DNA e banche dati europee - Associazione tra gli Studiosi del

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DNA e banche dati europee - Associazione tra gli Studiosi del
Trasmesso,
Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale “G. D. Pisapia”
XXX CONVEGNO NAZIONALE
(Roma, 20-21 ottobre 2016)
INVESTIGAZIONI E PROVE TRANSNAZIONALI
DNA e banche dati europee
Paola Felicioni
(Università degli Studi di Firenze)
Versione provvisoria
Sommario: 1. Lo scambio di profili del DNA nel contesto europeo. – 2. Il duplice profilo
della cooperazione informativa. – 3. Il Trattato di Prum e la Decisione 2008/615/GAI: la raccolta
transnazionale dei dati genetici. - 4. La condivisione di informazioni. – a. l’accesso on line alle
banche dati mediante consultazione o comparazione e la trasmissione di dati genetici. – b. il
prelievo transnazionale. – 5. La protezione dei dati personali. – 6. La banca dati nazionale del
DNA: il modello italiano. – a. La legge n. 85 del 2009. – b. Il regolamento di attuazione. – 6. Le
altre banche dati europee.
1. Lo scambio di profili del DNA nel contesto europeo.
Le istituzioni europee concepiscono lo scambio transfrontaliero di informazioni come
strumento idoneo a rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. In
particolare, il legislatore sovranazionale si è occupato più volte e sotto differenti aspetti dello
scambio di dati genetici nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia
Accanto a strumenti più tradizionali che si occupano, anche solo implicitamente di scambio
di profili del DNA con finalità probatoria (si pensi agli strumenti di assistenza giudiziaria, al
mandato europeo di ricerca della prova, all’ordine europeo di indagine) si pongono nuovi mezzi.
Alcuni sono genericamente tesi a regolare lo scambio di informazioni e di dati (decisione
2009/371/GAI istitutiva di Europol, decisione 2002/187/GAI istitutiva di Eurojust): si tratta di
sistemi centralizzati di raccolta delle informazioni , gestiti da un organo sovranazionale (Europol
o Eurojust) e diversi dagli archivi nazionali.
Altri strumenti specifici prevedono il metodo della semplificazione dello scambio di dati
genetici e informazioni attraverso al condivisione nell’intero territorio dell’Unione europea, del
patrimonio di conoscenze di ciascun Stato. In quest’ultima prospettiva viene in considerazione la
decisione 2008/615/GAI sul potenziamento della cooperazione transfrontaliera come strumento di
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cooperazione tra forze di polizia destinato allo scambi di dati genetici sul piano europeo: è il
provvedimento con cui l’Unione ha recepito nel proprio quadro giuridico e normativo una parte
cospicua del contenuto del Trattato di Prum del 2005 che, in materia, costituisce la fonte più
importante della normativa sovranazionale
2. Il duplice profilo della cooperazione informativa.
Una riflessione più generale sullo scambio di dati genetici impone il riferimento alla duplice
articolazione della cooperazione informativa. Infatti, il tema della circolazione di dati personali va
ricondotto al profilo dinamico dell’information sharing ossia la condivisione di dati; peraltro, il
presupposto di tale condivisione è la conservazione di dati utili, ascrivibile al profilo statico della
cooperazione, in archivi nazionali a fini di prevenzione e di repressione del crimine.
Più precisamente, il profilo dinamico trova esplicitazione nel Programma de l’Aia adottato
dal Consiglio europeo il 4 novembre 2004 che sancisce il canone della libera circolazione delle
informazioni tracciando tre direttrici per l’azione dell’Unione europea: investimento sulle
tecnologie e sviluppo di sistemi informativi centralizzati; esplicito riconoscimento del principio di
disponibilità volto a regolare la cooperazione tra autorità nazionali di law enforcement; riferimento
al principio di accessibilità relativo alla possibilità per le autorità di law enforcement nazionali o
europee di acquisire informazioni rilevanti archiviate nei databases centralizzati.
Occorre evidenziare che la successiva produzione normativa europea è caratterizzata da due
tendenze relative alla tutela della sicurezza interna mediante lo scambio automatizzato di profili del
DNA (D 2008/615/GAI) e alla protezione dei dati personali (D 2008/977/GAI).
3. Il Trattato di Prum e la Decisione 2008/615/GAI: la raccolta transnazionale dei dati
genetici.
Il Trattato di Prum e la relativa decisione di recepimento nel quadro legislativo dell’Unione
europea si collocano nel segno dell’impostazione tracciata dal Programma de l’Aia e fondata su
una filosofia di stretto interscambio informativo alla luce del principio di disponibilità delle
informazioni. Tale principio mira a realizzare la condivisione dei dati in possesso di un singolo
Stato con le autorità di law enforcement degli altri Stati.
Sono tre i tratti innovativi del Trattato e della decisione Prum: la prima innovazione si
riferisce all’imposizione dell’obbligo, in capo a ciascun Stato contraente, di istituire e di mantenere
archivi nazionali centralizzati dei quali, uno, raccoglie i profili del DNA: Il secondo elemento di
novità va ricondotto al diritto di ogni Stato membro, di richiedere, ancor prima dello scambio, la
raccolta di dati genetici (art. 7). Infine, si deve segnalate l’impiego di procedure automatizzate di
consultazione e raffronto mediante l’accesso on line da parte di punti di contatto nazionali dei Paesi
membri.
Su un piano più generale, s’impone il riferimento all’ambito concettuale della ricerca e della
formazione transnazionale delle prove. Più in particolare, l’analisi della disciplina della raccolta
transnazionale di dati genetici deve articolarsi in due direzioni: da un lato, la trasmissione di dati
genetici (già disponibili) tra Stati mediante una sorta di sistema binario che si compone delle due
fasi dell’accesso on line alle banche dati nazionali e del trasferimento dei dati genetici allo Stato
richiedente; da un altro lato, il prelievo transnazionale di dati genetici (non disponibili).
4. La condivisione di informazioni.
Il Trattato di Prum ha aperto una prospettiva volta alla creazione di uno spazio di libera
circolazione delle informazioni nel rispetto delle norme di tutela dei dati raccolti.
