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Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Filosofia
Teorie
dell’intelligenza
Candidato: Antonio Codazzi
Relatore: Prof. Giuseppe Spinelli
Correlatore: Prof. Carlo Penco
– Introduzione –
INTRODUZIONE
“Homo sum, nihil humani a me alienum puto.1”
(Heautontimoroumenos I, 1, 25)
Oltre a superare il blocco della pagina bianca, ostacolo ben conosciuto da chi
scrive, questa citazione di Terenzio mi permette di rendere sintetica la
posizione che assumerò nell’affrontare questa tesi.
Posizione che sarà tradita dalla palese simpatia per autori dalla
preparazione multiforme come Piaget o come David Deutsch, un fisico
quantistico che, partendo dalla propria area del sapere e spaziando molto
bene in altre materie, sa trarre conclusioni filosofiche interessanti e dalle
ampie incursioni nella biologia, nella genetica e in molti altri ambiti della
conoscenza umana.
Cos’è l’intelligenza?
Prendendo spunto dalla diatriba tra coloro che riconoscono in essa una
matrice innata e coloro che ritengono che sia un’acquisizione dovuta
all’interazione con l’ambiente (da cui nascono altri filoni intermedi),
concentro l’attenzione sulle strutture organiche (fondamentali) a cui può
essere ricondotta tale facoltà.
L’ereditarietà dei caratteri mentali è uno degli argomenti più seducenti
nella ricerca genetica, anche se non è possibile uno studio rigoroso su tali
determinanze (fino a quando non saremo in grado di manipolare i singoli
nucleotidi a nostro piacimento).
Gli studi sulle adozioni, per quanto fallimentari nel determinare come il
corredo genetico ereditato dai genitori influisse sui nuovi nati, poiché non è
mai possibile estromettere le influenze ambientali, mostrarono un dato
sorprendente e piuttosto rilevante: l’adozione fa aumentare in modo
significativo il QI dei figli.
Da ciò emerge che l’intelligenza, almeno così come la misuriamo (cioè senza
averla definita realmente), è fenotipica. Il fenotipo – come lo definisce
Lewontin – consiste in tutti gli aspetti, compresi morfologia, fisiologia e
comportamento, in un particolare momento dell’esistenza, non è ereditabile
e si sviluppa nel corso dell’esistenza in parte (ma solo in parte) come
conseguenza del genotipo.
Due gemelli geneticamente identici (monozigoti) non sarebbero
fenotipicamente (metabolicamente) tali se fossero cresciuti uno in quota
compiendo lavori pesanti, l’altro al livello del mare senza aver compiuto
attività fisiche rilevanti
1
Sono un uomo, non ritengo estraneo a me ciò che è umano.
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Pag. I
– Introduzione –
Tra l’altro l’autore ci mette in guardia su tre errori tipici:
1. I geni determinano il fenotipo (vedi sopra).
2. I geni determinano le capacità (si limitano ad avvantaggiare lo
sviluppo rispetto ad un tipo d’ambiente).
3. I geni determinano le tendenze.
Riguardo alla fenotipicità, l’effetto Baldwin (Richards, 1987; Schull, 1990)
fornisce un interessante spunto su riflessione d’ordine evolutivo.
L’Effetto Baldwin consiste nella pressione selettiva causata da un “Buon
Trucco”, che avvantaggia sensibilmente chi lo scopre o chi può apprenderlo
perché si trova in prossimità dello spazio progettuale.
Un’importante conseguenza dell’Effetto Baldwin è che le specie dotate di
plasticità tenderanno ad evolvere più velocemente.
L’esplorazione fenotipica che porta alla scoperta e all’acquisizione del buon
trucco non è ereditabile (appunto: è fenotipica), ma la spinta selettiva che
comporta produrrà, chiamiamoli così, specie plastiche (plasticità come
caratteristica ereditaria), potenzialmente capaci non solo di scoprire,
riconoscere ed “aggrapparsi” al buon trucco, ma anche di poterlo apprendere
e di poterne apprendere ulteriori, magari cercandoli in altre aree
progettuali.
L’evoluzione, quindi, può aver favorito le strutture in grado di essere, oltre
che adatte, particolarmente plastiche2.
Scoprire, aggrapparsi, riconoscere ed imparare nuovi “trucchi” sono (sembra
incredibile!) buona parte delle caratteristiche con cui noi denotiamo
l’intelligenza.
In Piaget, per quanto si possano trovare accenni alla dimensione chimica,
biologica o fisica, prevale il dinamismo psicologico. Vorrei, comunque, far
notare come molti dei suoi concetti siano ben più che mutuati dalla biologia
(Piaget “nasce” biologo), direi che sono modelli funzionali tanto psicologici
quanto organici.
La ricerca dell’equilibrio tra assimilazione ed accomodamento è il processo
dinamico del metabolismo!
L’intelligenza, allora, è una funzione metabolica?
L’organismo in realtà è composto di due parti originariamente distinte, il
genoma ed il metabolismo.
Biologia, biochimica, fisica, geologia, meteorologia, cosmologia e
paleoclimatologia hanno permesso di raccogliere sufficienti dati per
affermare con un buon margine di certezza tale bipartizione. Si è giunti ben
oltre: il portatore d’informazione (in questo caso l’RNA, non il più noto DNA,
che invece è una forma più evoluta) probabilmente interagì con i metaboliti
come un parassita.
Innestando l’argomentazione su una teoria da me elaborata [definita BAO
(vedi appendice) ], che per ora risulta ancora incompleta, e riconoscendo solo
al metabolismo la natura di processo (il portatore di informazione “nudo”
2
I batteri sono in effetti molto più adatti dell’uomo a sopravvivere e riprodursi, ma sono decisamente
meno plastici.
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– Introduzione –
[del metabolismo] è quasi immortale ma completamente inerte) si ipotizza la
natura di processo anche per l’intelligenza (ipotesi che avrà ulteriori
implicazioni). Il portatore d’informazione per sopperire alle carenze
informazionali della struttura organica ha permesso al metabolismo una
maggiore autonomia (si può parlare di “metabolismo emancipato”). Il
metabolismo mentale ha creato, imitando la peculiarità del proprio
parassita-simbionte, un mezzo per la propria replicazione (i memi di
Dawkins o, grossomodo, i classici simboli). Questi memi sono assimilati
dalla struttura auto-organizzante tipica del metabolismo, cioè diventano
parte integrante ed integrata del metabolismo performato. Come abbiamo
detto in precedenza, definiamo intelligente un comportamento solutore, ma
nel nostro universo anche capace di “progettare il futuro”, sebbene con
riconosciute limitazioni. L’intelligenza dovrebbe avere una sua valenza nelle
nostre risorse che ci permettono di vivere in un ambiente (o il mondo fisico).
Abitualmente riconosciamo all’intelligenza la virtù della preveggenza (a
torto?) ed anche in ambito psicologico si afferma, in senso lato, qualcosa di
simile.
Importanti sono gli studi sulle abilità nel calcolo probabilistico in persone
non addestrate. I risultati non sono incoraggianti, infatti la percentuale di
errore spesso è notevole e sistematica.
Ma il tipo di “probabilità” usata nella vita di tutti i giorni non è quella
formale della logica o della statistica (gli uomini in natura non avevano aule
universitarie!). In effetti è la plausibilità, e non i “calcoli” istituzionalizzati,
ad essere utilizzata dall’uomo per costruire modelli atti ad orientare l’azione
e comprendere il mondo che lo circonda, poiché, al contrario dei risultati
formali, essa fornisce spiegazione degli errori sistematici osservati nei test.
Bachelard sostenne che l’immaginario costituisce sia una forma di
conoscenza più profonda che quella tecnico-scientifica, sia il fondamento
intuitivo delle concezioni che, mediate e razionalizzate, entreranno a far
parte del patrimonio scientifico.
Quello che è scientifico o “formale” è stato scorporato dal tutto per essere
capito e sviluppato al meglio, cioè diventa una parte performata e
performante del tutto.
In realtà l’uomo possiede capacità connaturate (fornite da quelle strutture
innate nelle strutture fondamentali, definite Driver…neurali-genetici) di
misurazione della realtà in forma di calcolo.
Ad esempio, il padre di Galileo fu il primo a capire che il semitono
(rappresentato dalla proporzione 9:8) può essere diviso in parti uguali con
un orecchio molto addestrato e che in realtà corde uguali suonano una
quinta giusta a tensioni che stanno tra loro in un rapporto di 4:9, non di 3:2
come effettivamente avviene nel caso di corde sottoposte alla stessa
tensione. Vincenzio Galilei giunse a questi risultati tramite “l’orecchio”, non
applicando sterili canoni, anche non lavorando sugli irrazionali, che sono
pur sempre le entità “formali” che reggono questa nuova acquisizione
teorica. Intendo indicare come a prescindere dal tipo di matematica
utilizzata o conosciuta la musica è percepita come relazioni matematiche.
Tra le aree formali e quelle “naturali” le contraddizioni nascono in funzione
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– Introduzione –
dello “stile” calcolatorio utilizzato, ma mentre il primo non può comprendere
il secondo, quest’ultimo è in grado di generare molte aree formali (in pratica
è più plastico e più dispersivo).
Ciò che accomuna molte nostre capacità è la facoltà di “rapportare”.
Rapportiamo tra gli elementi che compongono una figura, un brano
musicale, un giudizio. Siamo quasi arrivati all’astrazione, non trovate?
David Deutsch [1997] in proposito ha un’ipotesi interessante, in parte
derivata dalla simulabilità pressoché perfetta d’ogni possibile mondo fisico
da parte di un calcolatore, ovviamente non ancora costruito ma possibile in
linea di principio. “Le computazioni, comprese quelle che si qualificano come
dimostrazioni, sono processi fisici. La teoria della dimostrazione riguarda il
modo in cui si può garantire che tali processi imitino le entità astratte in
maniera corretta…”.
Una “situazione” può essere ricreata “in scala” (in un’altra situazione)
attraverso processi non dissimili dalla situazione originaria, riproduzione
che entra, essa stessa, in una situazione più ampia o a completamento della
situazione originale.
Newton ha potuto matematizzare il mondo fisico proprio perché l’uomo stesso
traduce in calcolo il mondo reale, sondato attraverso gli strumenti di cui è
fornito dalla nascita.
La fisica di Newton, pur non essendo più corretta (scalzata da quella di
Einstein), è non solo una buon’approssimazione dei comportamenti del
mondo fisico, ma è anche basata sui “calcoli” che sorreggono la nostra
percezione, come rileva “l’effetto tunnel”.
Anche con la tecnica più raffinata incorriamo sempre nei sensi come
strumenti d’esplorazione del mondo. Anche nella P.E.T. i processi “invisibili”
all’occhio diventano forme e colori! Idem per il semplice metro, che esterna il
nostro rapportare interiore!
Questi modelli oltre ad essere una rappresentazione interna (chimicospaziale) sono anche la griglia che proiettiamo sul mondo per scomporlo ed
estrarre le informazioni utili. L’intelligenza non è frutto della struttura
auto-organizzativa che fornisce la base costitutiva della nostra capacità di
elaborare, ma è un processo teso a fornire ad esso una serie di correttivi (sia
nella rappresentazione interna sia nella “griglia” di scansione). E’ la
capacità del metabolismo emancipato di modificare se stesso (come un
atleta). Ovviamente la struttura organizzata fornisce la “forma”
dell’intelligenza, così come essa fornisce la forma di “vita”. L’intelligenza,
così come la struttura auto-organizzante (passiva e tendente all’omeostasi),
essendo di origine metabolica, possono essere performate. L’intelligenza si
esprime in termini mentali al massimo grado con la plasticità del “forse”,
cioè nella struttura auto-organizzata (che tendere a lungo andare alla
rigidità) con legami concettuali non rigidamente esclusivi (possibilismo).
Inizialmente la struttura plastica della mente aiuta l’intelligenza ad
esprimersi (Dewey sostenne che esistono età in cui non possiamo fare a
meno di essere intelligenti), poi l’intelligenza (performata) aiuta la struttura
a rimanere plastica. Essendo un processo e dipendendo da una matrice
performata di origine metabolica su cui solamente agisce, la misurazione
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– Introduzione –
dell’intelligenza deve adeguarsi all’oggetto, sia eliminando le distorsioni al
giudizio provocate dalla struttura auto-organizzata (performata) sia
adeguando la scala di valutazione, passando da un valore scalare ad uno
vettoriale o ad una descrizione, sulla falsa riga delle descrizioni delle onde
elettromagnetiche, sottoforma di funzione.
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L’intelligenza
biologica
–L’intelligenza biologica–
Quando raccolsi le idee ed i testi sui quali si sarebbe successivamente
sviluppata questa tesi, mi ritrovai tra le mani un libro [Linguaggio e
Apprendimento, a cura di M. Piattelli Palmarini, 1991 (1979)], precisamente
il resoconto del dibattito svolto nel 1975 presso l’Abbazia di Royaumont tra i
sostenitori dell’epistemologia genetica di Piaget e della linguistica
generativa di Chomsky.
Nonostante gli argomenti fossero il linguaggio e l’apprendimento, i concetti
utilizzati si fondavano (e scontravano) su una retrostante facoltà cognitiva,
che in alcuni casi è definita esplicitamente come intelligenza.
Uno dei piani di maggior scontro fu il problema dell’innatismo. Entrambi gli
esponenti condividevano l’assunto dell’esistenza di uno stato iniziale S0, ma
non concordavano sull’estensione e sulla carica deterministica dello stesso.
Capii che dovevo iniziare dalla “base”, da ciò che ci costituisce e
dall’intelligenza biologica.
L’innatismo.
Come afferma Annette Karmiloff-Smith [1992], gli innatisti sostengono che
lo sviluppo percorre un cammino invariato, per il semplice fatto che tutti i
bambini normali iniziano la loro vita dotati delle stesse strutture innate,
mentre il ruolo dell’ambiente si riduce a quello dell’innesco.
Una simile affermazione non lascerebbe molto soddisfatti tutti gli innatisti,
ma grossomodo ne riassume l’effettiva posizione.
In effetti, si parte da posizioni un po’ troppo confuse nel parlare di ciò che è
innato: la biologia insegna molto sull’argomento.
Il primo passo è determinare su cosa e quanto influisca, nell’organismo, il
portatore d’informazione1, a cui è affidata la formazione e l’ereditabilità
delle strutture.
Se affermassi che Roberto ha una tendenza genetica ad essere grasso, molti
si stupirebbero nel vedere una persona fisicamente proporzionata.
In realtà Roberto potrebbe aver seguito una dieta, o comunque un regime
alimentare controllato, data la sua tendenza al sovrappeso, oppure, per
trovar rimedio ad una obesità perniciosa, essersi sottoposto alla riduzione
dello stomaco, come potrebbe essere reduce da una grave malattia.
E’ chiaro che di fronte a tali forze esterne la determinazione genetica può
poco.In effetti, i geni determinano le tendenze solamente a parità di
1
Il portatore di informazione è tutto ciò che può contenere, trasportare ed essere informazione. Nel caso
dell’organismo “moderno” il portatore d’informazione per eccellenza è il DNA. Dawkins ha estremizzato
questa posizione, affermando che l’informazione è una forma di vita, sia esso DNA sia esso “concetto”
(memi). In linea di principio tutto può essere un P. di I., anche lo spin [G. Spinelli] di un elettrone.
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–L’intelligenza biologica–
condizioni, cioè se gli ambienti influiscono sugli organismi di differenti
genotipi allo stesso modo.
Si potrebbe obbiettare che il gene dell’obesità abbia agito su Roberto
comunque, in quanto sia la dieta drastica sia la malattia avrebbero avuto
effetti più marcati su chi non avesse il medesimo genotipo (forse letali).
In altre parole, il fenotipo del normopeso è pesantemente condizionato dal
portatore d’informazione, perché ha reso Roberto in grado di vivere con
poche calorie (norma di reazione).
Insomma, è proprio vero che l’abito non fa il monaco!
Esiste qualcosa che subisca la minima influenza dal genoma e che sia, al
pari di quest’ultimo, sostanziale e determinante per la vita dell’organismo?
Si provi a rispondere alla seguente domanda:
il punto in cui ogni capello nasce è geneticamente determinato?
Il nostro corredo genetico non sarebbe abbastanza amplio per contenere
tutte le informazioni, considerando che parte di esso è ridondante.
Siamo entrati nel mondo del congenito e ci siamo appena scontrati con il
“rumore” dello sviluppo, che, dopo genotipo e ambiente, è la terza causa che
contribuisce alla variazione tra gli individui della stessa specie.
Quest’ultima è la più interessante ai fini del nostro argomento, poiché ”le
interconnessioni che si stabiliscono nel cervello tra i miliardi di neuroni nel
corso dello sviluppo non possono probabilmente essere specificati nei
dettagli dal genotipo anche in un ambiente prefissato; il rumore dello
sviluppo deve svolgere una funzione, forse considerevole nella formazione
del cervello” [Lewontin, 1982].
Il rumore della crescita è un fenomeno che si può facilmente osservare nei
moscerini della frutta del genere Drosophila coltivati in vitro: il numero di
setole sternopleurali è dieci da una parte ma sei dall’altra, pur essendo i due
lati geneticamente identici; inoltre il moscerino ha sviluppato le setole allo
stadio di pupa, cioè quando aderiva perfettamente con il ventre al recipiente
di vetro (quindi stesso ambiente).
Il moscerino è asimmetrico per eventi casuali; citando un genetista
competente come Richard Lewontin [1982], “la formazione di una setola
dipende dalla presenza di una cellula specifica in un determinato momento
nello strato epidermico, dal ritmo e dal numero delle divisioni cellulari delle
cellule primordiali produttrici di setole e dalla migrazione delle cellule figlie
nel giusto strato dell’epidermide; piccole variazioni nella concentrazione e
nella localizzazione delle molecole all’interno delle cellule creeranno
variazioni casuali nel numero delle cellule produttrici di setole che si
trovano al posto giusto nel momento giusto”.
E’ chiaro che la formazione di strutture anatomiche così semplici consiste,
all’opposto, in operazioni complesse, troppo complesse per una rigida
codificazione da parte del genoma, che dovrebbe sprecare lunghissime
stringhe d’informazioni per stabilire particolari non sempre vitali. Ecco
spiegata la precedente affermazione riguardante le connessioni neurali. In
effetti, l’espediente dettato dall’evoluzione sembrerebbe consistere in una
sovrapproduzione di neuroni, dapprima guidati nei loci appropriati da
attrattori chimici, poi l’eccesso di neuroni e di connessioni verrebbe
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–L’intelligenza biologica–
eliminato, principalmente negli ultimi mesi di vita intrauteina e nelle prime
settimane di vita, ma prosegue fino all’adolescenza, a vantaggio di una
progressiva riorganizzazione [Kostovic, 1990] delle strutture celebrali, cioè
quando l’ambiente comincia a lasciare la propria impronta.
Di converso si sta valutando la possibilità che l’ambiente stimoli la
produzione di neuroni, anche in età adulta.
Non è tutto!
L’ambiente può modificare un organismo prima della sua nascita, quindi
tutti non nascono dotati delle stesse strutture, anche se avessero il
medesimo genoma, come nei cloni (escludo i gemelli omozigoti poiché
condividono grossomodo lo stesso ambiente). Per esempio, nel moscerino
della frutta la dimensione degli occhi, dipendente dal numero degli
ommatidi, varia in funzione della temperatura alla quale si svolge lo
sviluppo. Due varietà mutanti hanno un comportamento opposto nella
formazione degli ommatidi, il mutante infrabar con l’aumentare della
temperatura aumenta il numero degli ommatidi, il mutante ultrabar invece
riduce il numero degli stessi, ma ad una certa temperatura il fenotipo dei
due tipi di moscerini è identico.
La conoscenza dell’interazioni biologiche non è utile esclusivamente per
formulare modelli plausibili, ma anche per evitare false piste.
Lewontin [1982] nota, nel suo libro “La Diversità Umana”, come
abitualmente si tenda a categorizzare in modo errato e come ciò si
ripercuote sulla stessa divulgazione della biologia (e soprattutto della
genetica). Quando parliamo di donne esprimiamo concetti del tipo “le donne
sono meno forti degli uomini” o “sono meno alte” (e altri tipi d’asserti che è
meglio evitare, per quanto siano a tutti gli effetti compresi nella conclusione
che seguirà). A questo punto invito il lettore a rispondere alla domanda
posta sotto le seguenti fotografie:
Weifang Tang,Cina, 83Kg,
miglior prestazione mondiale 1997.
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Lea Foreman , U.S.A. Team, 69Kg.
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–L’intelligenza biologica–
Khadja Hunter, U.S.A. Team, 69Kg
Tara Nott, U.S.A. Team, 48Kg
Quanti, tra i lettori di questa tesi, sono più forti di queste donne?
Dubito che molti possano aver risposto affermativamente; dunque le donne
sono più forti degli uomini?
Dovremmo dire correttamente che la maggior parte delle donne è meno forte
degli uomini, così come nel campo della fisiologia è più sensato dire che la
massa muscolare nel corpo femminile è nella maggior parte dei casi intorno
al 20% del peso corporeo (negli uomini 40%).
