arno” avrebbero potuto contare anche sull’appoggio di alcune compagnie di fucilieri
zappatori e mitraglieri forniti dalla brigata “Elba”.
L’ora d’attacco venne protratta alle ore 05,45 del 4 settembre 1917.
All’ora prestabilita, mentre sulla cresta del San Gabriele si scatenava l’artiglieria italiana, gli Arditi
scattarono all’attacco protetti dalla traiettoria dei proiettili e dal fuoco delle proprie mitragliatrici e,
in pochi minuti, dopo aver superato la prima linea d’un balzo, raggiunsero la cresta del monte, sulla
quale la nostra artiglieria continuava ancora a sparare. Gli austriaci, che credevano ancora di essere
nella fase preparatoria, si trovarono improvvisamente davanti agli Arditi e nell’impossibilità
assoluta di difendersi. Le sentinelle austriache, che erano rannicchiate nelle loro posizioni per
proteggersi dalle salve d’artiglieria, si accorsero troppo tardi delle ombre lanciate verso di loro e
dopo breve lotta corpo a corpo vennero eliminate.
Gli Arditi a quel punto dividendosi in piccoli gruppi bloccarono tutte le uscite delle caverne e,
mediante il lancio di bombe e l’uso dei lanciafiamme, costrinsero il nemico asserragliato all’interno
delle grotte alla resa.
Alle 06,30 dopo aspra lotta il San Gabriele fu completamente espugnato e la nostra bandiera, issata
su un fucile austriaco per la mancanza di un’asta, finalmente sventolò sul monte.
I battaglioni di fanteria che però avrebbero dovuto immediatamente seguire l’azione degli Arditi e
occupare le posizioni raggiunte per dar modo alle Fiamme Nere di proseguire nell’azione invece si
attardarono nelle nostre linee di partenza. Non abituati al modo di combattere degli Arditi, i
comandanti dei battaglioni, sorpresi dalla rapidità dell’azione, non seguirono con i propri uomini le
Fiamme Nere con la necessaria celerità.
Quando i fanti italiani iniziarono ad avanzare fu troppo tardi. Gli austriaci, infatti, non appena si
accorsero che il monte era perduto, attuarono un violento bombardamento sulle nostre trincee di
partenza e sul San Gabriele il quale impedì alle nostre truppe di rincalzo di muovere in appoggio
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delle Fiamme Nere che restarono quindi isolate. Gli Arditi però non si persero d’animo e raccolsero
armi e munizioni e si preparano a resistere da soli.
Alle 10,00 il nemico sferrò un primo attacco con due battaglioni ma nonostante il loro eroismo
furono respinti con pesanti perdite.
Fallito l’attacco frontale della fanteria, ricominciò il bombardamento dell’artiglieria austriaca con
l’intento di favorire le proprie pattuglie nelle manovre d’infiltrazione e di aggiramento contro gli
italiani asserragliati nelle trincee e tra gli anfratti rocciosi del monte. Ma sebbene gli italiani fossero
disposti su un fronte vastissimo ogni manovra avversaria venne abilmente sventata dalle nostre
mitragliatrici che bloccarono tutti gli affondi avversari.
Alle ore 14, preceduto da un brevissimo tiro d’artiglieria, gli austriaci attaccarono nuovamente in
forze le nostre posizioni ma vennero nuovamente respinti dall’accanita difesa alla quale
parteciparono anche gli Arditi feriti che stoicamente erano rimasti in linea.
Dopo quest’ultimo assalto nemico la situazione difensiva per gli italiani divenne più grave poiché
cominciarono a mancare le munizioni e restavano poche bombe nonostante si fossero svuotate le
giberne anche dei morti.
Dopo mezzora dalla fine del precedente assalto gli austriaci attaccarono ancora riuscendo a
raggiungere quasi la linea tenuta dagli italiani ma, giunti a pochi metri dalla stessa, furono arrestati
dal violento contrattacco degli arditi.
Verso le ore 16.00 si sviluppò l’ennesimo attacco austriaco che costrinse gli Arditi, ridotti ormai a
poche decine di uomini esausti dalla lunga lotta, a ritirarsi combattendo dal San Gabriele che in quel
giorno fu, anche se per poche ore, in mano delle truppe italiane.
Quale bottino di guerra conquistato dai 475 Arditi delle tre compagnie3 che parteciparono all’azione
furono i 3.127 prigionieri, tra i quali un generale ferito e due colonnelli, 55 mitragliatrici, 26
cannoni da trincea e numerose bombarde.