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Il merito del Trattato, peraltro, non consiste solo nel permettere che le informazioni
confluiscano in un unico network di banche dati direttamente consultabile dalle autorità interne
degli Stati membri, ma anche nella tendenza a realizzare, sia pure indirettamente, attraverso gli
impegni assunti dai Paesi contraenti sul piano internazionale, un’armonizzazione degli
ordinamenti interni dei singoli Stati.
a. L’accesso on line alle banche dati mediante consultazione o comparazione e la
trasmissione di dati genetici.
La condivisione delle informazioni si concretizza nell’accesso automatizzato a determinate
categorie di informazioni (indici di consultazione) disponibili on line e contenute nelle banche dati
DNA. E’ questa la prima fase
del procedimento di consultazione con la quale l’autorità
richiedente può attingere solo ad un indice di consultazione anonimo e ad un numero di riferimento
con lo scopo di verificare la mera presenza del dato genetico nel database.
Gli scambi avvengono per mezzo di una rete di punti di contatto nazionali: ogni Stato ne
designa uno. Rimane non esplicitato dal Trattato se le richieste di cui i punti di contatto nazionali
possono essere destinatari, debbano provenire solo dall’autorità di polizia ovvero anche dall’autorità
giudiziaria: in proposito si fronteggiano due interpretazioni una restrittiva, l’altra estensiva:
quest’ultima sembra preferibile qualora l’attività di ricerca si collochi nelle indagini preliminari.
Tale accesso automatizzato
può avvenire con due modalità alternative quali la
consultazione (searching) o la comparazione (comparison). Nel primo caso il profilo di cui
dispone il richiedente è già riferibile ad una persona identificata e l’accesso ha lo scopo di acquisire
ulteriori informazioni su quella persona. La seconda modalità si realizza nel caso in cui l’autorità
richiedente disponga solo di un open record, ossia un profilo del DNA anonimo: la comparazione
coinvolge tutti i profili genetici contenuti nella banca dati, siano essi noti o ignoti.
Se la consultazione o la comparazione hanno prodotto un risultato positivo la parte
richiedente riceve la comunicazione di un indice del profilo DNA, anonimo, corrispondente a
quello trasmesso. Si apre quindi la seconda fase del procedimento che si concretizza nella
trasmissione delle informazioni ricollegabili ai dati di indice all’autorità richiedente. Sotto il profilo
procedurale il Trattato si limita a prevedere la necessità di una richiesta esplicita da parte
dell’autorità interessata, rinviando per ogni altro aspetto alla normativa interna e alle convenzioni di
assistenza giudiziaria che regolano i rapporti tra Paesi dell’Unione europea (Convenzione europea
di Strasburgo del 20 aprile 1959 e Convenzione sull’assistenza giudiziaria, adottata dal Consiglio
espressi di rifiuto motivato, si dovrebbe ritenere esistente in capo all’autorità interna, un dovere di
dare seguito alla richiesta.
b. Il prelievo transnazionale.
L’art. 7 del Trattato e della decisione Prum garantiscono la mutua assistenza tra gli Stati
anche con riguardo al prelievo di materiale biologico dalla persona.
Infatti, l’autorità giudiziaria di uno Stato, qualora nell’ambito di un procedimento penale in
corso, abbia necessità di acquisire il profilo del DNA di una persona che si trova in un altro Stato,
ne fa richiesta a quest’ultimo presentando un apposito mandato, emesso dall’autorità competente,
dal quale risulti che prelievo e analisi del DNA sarebbero ammissibili in un analogo caso interno.
L’autorità giudiziaria dello Stato richiesto, se non dispone di tale profilo, dovrà procedere al
prelievo di materiale genetico, alla tipizzazione del profilo del DNA e alla trasmissione dello
stesso. Tutte le attività richieste devono svolgersi secondo le modalità previste dalla legislazione
interna dello Stato richiesto.
Con riferimento a tale modalità di scambio di dati si delineano due criticità.
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Innanzitutto , si pone la questione della configurabilità o meno di un onere di
alimentazione della banca dati. Non è escluso, infatti, che una volta tipizzato il DNA e trasmesso
il relativo profilo allo Stato richiedente, quel codice alfanumerico rimanga nel database dello Stato
richiesto divenendo potenziale patrimonio di qualunque altro Stato ne faccia richiesta in seguito. In
sostanza, dipende dalla legislazione interna del singolo Paese in materia di alimentazione della
banca dati del DNA.
Inoltre, a causa della non omogeneità delle regole nazionali relative allo svolgimento
ditali attività, potrebbe accadere che le modalità adottate dallo Stato richiesto siano ritenute
insufficienti, sul piano dei diritti fondamentali del soggetto interessato e sotto il profilo
dell’attendibilità del dato analitico trasmesso. Mancando un apparato di norme armonizzatrici in
materia di raccolta di campioni biologici e di trattamento dei dati genetici, potrebbero circolare dati
tra loro eterogenei per quantità e qualità: potrebbero essere diversi i criteri di selezione dei soggetti
da sottoporre al prelievo, i criteri di inserimento dei profili in banca dati, l’individuazione dei reati
rispetto ai quali è prevista la raccolta dei dati genetici, i tempi di conservazione degli stessi.
Ferma restando un’esigenza di armonizzazione delle norme,
in assenza di espresse
previsioni del Trattato e della decisone Prum, sul piano della tutela dei diritti fondamentali, rimane
la condizione minima del rispetto delle garanzie fissate dalla CEDU e dalla Carta di Nizza così
come interpretate dalla Corte europea e dalla Corte di giustizia, in specie la necessità di
applicazione del principio di proporzionalità che, emblema del diritto europeo, assurge in questa
materia a criterio di bilanciamento tra scopi del procedimento penale e diritti inviolabili
dell’individuo.
5. La protezione dei dati personali.
Al principio di disponibilità delle informazioni che anima le nuove forme di cooperazione
mediante scambio di profili del DNA fa da contrappasso la necessità di un’adeguata tutela dei dati
personali messi in pericolo dal metodo dell’information sharing.