Insomma se dovessero proprio esserci delle determinazioni genetiche a
riguardo, occorrerebbe tener conto della norma di reazione, e badare di non
esprimere giudizi “assoluti”. Lewontin è propenso ad affermare che simili
disparità siano frutto di determinanti sociali, che costringono la donna a
lavori meno pesanti o a giochi più calmi; personalmente trovo che i minatori
siano (in media) comunque più forti delle minatrici.
Ma Lewontin [1982] non si ferma qui, nella sua crociata contro le
discriminazioni e le cattive lezioni. L’intelligenza è uno dei suoi argomenti
preferiti.
L’ereditarietà dei caratteri mentali è uno degli argomenti più seducenti
nella ricerca genetica, per quanto non sia (ancora) possibile uno studio
rigoroso su tali determinanze.
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–L’intelligenza biologica–
Gli studi sulle adozioni, per quanto fallimentari, mostrarono un dato
sorprendente (e sorprendentemente poco commentato da coloro che sono
interessati a mostrare gli effetti genetici): l’adozione fa aumentare in modo
significativo il QI dei figli.
Un appunto su ciò che sono i test per determinare il QI: i test d’intelligenza
originali (nell’ambiente anglo-americano) furono messi a punto su giudizi “a
priori” di insegnanti e psicologi su chi era o non era intelligente, nonché
risentivano di stereotipi sociali [comparivano domande come “chi è più
carina” su figure che ritraevano una bimba con caratteri negroidi e una con
caratteri tipicamente europei e l’aspetto d’una bambola (provate ad
immaginare qual era la risposta giusta) ].
Insomma l’intelligenza, così come la misuriamo, è fenotipica. Il fenotipo come lo definisce il Lewontin - consiste in tutti gli aspetti, compresi
morfologia, fisiologia e comportamento, in un particolare momento
dell’esistenza, non è ereditabile e si sviluppa nel corso dell’esistenza in parte
(ma solo in parte) come conseguenza del genotipo.
Due gemelli geneticamente identici (monozigoti) non sarebbero
fenotipicamente (metabolicamente) tali se fossero cresciuti uno in quota
compiendo lavori pesanti, l’altro al livello del mare senza aver compiuto
attività fisiche rilevanti
L’autore ci mette in guardia a proposito su tre errori tipici:
1. I geni determinano il fenotipo (vedi sopra).
2. I geni determinano le capacità (si limitano ad avvantaggiare lo
sviluppo rispetto ad un tipo d’ambiente).
3. I geni determinano le tendenze (vedi quanto detto sulla supposta
pinguetudine di Roberto).
L’ereditarietà fenotipica.
In “Linguaggio e Apprendimento” [1979] Piaget, più che di fenotipo, parla di
fenocopia, in virtù di trasferimenti di strutture tra organismo e ambiente.
Per Piaget [1975] esiste la possibilità che un fenotipo possa trasformarsi in
un genotipo con un meccanismo d’imitazione (all’inizio) -sostituzione (effetto
a lungo termine).
Ovviamente una simile affermazione non fu accettata dai biologi presenti al
dibattito. Fu accusata d’essere lamarckiana, in realtà era un tentativo di
mediazione tra la teoria di Darwin e di Lamarck.
Purtroppo la critica fu marcatamente darwiniana, non darwinista.
Con darwiniano intendo quel taglio interpretativo della teoria in cui:
l’evoluzione è un processo che tende progressivamente e senza inversioni di
rotta alla miglior soluzione possibile; l’uomo occupa il posto più alto della
gerarchia evolutiva; il supporto dato dalla moderna genetica è fonte e
giustificazione della stessa.
Con darwinista intendo l’interpretazione della teoria così com’è, compreso il
debole lamarckismo, il caso (anticipando in certi casi la teoria
dell’esattamento di Stephen Jay Gould [1991]), la filiazione, la competizione
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–L’intelligenza biologica–
e il compromesso della miglior soluzione attuabile2, in cui non esiste una
vera e propria gerarchia e l’uomo non è l’animale più evoluto (rispetto alla
filogenesi sono le oche!).
Darwin stesso generò tale fraintendimento, soprattutto nei confronti della
superiorità “elettiva” dell’uomo (confrontate la conclusione di “L’origine delle
specie” con il resto del testo), al fine di rendere meno indigesta la propria
teoria; il clima culturale di quei tempi fece il resto.
Riguardo al debole lamarckismo, Darwin ammette che alcune modificazioni
morfologico-funzionali possano derivare dall’uso-non uso, per cui le orecchie
pendule degli ovini inglesi (fenotipiche) sono il risultato della tranquillità
dovuta alla mancanza di predatori, condizione tipica dell’allevamento.
Sono modificazioni non ereditabili, ma rese comuni alle varie generazioni
dall’invariabilità delle sopradescritte condizioni ambientali. Ovviamente
l’autore non nega che a lungo andare la futilità di un apparato, soprattutto
se crea svantaggio, favorisca la soppressione o la riduzione ai minimi
termini dello stesso (come le zampe dell’orbetta, che sono geneticamente
determinate).
Per ciò che riguarda l’intelligenza, lo svantaggio potrebbe consistere nella
difficoltà ad imparare un buon trucco.
L’Effetto Baldwin [Richards, 1987; Schull, 1990; Dennet, 1991] consiste
nella pressione selettiva causata da un “Buon Trucco”, che avvantaggia
sensibilmente chi lo scopre o chi può apprenderlo perché si trova in
prossimità dello spazio progettuale.
Un’importante conseguenza dell’Effetto Baldwin è che le specie dotate di
plasticità tenderanno ad evolvere più velocemente.
L’esplorazione fenotipica che porta alla scoperta e all’acquisizione del buon
trucco non è ereditabile (appunto: è fenotipica), ma la spinta selettiva che
comporta produrrà, chiamiamoli così, specie plastiche (plasticità come
caratteristica ereditaria), potenzialmente capaci non solo di scoprire,
riconoscere ed “aggrapparsi” al buon trucco, ma anche di poterlo apprendere
e di poterne apprendere ulteriori, magari cercandoli in altre aree
progettuali.
Ad esempio, se il linguaggio è una capacità avvantaggiante, la capacità ad
apprenderlo bene (o meglio degli altri) porterà, in ambiente favorevole al suo
sviluppo, a maggiori possibilità di sopravvivenza-riproduzione (sia la gente
comune sia un testo antico come il Kamasutra di Vatsyayana riconoscono a
chi sa conversare bene ed è abile nel narrare storie maggiori possibilità di
successo con le donne).
E’ una visione abbastanza prossima sia al debole lamarckismo citato prima
sia alla teoria di Piaget.
2
La β-talassemia, ad esempio, non consiste certamente in un miglioramento: i soggetti malati hanno
deficit organici o, nei casi più gravi, rischiano la morte, ma i portatori sani, cioè le persone in cui la
malattia si manifesta con intensità piuttosto modesta, traggono vantaggio da un sangue “debole”, poiché il
plasmodio della malaria non trova l’ambiente ideale per vivere e riprodursi, pur mostrando comunque
svantaggi nelle prestazioni fisiche rispetto alle persone sane.
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–L’intelligenza biologica–
Scoprire, aggrapparsi, riconoscere ed imparare nuovi “trucchi” sono (sembra
incredibile!) buona parte delle caratteristiche con cui noi denotiamo
l’intelligenza.
Questa plasticità è, però, in contrasto con la rigida codificazione del genoma,
infatti, è stata definita fenotipica. Allora a cosa è dovuto il potere plastico?
Tra genoma ed ambiente si frappone come filtro dinamico il metabolismo.
Sino a questo punto ho espresso un punto di vista legato maggiormente alle
opinioni dei genetisti, che, per quanto possano essere contro corrente
rispetto al paradigma dominante (o dovrei dire “di moda”), sistematicamente
ignorano il potenziale autonomo del metabolismo.
In Piaget, per quanto si possano trovare accenni alla dimensione chimica,
biologica o fisica, prevale il dinamismo psicologico. Vorrei, comunque, far
notare come molti dei suoi concetti siano ben più che mutuati dalla biologia
(Piaget “nasce” biologo), direi che sono modelli funzionali tanto psicologici
quanto organici.
La ricerca dell’equilibrio tra assimilazione ed accomodamento è il processo
dinamico del metabolismo!
L’intelligenza allora è UNA FUNZIONE METABOLICA?
Potrebbe essere un’ipotesi valida, ma per controllarla occorrerà un lungo
viaggio nel tempo, sino all’origine della vita come la conosciamo noi.
Le origini dell’organismo.
L’organismo in realtà è composto di due parti distinte, il genoma ed il
metabolismo.
Biologia, biochimica, fisica, geologia, meteorologia, cosmologia e
paleoclimatologia hanno permesso di raccogliere sufficienti dati per
affermare con un buon margine di certezza tale bipartizione. Si è giunti ben
oltre: il portatore d’informazione (in questo caso l’RNA, non il più gettonato
[sic!] DNA, che invece è una forma già più evoluta) interagì con i metaboliti
come un parassita.
“La separazione fra organismo e genoma si può seguire fino alle più lontane
radici, e che sia insorta nel senso esposto da Lynn Margulis oppure che la
vita debba il suo manifestarsi – come sostengono Freeman Dyson e altri –
alla combinazione di «metaboliti» e «portatori d’informazioni»
originariamente distinti, è ormai questione di rilevanza secondaria per
l’interpretazione del processo dell’evoluzione. Importante è appunto che la
bipartizione di metabolismo e genoma si possa effettivamente far risalire
alle più lontane scaturigini della vita, perché questo ne fa un principio di
rilevanza assoluta”[ Reichholf, 1992].
Una delle teorie più discusse è la serie di argomentazioni denominata “ le
sette chiavi” di Graham Cairns-Smith [1985].
La prima chiave proviene dalla biologia: l’informazione genetica è l’unico
elemento capace d’evoluzione (biologica) perché è trasmesso di generazione
in generazione. Benché contenuta nel DNA, l’informazione genetica non è
una sostanza, ma un’istruzione per formare delle strutture. La seconda
chiave viene dalla biochimica: il portatore dell’informazione genetica, il
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–L’intelligenza biologica–
DNA, non fa parte delle componenti essenziali dell’evento metabolico nelle
cellule. Cairns-Smith ha derivato la terza chiave dai primordi
dell’architettura. Un arco di pietre massicce non si costituisce da sé, né lo si
può erigere accostando pietra a pietra. Fino a quando manca l’elemento
centrale – la chiave di volta – continua a crollare. Per costruirlo si colma
inizialmente lo spazio – che risulterà in seguito vuoto – sotto l’arco, così che
le pietre possano poggiare su un sostrato fino al momento in cui è inserita
l’ultima e l’arco può reggersi da sé. È possibile che strutture complesse
siano insorte così anche in ambito biochimico. Gli enzimi, in linea di
principio, operano in questo modo: si prestano da supporti senza modificare
se stessi, o semmai solo per breve tempo, per tornare poi di nuovo nello
stato di partenza.
La quarta chiave assume come modello le funi. L’informazione genetica è
ordinata nel DNA non solo a mo’ di scala di corda, ma è anche avvolta su se
stessa simile a una spirale (doppia elica). Come in una fune non occorre che
le singole fibre percorrano tutta la corda per garantirne la saldezza, così nel
DNA la funzionalità permane anche quando si aggiungono nuovi pezzi o fili,
oppure quando mancano o spariscono delle parti. Nessun filamento di DNA
deve essere rimasto integro dall’inizio fino a oggi. La torsione provvede
affinché insorgano continuamente nuovi raccordi e conduzioni.
La quinta chiave corrisponde al cambio di funzione. Citando l’autore: “Come
nella storia della tecnica ogni nuova macchina è basata su una più semplice,
spesso nemmeno più riconoscibile o quasi nella nuova in cui è stata
ottimizzata, è possibile che anche nelle forme di vita gli elementi iniziali
scompaiano abbastanza presto, quasi senza lasciare traccia, mentre
s’impone il loro principio funzionale che si manifesta ulteriormente nonché
variamente sviluppato. Forse non abbiamo quindi più modo alcuno per
risalire agli antesignani primitivi degli organismi”. Questo concorda con
quanto afferma il Reichholf [1992]: “Le grandi e nuove svolte si verificano
evidentemente, di norma, con rapidità [perciò i missing link sono
irrimediabilmente persi]. Quel che richiede tempo (e appare documentato
dai reperti fossili) sono i perfezionamenti del lungo periodo” (ma si veda
l’opinione di Charles Darwin sulla imperfezione delle memorie geologiche
[“L’origine delle specie”; Cap. IX]).
La sesta chiave s’ispira alla formazione dei cristalli. I cristalli si
costruiscono da sé. A volte insorgono degli errori a causa dell’inserimento di
un atomo sbagliato nella struttura cristallina.
I computer si avvalgono di cristalli “drogati” per manipolare il flusso degli
elettroni; nel berillio, per esempio, tracce di cromo colorano di verde il
silicato, oppure minime quantità di ferro conferiscono alla stessa pietra
preziosa un colore azzurro. I silicati sono sotto questo profilo addirittura
ideali, perché la struttura dell’ossido di silicato d’alluminio contiene molti
posti liberi che possono essere occupati altrimenti, a patto che l’atomo si
adatti alla carica senza che la struttura di base ne sia danneggiata o
addirittura distrutta. Da qui deriva l’attitudine all’auto-organizzazione.
Da ciò deriva la settima e ultima chiave: i minerali argillosi. Sono presenti
ovunque sulla terra. I loro microcristalli crescono e si dissolvono ai minimi
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cambiamenti delle condizioni esterne. Le catene e i filamenti di silicati di
alluminio nell’argilla, che possono combinarsi anche in strutture piane
senza che ne risultino legami troppo forti, costituiscono una matrice ideale.
Combinandosi con loro è possibile che si siano formate e consolidate le
strutture che hanno portato ai primi, semplici veicoli d’informazioni.
Il modello appena descritto non è privo di difetti soprattutto sui meccanismi
che avrebbero permesso di unire portatori d’informazione e metaboliti.
E’ straordinario costatare come la durata della vita sia determinata dal
portatore d’informazione (che di per se è immortale): esso può uccidere la
cellula, costringendo il “metabolismo” (anch’esso immortale nella sua forma
primigenia) a produrre prodotti insufficienti o tossici per la cellula stessa,
ma può anche allungarne la vita, producendo enzimi appositi come la
telomerasi. Se questo gene preposto alla morte programmata della cellula
non intervenisse, la parte metabolica sarebbe in grado di allungarci la vita
[va costatato, però, che i prodotti genetici come la telomerasi allungano la
vita delle singole cellule, ma tal enzima è particolarmente attivo nelle
cellule cancerose, quindi la morte programmata ha la funzione di
preservare il complesso multicellulare, cioè di conservare, in questo, intatto
il patrimonio dell’“informazione” genica].
Freeman Dyson [1988] e Lynn Margulis [1970, 1981] hanno formulato due
teorie che permettono di sopperire alle mancanze riscontrate nelle
precedenti constatazioni. Freeman Dyson [1988] parte dal presupposto
fondamentale che metabolismo e portatori d’informazione siano insorti
indipendentemente l’uno dagli altri. Poi si sarebbe verificato un take-over,
quindi si sono associati in una specie di simbiosi. Le microsfere non sono
portatrici d’informazione; si possono formare autonomamente senza aver
bisogno delle istruzioni di un “data base” come quello insito nel genoma; la
loro crescita e la moltiplicazione-riproduzione per esplosione dipendono solo
da come e quanto sia possibile usufruire degli elementi costitutivi
fondamentali presenti nel brodo primordiale; la loro crescita è simile a
quella dei cristalli d’argilla nel fango umido. Esse rispondono esattamente
alle condizioni postulate per un take-over: hanno un metabolismo semplice e
possono procedere – attraverso l’involucro solo parzialmente permeabile – a
una separazione fra sostanze utili (e cioè impiegabili nel metabolismo) e
inutili; però non dispongono di portatori di in formazioni che possano
controllare l’evento al di là delle reazioni chimiche.
Sulle origini del portatore d’informazione si formulano due ipotesi:
• L’origine extraterrestre; il portatore d’informazione si sarebbe
formato nello spazio, poi cadde sulla Terra, portato da meteoriti o
dalla scia delle comete [il DNA resiste molto bene alle bassissime
temperature, ma è passibile di disgregazione termica].
• L’origine terrestre.
Lynn Margulis [1970, 1981], a differenza di Dyson, parte dalla
constatazione che gli elementi costitutivi dell’informazione genetica sono
chimicamente molto simili ad una molecola che svolge nel processo del
metabolismo della cellula una singolare funzione. Si tratta
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dell’adenosintrifosfato (la sigla chimica è ATP), un composto molto ricco di
adenosina e di fosfati. L’ATP è stato molto esattamente definito la «valuta
energetica della cellula». Partecipa alla maggior parte delle più importanti
trasformazioni d’energia nella cellula. La produzione o l’acquisizione di ATP
fanno dunque parte delle esigenze fondamentali della cellula vivente.
Lynn Margulis ritiene che “le eccedenze nel metabolismo di ATP si
sarebbero legate in tratti inizialmente brevi di catene di DNA, i quali
avrebbero influito sul metabolismo come degli agenti patogeni. Similmente
a ciò che avviene oggi nel momento dell’insorgere di malattie prodotte da
virus, vi sarebbe stata una massiccia reazione di difesa da parte del
metabolismo, che avrebbe saldato i piccoli e mobili tratti di DNA in unità
maggiori, le quali si sarebbero a questo punto moltiplicate meno
aggressivamente, tanto da assomigliare ora più a una specie di parassiti.
Questi sarebbero infine diventati simbionti: un processo che si può
osservare in una moltitudine di forme del regno degli organismi.
L’informazione genetica sarebbe dunque insorta negli esseri viventi come una
malattia alla quale l’organismo si sarebbe opposto con crescente successo
(corsivo mio). Il comportamento dei virus e di altri simili portatori di «geni
nudi» fornisce argomenti a favore di questa teoria, la quale spiega tuttavia
in modo meno persuasivo il costituirsi dell’informazione ereditaria in sé. I
relativi, necessari mattoni costitutivi presuppongono l’esistenza dei prodotti
di scarto di una cellula che, per essere capace di fornirli, doveva essere già
alquanto progredita e avanzata in fatto di metabolismo. Se le cose sono
andate così, allora andrebbe sicuramente attribuito alla componente
rappresentata dall’organismo il merito o il privilegio di aver avviato la vita.
L’apparato genetico sarebbe allora solo un prodotto tardo e proprio
dell’evoluzione della cellula”.
E’ possibile che il portatore di informazione sia stato un parassita, tanto più
che nelle cellule più antiche era libero all’interno della cellula, cioè non era
confinato nel nucleo, sebbene di un tipo molto particolare. Egual sorte
ipoteticamente sarebbe toccata ai mitocondri, che sono a tutti gli effetti le
nostre centrali energetiche.
Il DNA nudo può esistere, ma è inerme, solo potenzialmente vivo,
effettivamente tale esclusivamente grazie al metabolita.
Le modificazioni che il DNA apporta al metabolita che lo ospita sono
notevoli. Oggi non è possibile distinguere nella vita di una cellula un’attività
metabolica da quella genetica (anzi sull’onda dell’euforia generata dalle
nuove scoperte sui geni si tende a genetizzare ogni aspetto della vita).
Il metabolismo non solo è l’élan vital del portatore d’informazione, ma
sopperisce a tutte quelle parti a cui manca un’istruzione specifica
E’ un piccolo mondo, come una serra in cui hanno trovato un utile riparo
altre forme vitali (infatti si suppone che mitocondri e cloroplasti siano state
cellule non digerite, poi divenute simbiotiche; tale collaborazione ha portato
un tale vantaggio che ha surclassato tutte le altre alternative).
All’interno di esso il portatore d’informazione ha potuto evolversi, da poche
catene di nucleotidi a RNA, da RNA a DNA, dalla forma A a quella B e a
molte altre.
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Nel frattempo venne privilegiata la capacità di interagire con il metabolismo
in modo da rendere l’ospitante più adatto delle altre alternative
contemporanee, e, sfruttando la tendenza parassita a riprodursi, rese tali
acquisizioni trasmissibili.
Abbracciando l’ipotesi del parassitismo dobbiamo notare che i vantaggi
portati al metabolita servirono al portatore di informazione per aumentare
le proprie possibilità di sopravvivere e riprodursi.
Con gli organismi pluricellulari l’apporto del DNA permise la formazione di
apparati diversificati, tra loro interagenti.
Ovviamente esiste un limite a ciò che può essere codificato, perciò le cellule
che non erano in grado di sfruttare la plasticità tipicamente metabolica a
scapito d’una rigida codificazione, furono soppresse dalle rapide variazioni
dell’ambiente.
Immaginate cosa accadrebbe se il nostro organismo fosse un sistema rigido:
le nostre prestazioni non sarebbero né incrementabili né diversificabili (ad
esempio chi ha il gene del “ciclista” non sarebbe mai un buon tennista;
fortunatamente conosco degli ottimi “passisti veloci”-tennisti).
