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CULTURA
Corriere della Sera Giovedì 8 Dicembre 2016
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La nuova direttrice
Artissima a Torino si affida
a Ilaria Bonacossa:
«Punto su ricerca e premi»
di Stefano Bucci
Venti candidati, di cui nove dall’estero. Età
media: 40 anni. Tra questi candidati (una
short-list da cui la commissione di esperti
aveva escluso la direttrice uscente Sara
Cosulich) il Consiglio direttivo della
Fondazione Torino Musei ha scelto la nuova
direttrice delle prossime tre edizioni (20172020) di Artissima, la fiera d’arte
contemporanea di Torino. Sarà Ilaria
Bonacossa, 43 anni, curatrice e critica d’arte
che si è occupata (tra l’altro) della
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di
Torino e del Museo di Villa Croce di Genova
(nel suo curriculum mostre su Tomás
Saraceno, Julieta Aranda, Tony Conrad).
Come sarà la prossima Artissima?
«Punteremo a rafforzare l’identità di ricerca
della fiera — anticipa al “Corriere” —
guardando a esperienze riuscite come la
Liste, sezione off della Basel Art Fair. Ci
Ilaria
Bonacossa
(Milano, 1973)
apriremo poi a Paesi emergenti come il
Messico, l’India, il Cile e il Sudafrica». Nelle
intenzioni di Ilaria Bonacossa (che si dice
«felice di tornare a Torino e di «non avere
mai perso un’edizione di Artissima dal
2002») c’è anche quella di far vivere la fiera
tutto l’anno: «Il digitale in questo ci potrà
essere molto utile». E di puntare ancora sui
premi (come il Present Future) come ulteriore
elemento di sviluppo.
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Asia/1 La coreana Han Kang (Adelphi)
Asia/2 Sejal Badani racconta nel romanzo «La strada di casa» (Baldini & Castoldi) lo choc dell’integrazione negli Usa
La vegetariana
che fortissimamente
volle farsi albero
Una madre, tre figlie, il padre padrone
Resa dei conti con l’India (in America)
di Ida Bozzi
di Carlo Baroni
U
na scelta minuscola di libertà può far
deragliare molte vite, o illuminarle. Il
libro La vegetariana, vincitore del
Man Booker International Prize, della
coreana Han Kang (Adelphi, ma la traduzione
di Milena Zemira Ciccimarra è dalla versione
inglese, pp. 177, e 18), racconta in quale modo. E lo fa affrontando qualcosa che, come in
Bartleby, lo scrivano di Melville, rasenta l’indicibile.
Il plot è semplice: una donna comune,
borghese, Yeong-hye, decide dopo un sogno
inquietante di non mangiare più carne. A
questo punto l’autrice si muove in due direzioni: da una parte divide la vicenda in tre
storie i cui narratori sono tre parenti della
donna, e dall’altra dà al fatto di non mangiare
carne — e poi, via via, più nulla — un significato sempre più radicale. Fa capire al lettore,
insomma, che lo «scandalo» non è quello. Le
tre storie sono narrate dal marito, dal cognato-amante e dalla sorella di Yeong-hye. E mostrano tre modi di rapportarsi prima ancora
che alla protagonista, alla realtà in sé.
Il marito: ha sposato la donna per opportunità sociale e per noia, è irritato dalla sua
bizzarria improvvisa solo perché infrange il
ruolo codificato della consorte in seno a una
società patriarcale e tradizionale. Ma quanto
è prezioso, questo narratore, per descrivere il
formale, rigido pranzo festivo della famiglia
riunita: una scena in cui il rifiuto di mangiare
di Yeong-hye autorizza violenza, torture, recriminazioni durissime, blandizie oscene, minacce e abusi. Siamo al
corpo della donna come proprietà del padre e, tramite
contratto, del marito.
Han Kang (1970)
L’amante: l’autrice affida la
seconda narrazione al personaggio del cognato, marito della sorella. C’è
forse da aspettarsi di meglio dall’amore romantico, per la comprensione della donna e
delle sue scelte? L’uomo è un artista, si innamora alla follia della follia di Yeong-hye ma,
ancora, il suo passaggio è così epidermico
che proprio all’epidermide si ferma. Decide
di dipingere la donna, il suo corpo, letteralmente, con una pittura floreale, le propone di
immortalarla (in video) in amplessi di ogni
tipo, conduce con lei un gioco erotico narcisistico che soddisfa il desiderio del maschio
ma spinge il femminile in un isolamento
sempre più freddo, abbandonato e bamboleggiante, glaciale. Come un vegetale, come
un albero: ed è proprio all’«albero Yeonghye», in fin di vita in ospedale, senza più interesse al cibo della carne, oltre che alla carne
come cibo, che si accosta l’ultima narratrice.