Gli accordi di Prum e la Decisione 615 del 2008 dedicano al tema particolare attenzione,
richiamando, in primo luogo, la necessità che i singoli Stati assicurino, mediante la legislazione
interna, un livello di tutela almeno equivalente a quello della Convenzione del Consiglio
d’Europa n. 108 del 28 gennaio 1981, del relativo protocollo addizionale dell’8 novembre 2001 e
della raccomandazione R (87)15 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sull’uso di dati
personali da parte delle forze di polizia.
In secondo luogo il trattato e la Decisione delineano specifiche regole di garanzia per
l’interessato.
In prospettiva di sintesi, vengono in evidenza alcuni principi e regole che governano il
trattamento dei dati personali e genetici (D 2008/977/GAI) quali: legalità, proporzionalità, finalità
limitata del trattamento, responsabilità per l’esattezza e l’aggiornamento dei dati, garanzie per la
persona titolare dei dati, la previsione di un’autorità nazionale di controllo
5. La banca dati nazionale del DNA: il modello italiano.
a. La legge n. 85 del 2009.
La legge 30 giugno 2009, n. 85 ha disciplinato una materia complessa che si connota per
l’irrompere, nell’ambito del diritto, di categorie concettuali mutuate dalla medicina legale, dalla
genetica e dalla biologia. Come è noto, si tratta di un intervento normativo che, nella prospettiva di
un necessario adeguamento a determinati atti delle Istituzioni europee e a specifici accordi
internazionali, ha autorizzato il Presidente della Repubblica ad aderire al Trattato di Prüm del 27
maggio 2005 e, a tale scopo, ha previsto l’istituzione della Banca dati nazionale del DNA e del
Laboratorio centrale, due nuovi organismi strumentali alla identificazione personale per l’autorità
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giudiziaria e alla collaborazione internazionale tra forze di polizia. Inoltre, sono state apportate
alcune modifiche del codice di procedura penale nel quale è stata finalmente introdotta la disciplina
degli accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale con specifico riferimento
all’acquisizione del profilo genetico di una persona, dopo circa tredici anni dalla pronuncia di
illegittimità costituzionale che aveva investito lo svolgimento coattivo della perizia.
La riforma e’ apparsa subito caratterizzata dalla ricerca di nuovi equilibri tra sfera
individuale e impiego processuale di strumenti tecnico-scientifici. È agevole notare che dal testo
legislativo affiorano due profili di criticità rispetto alla compressione sia della libertà personale
determinata dall’uso della coercizione per effettuare il prelievo di materiale biologico dalla
persona, sia della riservatezza intesa come diritto a controllare le informazioni che riguardano la
propria persona a fronte dell’archiviazione elettronica di dati genetici.
Recentemente si è finalmente colmata la lacuna dovuta all’inquietante inerzia relativa
all’emanazione dei regolamenti attuativi che si è protratta per quasi sette anni. Infatti, il legislatore
del 2009 ha demandato la normativa attuativa e gli aspetti tecnici della disciplina ad uno o più
provvedimenti amministrativi indicando il termine di quattro mesi dall’entrata in vigore della legge
(art. 16) entro il quale avrebbero dovuto essere adottati uno o più regolamenti di attuazione. Occorre
verificare la portata chiarificatrice del regolamento attuativo (d.p.r.7 aprile 2016, n. 87) con
riferimento alle imperfezioni del dato legislativo. Per comprendere l’incidenza del regolamento
sulla disciplina delineata nel 2009 occorre sottolineare che il legislatore ha previsto determinati
flussi di dati genetici di varia provenienza i quali, strumentali rispetto a differenti finalità,
configurano collegamenti di diversa intensità tra banca dati e processo penale.
In sintesi si ricorda che, allo scopo di consentire la comparazione tra profili di DNA di
persone già implicate in procedimenti penali e profili di DNA tratti da tracce biologiche rinvenute
sul luogo del delitto, il legislatore del 2009 ha previsto l’istituzione di organismi distinti sul piano
strutturale e funzionale. La creazione delle due strutture presso differenti amministrazioni ha
permesso di tenere distinti il luogo di raccolta e di confronto dei profili del DNA, ai quali provvede
la Banca dati (presso il Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza), dal
Laboratorio centrale (presso il Ministero della giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria) che è il luogo in cui vengono conservati i campioni biologici e tipizzati i profili dei
soggetti in vinculis per ragioni processuali. Tali soggetti, soltanto qualora siano indagati o
imputati per delitti non colposi di una determinata gravità, vengono sottoposti al prelievo di
materiale biologico del quale appare scontata l’esecuzione coattiva che avviene senza necessità del
provvedimento giudiziale: in tal caso il prelievo è definito “istituzionale”. I relativi profili genetici
vengono inviati alla Banca dati che raccoglie, altresì, i profili di DNA tipizzati da reperti ad opera
dei laboratori delle forze di polizia o altrimenti specializzati. Oltre a questi due flussi di dati
genetici, l’archivio centrale è alimentato anche da un terzo canale che convoglia i profili di DNA
di persone scomparse o loro consanguinei e di cadaveri o resti cadaverici non identificati. In tale
caso, peraltro, non è prevista l’alternativa tra consenso o coazione al prelievo biologico che è
finalizzato alla tipizzazione di profili genetici volta all’identificazione.
Con riguardo all’alimentazione della Banca dati il legislatore del 2009 ha delineato
disposizioni a tutela della riservatezza disciplinando il trattamento dei dati, l’accesso e la
tracciabilità dei campioni e disponendo, in specie, che i profili e i campioni biologici non devono
contenere le informazioni che consentono la diretta identificazione dei soggetti cui si riferiscono.
Inoltre, l’accesso alla banca dati è stato configurato di secondo livello: infatti, la polizia giudiziaria
o l’autorità giudiziaria che hanno richiesto il confronto, possono conoscere il nominativo del
soggetto titolare del profilo genetico soltanto qualora la comparazione tra profili abbia fornito esito
positivo. Infine, sono specificati i casi di cancellazione del profilo del DNA e di distruzione del
relativo campione biologico e sono individuati limiti temporali per la conservazione del profilo di
DNA (quaranta anni) e del campione biologico (venti anni).