La febbre,ad esempio, non è altro che un incremento della temperatura
sfruttato per velocizzare le reazioni chimiche (ma quando la temperatura
diviene eccessiva le reazioni sono abnormi e perciò dannose) di natura
prevalentemente metabolica.
Lasciando le ulteriori implicazioni a dopo, possiamo dire d’essere arrivati al
punto.
Sfruttando la definizione classica d’intelligenza [abilità di orientarsi,
modellare e controllare l’ambiente], dobbiamo concludere che il potenziale
richiesto per simili attività non può essere altro che metabolico, tanto più
che il vaglio delle strategie (vedi “modellare”) e le strategie stesse non sono
ereditabili.
L’intelligenza permette all’essere vivente di adattare nel miglior modo
possibile o sé all’ambiente o l’ambiente a sé (modificando lo stesso).
Se un uomo sente freddo ha di fronte due strategie: coprirsi o accendere il
riscaldamento (o la stufa o improvvisare un falò).
E’ un’attività multiforme, incompatibile con la rigida strutturazione dei
geni, rigidità che è, invece, tipica dell’istinto.
Per tornare alle teorie di Piaget, l’intelligenza è un equilibrio tra
assimilazione (che vedremo in seguito) ed accomodamento, tra ciò che è fuori
e ciò che è dentro il soggetto. Tutto questo ricorda l’attività del metabolismo?
Occorre, e non sarà mai sufficiente, ricordare che l’organismo attuale non
possiede una netta separazione tra gli effetti dei geni e quelli del
metabolismo, ma si possono isolare soltanto aspetti in cui v’è una
prevalenza dell’uno sull’altro. E’ innegabile la prevalente attività dei geni
nello stimolare e impostare le strutture, ed è facilmente concepibile quante
ripercussioni possa avere un ordine sbagliato derivato da un “codice”
alterato. L’Otx2 è il gene che progetta il cervello; la Calponina H3, dopo aver
ricevuto dall’Otx2 l’ordine di costruire il cervello tiene ferme le cellule
(primitive) della testa perché si trovano già nel posto giusto, decidendo così
quali diverranno cervello e quali il resto del sistema nervoso.[Edoardo
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Boncinelli,1999]. Lo stesso gruppo ha isolato il gene che dà l’impulso alla
formazione (o meglio alla separazione) della testa e degli arti. Pochi mesi fa
è stato scoperta la sequenza DNA che regola la separazione dell’interno
della vena cava del petto in quattro parti, che diverranno poi i due atri e i
due ventricoli del cuore. Un cromosoma 21 in eccesso provoca ritardi
mentali. Ciò non inficia quanto detto all’inizio circa l’influsso dei geni sugli
individui, ma sottolinea con franchezza come la spinta di partenza abbia la
sua importanza per tutte le acquisizioni successive. Dopo aver lanciato una
pietra, nessuno ha più il potere di controllarla; il bersaglio verrà raggiunto
solamente se la spinta iniziale è stata buona, pur avendo subito, nel suo
percorso, tutti gli effetti che prevede la fisica!
Ma l’organismo non è una pietra e la spinta iniziale non è tutto.
Robert Plomin [1998, 1999]ha individuato, confrontando il corredo genetico
di 300 bambini selezionati dai test di ammissione di alcune scuole dello
Iowa, un tratto di DNA (Igf2r) che si trova più spesso nei bambini ritenuti
dotati di un Q.I. nettamente superiore alla media3.
E’ riconosciuto che chi mostra buone attitudini intellettive di base, se non si
mantiene mentalmente attivo peggiora sensibilmente, non è sufficiente
l’Igf2r.
Non si può pretendere d'esser pronti quando il senso della nostra vita è
esclusivamente il Sabato sera o la Soap opera preferita.
L’intelligenza è un “muscolo” che bisogna tener allenato. Se qualcuno avesse
il gene Schwarzenegger, ma fosse stato ingessato dall’infanzia all’età
matura, sembrerebbe Johnny Winter (che non è muscoloso, ma è uno dei
migliori chitarristi sulla scena mondiale).
Probabilmente anni di riabilitazione non sortirebbero alcun effetto visibile,
cioè una volta che il fisico si è formato in modo così svantaggiato a nulla
serve l’ipotetico gene Schwarzenegger.
Il metabolismo ha raggiunto un equilibrio (dinamico) funzionale e non
risente più delle spinte programmate dei geni. Ovviamente si può barare
somministrando alcune sostanze tristemente note nello sport (i cui effetti
realmente dopanti talvolta sono dubbi).
Per spiegare l’interazione tra geni e metabolismo nella genesi
dell’intelligenza biologica, mi riferirò alla teoria (forse è più adatta la
definizione di “rilettura”) della parassitosi desossiribonucleica e dei suoi
effetti sulla vita (e sul comportamento), teoria che da ora in poi chiamerò
BAO4.
Origini dell’intelligenza metabolica.
3
Identificare un gene dell’intelligenza non significa affermare che l’intelligenza sia di origine genetica. I
geni non sempre “impongono” nella spinta iniziale, ma possono anche “lasciare delle porte aperte”, cioè
possono esistere dei GENI DI NON INTERVENTO.
4
BAO è sia l’accostamento di B, riferito alla forma di DNA più diffusa, di A, forma del RNA e del DNA
primitivo, e di O, inteso come assenza di materiale genico, riferito al metabolismo, sia l’acronimo di
Became And Order, cioè diventa e comanda, riferito al particolare tipo di parassitosi-simbiosi, sia un
riferimento a Behaviour Organic Analysis .
Inoltre parlandone con un amico appassionato di fumetti mi è stata fatta notare una vaga somiglianza con
un Manga, che appunto si chiamava Baoh!
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Innatisti, piagettiani, freudiani, ercksoniani, e altri concordano
sull’esistenza di uno sviluppo programmato stadiale, con caratteristiche
diffuse e specifiche.
La teoria di Freud è “istintualistica”, nel senso che le pulsioni o “spinte
originarie” sono elementi irrazionali o disposizioni psicologiche innate,
propulsive e relativamente indeterminate.
Si differenziano dagli istinti propriamente detti perché non sono performati
nel loro svolgimento e adatti all'oggetto, ma tendono a ridurre uno stato di
tensione interiore, con modalità non rigidamente predeterminate.
Le pulsioni sono comuni a tutti gli uomini e nelle età dello sviluppo
assumono connotati stadiali.
La spinta endogena legata alla riproduzione-sostentamento, nell’accezione
del primo Freud, può essere un programma genetico?
Non è un’affermazione sorprendente dichiarare che alcuni nostri
atteggiamenti siano programmati ed ereditati, genetici.
Appena nati abbiamo un corredo d’istinti, detti riflessi (di complessità
diversa), a cui affidiamo la nostra sopravvivenza (o perlomeno la affidavamo
in tempi remoti): il grasping della mano e del piede, lo stepping, il placing, il
rooting, la suzione, la reazione di difesa, il riflesso di Moro, il riflesso di
Galant, il riflesso d’orientamento.
Alcuni sono vitali come la suzione (raramente i bambini nascono senza
questo riflesso, altrimenti sarebbero destinati a morire), altri fanno parte
del complesso di monitoraggio teso alla richiesta d’aiuto (al genitore o a chi
si prende cura di lui). Dalle mie esperienze con i neonati e i bambini in età
prescolare, ho costatato che l’infante identifica più di una figura a cui
affidarsi, ma in linea gerarchica. Questa fiducia è un atteggiamento istintivo
ed è tanto più sviluppata quanto più la presenza delle figure parentali non è
esaustiva.
Non è fattore legato al tempo che i genitori passano o no con il figlio, ma alle
caratteristiche. Una cosa singolare mi capitò a proposito di un bambino di
circa un anno, figlio di amici: un paio di volte gli accomodai il giocattolo
rotto, improvvisamente acquistò l’abitudine di attirare la mia attenzione
ogni volta che gli si rompeva un giocattolo o se, nonostante gli sforzi della
madre, non riusciva a recuperarlo (specie le palline).
Ero diventato il suo “tecnico di fiducia”. Lo stesso bambino, che solitamente
mi salutava festosamente, al ritorno da lunghe ferie con i genitori manifestò
nei miei confronti la classica reazione verso l’estraneo. Pensai che si fosse
dimenticato di me, perciò gli chiesi chi fossi. Sorpresa: sapeva perfettamente
chi ero! Il bambino, avendo cambiato ambiente, non riconobbe più la mia
funzione all’interno della sua personale società. Reintegrato nel suo mondo
abituale, tornai ad essere per lui quello di sempre, esattamente allo stesso
posto nella sua gerarchia.
Questa fiducia-dipendenza nella competenza dell’adulto può essere tenuta
ben nascosta.
Un esempio apparentemente di segno opposto è il seguente: un giorno
incontrai una persona di mia conoscenza che portava a spasso il nipotino.
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Cominciò a piovigginare e il nonno del piccolo mi chiese di tenerglielo un
attimo, mentre andava a sistemare il passeggino nella macchina. Sistemati
a poca distanza sotto un porticato, il bambino, di circa un anno, non voleva
separarsi dal nonno e tentò più volte di scapparmi. Cercai di
tranquillizzarlo, ma fu inutile, il piccolo non mi ascoltava. Quando si lanciò
di corsa verso il nonno lo fermai e, indicandogli una grata un po’ sconnessa,
gli dissi “lì no! Perché cadi e ti fai male”. Il bambino mi fissò e restò a
guardare il nonno senza oltrepassare la grata: mi aveva dato retta!
Un altro episodio singolare mi capitò mentre attendevo d’essere servito al
reparto salumi del super mercato: una bambina sul passeggino lanciò a
terra il cappello vicino ai miei piedi; lo raccolsi e lo diedi alla bimba, che si
rivelò essere piuttosto robusta. Poco dopo ripeté quel gesto e mi centrò
nuovamente. Raccolsi il cappello e lo consegnai alla madre. A quel punto la
bimba, guardandomi, additò la vetrina del bancone, in cui erano esposte le
specialità gastronomiche. Ottenuto il permesso della madre, cominciai a
descrivere alla piccola tutto ciò che si vedeva nella direzione che stava
indicando. La bimba mi guardò perplessa e insistette ad indicare. Subito
dopo la commessa diede alla madre una porzione di focaccia salata… e la
bambina cominciò a strillare, tendendo entrambe le mani verso l’ambita
leccornia. Ottenuta, aggredì la tutta focaccina con quattro dentini e una foga
mai vista. La madre imbarazzata mi assicurò che “da mangiare gliene do,
ma quando vede la focaccia sembra che non abbia mangiato da settimane”.
La focaccia era proprio nella direzione che disperatamente indicava la
bambina, ma dietro all’esposizione del bancone, e la perplessità del suo
sguardo era dovuta alla mia scarsa comprensione di ciò che ella mi voleva
dire (dammi la focaccia). Aveva trovato in me un possibile alleato per
raggiungere l’oggetto voluto.
Mi tornò alla mente ciò che scrisse J. Dewey [1922]: “Presto parrà cosa
incredibile che gli psicologi abbiano discusso se scegliere tra idee innate e un
intelletto vuoto, passivo plasmabile come cera. Infatti, sembra che
un’occhiata ad un fanciullo avrebbe dovuto rilevare che la verità non sta in
nessuna delle due dottrine, tanto ovvio è l’ondeggiare delle specifiche
attività native…Gli impulsi non ancora sviluppati e dispersi di un fanciullo
non si coordinano in poteri utili, eccetto che attraverso dipendenze e amicizie
sociali”.
Gli esempi citati mostrano che il bambino può conferire all’adulto un ruolo
specifico (si potrebbe definire tecnico), il ruolo di esperto o quello di
strumento per raggiungere qualcosa; tutti questi aspetti nascono non solo
dalla consapevolezza di essere “inadatti”, ma soprattutto da un istinto alla
“dipendenza” verso l’adulto in genere, spesso esemplificato dal pianto
(evidentemente non appreso) del neonato.
Il bambino, quando sviluppa maggiori performance comunicative, non indica
solamente per manifestare un desiderio [richiesta], ma anche per chiedere
conferma di una percezione, ad esempio il bambino indica verso la finestra
(dalla quale proviene un suono insolito) e guarda negli occhi l’adulto
ripetendo il gesto e alternando lo sguardo tra la fonte del rumore e
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l’interlocutore, finché questi non guarda nella stessa direzione e/o commenta
[Camaioni, Volterra e Bates, 1976].
Non credo, ad esempio, che il ritagliare la voce della madre dal rumore di
fondo sia innato (nel senso di genetico, a giudicare dall’affermazione
dell’autrice “quando componente innata è determinata fin nei dettagli, è
possibile che l’ambiente funga semplicemente da innesco…viceversa quando
la predisposizione innata è specificata come inclinazione o una traccia
minimale, è probabile che l’ambiente agisca come qualcosa di più che un
innesco… anche una traccia minimale implica l’esistenza di predisposizioni
dell’attenzione verso particolari input nonché un certo numero di
predisposizioni sistematiche che vincolano la computazione degli stessi
input) come sostiene Annette Karmiloff-Smith [1992], ma che l’acquisizione
di suoni familiari (rassicuranti) lo sia, o per meglio dire sia la conseguenza
di una predisposizione più generale alla “dipendenza”, perciò il neonato
riconosce il suono della voce della madre in quanto gli è diventato familiare
nel periodo di gestazione (in questo senso è innato, cioè frutto di un deposito
di un input sensoriale molto forte sulla struttura auto-organizzante
confinante con il Driver sensorio, quest’ultimo geneticamente, ma non
irrimediabilmente, programmato), infatti i quattro giorni canonici in cui il
soggetto non mostra di reagire alla voce della madre corrispondono, in
realtà, al periodo di riadattamento dell’apparato uditivo (infatti sino alla
nascita i suoni sono trasmessi attraverso il liquido, che essendo un mezzo
più denso altera i suoni).
Traendo esempio dai miei numerosi piccoli acciacchi, ho costatato che dopo
aver sopportato per due mesi un “tappo” all’orecchio destro, quando riuscii
ad eliminarlo i suoni attorno a me erano diversi (riverberati), e
quest’impressione durò per qualche ora. Pensate come dovrà sentire un
neonato!
La predisposizione alla dipendenza spinge il neonato ad “affidarsi” a ciò che
gli è familiarmente non ostile o a reagire positivamente di fronte a
“situazioni” familiarmente collegate a sensazioni, diciamo così, piacevoli.
Probabilmente l’infante ha una capacità di “memorizzare” impensabile per
un adulto, per cui un solo contatto fornisce ulteriori dati da collegare a quelli
già noti, anche se solo in tratti essenziali (nel senso di “evidenti”).
Molti sostengono che il suono del cuore della madre abbia un potere
rassicurante e induca il sonno, ma lo stesso effetto si ottiene con il ritmo di
una macchina per scrivere, che nulla ha del suono del muscolo cardiaco!
B.A.O. e metabolismo (mentale).
Atteggiamenti particolarmente semplici nella loro identificazione stadiale e
precostituita sono quelli legati alla sessualità. Nella maggior parte dei casi
tutto si svolge secondo un copione comune. E’ singolare costatare come una
volta superata l’adolescenza, gli atteggiamenti di chi sta entrando in quel
periodo di cambiamenti sembrino da un lato stupidi e poco “efficaci” e
dall’altro molto più intelleggibili di ciò che dobbiamo affrontare noi stessi
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(sempre che si sia raggiunta una certa franchezza interiore o almeno
cognitiva).
Altri atteggiamenti sono più complessi da riconoscere, ma basta scorrere
alcuni testi di biochimica o neurologia per accorgersi che con la
somministrazione di alcune sostanze (in particolar modo ormoni) si possano
pilotare alcuni atteggiamenti negli animali “inferiori”, ma anche nell’uomo
si ottengono sensibili forzature dello stesso.
Negli animali inferiori è abbastanza semplice manipolare il DNA e con ciò
creare delle alterazioni atte a studiare le interazione tra comportamento e
codice genetico.
Premettendo che K. Lorenz e N. Tinbergen, i fondatori dell’etologia, hanno
considerato il comportamento aggressivo un’entità biologica, recentemente
sono stati prodotti diversi mutanti di topo alterati nel loro comportamento
aggressivo. I geni scelti per indagini di questo tipo codificano enzimi e
recettori che, sulla base di studi biochimici e fisiologici, si pensa siano
modulatori del comportamento. In alcuni casi si è visto che tali geni
interessano anche altri aspetti del comportamento oltre all’aggressività.
In una lunga serie di studi è stata esaminata nei vertebrati la correlazione
tra i livelli del neurotrasmettitore serotonina e l’aggressività impulsiva
[Coccaro, 1989]. Dagli studi di Brunner e dei suoi collaboratori [1993] risulta
che in una famiglia olandese la mutazione nel gene umano per l’enzima che
metabolizza la serotonina, la monoammina ossidasi A (MAO-A), è correlata
al comportamento aggressivo. Anche se gli studi sui topi mutanti nel gene
MAO-A sono successivi, è interessante, ai fini della chiarezza, che il
fenomeno sia riproducibile e comune. Infatti i topi mutanti per la
monoammina ossidasi mostrano una maggiore aggressività [Hen, 1996] e
che topi mutanti per il recettore della serotonina 5-HTlb mostrano
un’alterazione simile nel comportamento. Il tipo particolare d’aggressione
osservata in questi casi è di tipo difensivo e si manifesta con un attacco
verso un topo nuovo introdotto.
L’interpretazione di questi studi non è semplice. Il fatto più riproducibile è
che alterazioni del sistema serotoninergico influenzano il comportamento di
tipo impulsivo. Oltre a questo, lo studio sulla MAO-A suggerisce una
correlazione tra alti livelli di serotonina e aggressione impulsiva: questi topi
presentano un aumento significativo del livello di serotonina. Il
comportamento del mutante 5-HTlb è più difficile da spiegare con questa
ipotesi relativamente semplicistica: infatti i topi che presentano questa
mutazione sono nettamente carenti anziché eccedenti di questo recettore.
Per conciliare questi dati contraddittori è necessaria, senza dubbio, una
comprensione più sofisticata dei siti d'azione delle mutazioni e dei loro
effetti a livello cellulare. Per esempio, il recettore 5-HTlb alterato, in questi
topi mutanti, è di tipo presinaptico, e modera l’attività della terminazione
nervosa che lo contiene, perciò, una diminuzione nella risposta a questi
recettori potrebbe determinare un aumento nell’attività del sistema.
Anche i mutanti per altri enzimi hanno mostrato un comportamento
aggressivo differente dai tipi normali [Hen, 1996]. In tutti i casi, i geni sono
stati scelti per il loro probabile coinvolgimento nell’apprendimento e nella
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plasticità.
Il mutante per la chinasi CaM mostra un comportamento più aggressivo.
Allo stesso modo, una mutazione della forma neuronale dell’enzima che
sintetizza l’ossido di azoto (nNOS) conferisce un’insolita aggressività: tale
enzima è implicato nel processo di potenziamento a lungo termine e in altre
forme di plasticità neuronale. Mutanti fyn per la tirosinchinasi mostrano un
aumento nella risposta agli stimoli che inducono paura (tra gli altri effetti
c’è una riduzione nell’apprendimento).
Per ciò che riguarda la variazione in ambiente naturale una soluzione
alternativa è quella di cercarle in un organismo che sia già a un livello
sofisticato per quanto riguarda l’analisi di genetica molecolare, per esempio
il moscerino della frutta. Le larve del moscerino della frutta presentano un
polimorfismo nel comportamento locomotorio associato alla ricerca e
all’assunzione di cibo (foraging). Questo polimorfismo comportamentale che
si osserva in natura, si ritrova sia nei ceppi di Drosophila cresciuti in
laboratorio che in quelli selvatici. Il comportamento viene valutato
misurando la lunghezza della traccia del percorso fatto dalle larve durante
l'esplorazione per il cibo su una piastra di agar coperta di lievito Gli studi di
Sokolowski [1992] hanno isolato due categorie di larve: erranti e sedentarie
(rover e sitter).
Le erranti, in un determinato intervallo di tempo, lasciano una traccia più
lunga rispetto alle sedentarie
Quando si analizzano caratteri quantitativi non è rara una distribuzione
bimodale di questo tipo, anche se non c’è stata alcuna selezione per quanto
riguarda i fenotipi. Come per la maggior parte delle varianti
comportamentali isolate da popolazioni naturali, i due tipi presentano
distribuzioni quantitative sovrapposte. Tuttavia, quando sono stati prodotti
ceppi omozigoti per il fenotipo errante o sedentario, essi presentarono una
sovrapposizione minima e dimostrarono che la differenza erranti-sedentarie
è causata dall’azione di un singolo gene che è stato chiamato foraging e che
il fenotipo errante è geneticamente dominante su quello sedentario.
Sembra che i geni, e questa è una delle parti più importanti per la
formulazione della BAO, abbiano un notevole influsso sui meccanismi di
riproduzione e di sostentamento, ma è giusto che i geni influenzino la
riproduzione essendo proprio loro stessi a riprodursi (ricordate la prima
chiave della vita?).
