librerie
Transcript
librerie
Codice cliente: 8727381 CULTURA Corriere della Sera Giovedì 8 Dicembre 2016 41 # La nuova direttrice Artissima a Torino si affida a Ilaria Bonacossa: «Punto su ricerca e premi» di Stefano Bucci Venti candidati, di cui nove dall’estero. Età media: 40 anni. Tra questi candidati (una short-list da cui la commissione di esperti aveva escluso la direttrice uscente Sara Cosulich) il Consiglio direttivo della Fondazione Torino Musei ha scelto la nuova direttrice delle prossime tre edizioni (20172020) di Artissima, la fiera d’arte contemporanea di Torino. Sarà Ilaria Bonacossa, 43 anni, curatrice e critica d’arte che si è occupata (tra l’altro) della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino e del Museo di Villa Croce di Genova (nel suo curriculum mostre su Tomás Saraceno, Julieta Aranda, Tony Conrad). Come sarà la prossima Artissima? «Punteremo a rafforzare l’identità di ricerca della fiera — anticipa al “Corriere” — guardando a esperienze riuscite come la Liste, sezione off della Basel Art Fair. Ci Ilaria Bonacossa (Milano, 1973) apriremo poi a Paesi emergenti come il Messico, l’India, il Cile e il Sudafrica». Nelle intenzioni di Ilaria Bonacossa (che si dice «felice di tornare a Torino e di «non avere mai perso un’edizione di Artissima dal 2002») c’è anche quella di far vivere la fiera tutto l’anno: «Il digitale in questo ci potrà essere molto utile». E di puntare ancora sui premi (come il Present Future) come ulteriore elemento di sviluppo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Asia/1 La coreana Han Kang (Adelphi) Asia/2 Sejal Badani racconta nel romanzo «La strada di casa» (Baldini & Castoldi) lo choc dell’integrazione negli Usa La vegetariana che fortissimamente volle farsi albero Una madre, tre figlie, il padre padrone Resa dei conti con l’India (in America) di Ida Bozzi di Carlo Baroni U na scelta minuscola di libertà può far deragliare molte vite, o illuminarle. Il libro La vegetariana, vincitore del Man Booker International Prize, della coreana Han Kang (Adelphi, ma la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra è dalla versione inglese, pp. 177, e 18), racconta in quale modo. E lo fa affrontando qualcosa che, come in Bartleby, lo scrivano di Melville, rasenta l’indicibile. Il plot è semplice: una donna comune, borghese, Yeong-hye, decide dopo un sogno inquietante di non mangiare più carne. A questo punto l’autrice si muove in due direzioni: da una parte divide la vicenda in tre storie i cui narratori sono tre parenti della donna, e dall’altra dà al fatto di non mangiare carne — e poi, via via, più nulla — un significato sempre più radicale. Fa capire al lettore, insomma, che lo «scandalo» non è quello. Le tre storie sono narrate dal marito, dal cognato-amante e dalla sorella di Yeong-hye. E mostrano tre modi di rapportarsi prima ancora che alla protagonista, alla realtà in sé. Il marito: ha sposato la donna per opportunità sociale e per noia, è irritato dalla sua bizzarria improvvisa solo perché infrange il ruolo codificato della consorte in seno a una società patriarcale e tradizionale. Ma quanto è prezioso, questo narratore, per descrivere il formale, rigido pranzo festivo della famiglia riunita: una scena in cui il rifiuto di mangiare di Yeong-hye autorizza violenza, torture, recriminazioni durissime, blandizie oscene, minacce e abusi. Siamo al corpo della donna come proprietà del padre e, tramite contratto, del marito. Han Kang (1970) L’amante: l’autrice affida la seconda narrazione al personaggio del cognato, marito della sorella. C’è forse da aspettarsi di meglio dall’amore romantico, per la comprensione della donna e delle sue scelte? L’uomo è un artista, si innamora alla follia della follia di Yeong-hye ma, ancora, il suo passaggio è così epidermico che proprio all’epidermide si ferma. Decide di dipingere la donna, il suo corpo, letteralmente, con una pittura floreale, le propone di immortalarla (in video) in amplessi di ogni tipo, conduce con lei un gioco erotico narcisistico che soddisfa il desiderio del maschio ma spinge il femminile in un isolamento sempre più freddo, abbandonato e bamboleggiante, glaciale. Come un vegetale, come un albero: ed è proprio all’«albero Yeonghye», in fin di vita in ospedale, senza più interesse al cibo della carne, oltre che alla carne come cibo, che si accosta l’ultima narratrice. La sorella: moglie dell’artista, è l’unica a cercar di capire Yeong-hye nella sua ormai decisa autodistruzione o affermazione. Ma sebbene