Viceversa, è prevalentemente tesa alla tutela della libertà personale la disciplina del prelievo
“processuale” avente ad oggetto il materiale biologico di persona, identificata e vivente, non
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ristretta nella libertà personale. I relativi profili di DNA non pervengono alla Banca dati. In altri
termini, qualora si tratti di indagato o imputato liberi, ovvero di un terzo, l’acquisizione del
campione biologico è collocata nell’ambito della perizia (art. 224-bis c.p.p.) o dell’accertamento
tecnico del pubblico ministro (art. 359-bis c.p.p.) secondo uno schema procedimentale basato
sull’alternativa tra consenso dell’interessato e coazione esplicabile solo con provvedimento del
giudice. Si tratta di dati genetici appartenenti a persone identificate che servono (e debbono restare)
all’interno del procedimento penale nel quale esauriscono la propria strumentalità alla ricostruzione
del fatto storico e non vi è necessità di inserirli nella Banca dati; saranno ivi archiviati soltanto nel
caso di esecuzione di condanna a pena detentiva o di un provvedimento restrittivo della libertà
personale quel profilo genetico, attivandosi in tali ipotesi la procedura del prelievo istituzionale.
b. Il regolamento di attuazione.
L’oggetto del regolamento di attuazione è delineato con riferimento alle modalità di
funzionamento e di organizzazione della Banca dati e del Laboratorio centrale, nonché allo scambio
di dati sul DNA per finalità di cooperazione transfrontaliera di cui alle Decisioni 2008/615/GAI e
208/616/GAI del 23 giugno 2008 (art. 1 reg. att.). E’ necessario, dunque, individuare i profili di
interesse per il giurista che affiorano dalla lettura del regolamento a fronte delle criticità emergenti
dalla legge n. 85 del 2009.
Ebbene, il provvedimento di attuazione è volto a regolare: le attività di raccolta e di
raffronto automatizzato di profili genetici effettuate dalla Banca dati mediante un software
organizzato su due livelli rispettivamente impiegati a fini investigativi in ambito nazionale e per
finalità di collaborazione internazionale; le attività di tipizzazione del DNA svolte da parte del
Laboratorio centrale. Il regolamento non tocca direttamente la materia del processo penale: tuttavia,
detta disposizioni puntuali che, pur avendo una caratura quasi totalmente tecnica, aprono ampi spazi
di riflessione anche per il giurista.
Quanto all’oggetto di tutela si evidenzia che seppure non manchino alcune disposizioni
afferenti alla tutela del diritto di difesa e della libertà personale, la maggior parte delle previsioni
regolamentari delinea misure che risultano volte a tutelare la riservatezza dei titolari dei dati
genetici; altre disposizioni, invece, sono tese ad assicurare l’attendibilità del dato analitico che si
riflette sulla attendibilità della prova del DNA impiegata nel processo penale. Rispetto ad entrambi
gli aspetti sono necessarie due riflessioni.
Dal testo del provvedimento di attuazione emergono alcune linee di tendenza che, entro la
già evidenziata prospettiva di tutela sia della riservatezza dei titolari dei profili del DNA, sia
dell’attendibilità dell’accertamento genetico, costituiscono aspetti innovativi
rispetto al
provvedimento legislativo del 2009. Tuttavia, non tutto è regolato: infatti, il provvedimento
attuativo rinvia determinati aspetti della disciplina, relativi alla tutela della riservatezza, a futuri atti
amministrativi. Inoltre, si deve evidenziare la scarsa chiarezza del regolamento rispetto alle
vicende dei profili del DNA tratti da reperti biologici acquisiti in un procedimento penale; infine, si
sottolinea l’ambiguità del provvedimento attuativo con riferimento alla sorte degli archivi genetici
non ufficiali che sembra siano destinati a convivere con la Banca nazionale del DNA.
I principali tratti originali del regolamento di attuazione rispetto alla legge n. 85 del 2009
sono puntualizzazioni o innovazioni riconducibili a tre ambiti di disciplina attinenti a: modalità di
alimentazione della Banca dati; consultazione dei profili del DNA archiviati nella Banca dati;
tempi di conservazione dei campioni biologici e dei profili di DNA da un lato, e la cancellazione
dei profili e la distruzione dei campioni biologici, da un altro lato. Ognuno di tali ambiti è pervaso
dalle esigenze di tutela dianzi evidenziate le quali affiorano, ora separatamente, ora
congiuntamente, dalla trama delle singole disposizioni.
Le linee di tendenza del regolamento con riguardo al tema dell’approvvigionamento della
Banca dati sono espresse da alcune disposizioni relative alle modalità di acquisizione del campione
biologico nel caso del prelievo istituzionale, nonché al prelievo, alla gestione e alla tipizzazione del
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profilo del DNA del reperto biologico acquisito nel corso di procedimenti penali, nel caso di
denuncia di persone scomparse e nel caso di rinvenimento di cadaveri e resti cadaverici non
identificati.
In materia il regolamento contiene previsioni volte a garantire non solo l’attendibilità
dell’accertamento genetico e la corretta applicazione delle scienze forensi, ma anche la riservatezza
dei titolari dei profili genetici. Alla salvaguardia di quest’ultimo valore è protesa la
regolamentazione del trattamento dei dati sia nella Banca dati, sia nel Laboratorio centrale: viene in
luce il principio di “tracciabilità” che viene tutelato in relazione al trattamento e all’accesso ai dati:
rispetto a tali attività, si ricordi, l’art. 12 comma 3 l. n. 85 del 2009 ha prescritto modalità tali da
assicurare l’identificazione e la registrazione di ogni operazione.
Il regolamento si occupa diffusamente di quel canale di approvvigionamento della Banca
dati, delineato dall’art. 9 della l. n. 85 del 2009 secondo il quale, in presenza di determinati
presupposti, viene effettuata la tipizzazione dei profili genetici di soggetti in vinculis per ragioni
processuali, quasi dandone per scontata l’esecuzione coattiva che avviene senza necessità del
provvedimento giudiziale. Tale prelievo istituzionale riguarda indagati o imputati in custodia
cautelare, arrestati in flagranza di reato o sottoposti al fermo di indiziato di delitto, condannati
detenuti ovvero ammessi a una misura alternativa a seguito di condanna irrevocabile per delitto non
colposo, internati per l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva.