Il corteggiamento in un maschio di moscerino della frutta è influenzato
anche da altri componenti del sistema di apprendimento. La chinasi CaM
(discussa precedentemente in relazione al mutante per l’aggressività nel
topo) svolge un ruolo importante nei cambiamenti indotti dall’esperienza nel
sistema nervoso. I maschi che sono geneticamente difettivi per questa
chinasi non riescono ad apprendere dall’esperienza di essere in presenza di
femmine che si sono già accoppiate. In questi esperimenti, l’attività della
chinasi è manipolata in vitro facendo esprimere nei neuroni un gene
sintetico per uno specifico inibitore dell’enzima. Quando l'inibitore è
presente a livelli bassi, i maschi sono in grado di essere addestrati
correttamente, cosicché essi interrompono il corteggiamento di una femmina
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–L’intelligenza biologica–
già accoppiata, ma poi dimenticano immediatamente quando vengono posti
in presenza di una femmina vergine e cominciano a corteggiarla con
insistenza, come se non avessero mai subito alcun condizionamento. Quando
i livelli dell’inibitore sono più alti, i maschi difettivi non vengono affatto
condizionati dalla femmina già accoppiata e continuano a inseguirla per ore
senza sosta.
Anche le femmine apprendono dalle loro esperienze di corteggiamento, ma
in modo differente: esse rispondono al canto d’amore del maschio. I
moscerini femmina rispondono al canto del maschio diventando più recettive
alle proposte di corteggiamento. Se una registrazione del canto viene
ascoltata da una femmina solitaria che successivamente viene posta in
presenza di un maschio, essa si accoppierà più rapidamente rispetto a una
femmina che non ha ascoltato il canto nei minuti immediatamente
precedenti. Inoltre, essa ricorda il canto per diversi minuti.
Tuttavia la capacità di ricordare il canto è assente nelle femmine che hanno
il gene per la sintesi dell'inibitore della chinasi CaM. Esse sentono il canto
normalmente e rispondono a questo se poste immediatamente in presenza di
un maschio, ma dimenticano molto più rapidamente rispetto alle femmine
normali [Griffith, 1993]. Altri geni mutanti per l'apprendimento, dunce e
amnesiac, influenzano anch'essi l'abilità, da parte di una femmina, di
ricordare il canto di corteggiamento [Kyriacou e Hall., 1984]. I moscerini in
cui la chinasi CaM è inibita come i mutanti dunce, presentano piccoli difetti
nella plasticità della trasmissione sinaptica.
Un evento precoce dell’apprendimento durante il corteggiamento è regolato
nella Drosophila da un altro gene che codifica la proteinchinasi C, coinvolta
nella trasduzione dei segnali dei secondi messaggeri. Quando nei maschi
viene introdotta una mutazione che porta alla produzione alterata di questo
enzima, i moscerini mostrano un difetto contrario a quello che si ottiene con
l’inibizione da chinasi CaM: essi manifestano una normale perdita di
interesse per le femmine dopo un sufficiente contatto con una femmina già
accoppiata, cioè ricordano gli effetti del condizionamento, ma durante il
periodo di apprendimento vero e proprio non mostrano di esserne influenzati
[Kane e Greenspan, l996]. In altre parole, essi immagazzinano l’esperienza
dell'apprendimento per il futuro, ma non mostrano, al momento, nessun
segno di reale addestramento. La selettività del difetto indica di nuovo, che
aspetti discreti del corteggiamento sono separabili geneticamente.
Nell’esempio precedente, regioni anatomiche distinte sono responsabili del
riconoscimento sessuale rispetto allo stesso corteggiamento e si possono
identificare vie biochimiche distinte: alcune implicate nelle risposte
immediate del condizionamento durante il corteggiamento, altre necessarie
per le risposte a lungo termine (fonte: R. J. Greenspan,1999).
Sulla importanza dei recettori e delle sostanze nel comportamento si pensi
alla teoria di Zuckerman [1984] sul sensation seeking: secondo l’autore esiste
un livello tonico di attività del Sistema Catacolaminico, che influisce
sull’umore, l’attività generale, l’interazione sociale e che motiva il ricorso a
determinate stimolazioni o attività (o l’evitamento di esse). I ricercatori di
sensazioni avrebbero un basso livello di attivita del Sistema Catacolaminico,
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–L’intelligenza biologica–
cioè basse quantità di dopamina, norepinefrina e MAO, e le loro attività
sarebbero preposte ad aumentare il livello delle suddette sostanze nel
sangue; gli evitatori di sensazioni avendo alti livelli, anelano alla
tranquillità poiché la misura è già colma. La scoperta di ciò che la stampa
ha definito il ”gene del giocatore d’azzardo”, sembra confermare le
osservazioni dell’autore. Questo gene predisporrebbe le persone a gradire
attività cariche di rischio, come il gioco d’azzardo o gli sport estremi, proprio
perché tara il livello d’attività del S C molto basso. Occorre, per una miglior
comprensione, rilevare che un’educazione improntata al rispetto del denaro
o della propria integrità fisica farà assumere al gene manifestazioni diverse
o potrebbero ridurne gli effetti. Riprendendo l’esperimento di Maragñon del
1924, Schachter e Singer [1962] somministrarono adrenalina a tre gruppi,
uno informato sulle reazioni che avrebbero dovuto avere, uno non informato
e uno disinformato, e, diversamente dal loro predecessore, li esposero a
situazioni emotivamente stimolanti. Le reazioni degli informati furono meno
alterate dalla situazione “adirante” (un complice simulava di non gradire le
domande dello sperimentatore, protestando con veemenza, arrivando fino ad
abbandonare la stanza sbattendo la porta). I disinformati furono, invece, i
più coinvolti. Con un semplice avvertimento è stato possibile alterare gli
effetti di una sostanza. Come si è notato precedentemente, le modifiche o
sintonizzazioni fini nell’organismo avvengono tramite il metabolismo, perciò
è ipotizzabile che sia stata una reazione metabolica la causa del minor
effetto eccitatorio della dose di adrenalina. Occorre notare che se ciò fosse
vero, significherebbe che la “parola” ha potuto modificare, o più
precisamente, preparare le risposte metaboliche. Nell’uomo le strutture
programmate sono difficilmente alterabili, sia in virtù d’una maggior
complessità, sia per la spiccata attività o indipendenza della parte
metabolica (d’origine metabolita). E’ comunque vero che una
somministrazione di ormoni può modificare, ad esempio, le reazioni. Ciò è
particolarmente riscontrabile nelle nicchie comportamentali di tipo
riproduzione-sostentamento (aggressività, sessualità, paura, ecc…); esse
hanno una forte componente di programmazione, che si spiegherebbe,
ipotizzando un atteggiamento parassitario del portatore di informazione,
con la difesa da parte del genoma (inteso non come gene egoista, ma come
forma di vita, una colonia di geni) delle proprie aspettative vitali e
riproduttive (ricordate la prima “chiave della vita”?). Nell’uomo, però, a
causa delle spinte evolutive, il genoma ha tratto vantaggio dalla
caratteristica plastica del metabolismo, di cui sfrutta le acquisizioni
temporanee (grossomodo il fenotipo) e a lungo termine (la “cultura” e il
potere modificatorio della parola citato poco sopra). Nell’uomo gli istinti sono
ridotti e sono sostituiti per lo più dalle pulsioni.
Le pulsioni si comportano come il leggendario personaggio, situato al lato
del palcoscenico, che spinge sulla scena gli artisti colti dal panico o titubanti
(compito che tocca spesso al Direttore di Scena).
Tutto ciò che l’artista farà sulla scena dipenderà dal buttadentro solo per il
fatto che l’ha messo lì, e qualora il buttadentro fosse il Direttore di Scena
stesso, dalla stessa “persona” dipenderà anche la durata dell’esibizione,
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–L’intelligenza biologica–
poiché, se l’attore si blocca, il nostro metaforico personaggio può sempre far
entrare le ballerine, per calmare la platea e garantire all’artista la ritirata .
Gli istinti, invece, sono paragonabili al marionettista che, tirando i fili,
controlla ogni movimento dell’attore (di pezza e legno).
Non è necessario postulare una miriade di fattori genetici del
comportamento, come il riconoscimento della voce materna, l’attaccamento
ai genitori (i neonati spesso piangono anche se non hanno fame o sono
bagnati, semplicemente perché “si sentono soli”), o altri atteggiamenti
simili, ma un'unica pulsione (vedi sopra) verso l’adulto, derivante dal più
basilare (e vitale) “istinto di dipendenza”.
Il rapporto di Spitz sulla sindrome dei bambini ricoverati in brefotrofio
(detta ospitalismo) rivela che, nei bambini abbandonati alla nascita o
comunque prima del terzo mese di vita, i sintomi compaiono solamente dopo
il quarto mese di vita, cioè in conseguenza della cessazione del contatto
parziale che il bambino ha con la nutrice. Abbandonato a se stesso, il
bambino comincia un processo d’autodistruzione che avrà ripercussioni sulla
sua vita futura, soprattutto sulla salute e lo sviluppo fisico, sia motorio che
cognitivo.
Escludo arbitrariamente dalla discussione le implicazioni per la vita sociale,
poiché esse sono state spesso analizzate con scarsa lucidità, molto
bigottismo, soprattutto in ambito statunitense, e perché interagiscono in
esse troppi fattori estranei al tema trattato.
Se il bambino viene abbandonato dopo il quinto mese di vita, passate
quattro settimane, inizia ad isolarsi, per poi culminare in un processo
autodistruttivo che può manifestarsi alternativamente con una “rinuncia a
vivere” o con atteggiamenti autolesionistici. Il quadro suddetto viene
definito “depressione anaclitica” ed è superabile con un riavvicinamento alla
madre. Superato, nel giro di pochi giorni, il periodo più acuto della sindrome
depressiva, il bambino manifesta un comportamento gradevole e
accomodante con tutti, capacità d’adattamento che è, però, solo apparente ed
è destinata a lasciare il posto a reazioni impulsive di fronte a nuove varianti
nell’ambiente (un cambio d’infermiera o di reparto).
Non vedo, ripeto, la necessità di postulare rigide codificazioni in virtù di una
migliore performance evolutiva, prospettiva che risente troppo della
moderna predilezione per i meccanismi, soprattutto quelli pensanti.
La sicurezza che fornisce la familiarità di una situazione o di certe persone
sono da ritenersi conseguenze in maggior parte legate alla memoria e
all’apprendimento, o, se vogliamo, dalla traccia lasciata dall’essere nel
mondo sul metabolismo. In origine, ad esempio, non esiste una netta
differenza tra la madre ed il suo sostituto, tale differenza si costituisce
solamente dopo che il tempo ha consolidato una certa situazione. Se
qualcuno conosce il “gioco dello psicanalista” ha già un’idea di cosa cerco di
affermare. Per chi non lo conoscesse, ecco un breve riepilogo: si chiede ad
una persona di uscire dalla stanza, in modo da permettere ad uno dei
rimasti di raccontare un sogno recente a tutti gli altri presenti; uscita la
“vittima”, chi regge il gioco spiega che nessuno deve raccontare veramente
un sogno, ma occorre rispondere alle domande del “pollo” seguendo due
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–L’intelligenza biologica–
regole, cioè alle domande la cui ultima parola inizia con una lettera
compresa
nella
prima
metà
dell’alfabeto
bisogna
rispondere
affermativamente, alla seconda metà negativamente. Ovviamente vige la
regola di non contraddizione. Al termine delle domande, tese a ricostruire il
sogno, formulate ai presenti dal giocatore-investigatore, si sarà creato un
racconto veramente fantastico e degno d’essere ritenuto “roba da
psicanalisti”. La sorpresa più grande, però, sarà quella del “pollo”, perché,
quando dovrà identificare l’autore del sogno, scoprirà che non esiste né
sogno né sognatore.
Applicando il modello fornito dall’esempio, non sono necessarie numerose
facoltà o intelligenze, geneticamente o neurologicamente predisposte (come,
invece, ha teorizzato da Gardner per l’intelligenza), ma si possono generare
numerosi “aspetti” da un numero modesto di essi, una volta che siano stati
performati da “tracce” di realtà metabolizzata. Formulando il concetto in
base all’argomento della tesi, ne deriva che, nonostante esistano facoltà
verticali in cui l’intelligenza, e non solo essa, si specifica, specificando aree
adatte allo scopo di migliorare il file system (performazione dell’I.),
l’intelligenza resta una comunque (e comune). L’intelligenza, in questo caso,
è espressione del metabolismo non vincolato da “ordini” genetici
(metabolismo emancipato), rinuncia del portatore d’informazione finalizzata
a sopperire alle possibili carenze informazionali (inadeguatezza rispetto alle
possibili variazione di nicchie vitali). Quindi l’ordine “semplice” è
“metabolismo fa’ tu!” (cioè un “non”– ordine).
La PET ha confermato l’esistenza di aree di maggior attività, ma sempre su
un attività più generale del cervello.
Gardner stesso, nella “critica della teoria delle intelligenze multiple”,
ammette che alcune qualità del comportamento cognitivo sfuggono
all’interpretazione dell’intelligenza come diverse facoltà di tipo verticale,
soprattutto su aspetti plastici dello sviluppo e totalizzanti come la saggezza
(che non è meta raggiungibile da tutti).
L’architettura neurale è un escamotage evolutivo-genetico, un regalo del
portatore di informazione per rendere più efficace il metabolismo nella
gestione dell’ambiente esterno per permettere di sopravvivere e riprodursi
con maggior successo, esplorando altre nicchie vitali. Occorre ricordare che è
comunque il DNA a riprodursi, DNA che sfrutta il metabolismo come veicolo
e casa, ricambiando con il suo potere mutageno, fonte di “capacità”
sorprendenti per la semplice cellula–“spugna” metabolita.
A ciò si riferisce la teoria BAO. Conseguentemente occorre notare come nelle
forme di vita animali concorrano aspetti pulsionali, istintuali e plastici.
Anche l’ameba che non ha sistema nervoso dimostra capacità
d’apprendimento, inspiegabili se ci si ostina a identificare l’intelligenza con
l’architettura neurale.
Noi uomini dobbiamo molto al cervello, un meccanismo altamente
performante, ma troppo simile ad un pallottoliere se privato del sostegno
orizzontale del metabolismo.
Vorrei far notare che nelle prestazioni intellettive influisce tutto l’insieme
chiamato corpo. Un deficit fisico dapprima influisce sulla performance, poi,
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–L’intelligenza biologica–
se persiste, sulla struttura cognitiva stessa (e viceversa). Esempi alla
portata di tutti sono l’ipoglicemia, la pressione bassa, ipotiroidismo e
l’ipertiroidismo.
Oggi si parla di cervello “bagnato”, cioè in contatto con il corpo tramite gli
“umori”, i liquidi come il sangue, e non più esclusivamente tramite cablaggi.
Esistono neurotrasmettitori per i messaggi a cortissimo raggio, sostanze
come le endorfine per quelli a medio-corto raggio, o gli ormoni quelli a lungo
raggio.
La categoria di sostanze a medio corto raggio sono le acquisizioni più recenti
e le più studiate, ma la capacità di interferire con esse è stata sfruttata
precedentemente, anche se in modo ingenuo, con le droghe. Una prova
scientifica fu fatta da Benassi e Canestrari [1954], che iniettando un
farmaco anfetaminico, la Metadrina, ottennero dai soggetti risposte al TAT
(Thematic Apperception Test) più ricche di particolari, meno stereotipiche e
più dirette (cioè si ridusse il tempo di latenza, il tempo impiegato dal
soggetto per iniziare a raccontare la storia immaginata) rispetto agli
standard precedenti. Esulando dagli stati d’alterazione, ho trovato singolari
spunti sugli effetti del corpo sulla “mente” parlando con un amico, Davide,
che mi ha riferito due singolari avvenimenti: il cambio d’inclinazione della
propria scrittura come spia (→ elemento soggettivo correlato) di
un’imminente malattia e la narcosi da lente a contatto.
Sull’ultimo dei due occorre dare una spiegazione. quando le lenti,
soprattutto le monouso, esauriscono la loro funzione e si caricano di scorie
(batteriche e chimiche), gli occhi inviano un messaggio di pericolo; il cervello
di alcune persone reagisce stimolando una sensazione che predispone al
sonno; ogni tentativo di tenersi svegli e lucidi è destinato al fallimento
(lavare il viso con l’acqua gelida, bere caffè o prendersi a schiaffi), mentre
togliere le lenti e lasciare l’occhio libero ha un effetto immediato e tonico.
Modularità vs orizzontalità.
Per quanto non apprezzi la metafora mente-computer, bisogna riconoscere
che una simile analogia ha permesso di orientarsi meglio nell’affrontare le
facoltà (di numero limitato) verticali di matrice genetica, anche se
l’hardware biologico è talmente diverso da rendere questa analogia poco più
valida dell’idea di un quadrato ottenuta con quattro stuzzicadenti posati su
di un tavolo, poiché le parti celebrali suddette sono fortemente permeate tra
loro a differenza di quelle del computer.
Esistono parti modulari nella mente e basta uno sguardo ai protocolli delle
osservazioni sperimentali sui neonati per rendersene conto. I riflessi citati
in precedenza sono comuni a tutti e hanno un’importanza vitale. Anche il
riflesso di Moro, all’apparenza inutile, aveva una funzione quando eravamo
scimmieschi e stavamo appesi alla peluria del dorso delle nostre madri, ed il
grasping era correlato ad esso. La sua inutilità attuale permette la
scomparsa dello stesso nel giro di pochi giorni, dimostrando che questi
“Driver” modulari non sono così rigidamente non modificabili come
suggerisce Fodor. Gli esperimenti sui mici allevati in ambienti monotoni o
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–L’intelligenza biologica–
privati dell’uso di un occhio tramite bendaggio adducono ulteriori prove
della resettabilità (più o meno parziale) delle informazioni innate
Esistono istinti comuni agli adulti e ai bambini di pochi mesi come quello di
proteggersi il viso in presenza di un oggetto “in rotta di collisione”, o di
coprire con movimenti caratteristici le parti vulnerabili al solletico se
sollecitate.
Sono comuni, tra piccoli e grandi, le pulsioni erotiche, sono diverse (in certi
casi non troppo) le manifestazioni e l’appagamento.
Biologicamente (e fino a non molti anni or sono, o ancora oggi in alcune
comunità, anche socialmente) siamo programmati per essere efficienti
“adulti” già a sedici anni, perché la nostra cultura è più giovane della storia
biologica che ci accompagna. Non occorre sorprendersi, soprattutto se si
guarda ai secoli passati (è sufficiente il 1800), periodi in cui i due ritmi di
vita erano abbastanza sovrapposti; la nostra cultura ha dilatato
artificialmente l’adolescenza (ultimamente anche l’infanzia).
Wyath Hearp a vent’anni aveva vissuto più esperienze, personali e sociali, di
un quarantenne d’oggi, ma aveva valutato meno informazioni di quante ne
stanno giornalmente in un quotidiano come Il Corriere della Sera.
Fino a qualche anno fa la statura definitiva veniva raggiunta a diciassette
anni, oggi si tende a crescere in altezza fino a ventuno (compreso il
sottoscritto). Le nuove abitudini di vita hanno influito anche sui parametri
temporali dello sviluppo, proprio perché uno sviluppo rapido determina un
minor “sfogo” delle potenzialità metaboliche, poiché viene raggiunto
l’equilibrio. Come si diceva a proposito del gene Schwarzenegger e del
fenotipo Winter, quando viene raggiunto lo stadio della formazione è difficile
cambiare, anche se le potenzialità restano invariate (basta somministrare
alcune sostanze che creino un nuovo equilibrio artificiale).
Contrariamente a come pensano la maggior parte delle persone e degli
ecologisti, l’equilibrio assoluto si ottiene con la morte, mentre la vita è un
“processo” che tende all’equilibrio (in biologia l’equilibrio si ottiene quando
non è più necessario alcun processo, cioè con la morte, infatti negli
organismi viventi si parla di omeostasi), cioè un equilibrio dinamico.
Se ci mettiamo su un piede solo siamo in equilibrio, ma restando così
moriremmo di fame; se ci mettiamo in cammino per andare al fast food, non
moriremo di fame (ma di altro!) e non saremo più in “equilibrio”, ma
passeremo da un attimo di sbilanciamento ad uno successivo di
compensazione (se non fosse così finiremmo direttamente a terra al primo
passo).
L’intelligenza, fin ora, è stata accomunata (e talvolta identificata) con il
metabolismo, in altre parole con un processo dinamico, che va distinto dalle
abilità, che si denotano come strutture operative un po’ più “statiche”.
Un’altra considerazione da fare è che le teorie sul funzionamento del
cervello siano troppo ancorate alla materia grigia e al neurone come cellula
del metabolismo del pensiero. Basti considerare che, limitandosi alla
struttura “asciutta”, solo recentemente si è presa in considerazione la
materia bianca, ritenuta da sempre un semplice tessuto connettivo, con
un’attenzione particolare agli astrociti.