il tentativo sia il più affettuoso e intimo, ora anche l’affetto è poca cosa, buona solo a risolvere i conflitti interiori della sorella lasciando intatto il dramma cosmico, sovraindividuale, di Yeong-hye. Resta impressa a lungo, con l’evocazione del buddismo e della sua impermanenza, l’immagine di Yeong-hye che tenta di trasformarsi in un albero mettendosi a testa in giù nei corridoi del manicomio. È straziante che non ci riesca. Tra gli ascendenti occidentali del romanzo, uno è il già citato Bartleby, con il suo «preferirei di no» immotivabile, sacrosanto e mortale; l’altro è il Simposio platonico, dialogo sull’eros, sull’amore e sulla bellezza assoluta, su cui la storia si interroga. Ma è nelle filosofie orientali che il libro ha il suo terreno d’elezione. Perché senza mai concedere al lettore di interrogare, incontrare, raggiungere la protagonista Yeong-hye, che più si assottiglia più giganteggia nella pagina, il romanzo precipita verso un finale aperto: come aperta è la riflessione sull’appartenenza di ognuno a sé e al cosmo, alle proprie convinzioni e alla propria fatale (o salvifica) ricerca di senso. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il libro La strada di casa di Sejal Badani è edito da Baldini & Castoldi (traduzione di Ombretta Giumelli, pp. 389, e 18) L’autrice (nella foto piccola a destra) è nata nel 1971 a Los Angeles da una famiglia di immigrati indiani. Ex avvocata, ha scelto la scrittura dopo il successo del romanzo d'esordio (sopra la copertina): si tratta di un libro in parte autobiografico: ha vissuto anche lei la violenza domestica boccare per farsi una vita o solo andarsene al più presto. Marin, la più grande, ha le nevrosi e l’orgoglio di chi ha trovato un suo posto nel mondo. Realizzata nel lavoro, un marito di quelli che stanno sempre un passo dietro e a lei va bene così. Una figlia adolescente e l’aggettivo dice già tutto, quanto a problemi. Una madre lo sa, ci è preparata, almeno pensa di esserlo. Quello che scopre è peggio di un gol in fuorigioco. Qualcosa che non avevi neanche messo in conto. Poteva succedere, ma non a lei. Questione di statistiche e anche di giustizia. Sonya è la ribelle, la più piccola. Ma l’unica capace di non piegare la schiena davanti ai diktat del padre. Capace di Q ualche volta non c’è scelta. O ce ne sono troppe. E tutte sbagliate. Per esempio: che cosa fare di fronte al male? Ribellarsi? Reagire? Subire? Prendersela col destino? Accettare il fato? L’unica certezza è che una risposta la devi dare. La strada di casa (Baldini & Castoldi) non è solo il titolo del romanzo di Sejal Badani, ma anche il cammino che devi percorrere per ricucire le ferite del passato. Sperare che il tempo le potesse rimarginare è stata un’illusione. E anche fuggire non è servito un granché. Al centro della storia una famiglia di immigrati indiani. Gente che ce l’ha fatta. Più o meno. Il salto verso gli Stati Uniti non li ha rimbalzati subito ai margini della società: ma ce n’è voluta prima di farsi accettare. Dentro le valigie si sono portati il sari e i pregiudizi. Le tradizioni da non buttare che, talvolta, diventano stili di vita impossibili da esportare. La famiglia indiana è una piramide con al vertice il marito, l’uomo. Padre padrone per necessità ma anche per indole. Senza neanche l’attenuante dell’estrazione povera e negletta. Perché Brent è un ingegnere, in India, almeno. La California lo «degrada» a benzinaio. Un lavoro, comunque. Soldi che entrano in casa. Se non fosse che ti espone di più al razzismo. Ma basta a giustificare la violenza? Si porta dietro il retaggio di un mondo dove è l’uomo a decidere. E i soprusi restano impuniti. Adesso è in un letto di ospedale. Più di là che di qui, come fanno capire i camici bianchi magari usando un linguaggio meno crudo. Quella che lo circonda è una famiglia da pubblicità. Discreta, elegante, triste Omar Galliani, Nuovi fiori 3 (2007, pastelli su tavola, particolare) ma senza fare isterie. Che poi il dolore è solo di facciata. Brent, per la prima volta, è in balìa delle sue donne. Ci vorrebbe niente a scegliere il rancore. Ma anche perdonare non è giusto. La sua è una casa di donne, moglie e tre figlie. Che, poi, sarebbero dovute essere due. Dal terzo parto, a dar retta al ginecologo, doveva nascere un maschio. Cultura, culture Il protagonista schiavo delle tradizioni è un ingegnere che finisce a fare il benzinaio Un altro smacco per Brent. E anche questo trova sfogo nelle mani. Vittime, le «sue» donne: la moglie Ranee che subisce