La sorella: moglie dell’artista, è l’unica a
cercar di capire Yeong-hye nella sua ormai
decisa autodistruzione o affermazione. Ma
sebbene il tentativo sia il più affettuoso e
intimo, ora anche l’affetto è poca cosa, buona
solo a risolvere i conflitti interiori della sorella lasciando intatto il dramma cosmico, sovraindividuale, di Yeong-hye. Resta impressa
a lungo, con l’evocazione del buddismo e
della sua impermanenza, l’immagine di Yeong-hye che tenta di trasformarsi in un albero mettendosi a testa in giù nei corridoi del
manicomio. È straziante che non ci riesca.
Tra gli ascendenti occidentali del romanzo,
uno è il già citato Bartleby, con il suo «preferirei di no» immotivabile, sacrosanto e mortale; l’altro è il Simposio platonico, dialogo
sull’eros, sull’amore e sulla bellezza assoluta,
su cui la storia si interroga. Ma è nelle filosofie orientali che il libro ha il suo terreno d’elezione. Perché senza mai concedere al lettore
di interrogare, incontrare, raggiungere la
protagonista Yeong-hye, che più si assottiglia
più giganteggia nella pagina, il romanzo precipita verso un finale aperto: come aperta è la
riflessione sull’appartenenza di ognuno a sé e
al cosmo, alle proprie convinzioni e alla propria fatale (o salvifica) ricerca di senso.
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Il libro
 La strada di
casa di Sejal
Badani è edito
da Baldini &
Castoldi
(traduzione di
Ombretta
Giumelli, pp.
389, e 18)
 L’autrice
(nella foto
piccola a
destra) è nata
nel 1971 a Los
Angeles da una
famiglia di
immigrati
indiani. Ex
avvocata, ha
scelto la
scrittura dopo il
successo del
romanzo
d'esordio
(sopra la
copertina): si
tratta di un
libro in parte
autobiografico:
ha vissuto
anche lei la
violenza
domestica
boccare per farsi una vita o solo
andarsene al più presto. Marin,
la più grande, ha le nevrosi e
l’orgoglio di chi ha trovato un
suo posto nel mondo. Realizzata nel lavoro, un marito di quelli che stanno sempre un passo
dietro e a lei va bene così. Una
figlia adolescente e l’aggettivo
dice già tutto, quanto a problemi. Una madre lo sa, ci è preparata, almeno pensa di esserlo.
Quello che scopre è peggio di
un gol in fuorigioco. Qualcosa
che non avevi neanche messo
in conto. Poteva succedere, ma
non a lei. Questione di statistiche e anche di giustizia.
Sonya è la ribelle, la più piccola. Ma l’unica capace di non
piegare la schiena davanti ai
diktat del padre. Capace di
Q
ualche volta non c’è
scelta. O ce ne sono
troppe. E tutte sbagliate. Per esempio:
che cosa fare di fronte al male?
Ribellarsi? Reagire? Subire?
Prendersela col destino? Accettare il fato? L’unica certezza è
che una risposta la devi dare.
La strada di casa (Baldini & Castoldi) non è solo il titolo del
romanzo di Sejal Badani, ma
anche il cammino che devi percorrere per ricucire le ferite del
passato. Sperare che il tempo le
potesse rimarginare è stata
un’illusione. E anche fuggire
non è servito un granché.
Al centro della storia una famiglia di immigrati indiani.
Gente che ce l’ha fatta. Più o
meno. Il salto verso gli Stati
Uniti non li ha rimbalzati subito ai margini della società: ma
ce n’è voluta prima di farsi accettare. Dentro le valigie si sono
portati il sari e i pregiudizi. Le
tradizioni da non buttare che,
talvolta, diventano stili di vita
impossibili da esportare. La famiglia indiana è una piramide
con al vertice il marito, l’uomo.
Padre padrone per necessità
ma anche per indole. Senza neanche l’attenuante dell’estrazione povera e negletta. Perché
Brent è un ingegnere, in India,
almeno. La California lo «degrada» a benzinaio. Un lavoro,
comunque. Soldi che entrano
in casa. Se non fosse che ti
espone di più al razzismo. Ma
basta a giustificare la violenza?
Si porta dietro il retaggio di un
mondo dove è l’uomo a decidere. E i soprusi restano impuniti.
Adesso è in un letto di ospedale. Più di là che di qui, come
fanno capire i camici bianchi
magari usando un linguaggio
meno crudo. Quella che lo circonda è una famiglia da pubblicità. Discreta, elegante, triste
Omar Galliani, Nuovi fiori 3 (2007, pastelli su tavola, particolare)
ma senza fare isterie. Che poi il
dolore è solo di facciata. Brent,
per la prima volta, è in balìa
delle sue donne. Ci vorrebbe
niente a scegliere il rancore. Ma
anche perdonare non è giusto.
La sua è una casa di donne, moglie e tre figlie. Che, poi, sarebbero dovute essere due. Dal terzo parto, a dar retta al ginecologo, doveva nascere un maschio.
Cultura, culture
Il protagonista schiavo
delle tradizioni è un
ingegnere che finisce a
fare il benzinaio
Un altro smacco per Brent. E
anche questo trova sfogo nelle
mani. Vittime, le «sue» donne:
la moglie Ranee che subisce
perché è così da sempre in India. E, poi, non c’è alternativa.