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–L’intelligenza biologica–
E che dire della teoria dei memi di Richard Dawkins [1976], brillante e atta
a far parlare di se, a cui è stato sufficiente spostare il comportamento del
gene egoista alla teoria dell’informazione. La teoria secondo cui l’evoluzione
va riferita ai geni che potenzierebbero l’ospite donandogli, se vincente, la
possibilità di sopravvivere e scroccandogli la riproduzione nel corso delle
generazioni, è giustificata dai meccanismi di modifica del DNA nella sua
replicazione nelle cellule germinali, che non sono conseguenti alle pressioni
esterne (normalmente). L’evoluzione è la via più diretta per ottenere un
certo “prodotto” e la continuità di un simile processo è casuale. Come ha
giustamente notato Stephen Jay Gould [1999], se la Pikaia Gracilens si
fosse estinta, oggi non esisterebbero i vertebrati, ma in linea di principio la
“roulette” genetica potrebbe riprodurre, in un secondo tempo, i vertebrati,
anche così come li conosciamo noi. La convergenza adattiva n’è un esempio,
così come la formazione di strutture pressoché identiche da linee evolutive
differenti. I meccanismi, con cui i cromosomi si scambiano e modificano i
geni, fanno sì che il nuovo prodotto (il feto) sia più di una semplice somma
del 50% paterno e del 50% materno. Ognuno di noi è portatore di tre
mutazioni genetiche, per lo più della sintesi proteica. Questa considerazione
è una parte fondamentale nella BAO, ma mentre Dawkins parla di una lotta
evolutiva dei singoli geni e come molti si dimentica del metabolismo, la
teoria della DNA-parassitosi esalta le qualità del metabolita ospite e
chiarisce (o cerca di chiarire) i rapporti tra le due componenti
dell’organismo, inoltre considera il portatore d’informazione come un’entità
“vivente” all’interno di un piccolo mondo (il metabolismo) che può modificare
e serve da filtro con il ben più esteso mondo esterno, strutturata come una
colonia. Dawkins trasporta l’intuizione genica sui memi, intuendo e
descrivendo una parte molto importante della vita, ma mancando, sotto certi
aspetti, parzialmente il bersaglio.
“I memi – citando il commento di Dennet [1991] – hanno già giocato un
ruolo fondamentale nel determinare chi o che cosa siamo. La mente
«indipendente» che lotta per proteggersi dai memi esterni e pericolosi è un
mito; c’è, nel sottofondo, una persistente tensione tra l’imperativo biologico
dei geni e gli imperativi dei memi, ma sarebbe sciocco «schierarsi» con i
nostri geni – significherebbe commettere l’errore più grossolano della
sociobiologia del senso comune. Su quali fondamenta possiamo, allora,
basarci mentre lottiamo per mantenerci in equilibrio nella tempesta di
memi in cui siamo irretiti? Se non è la replicazione, qual è l’ideale eterno
rispetto al quale «noi» giudicheremo il valore dei memi? Dovremmo notare
che i memi per i concetti normativi – per dovere e bene e verità e bellezza –
sono tra i più resistenti cittadini della nostra mente e che tra i memi che ci
costituiscono giocano un ruolo centrale. La nostra esistenza come noi stessi,
ciò che siamo come pensatori – e non come organismi – non è indipendente
da questi memi.
Riassumendo: l’evoluzione dei memi ha il potere di contribuire
considerevolmente al potenziamento del progetto del sottostante
meccanismo del cervello – a gran velocità, se paragonato al passo lento con
cui Madre Natura affronta i compiti di ricerca e sviluppo genetici”.
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–L’intelligenza biologica–
Ma cosa sono in effetti i memi, informazione pura? E perché sono così
invasivi e altrettanto utili per noi (ma non solo per noi)?
L’informazione è stupida se nessuno la sa riconoscere o sfruttare ed è persa
se non trova un supporto durevole su cui fissarsi5.
Secondo Dawkins i memi sono entità a se stanti, ma non sono propenso ad
accettare una simile versione a cuor leggero, per quanto ritenga che la sua
teoria descriva un aspetto della realtà innegabile.
Se ammettiamo la BAO, i memi diverrebbero il codice di replicazione della
parte metabolica di un organismo, ed è per questo motivo che i memi
riescono a far breccia nei nostri cervelli, in particolar modo nella loro
porzione d’origine metabolica, non l’opposto come afferma Dawkins, che
vede nei memi un genere di vita replicante come il portatore di
informazione. Da notare come questo far breccia sia relativo al grado di
comunanza evolutiva. Scusate la notazione piccante, ma devo ammettere
che fui sorpreso quando potei fare un raffronto tra i gemiti
nell’accoppiamento di mammiferi come i gatti e i gemiti di certi individui
umani, molto simili e assolutamente diversi da quelli delle vipere (che si
accoppiano come i mammiferi essendo ovovivipari). Così com’è palese il
significato del guaire del noto “cane bastonato”. Esistono codici elementari
su cui possono viaggiare i memi, ma è improponibile insegnare ad un cane la
giustizia, mentre riesce a comprendere l’autorità nella gerarchia domestica,
la tristezza, il dolore e la paura nell’uomo pur essendo famiglie generi e
specie diverse (ma stessa classe). Ciò è da ricercare nella plasticità della
struttura cognitiva ad apprendere nuovi Buoni Trucchi e alla comunanza di
alcune strutture (il cervello protomammiferale, ad esempio), complete dei
loro Driver neurali-genetici. Occorre puntualizzare che le strutture sono il
più delle volte simili, ma non uguali, certamente compatibili grazie alla
sintonizzazione fine del metabolismo
La tradizione è portatrice della maggior parte dei memi ed è la strategia
riproduttiva del metabolita nell’organismo, di cui conserva la plasticità.
Vi siete mai chiesti perché un padre pur insegnando ad un figlio tutto ciò
che sa questi lo apprende in modo distorto e personale, pur conservando una
forte impronta, mentre la parte del genoma che c’è stato tramandato dai
genitori potrebbe essere replicato senza modifiche (in laboratorio però!)?
La tradizione è ciò che ci dovrebbe permette di partire da un livello più
elevato rispetto ai nostri predecessori, ma essendo a sua volta una
codificazione e largamente diffusa in certi situazioni perde un po’ in
elasticità, diventando a sua volta “geniforme”.
Se il gene egoista comporta una trascurabile partecipazione nella sua
attività mutagena (ripeto in condizioni normali, senza radiazioni e agenti
chimici di sintesi!) dell’ambiente e del singolo, limitandosi alla pressione
selettiva delle migliori “colonie” di nucleotidi esistenti, il metabolismo
5
Un’esperienza può essere tramandata ad altri raccontandola (cioè imprimendola nel cervello di un’altra
persona), oppure depositandola su carta (scrivere le proprie memorie), e, al giorno d’oggi, anche su nastro
magnetico o su un supporto digitale, sempre ammettendo di essere capiti o creduti e che il formato in cui
è codificato il messaggio sia usufruibile o sia stato aggiornato. Ma se uno raccontasse tutto al vento o
scrivesse un libro che nessuno mai leggerà?
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–L’intelligenza biologica–
culturale deve tanto al singolo come a tutto l’insieme della specie a cui è
affidato il compito di moltiplicare una data acquisizione, che però deve
essere abbastanza usufruibile dalla moltitudine (il singolo sul gruppo ed il
gruppo sul singolo: il cerchio della conoscenza).
Se ammettiamo che l’intelligenza sia una manifestazione del “metabolismo”,
si spiega la gran quantità d’apparenti contraddizioni rivelate dai tentativi di
misurarla, ma anche perché Terman abbia intuito che il test per la
valutazione del livello scolastico creato da Binet potesse essere usato per
misurare la sfuggente intelligenza.
In effetti, la capacità di poter usufruire della “tradizione” (recettività) è una
delle condizioni necessarie affinché l’intelligenza possa evolversi, sfruttando
quell’insieme d’acquisizioni simboliche che rendono performante il
metabolismo celebrale, ma anche che possa rendere disponibile a tutti il
prodotto del singolo. Come afferma Dennet [1991], che però non riconosce i
memi come parte e prodotto della plasticità fenotipica dell’uomo e di alcune
altre specie: “I miglioramenti del progetto che si ricevono dalla propria
cultura – raramente si deve «reinventare la ruota» – schiacciano
probabilmente la maggior parte delle differenze genetiche nel progetto del
cervello, eliminando i vantaggi di quelli che partono leggermente
avvantaggiati alla nascita”.
Ecco spiegato il peso che il mondo sociale ha nel definire ciò che è o non è
intelligente (il che non è detto che sia proprio così, ma n’è la conseguenza).
Allora la mente non è modulare come sostengono Gardner e Fodor (che
ammette però una parte orizzontale)?
Come ho scritto precedentemente esistono parti modulari e per rendersene
conto basta osservare un bambino. Il cervello si modularizza per migliorare
il file system, ma anche perché le informazioni dipartono da quelle parti
modulari (i Driver delle periferiche sensoriali e vitali) che abbiamo dalla
nascita, più ridotte di quanto ritengano gli autori citati sopra e in parte più
flessibili di quanto sia disposto a credere Fodor. E’ innegabile che la visione
o l’udito abbiano dalla nascita una serie di istruzioni basilari, dei Driver che
permettono di utilizzare questi potenti mezzi di misura (nella parte dedicata
ai rapporti tra l’intelligenza ed il mondo fisico chiarirò in che modo i sensi
sono strumenti di misurazione).
Da queste parti modulari parte il messaggio che, strada facendo, si deposita.
Come per il gioco dello psicanalista, si formano zone con concentrazioni di
informazioni (abilità) che fanno supporre a una struttura decisa a tavolino
dai geni ma che in realtà sono in parte casuali e in parte retti da poche e
semplici regole….
…Come ho già detto, è l’interpretazione a dare alle scoperte oggettive (o
meglio oggettuali) la chiarezza6. Più che una zona preposta al
6
Guardando una trasmissione sui “misteri” dell’antico Egitto, venne presentata una prova ben
documentata (fonte: Erodoto) sull’esistenza di iscrizioni misteriose sulla superficie delle piramidi di Giza.
Tutti gli ospiti non trovarono nulla da obiettare, finché non giunse un ulteriore esperto che definì la cosa
ovvia in quanto le persone a cui Erodoto chiese il significato delle iscrizioni erano analfabete. Un simile
errore fu indotto dal numero delle maestranze che utilizzavano la scrittura, interpretato dai Greci come
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–L’intelligenza biologica–
riconoscimento, potrebbe essere una zona in cui sono confluite le
informazioni da confrontare. Nel cervello, differentemente dal computer, le
informazioni non vengono “caricate”, ma molte sono già lì, tutto dipende
dalla mole di informazione che occorrerebbe “spostare”. Ulteriori
chiarimenti saranno dati nella parte sul rapporto tra intelligenza e mondo
fisico. Gli studi di Lurija sulle lesioni celebrali hanno dimostrato una certa
relatività nella disposizione delle “abilità”. Chi potrebbe dire com’è
lateralizzato il linguaggio in un ambidestro?
Recenti studi sui neonati hanno sfatato la reverie del bambino in uno stato
di agitazione generale. Il neonato, oggi, viene definito competente.
I Driver neurali, in questo caso identificati da noi come riflessi, assicurano
al neonato la sopravvivenza, pur essendo dipendente, ma lo rendono una
creatura estremamente modulare (ma non completamente).
La stretta della mano è spastica all’inizio, ma poi le dita diventano
indipendenti. E’ un risultato dovuto ad un ampliamento del modulo o ad una
progressiva demodularizzazione?
Leggendo Dewey [1922] ho trovato alcune considerazioni brillanti su questo
problema. In quest’autore, però, non si può pretendere di isolare uno scritto
che sia solamente psicologico, filosofico, pedagogico o sociale, perciò citerò i
passi omettendo l’invettiva sociale a cui sono collegati, ma che comunque
proprio da questo “insieme di cose”7 trae la sua validità.
“Osservate ciò che accade al pensiero quando l’abitudine è solo capacità di
ripetere atti senza pensiero. Dove esiste od opera il pensiero, se è escluso
dalle abituali attività? Tale pensiero non resta necessariamente escluso
dall’effettivo potere, dall’abilità di controllare gli oggetti e comandare gli
eventi?”
“Pure ogni abitudine implica una meccanizzazione. Non è possibile che vi sia
un’abitudine senza che si stabilisca un meccanismo d’azione, di natura
fisiologica, che operi <<Spontaneamente>>, automaticamente, ogni volta che
le venga dato il via. Ma la meccanizzazione non e necessariamente tutto ciò
che c’è nell’abitudine. Osservate le condizioni in cui si formano le prime abilità utili della vita. Quando un bambino comincia a camminare osserva
acutamente, esperimenta attentamente e intensamente. Egli cerca di vedere
quanto sta accadendo e vigila curiosamente su ogni incidente. Quel che gli
altri fanno, l’assistenza che gli danno, i modelli che gli propongono, non
agiscono come limitazioni, ma come un incoraggiamento ai suoi atti, come
rafforzamenti della sua percezione personale e del suo sforzo. Il suo
camminare vacillante è un romantico avventurarsi nell’ignoto; e ogni potere
conquistato è una deliziosa scoperta dei suoi propri poteri e delle meraviglie
del mondo. Noi non possiamo conservare nelle abitudini adulte quel sapore
di intelligenza e quella freschezza di soddisfazione che è nelle facoltà appena
conquistate. Ma vi è certo un termine medio tra un esercizio normale delle
facoltà che comprende qualche irruzione nell’ignoto e un’attività meccanica
una diffusa alfabetizzazione. Per quanto non sia una spiegazione incontestabile, è sicuramente una ottima
ipotesi che dimostra come il mistero possa essere semplicemente una cattiva formulazione delle ipotesi.
7
E’ un’espressione tipicamente ligure che, nella sua apparente inconcludenza, è carica di una visione
della realtà saggia e cognitivamente concreta e matura.
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–L’intelligenza biologica–
serrata dentro un mondo tedioso. Perfino a proposito delle macchine
inanimate noi classifichiamo come più elevata quell’invenzione che adatta i
suoi movimenti al variare delle condizioni.
Tutta la vita opera attraverso un meccanismo, e quanto più elevata è la
forma di vita tanto più è complesso, sicuro e flessibile il meccanismo. Questo
fatto da solo dovrebbe impedirci di opporre vita e meccanismo, riducendo con
ciò il secondo a automatismo senza intelligenza e la prima a un rumoroso
sfogo senza scopo. Come sono delicati, pronti, sicuri e varii i movimenti di un
violinista o di un incisore! Con quanta esattezza esprimono ogni sfumatura
di emozione e ogni snodarsi di idee! Il meccanismo è indispensabile.
Se si dovesse consciamente ricercare ad ogni momento ciascun atto e
intenzionalmente effettuarlo, l’esecuzione sarebbe faticosa ed il risultato
goffo ed impacciato. Eppure tra l'artista ed il semplice tecnico c’è una
differenza ineliminabile: l’artista è un tecnico sovrano; la sua tecnica o
meccanismo si compone di pensiero e sentimento.
L’esecutore meccanico lascia che il meccanismo determini l’esecuzione. Ci si
pongono di fronte due tipi di abitudine: quella intelligente e quella
routinière. Ogni vita ha il suo élan, ma solo il prevalere delle abitudini
morte riduce la vita a mero élan.
Eppure il comune dualismo di anima e corpo, pensiero e azione, è tanto
radicato che a noi viene insegnato (e si dice che sia la scienza a sostenere
tale insegnamento) che l’arte, l’abitudine, dell’artista viene acquistata per
mezzo di precedenti esercizi meccanici di ripetizione, il cui scopo è
conseguire l’abilità separata dal pensiero, fino a che d’improvviso,
magicamente, di questo meccanismo senz’anima si impadroniscono il
sentimento e l’immaginazione che lo fanno diventare un flessibile strumento
della mente. Il fatto, il fatto scientifico, è che anche nei suoi esercizi, nella
sua pratica per conseguire l’abilità, un artista usa un’arte che già possiede.
Egli acquista una maggiore abilità perché la pratica dell’abilità è per lui più
importante della pratica per l’abilità. Altrimenti una dote naturale non
conterebbe nulla e un numero sufficiente di esercizi meccanici renderebbe
chiunque esperto in qualsiasi campo. Un’abitudine flessibile, sensibile,
diventa più varia, più agevole con la pratica e l’esercizio. Noi non
comprendiamo ancora pienamente i fattori fisiologici riguardanti la routine
meccanica da un lato e l’abilità artistica dall’altro, ma sappiamo con
certezza che la seconda è abitudine tanto quanto i primi. Sia che si riferisca
al cuoco, al musicista, al falegname, al cittadino o all’uomo di stato,
l’abitudine intelligente e artistica è la cosa desiderabile, e la routine è la
cosa indesiderabile o almeno desiderabile e indesiderabile da tutti i punti di
vista…”.
Nei passi citati possiamo isolare alcune parole chiave: abitudine, pensiero,
intelligenza, routine, meccanismo.
Ciò che impreziosisce il tutto è il riferimento all’infanzia, periodo della vita
che il nostro autore riesce a cogliere in molti suoi aspetti con una lucidità
alle volte sorprendente.
Ad una certa età i bambini fanno dei movimenti simili a quelli che
impongono i terapisti alle persone affette da ictus al midollo, in cui i centri
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–L’intelligenza biologica–
del movimento sono rimasti integri, ma non vi sono più tutte le vie di
comunicazione tra le “periferiche”. Queste persone durante la riabilitazione
sembrano ripercorrere le tappe dello sviluppo degli infanti.
Tenendo conto della soggettività dei casi, chi riesce a recuperare una certa
funzionalità degli arti deve imparare prima a decontrarsi poi, attraverso
espedienti motori come tirare in dentro la pancia, ad aprirsi una via per il
muscolo che si vuole attivare. Tutto ciò è pensato (e faticoso) e soltanto dopo
lunghi periodi può ritornare “automatico”.
Sia nei bambini e a maggior ragione in questi pazienti esistono già dei
Driver, che però sono ancora non collimati.
Nei bambini sono presenti addirittura i “driver” della sessualità, come
insegna la teoria freudiana, e sono giustappunto “generici”.
Questi Driver sono di origine genetica e andranno a far parte di molte
abitudini di vita. Ma non tutte le abitudini nell’uomo sono formate dai geni,
anzi solo quelle legate ad esigenze particolari. Tutte le altre sono di origine
metabolica.
L’istinto è geneticamente determinato e non può essere modificato (a patto
di non modificarlo attraverso i geni), la routine è un’abitudine irrigidita che
simula l’istinto.
L’abitudine vera e propria è invece elastica, ma ha in comune con le altre
due la sua natura di meccanismo.
Siamo tornati al punto di partenza?
No, perché pur trattandosi di “meccanismi” la loro natura è diversa!
Il meccanismo metabolico è una serie di reazioni collegate tra loro, ma non
come catene e pulegge; è più simile ad una “situazione”. Il meccanismo di
origine genetica è invece basato sul concetto di condizionamento classico.
“Le abitudini sono condizioni dell’efficienza intellettuale; esse agiscono sopra
l’intelletto in due maniere. Da un lato è ovvio che ne restringono il campo e
ne fissano i limiti. Esse sono dei paraocchi che circoscrivono gli occhi della
mente alla strada che sta davanti, esse impediscono al pensiero di
allontanarsi dalla sua occupazione immediata per godere di una visione più
varia e pittoresca, ma insignificante rispetto alla pratica. Fuori dal campo
delle abitudini il pensiero lavora a tastoni, brancolando in una confusa
incertezza; ma l’abitudine divenuta totale nella routine imprigiona il
pensiero in modo cosi deciso che di esso non si sente più il bisogno o diventa
impossibile… L’abitudine tuttavia è qualcosa di più che una restrizione
posta al pensiero. Le abitudini diventano limiti negativi perché sono
anzitutto forze positive. Quanto più numerose sono le nostre abitudini, tanto
più vasto è il campo delle osservazioni e delle previsioni possibili. Quanto
più esse sono pieghevoli, tanto più raffinata è la percezione nella sua
capacità discriminativa e tanto più delicata è la rappresentazione evocata
dall’immaginazione. Il marinaio si trova intellettualmente a casa sua sul
mare, il cacciatore nella foresta… ” [Dewey, 1922].
Siamo tornati al concetto di fenotipo (intellettuale) e di plasticità, a cui si è
aggiunto il parallelo tra abilità e abitudini.
Com’è stato chiarito precedentemente una specie plastica ha maggiori
possibilità di apprendere un Buon Trucco che ne avvantaggia la
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–L’intelligenza biologica–
sopravvivenza, permettendo di sfruttare talvolta nuove nicchie, come ad
esempio il mare, e le acquisizioni metaboliche sono state rese tramandabili
dalla tradizione (cultura). Le codificazioni, in vero, tendono alla rigidità, ma
l’origine di questa in particolare è la plasticità metabolica danno appunto la
caratteristica di performazioni (abitudini o abilità) regolative
dell’intelligenza. La performazione consiste nel rendere capace la mente
(cervello) di reagire ed agire: un ciclista allena il suo corpo per essere in
grado di affrontare le infinite variazioni di una gara, potrebbe non vincere
anche se si è allenato bene, ma il poter essere sempre con i primi gli concede
la possibilità di tentare il colpaccio (volata, fuga o sprint agli ultimi tre
chilometri) che non avrebbe se fosse relegato a fondo gruppo.