Con riguardo al prelievo istituzionale il regolamento attuativo detta prescrizioni relative
all’oggetto, ai soggetti attivi, alle modalità, alla procedura, e agli adempimenti successivi che gravano
sul Laboratorio centrale (art. 5 reg att.). Tali disposizioni sono volte a garantire l’attendibilità del dato
analitico, attraverso adeguate modalità tecniche di prelievo, mediante misure atte ad assicurare
l’integrità della catena di custodia, nonchè la tracciabilità delle relative operazioni: si tratta di norme
dalle quali affiora altresì l’intento di tutelare la riservatezza dei soggetti cui si riferiscono i profili del
DNA.
Rispetto all’oggetto, il regolamento indica la sottoposizione dei soggetti ristretti nella libertà
personale, previa identificazione mediante accesso telematico all’AFIS (Automated Fingerprint
Identification System), al prelievo di due campioni di mucosa del cavo orale.
Appare opportuna la previsione del prelievo di due campioni poiché, previa autorizzazione
dell’autorità giudiziaria, rende possibile un’eventuale ripetizione della tipizzazione del DNA
qualora tale operazione, effettuata sul primo campione da parte del Laboratorio centrale, abbia dato
esito negativo o parziale e risulti impossibile effettuare un nuovo prelievo. La ripetizione del
prelievo, se effettuata, implica la distruzione sia dei due campioni biologici acquisiti in precedenza,
sia del profilo del DNA parziale (art. 5 comma 7 lett. e). Si consideri inoltre che la disposizione sul
prelievo di un doppio campione di materiale biologico si pone a tutela del diritto di difesa
consentendo eventuali nuove analisi qualora siano scoperte tecniche di tipizzazione del DNA
innovative, peraltro nella prospettiva di una riduzione al minimo della coartazione fisica sulla
persona.
Si chiarisce, inoltre, che il prelievo è compiuto da parte di appartenenti alla Polizia
penitenziaria appositamente addestrati oppure dal personale delle Forze di polizia1 a seconda che il
soggetto passivo sia ristretto in carcere o meno.
Sul piano dell’attendibilità del dato analitico, appaiono significative sia le disposizioni sulle
modalità del prelievo, sia le puntualizzazioni del regolamento relative all’uso di dispositivi di
protezione individuale del personale che effettua il prelievo, volte ad evitare la contaminazione
esogena, nonché le precisazioni sulla modalità di conservazione di ogni campione in un contenitore
separato e a temperatura ambiente, volte evitare errori riconducibili alle lacune nell’applicazione delle
scienze forensi a tutela dell’integrità della catena di custodia.
Anche la procedura seguente al prelievo è improntata a garantire la catena di custodia intesa
nel significato tecnico di confezionamento e trasferimento di un reperto: la continuità della sua
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integrità deve essere verificabile in qualunque momento. A tale riguardo, opportunamente il
regolamento di attuazione prevede che entrambi i campioni, ciascuno dei quali reca un’etichetta
contenente alcuni dati (ad esempio il codice identificativo dell’operatore che ha effettuato il prelievo e
la data dello stesso) vengano inviati nel più breve tempo possibile al Laboratorio centrale in un unico
plico sigillato antieffrazione, anche mediante corrieri specializzati che ne assicurino integrità e
tracciabilità.
Gli adempimenti successivi del Laboratorio sono scanditi in varie operazioni: la
tipizzazione, mediante strutture robotizzate con un sistema informativo idoneo a gestire i dati e i
flussi di lavoro (LIMS) che garantisca la tracciabilità delle operazioni; la conservazione del secondo
campione biologico; l’inserimento in via telematica del profilo genetico nella Banca dati. In ogni
caso, il “viaggio” del campione biologico, dal prelievo all’arrivo al Laboratorio centrale, si
sviluppa secondo una procedura automatizzata da parte di operatori autorizzati attraverso un sistema
di autenticazione e autorizzazione.
Il regolamento si occupa delle modalità di raccolta del profilo del DNA in altri casi
differenti: nell’ipotesi di reperto biologico acquisito nel corso di procedimenti penali; nel caso di
denuncia di persone scomparse; nel caso di rinvenimento di cadaveri e resti cadaverici non
identificati (art. 6 reg. att.). Con riguardo alla tipologia dei profili di DNA di persone scomparse o
loro consanguinei e di profili di DNA di cadaveri o resti cadaverici non identificati, il
regolamento, ribadita la finalità strettamente identificativa della conservazione degli stessi nella
Banca dati, prescrive che la polizia giudiziaria acquisisca i necessari elementi informativi della
persona scomparsa e gli oggetti in uso della stessa per ricavarne il profilo genetico per eventuali
successivi raffronti con altri profili già tipizzati (per esempio estrapolati da un cadavere non
identificato in modo da accertarne una corrispondenza tra profilo genetico dello scomparso e profilo
genetico del corpo ritrovato). Si prevede inoltre la possibilità del prelievo di materiale biologico da
un consanguineo per incrementare il potere identificativo del profilo di DNA (art. 6 comma 1 reg.
att.): come già si è rilevato, l’esplicita previsione della volontarietà del prelievo colma una lacuna
della disciplina del 2009 attinente, appunto, alla mancanza di disposizioni legislative sulle modalità
dell’eventuale prelievo e sulle relative garanzie a fronte della compressione della libertà personale.
Sono riconducibili, invece, alla tutela della riservatezza due disposizioni: la prima concerne
l’inserimento da parte della polizia giudiziaria dei dati anagrafici dei consanguinei in un
sottoinsieme dell’AFIS e la conservazione dei relativi profili del DNA in un sottoinsieme della
Banca dati, consultabili solo ai fini dell’identificazione della persona scomparsa (art. 6 comma 2
reg. att.); la seconda disposizione prevede la registrazione dell’operazione di prelievo, effettuato
solo qualora la verifica sulla presenza di un precedente prelievo abbia dato esito negativo, nel
sottoinsieme di AFIS (art. 6 comma 3 reg. att).