perché è così da sempre in India. E, poi, non c’è alternativa. Le figlie la guardano sbigottite, incerte tra la compassione e il disprezzo. La mamma che dovrebbe fare argine, immolarsi, magari, ma salvare le sue piccole. Ranee non ce la fa. Non vuole. Non lo sa. E non ha nessuno con cui confidarsi. Solo sperare che finisca presto, come un monsone da cui cerchi di ripararti ma sai che farà danni comunque. Le figlie hanno scelto la loro strada. Quella più veloce da im- spiazzarlo peggio di un uomo. Un’onta per lui. Il dubbio di avere sbagliato dopo la certezza che quella sbagliata era solo la figlia. Anche lei al suo capezzale. A provare dolore? O solo per rispetto, perché si fa così? O, peggio, per convenzione sociale? Neanche lei lo sa. Trisha è la sorella di mezzo. In tutto, scelte ed equilibrio. Ma chissà che non sia lei quella che ha sofferto di più? Sejal Badani racconta universi che conosce. Anche lei di origine indiana. E poi l’America. Una terra da mordere ma che può anche farti male. Un passato da avvocata, un presente da scrittrice. © RIPRODUZIONE RISERVATA Roma Partito ieri Più libri più liberi. Vendite: segno positivo per i piccoli editori. Ma allarmano i dati su accesso e abitudine alla lettura Senza librerie 13 milioni di italiani di Cristina Taglietti S i è aperto sotto un segno positivo Più libri più liberi, Fiera nazionale della piccola e media editoria che si svolge a Roma fino a domenica 11 dicembre al Palazzo dei Congressi dell’Eur. I piccoli e i medi chiudono i primi dieci mesi del 2016 in attivo, sia per numero di copie vendute sia per fatturato. Un aumento del 7,6% a valore e del 5,9% a copie, diverso da quello del mercato generale che nel 2016 è leggermente migliorato per fatturato (+0,2) ma con un calo delle copie vendute (il che significa che si vendono meno libri ma costano di più). Lo ha detto l’indagine Nielsen per l’Associazione italiana editori (Aie) presentata ieri, giorno d’inaugurazione della fiera (titolo: Sono tutte storie) in cui è stato annunciato anche il programma di Tempo di libri, la fiera milanese di aprile, che sarà incentrato sulle 26 lettere dell’alfabeto. In questo proliferare di iniziative per la promozione della lettura risultano particolarmente significativi i dati sulle «infra- Sul web «I miei disegni sono come il vento»: così Fabian Negrin ha presentato a Più libri più liberi la mostra La Tempesta. In anteprima su corriere.it/ lalettura l’intervista all’illustratore dell’emittente web RadioLibri strutture» elaborati dall’ufficio studi dell’Aie che verranno presentati domenica nel convegno Gli italiani senza biblioteche e librerie. Senza infrastrutture non si va lontano. Oggi, è l’esito dell’indagine, circa 13 milioni di italiani (il 21% della popolazione) residenti in comuni con più di 10 mila abitanti non hanno una libreria vicino. Se in totale sono 687 i comuni sprovvisti di una libreria (l’8,6%),la percentuale si alza nelle Isole (dove arriva al 15,1%) e nel Sud (il 33,3%, cioè un comune su tre), ma anche nel Nordest dove in questa situazione si trova un comune su 5. Un quadro che appare ancora più sconfortante se si considerano anche le biblioteche scolastiche. Circa mezzo milione di ragazzi frequenta scuole che ne sono prive: 262 mila nelle elementari, 147 mila nella medie e 77 mila nelle superiori. I dati confermano che esiste una correlazione tra i bassi indici di lettura e l’assenza di librerie e biblioteche. Nelle aree metropolitane e nei centri urbani con più di 50 mila abitanti, dove il tessuto di librerie, ma anche di servizi bibliotecari è più fitto e solido, i residenti che si dichiarano lettori di libri sono, rispettivamente, il 51,1% e il 44,4%. Un valore che scende al 42,8% nelle periferie delle aree urbane. L’indice cala ancora in relazione al diminuire della dimensione del centro urbano: 38,1% nei comuni tra 10-50 mila abitanti; 39% in quelli da 2-10 mila; fino al 35,4% nei comuni fino a 2 mila residenti. E non è un caso che le perdite maggiori di lettori negli ultimi 5 anni siano avvenute nei piccoli centri (-15,3%, rispetto a una perdita media nazionale del -9,1%), mentre nelle aree metropolitane questo calo si è arrestato al -3,1%. Certo, ci sono le librerie online che hanno rappresentato in questi anni una risorsa per accedere alla lettura anche dal luogo più isolato, ma la necessità che continuino a esistere luoghi fisici in cui si possano «vedere» i libri è un punto fondamentale di cui le politiche culturali dovranno tener conto. © RIPRODUZIONE RISERVATA