La performazione è nata per uno scopo pratico. L’abilità è diversa, anche se
permeata, dall’intelligenza.
Ma questa performazione culturale è comunque, come ha notato Dawkins,
genosimilare. E’ corretta la definizione di Dennet quando afferma che i
memi sono una macchina virtuale da installare.
Annette Karmiloff-Smith [1992] ha teorizzato che l’apprendimento avviene
in modo dominio-specifico, e dove il programma prespecificato è poco più
d’una traccia ci sia ampio margine per l’intervento ambientale. Nel bambino
all’inizio le informazioni provenendo dall’esterno risultano incapsulate,
modulari, successivamente attraverso una rielaborazione interna avviene
un processo di ridescrizione rappresentazionale che permette un miglior
recupero ed un maggior controllo dell’informazione.
Tutti cercano dei siti celebrali, compresa l’autrice che sostiene i domini
specifici, in cui riscontrare delle abilità-quasi intelligenze, ed ora si esce con
un quid che non si trova?
La progressiva demodularizzazione potrebbe essere in un certo senso un
inganno. I processi più rapidi e pregnanti di apprendimento sembrano
essere quelli del condizionamento. Il condizionamento classico S-R fornisce
risposte rapide e incontrollate (o poco controllate). Esperimenti un po’ di
cattivo gusto come quello di John B. Watson che seppe stimolare la paura
per un grazioso topolino (così lo vedeva il bambino prima dell’intervento del
noto psicologo-pubblicitario) in un bambino (ma poi rimediò
decondizionandolo, non vi preoccupate!), hanno dimostrato che
l’apprendimento urgente e vitale (poi spiegherò l’uso di questi termini) è
proprio basato sul S-R. Come ho accennato precedentemente, l’evoluzione ha
selezionato le colonie di DNA che fornivano un miglior supporto hardware
per l’apprendimento. Il nostro corredo genetico potrebbe aver previsto che in
certe condizioni sia più utile avere delle risposte immediate ma stupide.
Stich [1991] critica Sober [1981 sulla bontà della cognizione selezionata
dalla natura, cioè che la conoscenza corretta è indispensabile per una
miglior possibilità di sopravvivere asserendo che è meglio sbagliarsi.
“Si dovrà tener conto di tali spese nel determinare l’adattamento totale di
un sistema inferenziale geneticamente codificato. Se i costi sono molto alti, e
se è disponibile un’alternativa che svolge un lavoro minore, ma pur sempre
accettabile nel generare verità, allora la selezione naturale può preferirlo.
Sober fa questa osservazione utilizzando la bella analogia fra selezionare un
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–L’intelligenza biologica–
sistema di inferenza e selezionare il servizio di un detective. Se avete
bisogno di informazioni di un certo tipo, potreste essere indotti ad assumere
un detective. Più soldi gli date, più cose scoprirà. Ma, tipicamente, si
giungerà a un punto in cui le informazioni supplementari non valgono la
spesa supplementare. …Il risultato di queste riflessioni è che la selezione
naturale potrebbe facilmente selezionare un sistema inferenziale meno
credibile, rispetto a uno più credibile, se il sistema meno credibile presenta
un livello più alto di adattamento interno. Ciò che rimane da argomentare, a
questo punto, è che un sistema inferenziale più credibile può rimanere
indietro rispetto a un sistema meno credibile, anche per quanto concerne
l’adattamento esterno.
Per cominciare, dovremmo notare che esistono due modi molto diversi in cui
un sistema inferenziale può fornire la risposta sbagliata. Un modo consiste
nell’inferire che è il caso che p quando di fatto non è il caso che p. Seguendo
la pratica standard, chiamerò tali errori falsi positivi. L’altro modo consiste
nell’inferire che non è il caso che p quando di fatto è il caso che p. Questi
sono i falsi negativi. L’osserva-zione successiva è che vi sono molte
circostanze del tutto ordinarie in cui un tipo di errore inferenziale può
essere relativamente non importante ai fini dell’adattamento dell’organismo, mentre l’altro tipo può essere enormemente dannoso. Consideriamo, ad
esempio, il problema di determinare se un certo tipo di cibo sia velenoso. Per
un onnivoro che vive in un ambiente eterogeneo a livello gastronomico, un
falso positivo riguardo a un problema del genere sarebbe relativamente
irrilevante. Se l’organismo arriva a credere che qualcosa è velenoso mentre
non lo è, eviterà quel cibo inutilmente. Ciò avrà verosimilmente un piccolo
impatto negativo sulle sue probabilità di sopravvivenza e di riproduzione. I
falsi negativi, d’altro canto, sono molto più costosi in situazioni simili. Se
l’organismo arriva a credere che un certo tipo di cibo non è velenoso mentre
lo è, non eviterà il cibo e correrà un notevole rischio di ammalarsi e di
morire, Posta di fronte a una situazione del genere, una strategia
inferenziale che porti con sé un livello molto alto di adattamento esterno
sarebbe una strategia altamente avversa al rischio, in base alla quale si
inferirebbe che un tipo di cibo è velenoso basandosi su prove relativamente
deboli. Una simile strategia genererebbe un notevole numero di falsi
positivi, poiché l’organismo salterebbe alla conclusione che il cibo in
questione è velenoso sulla base di prove deboli e non conclusive. Ma ciò non
ha troppa importanza, poiché i falsi positivi in questa situazione sono
economici. Essendo molto veloce a concludere che il cibo in questione è
velenoso, la strategia eviterebbe in gran parte i falsi negativi. E ciò è
importante, poiché i falsi negativi sono letali.
Per completare l’argomentazione, rimane da notare che una strategia
inferenziale molto cauta e avversa al rischio – una strategia che, basandosi
su un’evidenza anche molto piccola, salta alla conclusione che esiste un
pericolo – generalmente condurrà più spesso a credenze false, e meno spesso
a credenze vere, rispetto a una strategia meno sensibile, che attenda di
avere maggiori prove prima di dare un giudizio. Ciononostante, la strategia
non affidabile, incline all’errore e avversa al rischio avrà una notevole
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–L’intelligenza biologica–
probabilità di essere favorita dalla selezione naturale. La selezione naturale
non si preoccupa della verità: si preoccupa soltanto del successo
riproduttivo. E, dal punto di vista del successo riproduttivo, spesso è meglio
essere sani (e in errore) che dispiaciuti. Quello che abbiamo dimostrato,
quindi, è che un sistema inferenziale può avere un livello maggiore di
adattamento esterno rispetto a un altro, sebbene quest’altro sistema, meno
adattivo, compia meno errori e fornisca più spesso la risposta giusta”.
In effetti, la prospettiva di Stich è l’arma vincente che ha sicuramente avuto
riscontri evolutivi. Nei nostri abiti mentali esiste la paura del diverso, dello
straniero, di ciò che sfugge alla nostra conoscenza. Ovviamente, data la
migliore performance della conoscenza sull’ignoranza, questa diventa una
risorsa da giocare in situazioni particolari.
Il tipo di modularità appresa accettato dalla professoressa Karmiloff-Smith
è più moderato, ma risente del fatto che si fa di un meccanismo di estrema
sopravvivenza la norma.
Gli autistici8 sono la concreta realizzazione evolutiva di ciò che Sober e Stich
hanno immaginato. Non importa se ciò che vedono sia o non sia un pericolo,
tutto ciò che è estraneo può essere (e per loro è) fonte di pericolo e dolore.
Oggi è stata riconosciuta, dopo tanti anni d’accuse ingiustificate alle madri e
al loro atteggiamento, l’origine genetica di questa malattia.
Questo handicap, che, come è noto, talvolta dona abilità sorprendenti, è
stato utilizzato a fini teorici per motivare la natura dominio-specifica delle
abilità, ma una simile interpretazione non ha ragione d’essere un indizio,
essendo interpretabile in molti modi. Innanzitutto occorre tener presente la
natura falsata della cognizione atta a creare falsi positivi e la possibile
iperattività dell’apprendimento “condizionato”, che data l’ottima prestazione
reattiva è adatta ad un quadro teso a nuove risposte sopravvivenza.
Gli autistici potrebbero essere indotti dal genoma ad avere una minore
plasticità (quindi minor spazio per il metabolismo) in cambio d’una migliore
rapidità d’azione. Il ritirarsi in se nelle fasi emotivamente e cognitivamente
(due aspetti che nella vita non sono separati) più impegnative, come di
fronte all’ignoto, potrebbe essere una tattica per evitare il sovraccarico
funzionale di un sistema performativo troppo spinto e rigido (come quando
un amplificatore “va in protezione”). Ciò che si chiedeva Fodor può riferirsi
all’autismo: “Ottenere il meglio da sistemi stupidi ma veloci o da sistemi
lenti ma intelligenti?”. Il meccanismo stupido ma veloce sembra essere la
soluzione che il portatore di informazione ha provato in questi soggetti. Per
ciò che riguarda le abilità si può affermare che i Driver innati generano dei
dominii, ma, ciò si vedrà nella prossima parte sulla relazione tra
intelligenza e mondo fisico, condividono lo stesso linguaggio e probabilmente
non sono rigidamente specifici. Il fatto è che il metabolismo plastico ha
bisogno di più tempo per creare un “situazione” (da non confondere con
“stato”) in cui tutto possa collaborare per creare un “mondo” di informazioni.
8
Probabilmente oggi indichiamo con autismo una serie di patologie similari. In questo caso mi riferisco a
quei soggetti definiti “macchine” o “computer” umani.
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–L’intelligenza biologica–
Per comporre questa tesi ho appreso molte più informazioni di quante ne ho
usate, ma da ciò che ho e non ho accettato è nata la mia opinione.
Dopo aver presentato la foto smembrata a pagina 27, ho affermato che il
tutto è più della somma delle singole parti. Con “tutto” intendo non solo ciò
che è in atto e ciò che è in potenza, ma anche ciò che non è (le carenze). Una
forma particolare di situazione è il Sé. Pensando gli altri, ma anche noi
stessi, ci rendiamo conto che le persone hanno possibilità, capacità e
carenze. tutto questo è parte del “suo proprio”. Diciamo, ad esempio, che
Carla è una buona segretaria, una madre scrupolosa, ma è incapace di
amare. Dennet parla di Centro di Gravità Narrativa, ma questa è una
visione più ridotta che non esula dal concetto di “situazione”.
Tornando in ambito strettamente cognitivo, la “situazione” generale
permette di trascendere le singole abilità, che sono “situazioni” specifiche,
nate dal deposito d’informazioni metabolizzate (in altre parole, fatte proprie
grazie all’intelligenza).
Quando il piccolo Gauss, che sarebbe diventato un famoso matematico, era
ancora alle scuole primarie, gli fu dato il compito di sommare le serie dei
numeri dall’1 al 10. Mentre i coetanei erano ancora intenti ad effettuare le
singole operazioni di somma, il bambino alzò la mano e consegnò il compito
già eseguito.
Con geniale intuizione egli aveva compreso che, invece di sommare
semplicemente i termini consecutivi come se si trattasse di una serie
qualunque di numeri senza alcuna correlazione tra loro, poteva scomporre le
serie in un certo numero di coppie uguali, ottenute sommando tra loro gli
estremi e i numeri equidistanti dagli estremi, e moltiplicare questo valore
costante per il numero delle coppie: ha costatato vale a dire che le somme
10+1, 9+2, 8+3, 7+4, 6+5, sono tutte uguali a 11 e bastava pertanto
moltiplicare 11 per il numero delle somme vale a dire 5.
Anziché impostare il problema come avevano fatto tutti gli altri bambini,
egli impostò il problema comprendendo la funzione della struttura della
successione, e scoprendo gli intimi rapporti esistenti fra i diversi elementi
della stessa, in relazione alla loro somma.In questo procedimento è stato
compiuto un nuovo raggruppamento, una riorganizzazione delle serie; gli
elementi hanno assunto un nuovo significato: il 9, per esempio, non è più
visto come il numero successivo all’8, cioè 8+ I, ma è diventato il numero che
dista un’unità dall’estremità della serie, cioè 10 – 1; cosi l’8 non è più visto
come successivo del 7, ma come il numero che dista due unità dall’estremità
della serie.
E’ probabile che abbia “visto” i numeri, infatti se noi visualizziamo la
soluzione la sua comprensione diventa meno macchinosa:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
.
.
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.
.
__ __
.
.
.
.
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–L’intelligenza biologica–
.
. .
. ____ ____ . . .
.
.
. . ________ ________ . .
.
.
. ___________ __________ .
.
________________ ________________
Wertheimer ha proposto questo problema a diversi soggetti e ha potuto
trovare tre tipi differenti di soluzioni, che si servono di diversi procedimenti
per giungere allo stesso risultato, ma in tutti i casi era presente uno sforzo
per cogliere le intime relazioni strutturali della situazione data; proprio da
questo orientamento scaturiva la soluzione genuina, intelligente.
“ Ci costruiamo schemi e mappe e ogni sorta di grafici codificati con colori
per fare in modo che gli aspetti costanti e salienti dei dati «emergano da
soli», grazie ai nostri sistemi visivi. I disegni non ci aiutano solamente a
vedere configurazioni che sarebbero altrimenti impercettibili; ci aiutano a
tener conto di ciò che è rilevante e a ricordarci di fare le domande giuste al
momento giusto.Questa tattica è sicuramente ben conosciuta da molti acuti
pensatori ed è stata descritta meravigliosamente da uno dei più acuti di
tutti i tempi, il fisico Richard Feynman, nel suo Sta schedando, Mr
Feynman! (1985). Nel capitolo giustamente intitolato: «Una differente
scatola di attrezzi», egli racconta come stupiva i suoi compagni nei corsi di
specializzazione a Princeton «intuendo» la verità o la falsità di arcani
teoremi di topologia, teoremi che egli era assolutamente incapace di
derivare formalmente o perfino comprendere pienamente:
Applicavo uno schema che utilizzo ancora oggi quando qualcuno spiega una
cosa che voglio capire: continuo a fare esempi. Facciamo il caso di
matematici che intuiscono un teorema fantastico. Mentre mi dicono le
condizioni del teorema, mi costruisco un modello che vi si adatta. Abbiamo
un insieme (una boccia, traduco io) [...] disgiunto (due bocce). Poi nella mia
testa la boccia prende colore, si copre di peli man mano che aggiungono altre
condizioni. Quando poi arriva il teorema, una qualche stupidata che non
corrisponde per niente alla boccia verde e pelosa che ho in mente, rispondo
«falso».
Se invece è corretto, loro si esaltano, io li lascio andare avanti per un po’, poi
tiro fuori il mio controesempio.
«Oh, ci siamo scordati di dirti che si tratta di un omomorfismo di Hausdorff'
di classe 2...»
«Allora, è proprio elementare», dico io, «elementare». A questo punto ho
capito come va a finire, anche se non so niente degli omomorfismi di
Hausdorff.
Tattiche del genere «sono naturali» in un certo senso, ma devono essere
apprese o inventate, e alcune persone ci riescono meglio di altre. Quelle con
abilità più sviluppate hanno nel cervello delle macchine virtuali differenti,
con poteri notevolmente differenti da quelli delle persone che «visualizzano»
raramente e con difficoltà. E le differenze emergono facilmente nei loro
mondi eterofenomenologici individuali.
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–L’intelligenza biologica–
Allora ci sono buone ragioni per credere, come Kosslyn e altri hanno
sostenuto, che gli esseri umani mettano in funzione i loro sistemi visivi non
solo per presentare a se stessi le immagini reali, esterne (come sul CRT dei
sistemi CAD), ma anche immagini virtuali interne o rappresentazioni di
dati in forma di disegni che sono provocate endogenamente e in modo
personale, e costituiscono un adeguato materiale grezzo per gli stadi
ulteriori del meccanismo dell’elaborazione visiva” [Dennet, 1991].
Nella parte dedicata ai rapporti tra intelligenza e mondo fisico metterò in
luce il “formato” comune di abilità diverse, il loro formato comune ed è
perciò ipotizzabile che le stesse informazioni possano essere usufruite in
forme diverse, ed entrare a far parte di una “situazione” più ampia.
Normalmente si sfruttano i formati più convenienti, altre volte non siamo in
grado di accertare il formato più utile e ci limitiamo ad utilizzare quello
“originale” (derivante dalla zona di stoccaggio) o quello dettato dalle abilità.
Un esempio è il ragionamento sillogistico. Molti errori di ragionamento
potrebbero essere evitati se si sfruttasse il formato visivo- spaziale, come il
seguente
Il primo è “tutti gli A sono B”, il secondo “nessun A è B”, il terzo e il quarto
“alcuni A sono B”. Gli errori legati a quest’ultima affermazione sono
piuttosto frequenti, poiché, come indica la croce, si tratta di una frase che
accumula almeno due situazioni diverse. La visualizzazione chiarifica il
tranello e aiuta il corretto ragionamento. Ciò vale anche per il primo caso in
cui “tutti gli A sono B” non comporta che “tutti i B siano A” ma solo alcuni,
infatti non tutte le universali affermative sono del tipo “tutti gli angoli retti
sono 90°”, che è riferita all’asserzione “tutti gli a sono B e tutti i B sono A”.
La stessa mnemotecnica sfrutta i “loci” per rendere il recupero delle
informazioni più rapido e completo.
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–L’intelligenza biologica–
Intelligenza e abitudini.
L’attività dell’intelligenza consiste nel “metabolizzare”, cioè adattare,
aggiornare, fare proprie nuove alternative. E’ un processo performante che
può essere performato. L’intelligenza si distingue dall’abilità, poiché queste
sono per lo più performazioni, in buona parte tracce lasciate dall’attività
intelligente (ma non solo), come la scia di una lumaca, rigide o quasi,
debitrici all’intelligenza stessa delle ulteriori sintonizzazioni fini o degli
aggiornamenti. Le abilità sono vagamente simili ai Driver neurali-genetici.
Dewey [1922] sintetizza, con gran lucidità, le loro differenze e le peculiarità
nei passi seguenti:
“La vita è costituita di. interruzioni e di ricuperi… Ma un fattore nuovo
nell’ambiente libera qualche impulso che tende ad iniziare un’attività
diversa e incompatibile, a provocare una nuova e diversa distribuzione degli
elementi dell’attività organizzata fra quelli che sono stati rispettivamente
centrali e sussidiari… Il disturbato adattamento fra organismo ed ambiente,
si riflette in un temporaneo contrasto, che si conclude con un venire a patti
della vecchia abitudine col nuovo impulso. Quando le abitudini organizzate
sono sviluppate e messe a fuoco, in modo definito, la situazione confusa
assume una forma; vien “chiarita” – e questa è la funzione essenziale
dell’intelligenza… I processi diventano oggetti. Senza abitudine vi sarebbe
solo uno stato d’irritazione e di confusa esitazione. Con la sola abitudine non
vi sarebbe che una ripetizione meccanica, un ricorrere sempre uguale dei
vecchi atti. Col contrasto delle abitudini e con la liberazione dell’impulso ha
luogo invece la ricerca cosciente”.
Dewey limita la performazione dell’intelligenza all’esistenza delle abitudiniabilità, ma, per quanto sia in gran parte così, è una visione riduttiva.
Un pilota di Formula uno ha sviluppato, in anni di attività, una serie di
caratteristiche fenotipiche. E’ chiaro che l’abilità sviluppata è quella della
guida, ma la base organica che si è venuta a formare gli permetterebbe,
dopo un adeguato addestramento tecnico, di pilotare un caccia
dell’Aeronautica Militare o di intraprendere la carriera d’astronauta.
L’addestramento tecnico sarebbe mirato a sviluppare l’abilità specifica, cioè
legata alla gestione del mezzo (aereo o astronave), ma sarebbe la
performazione fisica (capacità di sopportare le accelerazioni, riflessi, ecc…) a
permettere all’ex pilota un buon approccio (se non la reale possibilità).
Il sottoscritto potrebbe salire su un caccia, ma, per motivi fisiologici,
dovrebbe aumentare la quantità d’ossigeno nella miscela del respiratore,
diversamente l’apparato vestibolare andrebbe “in panne” (con le relative e
sgradevoli reazioni). Una maggiore quantità d’ossigeno, a lungo andare, non
è salutare e perciò non potrei abbracciare la carriera di pilota delle Frecce
Azzurre. Fisichella, invece, ha molte più possibilità di me. Ovviamente
“Fisico” non è nato certamente come è oggi, lo è diventato.
Ho preso come esempio la Formula uno perché il numero di piloti con
caratteristiche tali da permettere di gareggiare ad alti livelli è parecchio
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Pag. 38
–L’intelligenza biologica–
superiore al numero dei posti disponibili, mentre in sport come il ciclismo le
caratteristiche richieste sono più aleatorie.
Il metabolismo è sempre metabolismo, sia esso fisico o mentale.