La disciplina regolamentare dell’altro flusso di dati genetici che possono essere inseriti in
Banca dati è espressa da disposizioni specifiche che si riferiscono al reperto biologico ossia al
«materiale biologico acquisito sulla scena del delitto o comunque su cose pertinenti al reato» (art. 6
lett. d, l. n. 85 del 2009 e art. 2 lett. h, reg. att.). Conseguentemente, viene in evidenza un ulteriore
collegamento normativo tra banca dati e processo penale già delineato dall’art. 10 della l. n. 85 del
2009 attraverso la previsione della trasmissione alla Banca dati dei profili genetici tipizzati da
reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali.
In tali casi la procedura per la gestione e il trattamento del reperto biologico, in una
prospettiva di salvaguardia del diritto alla riservatezza, è curata dal personale di polizia giudiziaria
e dal personale in servizio presso i laboratori delle Forze di polizia o i laboratori di elevata
specializzazione che si avvalgono di un LIMS: si tratta di un sistema che assicura la tracciabilità del
reperto biologico e che genera automaticamente il codice reperto biologico. Inoltre tale codice,
utilizzato dal laboratorio nelle fasi di tipizzazione del profilo di DNA, non consente la
identificazione diretta (ossia la provenienza) del reperto biologico (art. 6 commi 4-5).
Eseguita la tipizzazione del reperto biologico, il personale in servizio presso i laboratori
delle Forze di polizia, su disposizione dell’autorità giudiziaria, cura l’inserimento per via telematica
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nella Banca dati del profilo del DNA (art. 6 comma 6 reg.); la procedura è parzialmente diversa nel
caso in cui il profilo genetico da trasmettere alla Banca dati non sia stato tipizzato dai laboratori
delle Forze di polizia (art. 6 comma 7 reg. att.).
E’ necessario evidenziare che neanche il regolamento considera espressamente un aspetto
problematico dell’art. 10 l. n. 85 del 2009: tale disposizione non esplicita se i profili genetici tratti
dai reperti biologici e destinati a confluire nella banca dati siano solo quelli non attribuiti a soggetti
identificati. Si è sostenuto che non si può escludere che alla Banca dati giungano profili con una
paternità definita e riferibili alla vittima del reato o a terzi non coinvolti nel reato: una tale
evenienza potrebbe generare un contrasto con i princìpi a tutela della riservatezza che si traggono
dalla l. n. 85 del 2009 con riguardo alla Banca dati nazionale del DNA oltre a costituire una
violazione del bilanciamento tra sicurezza e privacy più volte affermato dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo.
Appare preferibile una lettura teleologico-sistematica: nella Banca dati debbono essere
archiviati i profili da reperti soltanto se “ignoti”; in tali ipotesi, mancando l’attribuzione ad un
soggetto identificato, non vi è esigenza di tutela della riservatezza. L’inserimento nella Banca dati
di tali profili di DNA ha la finalità di stabilire l’appartenenza delle tracce biologiche “mute”
mediante un raffronto con i profili genetici archiviati ex art. 9 l. n. 85 del 2009 allo scopo di scoprire
l’autore di un reato, anche nell’ipotesi dei casi “freddi”. In altri termini, il profilo ignoto
proveniente da reperti deve essere innanzitutto confrontato, all’interno del procedimento penale,
con il profilo di soggetti sospettati; in assenza di sospettati oppure qualora il profilo rimanga non
attribuito ad alcuno, quest’ultimo sarà oggetto di raffronto con i profili di indagati, imputati o
condannati contenuti nella Banca dati nazionale.
La riflessione sull’alimentazione dell’archivio genetico impone di considerare il trattamento
che nella Banca dati si articola in determinate attività: l’inserimento dei profili del DNA; la verifica
della corrispondenza con la sequenza numerica dell’elettroferogramma fornita dal Laboratorio; la
cancellazione dei profili nei soli casi espressamente previsti (art. 7 reg. att.).
Il capo IV del regolamento disciplina le tecniche, le modalità di analisi e di conservazione
dei campioni biologici delineando misure volte a potenziare l’attendibilità dell’accertamento sul
DNA: si tratta di disposizioni apprezzabili che sembrano aver recepito alcune sollecitazioni dei
genetisti forensi con riferimento, ad esempio, alla preparazione del campione con sistemi
robotizzati, alla quantificazione e all’amplificazione del DNA. Si tratta di disposizioni volte a
garantire l’attendibilità del dato tecnico-scientifico attraverso misure idonee ad impedire la
commissione di “errori” nell’applicazione delle scienze forensi e in vista di una corretta
utilizzazione della prova del DNA.
La riflessione sul tema della consultazione dei dati deve prendere avvio da una sintesi delle
prescrizioni regolamentari sulle modalità di consultazione dei dati richiesti e di raffronto dei profili
di DNA sia in ambito nazionale, sia per finalità di cooperazione transfrontaliera.
La considerazione di tali temi comporta il riferimento ad ulteriori aspetti inediti del
provvedimento attuativo. Infatti la legge del 2009 descrive l’attività della Banca dati in termini di
“raccolta” dei profili di DNA e di “raffronto” tra profili a fini di identificazione. Viceversa, il
regolamento esplicita l’attività di “consultazione” dei dati e di raffronto tra i profili di DNA
conservati nell’archivio genetico. Ciò comporta l’inserimento di profili genetici nella Banca dati
come attività strumentale all’individuazione di una concordanza con profili di DNA già conservati;
ma non sembra implicare necessariamente un’implementazione della Banca dati. Dunque la
“consultazione” è delineata come un’attività distinta dalla “conservazione” di profili genetici. Alla
consultazione dei dati e al raffronto tra profili di DNA archiviati nella Banca dati nazionale sono
dedicate norme che configurano determinate cautele: ogni richiesta di consultazione dovrà essere
motivata, dalle forze di polizia che la presentano, con specifico riferimento al reato oggetto di
indagine (art. 9 reg. att.). Inoltre, il regolamento disciplina i presupposti tecnici relativi ai criteri di
inserimento dei profili e al raffronto tra profili con una concordanza positiva o con una quasi
concordanza (art. 10).