Nei giorni seguenti le truppe italiane rinnovarono i loro attacchi alle posizioni fortificate del San
Gabriele ma nonostante il notevole tributo di sangue pagato dalle nostre truppe il monte
“maledetto” rimase tenacemente in mano del nemico.
Un mese e mezzo più tardi, il 24 ottobre 1917, in concomitanza con lo sfondamento di Caporetto, le
nostre truppe furono costrette a lasciare anche le trincee del Veliki Hrib che tanti sacrifici avevano
chiesto ai nostri valorosi soldati.
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Le Fiamme Nere nella battaglia persero 2 Ufficiali (tenente Stefanoni, e Aspirante Pulzella) e 59 Arditi.
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Nel corso della Seconda Guerra Mondiale ancora una volta uomini di opposti schieramenti si
confrontarono con le armi in pugno per il controllo di questa cima e ai loro occhi riapparvero le
tracce del precedente sanguinoso conflitto combattuto dai loro padri.
Tutto iniziò all’alba del 19 gennaio 1945 quando le unità del IX Korpus partigiano Jugoslavo
iniziarono l’ attacco in forze contro il Battaglione “Fulmine” della Xa MAS che presidiava il centro
abitato di Ternova della Selva.
Dal Comando di Gorizia su camion (dopo un ritardo causato da un guasto dalle comunicazioni) si
mossero in soccorso dell’unità assediata due Compagnie del Btg. “Valanga”, un gruppo del
Battaglione “Sagittario” della Xa MAS e tre carri armati tedeschi. Queste forze subito dopo aver
superato la Sella Dol furono bloccate e costrette a ripiegare per l’intensa azione di fuoco esercitata
dai reparti partigiani appostati sia sul San Gabriele che nei dintorni di Sagorie e Raunizza. Durante
la notte giunsero in appoggio dei reparti respinti a Sella Dol anche il Battaglione “Barbarigo” e il
Gruppo d’Artiglieria “San Giorgio” sempre della Xa MAS.
Il 20 gennaio 1945 il Battaglione “Barbarigo” e le due compagnie del “Valanga” attaccarono il San
Gabriele e dopo violenti combattimenti conquistarono il monte costringendo i reparti partigiani a
ritirarsi sul vicino monte San Daniele, il quale a sua volta fu attaccato ma senza successo del
Battaglione “Sagittario”. Durante la notte successiva i partigiani lanciarono un contrattacco sul San
Gabriele ma furono respinti. La battaglia proseguì anche nell’oscurità della notte poiché le
formazioni slave, dopo aver fallito l’attacco frontale, cercarono di infiltrarsi dietro le linee italiane.
All’alba i partigiani, sebbene fossero giunti fino a poche decine di metri dalla linea principale
italiana, resisi conto di non poter riuscire a conquistare il monte per l’accanita resistenza dei militi
della Xa MAS, decisero di ritirarsi. Ciò permise alla colonna di soccorso di raggiungere nelle prime
ore del 21 gennaio 1945 l’abitato di Tarnova della Selva ormai abbandonato dai superstiti del
Fulmine che già nella notte avevano ripiegato su Gorizia.
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BIBLIOGRAFIA
Per approfondire l’argomento:
-
-
-
SALVATORE FARINA, Le truppe d’assalto italiane, Associazione Nazionale Arditi,
Roma, 1938;
WALTER SCHAUMANN – PETER SCHUBERT, Isonzo là dove morirono –Sul fronte più
cruento della Grande Guerra le dodici battaglie che portarono gli austro-tedeschi a un
passo dalla vittoria, Ghedina & Tassotti, Bassano del Grappa, giugno 1990;
ANTONIO E FULVIO SCRIMALI, Prealpi Giulie. Escursioni e Testimonianze sui monti
della Grande Guerra, Casa Editrice Panorama, Trento, aprile 1997;
STEFANO DI GIUSTO, Operationszone Adriatisches Kustenland. – Udine, Gorizia,
Trieste, Pola Fiume e Lubiana durante l’occupazione Tedesca 1943-1945, IFSML, Pasian
di Prato (UD), febbraio 2005;
MARINO PERISSINOTTO, DURI A MORIRE – Storia del battaglione Barbarigo 19431945, Ermanno Albertelli Editore, Parma, dicembre 2001.
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