Vi è mai capitato di non ricordare se avete chiuso la porta o di esservi lavate
le mani tornati a casa. Se vi è successo, avrete sicuramente stabilito che in
quel momento eravate sovrapensiero. In effetti la distrazione ha permesso al
meccanismo di procedere anche, diciamo così, “in vostra assenza. E’
strabiliante costatare il numero di operazioni complesse che l’abitudine può
reggere. Purtroppo la vostra conclusione è stata resa orfana di alcune
condizioni necessarie. Se, al mattino, vi foste “tirati dietro la porta” e, un
secondo dopo, al chiudersi della serratura, aveste realizzato di aver lasciato
le chiavi all’interno della toppa, dubito che possiate dimenticarvi, sempre
che non siate colti da un aneurisma, di aver chiuso l’uscio. Oltre ad essere
“assenti”, occorre che non accada nulla di insolito. L’abitudine non aggiunge
nulla alla “situazione” già formata, è l’intelligenza ad occuparsi di ciò.
Torniamo alla porta. Raccontando la vostra disavventura agli amici o ai
colleghi, riporterete (o, perlomeno, sareste in grado di farlo) tutti i tentativi
realizzati o ideati per risolvere il fastidioso inconveniente. Avete cercato una
soluzione intelligente, sempre che non abbiate deciso di urlare, prendendo a
calci la porta; in questo caso è l’impatto emotivo a potenziare il ricordo, ma
normalmente non sarete in grado di descrivere un granché di ciò che
avevate intorno. Nel caso che abbiate usato l’intelligenza, avrete
sicuramente esplorato i dintorni per trovare qualcosa per forzare la porta.
Se avete un po’ di risorse intellettive, sarete riusciti a “vedere” nella
bottiglia di plastica, che sbucava dal sacchetto dell’immondizia, un oggetto
in grado di passare nella fessura del battente e utile per far scattare la
cricca. Così come l’avevate in mano, non avrebbe mai potuto passare; avete
dovuto modificarla (tagliarla e appianarla). Se non eravate muniti di coltello
(e normalmente le persone non girano con certi attrezzi), avrete dovuto
trovarne un sostituto valido. Uno sguardo allo stesso sacchetto…ed ecco il
coperchio di un barattolo. Se non avete dovuto ricorrere alle cure del pronto
soccorso, significa che vi siete adeguatamente protetti contro tagli
indesiderati. Tutto ciò, non solo le soluzioni, ma anche il modus operandi,
ora fa parte di voi. Le soluzioni andranno ad alimentare le abilità, l’esercizio
di “inventiva” e riciclo andrà a performare l’intelligenza.
Le soluzioni intelligenti, però, possono essere anche per lo più inconsce.
Tornando al nostro esempio, immaginate di non aver pensato
sistematicamente alle risorse, ordinarie e alternative, che avevate a portata
di mano, ma di aver preso in considerazione l’intervento di un fabbro.
Mentre cercavate di stabilire se fosse più rapido l’arrivo del fabbro o dei
pompieri (la categoria effettivamente più richiesta per questo genere di
interventi), improvvisamente venite fulminati da un’intuizione: la bottiglia!
Mentre la vostra parte cosciente si perdeva in richieste di aiuto, il resto di
voi, autarchico e desideroso di una soluzione rapida, ha continuato a
sondare diverse opportunità. Il lavoro della vostra parte inconscia è stato
comunque intelligente!
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–L’intelligenza biologica–
Si potrebbe obiettare che nella nostra soluzione siano convenute esperienze
precedenti (nel caso specifico sappiamo come è strutturata la serratura),
nostre o riportate, cioè lette, raccontate da un nostro conoscente o udite per
caso durante un viaggio in treno. Il mito dell’intelligenza è legato alla
possibilità di “inventare” dal nulla. La realtà, invece, è molto più prosaica:
anche se eliminassimo tutte le nostre conoscenze e mantenessimo la nostra
intelligenza formata (cosa piuttosto improbabile, poiché si minerebbero le
“situazioni”), il semplice uso dei sensi implicherebbe i Driver neuraligenetici, che sono “esperienze” mai fatte ma fornite insieme alle
“periferiche” per il loro funzionamento. Non si parte mai dal nulla!
Teoria dell’intelligenza biologica:
L’intelligenza è un aspetto del metabolismo; è una facoltà
permeante, performante e performabile; è un processo che
tende all’equilibrio dinamico.
Corollario:
In una società entusiasta della chimica e del “meccanismo”, è possibile che le
parole di questa tesi vengano fraintese. L’intelligenza ed il pensiero possono
essere il risultato di reazioni chimiche, ma non sono solo reazioni chimiche.
Il mezzo più diretto e comune per intervenire sul metabolismo del pensiero è
la parola. In queste pagine ho riportato l’esperimento di Schachter e Singer
e ho messo in rilievo il potere della parola nel preparare il metabolismo del
pensiero a reagire all’alterazione chimica in atto.
Il concetto probabilmente nasce da un “costrutto” chimico, diviene un
“costrutto” fisico e si riconverte in “costrutto” chimico, che però è diverso
(direi soggettivo) da quello iniziale dal punto di vista chimico, ma molto
simile al precedente in termini di “informazione”. Non si può parlare di
identità delle occorrenze, ma di trasformazione. E’ possibile alterare il
pensiero chimicamente a livello molare, ma i risultati dello stesso sono
pericolosamente imprevedibili, poiché si agisce al di fuori dell’equilibrio
dinamico che ha stabilito un dato organismo per se solo.
E’ vero che alcune “sostanze” o la lobotomia alterano il funzionamento della
mente-cervello, ma è come amputare un arto o prendere a martellate lo
spinterogeno di un’automobile, che è cosa assai diversa da una
“elaborazione” o dalla messa a punto, ottenibile in questo caso con la parola
(anche aiutata da sostanze che possano riequilibrare scompensi metabolici
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Pag. 40
–L’intelligenza biologica–
purché molari). Nel valutare l’intelligenza occorre tener presente l’aspetto
metabolico, fenotipico ed individuale, della sua natura, ma non bisogna
limitarsi allo studio della chimica del cervello a scapito del “formato”, ne
scordare l’aspetto dinamico che si accompagna ad ogni processo.
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Pag. 41
Appendice
concettuale
Si è resa necessaria un’appendice per chiarire ed ampliare quei concetti che,
nella stesura del testo, avrebbero spezzato la linearità del ragionamento, o a
causa dell’eccessiva estensione o perché argomenti correlati o conseguenti
ma non direttamente affrontati.
Tutti i concetti che hanno trovato adeguato spazio nel corpo della tesi, non
sono qui riportati.
Principio d’indeterminatezza biologica.
Il principio d’indeterminatezza biologica deriva dal principio di
indeterminazione di Heisenberg. Questi affermò che è impossibile misurare
contemporaneamente la posizione e la velocità (o l’impulso) di una particella
e ciò, poiché rendeva impossibile predire in modo esatto la posizione di una
particella, costringeva a previsioni di carattere statistico, nelle quali si
tratta di prevedere non tanto la comparsa di un certo evento, ma il grado di
probabilità del fatto che esso avvenga. Ciò inficiava il principio classico di
causalità, secondo cui attraverso l’esatta conoscenza dello stato presente di
un sistema isolato, si può prevedere esattamente il suo stato futuro.
Benché i fisici siano affezionati all’idea di “sistema isolato”, nella realtà non
esiste nulla di simile, né rispetto allo spazio (i vari sistemi, considerati
isolati, s’influenzano tra loro sia all’interno dello stesso universo o
multiverso che in universi non materiali [il “Vuoto” che circonda il nostro
universo e permea la nostra materia non è necessariamente il Nulla1, è
semplicemente non materia →universo sinolico]), né rispetto al tempo (tutto
è un processo il cui inizio primordiale ci sfugge).
Proprio la natura di processo delle manifestazioni biologiche le rende
imprevedibili, soprattutto se viene applicato ad esse una struttura
conoscitiva rigida e micrometrica.
L’applicazione di modelli “molari” risente meno dell’influsso delle
micromolteplici varianti. Bachelard ricordava che per determinare la
circonferenza di un tronco d’albero è inutile utilizzare il π arrotondato alla
quarta cifra decimale, ma è sufficiente una buona approssimazione (prima o
seconda cifra decimale).
Un buon modello è il modello che ha saputo raggiungere la migliore (e
minore) approssimazione sostenibile.
Una buona approssimazione è ciò che rende le menti (anch’esse vittime
dell’indeterminatezza) adatte al loro ambiente non troppo prevedibile!
Entropia.
Per i fisici l’entropia è legata al grado di disordine in cui si trovano gli
elementi microscopici che costituiscono il sistema; in ogni sistema isolato, e
quindi nell’intero universo, l’entropia non può mai diminuire.
Partendo dal presupposto che il disordine non esiste, l’entropia si annulla
alla constatazione che si passa da un ordine ad un altro alternativo.
Negli organismi, addirittura, ci si può riavvicinare all’ordine primitivo,
poiché, se l’informazione (genetica) lo permette, l’informazione fornisce la
matrice originaria.
1
Un giorno un luminare della fisica chiese ad un giovane Zichichi cosa ci fosse fuori dall’universo ed egli
rispose “tutto, purché non sia materia, spazio e tempo”.
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La Turritopsis Nutricula, scoperta dal Prof. F. Boero dell’Università di
Lecce, quando arriva alla “vecchiaia” (la vecchiaia in una certa ottica può
essere considerata il prodotto dall’accumularsi di “errori” entropici), è in
grado di riorganizzare le proprie cellule fino a (diciamo così) tornare
giovane.
L’entropia non esiste, soprattutto rispetto nei confronti delle potenzialità
biologiche. L’entropia inizia dove finisce la capacità di comprensione dei
nostri modelli (deterministici).
Ogni trasformazione implica un nuovo ordine, anche se l’ordine è quello
primigenio, ma mai il disordine.
Nelle cellule ciò che può sembrare entropia è programmato
dall’informazione stessa.
Modelli molari.
I modelli molari, oltre a ridurre l’influsso dell’indeterminazione, hanno la
capacità di preservare l’informazione significativa alla descrizione fornita
dal modello.
Nella parte sui rapporti tra intelligenza e mondo fisico, ho messo in rilievo
la differenza tra un modello preciso e micrometrico di sedia e il
corrispondente modello molare: il primo perdeva irrimediabilmente
l’immediatezza dell’informazione “per sedersi”, il secondo ignorava la
struttura interna, ma era il più adatto per concepire l’arredamento di una
casa o per informare una persona della possibilità di utilizzare una
“struttura fisica” per appoggiare comodamente il fondoschiena.
Ai fini psicologici (e non solo) ciò si traduce in questa pregnante nota di
Piaget alla “Formazione del simbolo nel bambino”:
“E' divertente, dopo quanto detto, costatare la meraviglia di Wallon quando
scopre che « se il potere assimilarore di Piaget è capace di fare scavalcare le
differenze di campi sensorio-motori, ciò significa che è dotato anch’esso di
una struttura, i cui livelli condizionano 1’esperienza e nello stesso tempo ne
risultano ». Quanto a questi livelli, Wallon sembra persuaso che noi
vogliamo ignorare tutto delle coordinazioni organiche per isolarci in una
pura « psicologia della coscienza ». E' vero che abbiamo dimenticato di
segnalare che lo stadio I degli « schemi riflessi » corrisponde a ciò che i
fisiologi chiamano i riflessi, che lo stadio III della coordinazione tra la
visione e la prensione corrisponde alle connessioni che si stabiliscono tra le
correnti nervose legate alla funzione dell’occhio ed a quella della mano ecc.
Ma, una volta riparato a quest’oblio, ci si può domandare se non sia più
vantaggioso lasciare al neurologo la cura di determinare da sé le varie
coordinazioni fisiologiche interessate e limitarci a fornirgli un’analisi delle
condotte il più possibile completa, espressa nel linguaggio non della
coscienza ma delle « operazioni », vale a dire dell’azione. Quando si avrà una
convergenza tra i due metodi ne deriverà una sicurezza certamente
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maggiore che non a volere fin da ora colmare i vuoti della neurologia
mediante una psicologia fin troppo disposta a rendergli questo servizio, o
tappare i buchi della psicologia mediante una neurologia che e fin troppo
docile anch’essa, come la dimostra la storia delle idee relative alle
localizzazioni cerebrali. Che Wallon si rassicuri dunque: noi ammettiamo
con lui che le coordinazioni sensorio-motrici corrispondono a degli organi e
continueremo persino, suo malgrado, a credere in un parallelismo psicofisiologico (o « principio d’isomorfismo » ecc.). Quanto alla « esclu-sione
esplicita del ruolo della maturazione », che egli curiosamente ci attribuisce,
bisognerebbe ignorare del tutto 1’esistenza dei gemelli monovulari per fare
un’affermazione così ingenua. Solo che la maturazione interessa
esclusivamente il fisiologo, mentre il problema delle condotte, studiato dallo
psicologo, e principalmente quello di sapere come le coordinazioni nervose
progressive rendano possibile 1’utilizzazione dell’esperienza. Ora
1’assimilazione mentale svolge appunto il ruolo d’intermediaria tra
quest’utilizzazione e le strutture organiche, e d’intermediaria indispensabile
finché si ammetta la continuità funzionale della sviluppo”.
Concludendo l’opera citata, Piaget afferma:
“Le operazioni della ragione costituiscono, in effetti, dei sistemi d’insieme,
caratterizzati da una certa struttura, mobile e reversibile (“aggruppamenti”
qualitativi e “gruppi” matematici) che non possono trovare spiegazione né
nella neurologia, né nella sociologia e nemmeno nella psicologia se non in
quanto forme di equilibri verso cui tende tutto lo sviluppo”.
Smolenski [1988] fu criticato per il modello PTC, modello a metà strada tra
il simbolismo e l’attività neurochimica, perché ritenuto inutile (esiste già la
neurologia) o implementativo. In realtà il suo modello si proponeva come
approssimazione sostenibile di processi troppo indeterminati e complessi per
essere utilizzabili ai fini psicologici e come miglior approssimazione rispetto
ai simboli [“non si può tuttavia negare che il livello subconcettuale sia
sensibilmente più vicino al livello neurale di quello concettuale: i modelli
simbolici hanno ancora meno somiglianze…”; “e anche se i princìpi
subconcettuali non sono univocamente e immediatamente applicabili ai
sistemi neurali, essi lo sono sicuramente di più rispetto ai principi della
computazione simbolica”].
Scherzosamente, se dovessimo valutare l’attività cognitiva di un essere
umano dall’attività dell’acetilcolina (legata all’attività della memoria a
breve termine) avremmo sempre, leggendo la descrizione, un dubbio: il
soggetto sta imparando a memoria Leopardi o sta “giocando” con la propria
ragazza (acetilcolina partecipa anche ai meccanismi dell’’”erezione”). Forse
alla settima pagina avremmo le idee chiare sull’effettiva occupazione.
Una cosa non potremmo mai sapere, se mentre è appartato in macchina e la
sua ragazza è al massimo “impegno”, lui s’impegni anche in un gioco
enigmistico trovato su uno dei quotidiani usati come copertura dei vetri!
Limiti della descrizione biologica!
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B.A.O.
(Dati basilari).
Non posso fornire più dei semplici dati basilari, poiché questa è, in effetti,
una teoria molto complessa e tuttora da concludere. Il problema principale,
per chi non appartiene a determinate caste chiuse, è procurarsi il materiale
(soprattutto se così eterogeneo) per sviluppare le proprie intuizioni. Il campo
della biologia, inoltre, è particolarmente serrato per ragioni che esulano
dalla conoscenza, ma sfociano nel commerciale. Il materiale a mia
disposizione, pur essendo valido, talvolta è incompleto, perciò deve essere
completato provvisoriamente con acquisizioni precedenti o supposizioni.
Talvolta le verifiche che attendo (ovviamente non ho possibilità di farle io
stesso) non hanno interesse, e quindi o nessuno si sforza di battere certi
sentieri o la pubblicazione dei loro esperimenti passa inosservata.
Origini: I concetti ispiratori sono l’origine indipendente di metabolismo e
portatore d’informazione e un nuovo concetto di parassitosi. Quest’ultimo
nasce da un ambito totalmente estraneo alla biologia, cioè dalle
considerazioni di Albert Memmi sulla dependance (dipendenza), pourvoyeur
(colui che provvede al bisogno) e pourvoyance [oggetto di – ] (quest’ultimo
termine non traducibile in italiano). La dependance è sempre al servizio di
un bisogno, i suoi due aspetti principali, costrizione e piacere, si ritrovano
nel bisogno (anche in quello costruito ad arte). La dependance non è un
fattore d’instabilità come la dominazione (domination), ma un fattore di
stabilità, la cui destabilizzazione provoca, al contrario, la sofferenza.
L’abilità di alcune forme di domination consiste nell’aver saputo
trasformarsi in relazioni di dependance, infatti il vero aspetto
dell’oppressione viene celato dietro un sentimento di dependance, sentimento
valorizzato e sfruttato per perpetuare l’oppressione stessa. L’intuizione
originale dell’autore va ricercata nei rapporti tra malato e personale medico:
Memmi fu costretto da una grave malattia a dipendere dagli altri, e, avendo
lavorato, in quegli anni, sui concetti di dominazione-sottomissione, provò ad
interpretare i rapporti tra il malato ed il personale medico-infermieristico,
da cui dipendeva ogni bisogno del paziente, in quei termini, fallendo; pur
essendo il medico o l’infermiere soggetti dominanti, non c’era sottomissione,
ma il loro operato (insostituibile per il malato) li ponevano in posizione di
dominanza (in funzione del bisogno). Con uno sguardo più ampio, l’autore si
rese conto che la società poteva essere retta da questo principio. Notò che
nella società moderna ogni elemento era sia dipendente e sia pourvoyeur,
fornendo prestazioni e dipendendo da altre prestazioni. Memmi è un filosofo,
saggista, scrittore e poeta, ma soprattutto un sociologo, perciò tali concetti si
sono sviluppati ulteriormente dall’analisi delle relazioni intercorrenti tra
gruppi (siano esse etnie, stati o figure sociali) e singoli individui “sociali”
(per esempio i rapporti uomo-donna). La BAO nasce come modello per
interpretare i comportamenti e le relative strutture profonde (che per il
sottoscritto sono in larga misura biologiche), perciò la teoria memmiana può
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Pag. 117
essere considerata la matrice concettuale vera e propria. A tutto ciò vanno
aggiunte chiare influenze psicoanalitiche.
Il concetto memmiano poteva essere applicato alla biologia, anzi ciò
permetteva di fornire ulteriori basi teoriche alla teoria dell’esattamento di S.
J. Gould. Ovviamente il modello doveva fornire un orientamento da cui
sarebbero partite le condizioni specifiche e i necessari correttivi.
Il vantaggio dell’applicazione dei concetti memmiani alla biologia è la
possibilità di concepire rapporti diversi tra le strutture viventi, infatti nella
biologia si concepisce o la parassitosi (uno sfruttamento) o la simbiosi (cioè
un reciproco vantaggio, un lavoro di squadra). I rapporti attuali tra le parti
costitutive dell’organismo, il portatore d’informazione e il metabolita, non
sono, ad un attento esame, propriamente simbiotici, mentre è più accettabile
l’idea che il P. di I. sia stato una specie di parassita (in fondo i virus, che
sono composti per lo più di materiale informativo, si comportano ancora
così).
La sintesi, devo ammettere, si generò durante uno scambio di vedute tra
Angelo (che lavorando per una nota casa editrice, ha trovato terreno fertile
alla sua convinzione che tutto è regolato dal DNA) e Anna (che lavora come
educatrice). Chiamato in causa da Angelo, che voleva da me una conferma a
quanto detto, decisi di tenere una linea moderata, da cui nacque la BAO (ma
allora non si chiamava ancora così). Rimaneva da definire questo rapporto
parassitario-non parassitario.
Grossomodo la teoria si può dividere in due parti:
Order: Il portatore di informazione si comporta all’interno della struttura
cellulare di origine metabolita come un parassita. L’informazione, così come
sostiene R. Dawkins, migliore ha più possibilità di sopravvivere delle altre
concorrenti, ma, a differenza del “gene egoista”, la guerra per la
sopravvivenza non si combatte tra le singole informazioni ma tra gruppi e
gruppi (colonie di geni), così come una partita a scacchi, che vede vincente
chi ha saputo mettere insieme il miglior gruppo di mosse, non chi ha fatto le
singole mosse migliori (altrimenti sarei un campione e non un perenne
perdente contro il buon vecchio Lorenzo).
Un gene recessivo rimane sempre potenzialmente attivo, tanto da poter
diventare dominante in successive riproduzioni; un tale back-up è una
risorsa per successive rielaborazioni del complesso della “partita”.
Dopo il take-over tra portatore d’informazione e i metaboliti, il metabolismo
fu costretto a reagire alle modificazioni apportate dall’interno, nello stesso
modo di quelle esterne. Il parassita inizialmente si comportò come i moderni
virus, provvedendo esclusivamente alla propria riproduzione.