9
Trasmesso,
La consultazione si concretizza nella ricerca e nel raffronto dei profili del DNA ed è
configurata come una facoltà del personale in servizio presso i laboratori delle Forze di polizia, del
punto di contatto nazionale e della Banca dati.
Più precisamente, all’inserimento dei dati genetici, segue l’automatica comparazione tra i
profili di DNA inseriti e quelli già presenti nella Banca dati. Viene in luce, quindi, l’esigenza della
qualità dei dati che entrano nell’archivio genetico. A tale proposito si rendono necessarie due
considerazioni. La prima riflessione attiene alla gestione dei profili del DNA: il software della
Banca dati è organizzato su due livelli. Il primo livello è impiegato a fini investigativi e il secondo
anche per le finalità di collaborazione internazionale di polizia (art. 3 comma 4 reg. att.). Merita
evidenza la previsione di criteri di inserimento dei profili genetici provenienti da prelievo
istituzionale e da reperti biologici non attribuiti (art. 10 comma 1 reg. att.). Occorre sottolineare un
aspetto che non esaurisce la propria rilevanza sul piano tecnico, ma produce importanti effetti sul
piano giuridico: l’inserimento, ad opera dei soggetti indicati dall’art. 12 comma 2 l. n. 85 del 2009
(ossia polizia giudiziaria ed autorità giudiziaria esclusivamente ai fini di identificazione e per
finalità di collaborazione internazionale di polizia), ha come oggetto unicamente i profili del DNA
validati a norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025. Il regolamento, tuttavia, opera una distinzione in
punto di idoneità identificativa e di qualità dei profili e ne differenzia la destinazione. Infatti, i
profili del DNA sono inseriti al I livello della Banca dati, impiegato a fini investigativi, a partire da
un numero di loci pari a sette; al II livello, con finalità identificativa ed interrogabile anche a fini di
collaborazione internazionale di polizia, invece, sono trasmessi i profili genetici con un numero di
loci eguale o superiore a dieci (art. 10 comma 4 reg. att.).
Con riferimento al raffronto tra i profili del DNA, va ricordata, infine, l’individuazione di
norme di concordanza.
In ambito nazionale la consultazione dei dati può essere effettuata solo caso per caso:
l’esito del raffronto deve essere comunicato per via automatizzata ai laboratori delle forze di polizia
che, a fini del raffronto da compiere, hanno inserito il profilo del DNA, tramite il portale della
Banca dati. Sia le richieste di consultazione, sia le risposte automatizzate devono contenere il
riferimento normativo del reato per la motivazione, l’identificazione dell’ufficio richiedente e
dell’operatore, la denominazione dell’ufficio e l’identificativo dell’Autorità giudiziaria, il numero di
procedimento penale e l’anno di riferimento (art. 9 reg att.).
Per la consultazione di dati a fini di cooperazione internazionale di polizia, individuato il
punto di contatto nazionale per lo scambio dati nel Servizio per la Cooperazione Internazionale di
Polizia della Direzione Centrale della Polizia, del Dipartimento della pubblica sicurezza, sono
previste modalità differenti a seconda che la consultazione, il raffronto e la trasmissione di profili
del DNA avvenga dall’estero verso l’Italia oppure dall’Italia verso l’estero. Nel primo caso la
consultazione dei profili del DNA contenuti nella Banca dati è consentita agli operatori dei punti di
contatto nazionali esteri, in possesso delle credenziali di autenticazione ed autorizzazione, per il
raffronto con i profili di DNA contenuti al secondo livello della Banca dati. Nell’altra ipotesi di
trasmissione dei dati dall’Italia verso l’estero la polizia giudiziaria che deve ricercare un profilo del
DNA in ambito internazionale consulta le banche dati estere mediante un’applicazione del portale
della Banca dati.
Con riguardo allo scambio di informazioni sui profili del DNA nell’ambito della
cooperazione transfrontaliera meritano un cenno alcune disposizioni in materia protezione dei dati
personali. Innanzitutto, ribadito lo scopo del trattamento ossia le finalità di cooperazione
transfrontaliera di cui alle Decisioni 2008/615/GAI e 2008/616/GAI del 23 giugno 2008, nonché di
attuazione degli accordi internazionali resi esecutivi, si specifica che il trattamento dei dati ricevuti
è ammesso anche per scopi compatibili con quelli per i quali sono stati trasmessi, previa
autorizzazione dello Stato membro che li ha trasmessi, nel rispetto della legislazione nazionale.
Occorre menzionare, altresì, le disposizioni inerenti: la verifica della qualità dei dati trasmessi e
ricevuti; la cancellazione dei dati inesatti o ultronei che non avrebbero dovuto essere trasmessi
oppure di quelli rispetto ai quali è scaduto il termine massimo di conservazione ai sensi della
10
Trasmesso,
legislazione nazionale dello Stato membro che li ha trasmessi; l’adozione di specifiche misure di
sicurezza come la registrazione delle operazioni svolte in appositi file di log; la vigilanza e il
controllo esercitati dal Garante per la protezione dei dati personali con conservazione per diciotto
mesi dei risultati del controllo.
Sul piano giuridico la riflessione si articola inevitabilmente in considerazioni già svolte.
L’uso processuale dei dati personali non si può considerare lesivo della riservatezza stante
l’esigenza di acquisizione della prova del reato: viceversa, la riservatezza è sicuramente violata
dall’uso extraprocessuale delle informazioni personali per scopi diversi dall’accertamento del fatto
storico. In altri termini, la privacy potrebbe essere lesa dalla circolazione di informazioni personali
processualmente non rilevanti.
Peraltro si deve sottolineare come determinate interpretazioni che hanno prospettato rischi
per la riservatezza che sarebbero insiti nella disciplina Banca dati nazionale del DNA, facciano
riferimento a prassi che sembrano riconducibili a disfunzioni dell’archivio genetico. Più
precisamente sono state evocate operazioni non contemplate dalla legge n. 85 del 2009. All’interno
dei ogni archivio si svolgerebbe un’attività dinamica in base alla quale il profilo genetico del
soggetto presente nel database non è utilizzato solo per le comparazioni rispetto all’accertamento di
un reato, ma è sottoposto ad un crossing costante con tutti gli altri profili accumulati nella banca
dati che rende l’individuo un sospetto permanente. Tale considerazione evidenzia aspetti patologici
rispetto all’attività della Banca dati che risultano anche di difficile esemplificazione; viceversa, è
un problema di adeguatezza delle misure di sicurezza delineate dal legislatore e puntualizzate, oggi,
dal regolamento in esame.