Le figlie la guardano sbigottite,
incerte tra la compassione e il
disprezzo. La mamma che dovrebbe fare argine, immolarsi,
magari, ma salvare le sue piccole. Ranee non ce la fa. Non vuole. Non lo sa. E non ha nessuno
con cui confidarsi. Solo sperare
che finisca presto, come un
monsone da cui cerchi di ripararti ma sai che farà danni comunque.
Le figlie hanno scelto la loro
strada. Quella più veloce da im-
spiazzarlo peggio di un uomo.
Un’onta per lui. Il dubbio di avere sbagliato dopo la certezza
che quella sbagliata era solo la
figlia. Anche lei al suo capezzale. A provare dolore? O solo per
rispetto, perché si fa così? O,
peggio, per convenzione sociale? Neanche lei lo sa. Trisha è la
sorella di mezzo. In tutto, scelte
ed equilibrio. Ma chissà che
non sia lei quella che ha sofferto di più? Sejal Badani racconta
universi che conosce. Anche lei
di origine indiana. E poi l’America. Una terra da mordere ma
che può anche farti male. Un
passato da avvocata, un presente da scrittrice.
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Roma Partito ieri Più libri più liberi. Vendite: segno positivo per i piccoli editori. Ma allarmano i dati su accesso e abitudine alla lettura
Senza librerie 13 milioni di italiani
di Cristina Taglietti
S
i è aperto sotto un segno positivo Più
libri più liberi, Fiera nazionale della
piccola e media editoria che si svolge
a Roma fino a domenica 11 dicembre al Palazzo dei Congressi dell’Eur. I piccoli e i
medi chiudono i primi dieci mesi del 2016
in attivo, sia per numero di copie vendute
sia per fatturato. Un aumento del 7,6% a
valore e del 5,9% a copie, diverso da quello
del mercato generale che nel 2016 è leggermente migliorato per fatturato (+0,2)
ma con un calo delle copie vendute (il che
significa che si vendono meno libri ma
costano di più). Lo ha detto l’indagine
Nielsen per l’Associazione italiana editori
(Aie) presentata ieri, giorno d’inaugurazione della fiera (titolo: Sono tutte storie)
in cui è stato annunciato anche il programma di Tempo di libri, la fiera milanese di aprile, che sarà incentrato sulle 26
lettere dell’alfabeto.
In questo proliferare di iniziative per la
promozione della lettura risultano particolarmente significativi i dati sulle «infra-
Sul web
 «I miei
disegni sono
come il vento»:
così Fabian
Negrin ha
presentato
a Più libri più
liberi la mostra
La Tempesta.
In anteprima
su corriere.it/
lalettura
l’intervista
all’illustratore
dell’emittente
web RadioLibri
strutture» elaborati dall’ufficio studi dell’Aie che verranno presentati domenica
nel convegno Gli italiani senza biblioteche e librerie. Senza infrastrutture non si
va lontano. Oggi, è l’esito dell’indagine,
circa 13 milioni di italiani (il 21% della popolazione) residenti in comuni con più di
10 mila abitanti non hanno una libreria vicino.
Se in totale sono 687 i comuni sprovvisti di una libreria (l’8,6%),la
percentuale si alza nelle Isole
(dove arriva al 15,1%) e nel Sud
(il 33,3%, cioè un comune su
tre), ma anche nel Nordest
dove in questa situazione si
trova un comune su 5.
Un quadro che appare ancora più sconfortante se si considerano
anche le biblioteche scolastiche. Circa
mezzo milione di ragazzi frequenta scuole che ne sono prive: 262 mila nelle elementari, 147 mila nella medie e 77 mila
nelle superiori.
I dati confermano che esiste una correlazione tra i bassi indici di lettura e l’assenza di librerie e biblioteche. Nelle aree
metropolitane e nei centri urbani con più
di 50 mila abitanti, dove il tessuto di librerie, ma anche di servizi bibliotecari è più
fitto e solido, i residenti che si dichiarano
lettori di libri sono, rispettivamente, il
51,1% e il 44,4%. Un valore che scende al
42,8% nelle periferie delle aree urbane.
L’indice cala ancora in relazione al diminuire della dimensione del centro urbano: 38,1% nei comuni tra 10-50 mila abitanti; 39% in quelli da 2-10 mila; fino al
35,4% nei comuni fino a 2 mila residenti.
E non è un caso che le perdite maggiori
di lettori negli ultimi 5 anni siano avvenute nei piccoli centri (-15,3%, rispetto a una
perdita media nazionale del -9,1%), mentre nelle aree metropolitane questo calo si
è arrestato al -3,1%.
Certo, ci sono le librerie online che
hanno rappresentato in questi anni una
risorsa per accedere alla lettura anche dal
luogo più isolato, ma la necessità che continuino a esistere luoghi fisici in cui si
possano «vedere» i libri è un punto fondamentale di cui le politiche culturali dovranno tener conto.
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