Successivamente tale reazione fu sfruttata dal P. di I. per modificare l’ospite
(inizialmente per caso e successivamente mantenuto per vantaggi selettivi),
fornendo, tramite la ricombinazione genetica e la propria replicabilità, le
“risposte” giuste ai vari bisogni che l’organismo (solo a questo punto si può
parlare di organismo) doveva affrontare, performandolo e potenziandolo
(pensate al neurone). Occorre notare che all’interno della cellula si svolse
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un’ulteriore selezione tra le strutture dell’“informazione”, nel senso che il
“vecchio”, ma meno “robusto”, RNA fu sostituito nella trasmissione di dati
nella riproduzione dal più stabile DNA (probabilmente generato da una
mutazione), mentre all’interno della cellula il più plastico (nel senso che può
trasformarsi) RNA continua a svolgere l’antica funzione di trasmissione di
dati. Negli organismi unicellulari possono esistere fenomeni di sessualità
(organica ⇒ differenziazione) che esulano dalla riproduzione: nei Ciliati, ad
esempio, esiste la possibilità che due cellule, dette gamonti, si scambino
parte del materiale genetico senza aumentare di numero, cioè non si
riproducono; la riproduzione avviene, come di norma, per mitosi. In pratica
quest’ultima è una specie di “scambio di idee”, o se vogliamo una migrazione
in un contesto più idoneo (probabilmente per attrattivi chimici). E’ da tener
presente che il P. di I. si può riprodurre anche nella riproduzione sessuata,
uguale a se stesso e senza l’intervento dei fornitori di materiale, come
avviene per i gemelli monovulari (o monozigoti). Quando le varie colonie di
informazioni entrarono in conflitto secondo il modello (originale) di Darwin,
il P. di I. che seppe modificare al meglio (ottimizzare) la cellula metabolita
colonizzata, ebbe maggior successo riproduttivo (non importa se per la
velocità di riproduzione, come nel caso dei batteri, o per la miglior
organizzazione che permetteva una vita più “lunga”). Per mantenere il
controllo della struttura “dipendente”, il P. di I. seppe creare ad arte dei
bisogni e dei piaceri (sessualità emotiva), correlati alla riproduzione
sessuata, in sé molto più vantaggiosa per la colonia genica che per
l’organismo (maggior esposizione ai pericoli, deficit organici, consumo extra
di energie).
Secondariamente la “battaglia” è piuttosto differita poiché si basa sulla
migliore utilizzazione del proprio metabolismo ospite.
Non tutto il portatore di informazione si riproduce con la separazione del
nucleo, ma alcune strutture interne come i mitocondri si riproducono così
come sono (nel senso che vengono ereditate in blocco).
Il portatore fornisce una serie di informazioni performanti al fine di
prodursi un ottimo ospite che possa alimentare la sopravvivenza del DNA,
grazie alla riproduzione, sfruttando le sovrastrutture che l’ospite stesso
produce.
E’ possibile, decifrando gli ordini del DNA, riprodurre artificialmente le basi
di alcuni nostri aspetti del comportamento e della cognizione.
L’aspetto più influenzato dall’Order genico è sicuramente la riproduzione,
poiché serve al P. di I. stesso (il metabolismo, che è la nostra soggettività,
non si riproduce, neanche per clonazione), il sostentamento, invece, viene
lasciato col tempo in parte alla plasticità metabolica, ma permangono alcuni
ordini ben precisi (come l’istinto di sopravvivenza).
A costo di sembrare sessuocentrico, senza considerare questo aspetto non è
possibile riprodurre una “vita” senziente dotata di volontà.
Per chiarire in parte il concetto di BAO fornirò un esempio verosimile
(potrebbe essere anche vero, ma allo stato attuale non posso ancora saperlo).
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Esistono interessanti correlazioni (una correlazione non è una prova ma è
un indizio) tra il daltonismo e il canale primario dell’eccitazione
[→ organica] maschile.
La vista è il senso che predispone all’eccitazione il sesso maschile, il
daltonismo colpisce prevalentemente gli uomini, essendo l’informazione per
la formazione degli occhi sul cromosoma sessuale ( X ). Le donne sono
portatrici sane, avendo l’altro cromosoma X non malato, ma possono essere
daltoniche qualora entrambi i cromosomi fossero “fallati”. Esistono donne
cui la vista fornisce eccitamento.
La parte mancante del cromosoma Y lascia libero sfogo alla parte in eccesso
del cromosoma X.
Le informazioni della vista sono collocate nelle stesso complesso che fornisce
le informazioni sessuali, probabilmente per facilitare determinati
meccanismi di riproduzione.
Il senso della vista fornisce un vantaggio legato alla possibilità di anticipare
un evento, e i meccanismi eccitatori legati preparano completamente
all’atto.
L’uomo primigenio “adocchiava” la femmina da avvicinare (essendo l’olfatto
un senso poco sviluppato).
La femmina avvicinata (o aggredita) al contatto si predisponeva
all’accoppiamento (anche se prima si era difesa).
Nell’atto sessuale i comportamenti s’invertono per motivi “metabolici”
(culturali), poiché a quel punto tutti i sensi sono coinvolti [vedere parte
seguente].
Became: per migliorare il rapporto tra l’organismo e le varianti ambientali,
il portatore d’informazione ha lasciato alla plasticità metabolica il compito
di sopperire alle carenze informazionali, permettendogli, come effetto
collaterale, una “emancipazione”. Spesso l’emancipazione è relativa, poiché
le sovrastrutture create vengono sfruttate dal P. di I., che all’occorrenza è in
grado di pilotarle, altre volte è notevole, ma qualora giungesse ad un punto
di rottura s’innescano meccanismi particolari (che analizzerò in seguito).
L’intelligenza è una tipica risorsa della plasticità metabolica.
Il metabolismo emancipato è entrato in competizione (riproduttiva) con il
portatore d’informazione stesso. Imitando la capacità riproduttiva del
proprio parassita e la sua capacità di riprodurre diversi tipi d’informazione,
il metabolismo ha saputo replicarsi attraverso la “cultura” (identificata da
Dawkins con i memi, i quali, per l’autore, sono forme di vita; il mio approccio
è diverso poiché non esistono memi nudi, cioè le informazioni memiche
esistono solo se possono essere raccolte da un metabolismo, mentre il P. di I.
nudo esiste anche se è inerme. La scrittura, meme visibile, entrata in
contatto con un metabolismo umano non genera informazioni se il
metabolismo stesso non è stato performato adeguatamente).
L’uomo modifica se stesso!
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Nella cultura, però, convivono comunque aspetti genetici e quelli metabolici,
spesso ad un “determinato” (termine improprio) genico esiste una
controparte metabolica.
Pensate al sesso e all’amore. L’atto sessuale è finalizzato al piacere, che è un
escamotage del P.di I. per riprodurre se stesso, invece l’amore lo è alla
costruzione di una “vita insieme”, cioè nel caso di un piccolo d’uomo, alla
riproduzione di ciò che siamo soggettivamente (fenotipicamente\
metabolicamente) nella nuova vita [perciò comprende anche la sessualità,
poiché con fenotipico si ingloba anche il portatore di informazione, che,
ricordiamo, fornisce comunque dei vantaggi al metabolita stesso (riferimento
ai concetti di depandance – pourvoyance) ].
Così come la colonia genetica forza la sovrastruttura a non emanciparsi
troppo generando conflitti.
In altri casi il metabolismo fatica ad emanciparsi, poiché il P.di I. non ha
permesso la sua totale emancipazione. Conseguentemente nella cultura si
rispecchiano gli aspetti determinati dal P. di I. , che possono essere superati
dal metabolismo solo attraverso complesse interazioni sovrastrutturali che
scaricano il potenziale “determinante” by-passando su altre informazioni
“determinanti”.
Nell’esempio precedente sull’utilizzazione dei sensi al fine riproduttivo,
quando il tutto è stato “abilitato”, la “cultura” può manovrare spostando
l’accento su altri sensi “abilitati”.
I comportamenti possono essere indirizzati dai geni, anche se si tratta di
opzioni opposte.
Es:
Monogamia
↓
Offre maggiori sicurezze
sopravvivenza per la discendenza
↓
–––
Tradimento
↓
Aumenta possibilità di
discendenza per diffusione
↓
Piace il capo (perché è il più “forte” o
il più adatto a sopravvivere nell’ambiente determinato)
↓
Piace la donna del capo (perché offre la possibilità parassita di far
proteggere la propria prole dall’elemento più valido)
Anche ciò che pensiamo essere esclusivamente atteggiamenti morali,
potrebbero risentire delle strategie del genoma (ad esempio è stato isolato
negli animali appartenenti al genere Cynomys, genere a cui appartengono i
cani della prateria, un gene chiamato del “tradimento”, correlato alla
produzione di vasopressina, che predisporrebbe ad una serie d’atteggiamenti
che porterebbero per logica conseguenza al tradimento). Nell’uomo parrebbe
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che la strategia utilizzata sia quella mista, cioè legami monogamici di
durata inferiore ai tre anni abbastanza solidi, ma non assoluti (l’occasione fa
l’uomo – ma anche la donna – ladro!).
La gelosia è un altro comportamento che risente dell’influenza dell’ordine di
replicazione del portatore di informazione.
L’istinto materno, dal punto di vista biologico, è provocato da una
“tempesta” ormonale.
Vorrei ricordare che noi, la nostra soggettività, non ci riproduciamo, né ci
evolviamo. Queste sono prerogative del genoma, anche se l’allevare un figlio
e l’educarlo ci porta a replicare la nostra soggettività (con tutte quelle
forzature ad un’altra individualità che conseguono).
Ricordo anche che nemmeno un clone ha una soggettività identica al
“genitore” (anche se molti sembrano portati a crederlo). Una replicazione
troppo dogmatica delle proprie sovrastrutture fenotipiche è da ricercarsi
comunque nella strategia del P. di I. a sfruttare sovrastrutture che si sono
rivelate utili.
Ciò che permette la formazione dell’individualità è il metabolismo.
Il mio amico Fabio mi pose all’attenzione un aspetto che sembrava non
concordare con il principio generale della teoria: il suicidio.
Se l’ordine del portatore d’informazione è quello di permettergli di
riprodursi nel miglior modo possibile, perché permettere il suicidio?
Le “motivazioni” (chiamiamole così, umanizzando un po’ il genoma) del P. di
I. seguono percorsi diversi da quelli resi possibili dalle nostre menti. La
morte programmata delle cellule è insita nello stesso genoma, senza che
questi tenti di cambiare strategia (usa solo degli enzimi come correttivi), nel
caso della citata Turritopsis Nutricula la strategia è tesa all’immortalità.
Il “suicidio” cellulare è una necessità, poiché si limitano i rischi di
alterazioni della colonia di DNA (leggi tumori). A livello multicellulare, i
Lemming periodicamente si suicidano in massa, dopo una corsa estenuante
di alcuni giorni, sino al mare, in cui si annegano. Questi suicidi scattano in
momenti di crisi (carenza di cibo per il branco, particolari condizioni
ambientali, e altre ragioni poco chiare), per lasciare ad altri maggiori
possibilità.
Il suicidio avviene sempre in concomitanza di una crisi. Tali crisi possono
essere generate (pensateci bene) dal conflitto tra il metabolismo emancipato
e alcuni ordini del genoma, così come da un’inadeguatezza rispetto
all’ambiente della sovrastruttura che porta l’ospite: il genoma, onde evitare
che una simile “resistenza”, interpretata come una malattia o un’alterazione
(vedi quanto detto della morte programmata delle cellule), possa diffondersi
con la replicazione del messaggio genetico, la colonia genetica stessa decide
di “togliersi di mezzo”, indebolendo l’ordine “sopravvivi” con appositi
meccanismi.
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E’ importante chiarire che la BAO non è una teoria che ruota attorno al
comportamentamentalismo genetico, ma serve ad analizzare i rapporti tra le
componenti dell’organismo e le loro conseguenze nelle propensioni
comportamentali all’interno di una struttura più ampia definita “situazione”
(in altre parole i rapporti dinamici, in un determinato momento, tra tutto,
ciò che è e che non è, concetto valido come principio del possibilismo, quindi
in linea di principio, più che come precetto pratico).
Charly R. mi fece notare che ad uno sguardo superficiale la BAO potrebbe
essere interpretata come una filiazione delle teorie di Dawkins, soprattutto
non sarebbe troppo divergente la parte sui memi. I memi non sono, come per
Dawkins, entità, forme di vita che necessitano di un metabolismo per
riprodursi e vivere, ma sono performazioni (sotto forma di informazioni) che
possono essere raccolte solo da un metabolismo che ha già in esso buona
parte dei semiprodotti neccessari alla metabolizzazione della nuova
informazione. E’ chiaro che un Meme parassitario a là Dawkins in lingua
inglese potrebbe ben poco in un metabolismo performato alla lingua
italiana, ma ciò non toglie che il metabolismo “italiano” si performi alla
comprensione delle informazioni in lingua inglese. Questo però non taglia la
testa al toro, nel senso che non diversifica sufficientemente le due posizioni
(cioè Dawkins potrebbe avere un modello astratto più rispondente alla
realtà). L’effetto Tonneau dimostra che i “memi” non entrano in modo
parassitario nel metabolismo mentale, ma devono essere metabolizzati per
divenire attivi. Se l’informazione viene trattenuta ma non metabolizzata,
essa verrà riproposta, se adeguatamente stimolata, così com’è, ovviamente
nei limiti delle strutture mnestiche. Quindi se prima dico A e l’altro
controbatte B, ma solamente per una rigidità della sua posizione mentale,
dopo aver confuso le acque, se si dice B (posizione di partenza della
controparte) si otterrà A come risposta (rimanendo attiva la situazione
iniziale di soggetto “ostile”). Ovviamente se l’informazione fosse facilmente
assimilabile, avendo una struttura cognitiva ben organizzata per la
situazione, l’effetto non si avrebbe, cioè occorre una struttura in grado di
accogliere la performazione, infatti spesso le informazioni che scambiamo
non sono composte da elementi nuovi, ma da nuove relazioni di elementi
noti, nonché l’effetto non ha una lunga durata, cioè interrotta la discussione
i concetti “parassitari” si perdono e a B non corrisponderà più A.
Ulteriori concetti associati.
Il gene illusorio: Il rapporto massa muscolare–forza può variare da 1 a 3,
cioè la stessa massa può produrre in individui diversi prestazioni tre volte
superiori o inferiori, così come a stesse prestazioni corrispondono masse
muscolari diverse. L’ipertrofia muscolare può essere “costituzionale” (e
genetica nella sua disposizione), slegata da uno sviluppo causato da sforzi
(ambientali) che performano la struttura (aumentandone la forza e
normalmente anche la massa). Se una struttura più “asciutta” può essere
stata favorita dalla maggior economicità del sistema (una massa inferiore
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ha bisogno di meno energia per funzionare, infatti i meccanismi catabiotici,
che intervengono in caso di un prolungato digiuno, mirano a ridurre la
massa muscolare, traendo da essa energia e risparmio dal suo
smantellamento, salvando il grasso, mantenuto come ultima risorsa
energetica per le strutture vitali). Una struttura muscolare così dispendiosa
e “illusoria” potrebbe essere stata salvata in virtù della selezione dei
caratteri sessuali (selezione che spesso, come ha notato Darwin, contraddice
il principio di selezione classico, cioè non rende adatti all’ambiente, ma
facilitano esclusivamente l’accoppiamento, cioè aiuta la replicazione del P. di
I. a scapito dell’individuo fenotipico). Dando l’impressione di maggior forza, i
maschi evitavano lo scontro (la selezione naturale insegna: le rane, che si
accoppiano di notte, dotate di voci cavernose simulano una struttura
anatomica più estesa di quella reale proprio per allontanare i rivali), le
femmine si accoppiavano nell’illusione di aver trovato un esemplare dotato
di buone chances.
Oltre agli aspetti fisici, il gene illusorio (o illusionista) ha delle implicazioni
(possibili) per il comportamento. In effetti la comparsa stadiale della bugia
potrebbe essere un indizio. Così come omacismi esasperati sono una
naturale copertura di caratteri insicuri o deboli.
Depressione–intelligenza
Paradossalmente sembra che l’intelligenza (di
grado elevato) sia correlata con un maggior rischio di ammalarsi di
depressione. Poiché un’eccessiva intelligenza, intesa nei termini della BAO,
comporta un’eccessiva emancipazione, la colonia genetica potrebbe aver
predisposto che una simile situazione venga intesa come inadeguata (per se
stessa) perciò darebbe inizio al meccanismo “lemming”. Se questo binomio,
intelligenza elevata – tendenza alla depressione, fosse un legame “robusto”,
verrebbe corroborata l’ipotesi del rapporto depandance-pourvoyance tra il P.
di I. ed il metabolismo, dalla rottura si generano, come sostiene nella teoria
sociologica originale Memmi, fattori di instabilità.
Inconscio: applicando la BAO l’inconscio dovrebbe essere distinto in due
tipi: fenotipico [a sua volta scomponibile in strutturale (genetico) e
sovrastrutturale (metabolico)] e potenziale. L’inconscio strutturale può
attivarsi in qualsiasi momento anche se non espresso in forma potenziale. In
pratica esistono nel DNA ordini, che nello sviluppo assumono aspetti
stadiali, che influiscono sulla formazione delle strutture (in un linguaggio
filosofico si potrebbe dire che il DNA fornisce l’”idea” di ciò che il
metabolismo, un po’ Demiurgo e un po’ materia informe nella sua origine
metabolita, andrà a realizzare) mettendo in atto singoli atti che nell’insieme
possono portare a forzature (mutazioni) comportamentali. Se esistesse il
gene “Berseker”, un uomo potrebbe convivere con questa potenzialità
distruttiva senza accorgersi di nulla, poiché l’ambiente e il metabolismo
emancipato potrebbero essere in grado di bypassare la spinta del gene, ma
se le condizioni fossero tali da generare una crisi delle sovrastrutture, il
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gene potrebbe avere libero sfogo e generare altre sovrastrutture idonee alla
nuova condizione di Berseker.
L’inconscio potenziale è un inconscio dovuto all’attività celebrale
(metabolica) ed è un inconscio puntuale (come l’aoristo nei tempi verbali
della lingua greca).
I lapsus linguae sono un esempio di inconscio potenziale.
Il soggetto comunica un concetto, ma nel frattempo ne sta elaborando un
altro (spesso collegato), quando improvvisamente il secondo “pensiero”
(anche cosciente) interferisce con il primo con un meccanismo simile al
gradiente di concentrazione della chimica.
Il sogno è un’attività inconscia, ma affiorante nel ricordo. Probabilmente i
sogni significativi (che sono la maggior parte di quelli ricordati) a causa
della loro “carica” [emotiva] all’interno della struttura auto-organizzata,
provocano un parziale risveglio della coscienza (che potrebbe essere
interpretata in questo caso come un’attivazione di determinate aree). I sogni
non significativi traggono il loro permanere in memoria da un’attivazione
casuale, dovuta a sollecitazioni fisiche (che vanno ad interagire con il sogno
stesso), quindi potrebbero essere definiti prodotti dell’inconscio potenziale,
tanto più che in essi, come nelle immagini ipnagogiche, i fenomeni esterni
interagiscono in tempo reale con l’attività onirica. Il sogno significativo, e
ancor più quello ricorrente, sono prodotti dell’inconscio fenotipico (e
profondo).
La coscienza, sfruttando il modello del metabolismo mentale, è paragonabile
alla “membrana” cellulare (e alla sua zona prossimale), cioè è il punto di
massimo scambio tra il mondo (ambiente esterno) e l’ambiente interno
(cellulare). Le risposte a livello di membrana dipenderanno
dall’organizzazione profonda del metabolismo, che richiama in loco (attiva)
le strutture precedentemente approntate o i migliori “semilavorati” che
verranno adattati nel contatto con ciò che entra in contatto con la
membrana, e una volta sviluppati nuovi prodotti (o le matrici reattive), essi
vengono inglobati nella struttura generale, pronti a reagire. Questo attrito
attivante tra il mondo e l’organismo è ciò che identifichiamo con l’attività
cosciente, tanto più che siamo coscienti delle soluzioni (prodotti) approntate
in superficie, ma non delle possibili risorse semilavorate in arrivo (la scelta
delle parole in un discorso fluente ne è un esempio).
Perché nel linguaggio comune essere privi di sensi ed essere incoscienti sono
sinonimi?
Situazione: la descrizione biologica è un utile spunto per comprendere i
meccanismi del comportamento, ma ha profonde limitazioni. Il rapporto tra
organismo e ambiente non soddisfa tutte le manifestazioni del
comportamento (e la valutazione della loro efficacia) che si riscontrano in
natura (e non solo). La descrizione fisica, al contrario, sembrerebbe spiegare
ciò che sfugge all’interpretazione organica del comportamento, ma è in
difficoltà di fronte a tutto ciò che è perfettamente spiegato dalla teoria
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organica del comportamento o da valori emotivi o filosofici. Sembrerebbe che
il nostro naturale approccio al mondo fisico sia prettamente “psicologicopercettivo” e questo non ha creato molti problemi evolutivi. Ciò che guida le
nostre azioni sembra essere la plausibilità, che è un modello (teorico)
interno all’organismo del mondo esterno, una specie di riproduzione in scala
del mondo percepibile (⇒ potenziale). L’organismo superiore non si limita a
reagire, ma è in grado di prevedere, anticipare (più o meno) applicando
strategie. L’unità che fonda la plausibilità è la situazione….
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