Si può proporre la seguente ricostruzione. Premesso che all’inserimento di un profilo in
Banca dati segue l’automatica comparazione con quelli già presenti nell’archivio genetico per
verificare eventuali concordanze, si individuano due diversi ambiti di raffronto: tra profili noti
provenienti dal prelievo istituzionale e profili ignoti provenienti dalla scena del crimine; tra profili
di DNA di persone scomparse e profili di DNA di consanguinei (e resti umani non identificati), In
altri termini, l’inserimento nella Banca dati di quei profili del DNA che ne consentono
l’approvvigionamento va ricondotto a ipotesi tassative espressamente previste in quanto eccezionali
rispetto alla regola della riservatezza: si tratta dei collegamenti normativi già individuati. In altri
termini, come già evidenziato in precedenza, i dati archiviati, riferibili a coloro che sono sottoposti
a restrizione della libertà personale, costituiscono il bacino nel quale incrociare i dati analitici
provenienti dalle tracce “mute” tratte da reperti. La comparazione può servire innanzitutto al
procedimento in corso oppure, se del caso, alla soluzione di altri casi giudiziari fino a quelli c.d.
“freddi” rispetto ai quali tra l’epoca della commissione del reato e la scoperta del colpevole passa
molto tempo. Inoltre, relativamente ai profili genetici del condannato o dell’internato sottoposto a
misura di sicurezza, l’utilità dell’archiviazione emerge anche con riferimento ad un’eventuale
recidiva: in tale ambito non si può forse escludere nemmeno una funzione “preventiva” del crimine
dato che la facilità di individuazione del colpevole il cui profilo sia conservato nella banca dati
potrebbe funzionare in concreto da deterrente.
In caso positivo di concordanza del profilo del DNA ottenuto da un reperto con quello
ottenuto da un campione, nella Banca dati viene conservato il solo profilo genetico, già presente
nella Banca dati, acquisito dal campione biologico dei soggetti in vinculis per ragioni processuali; il
risultato del raffronto sarà comunicato all’Autorità che aveva richiesto la consultazione. Solo in
questo momento l’autorità giudiziaria o la polizia giudiziaria possono identificare il soggetto.
Infatti, a tutela della riservatezza, il regolamento attuativo prescrive l’abbinamento dei dati
personali del soggetto contenuti nell’AFIS e il profilo del DNA dello stesso, mediante il numero
identificativo rilasciato dal sistema AFIS al momento del prelievo istituzionale.
Dunque, in tale ipotesi, la consultazione dell’archivio genetico, ai fini di ricostruzione del
fatto storico, non ne comporta un’implementazione. Invece, nel caso di non concordanza, il profilo
muto rimarrà archiviato, ma la legge e il regolamento di attuazione non prevedono espressamente il
11
Trasmesso,
tempo di conservazione; peraltro, essendo il profilo non attribuito ad alcuno, in linea di principio
non si rileva alcuna lesione della riservatezza.
La considerazione dell’aspetto della cancellazione dei dati e la distruzione dei campioni
biologici impone una riflessione: la lesione della riservatezza sembra riconducibile non tanto alla
mera permanenza dei profili genetici nella Banca dati (e dei campioni biologici nel Laboratorio
centrale) quanto alla permanenza senza limiti.
La disciplina della conservazione dei reperti e dei campioni biologici e dell’archiviazione
dei profili genetici impone una riflessione sul panorama internazionale. In esso si possono
distinguere differenti modelli organizzativi e gestionali delle informazioni genetiche. Tra i
parametri fondamentali su cui si basano le diverse opzioni ideologiche, oltre al novero dei soggetti
il cui profilo genetico può essere archiviato e all’individuazione dei reati per cui si può procedere
alla schedatura genetica, vi è la previsione o meno di termini di cancellazione dei dati
immagazzinati. Così dalla estrema opzione di una conservazione pressoché indefinita dei dati
genetici, si passa alla più garantista definizione dei tempi di conservazione delle informazioni
genetiche.
Con riguardo al nodo problematico del termine massimo di conservazione, resta essenziale il
riferimento al principio, sancito dalla raccomandazione R(92) emessa dal Comitato dei Ministri del
Consiglio di Europa il 10 febbraio 1992, in base al quale i dati genetici devono essere conservati
nella banca dati per un periodo proporzionato alle finalità per le quali sono stati archiviati. Dal
provvedimento, quindi, si trae la regola secondo la quale i risultati dell’accertamento genetico e le
relative informazioni devono essere cancellati quando la loro conservazione non è più necessaria
rispetto allo scopo per cui sono stati utilizzati; sono altresì indicate ipotesi eccezionali di
conservazione, pur limitata temporalmente, in caso di condanna per gravi delitti (contro la vita,
l’integrità fisica e la sicurezza delle persone) ovvero di reperti biologici rinvenuti sul luogo del
delitto e non riconducibili ad un soggetto identificato.
Il principio è stato riaffermato da una nota sentenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo (Corte eur., Grande camera, sent. 4 dicembre 2008 n. 880, S. et Marper c. Royame uni)
emanata con riferimento al particolare contesto della banca dati inglese quale attuazione del
modello estremo della schedatura di massa: in essa attualmente, a fronte di ampie possibilità di
prelevare campioni biologici, i profili di DNA dei condannati per un reato, ma anche quelli
appartenenti a semplici sospettati e a persone che hanno consentito al prelievo, vengono conservati
senza limiti di tempo (appunto non previsti) e non ne è più imposta la distruzione in caso di
assoluzione o non esercizio dell’azione penale.
In sostanza, i Giudici di Strasburgo hanno evidenziato che il punto di maggiore criticità in
materia di banche dati «non è chi entra, ma chi esce», stigmatizzando la conservazione illimitata di
profili genetici appartenenti a persone non riconosciute responsabili di una condotta illecita, in
quanto ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto della vita privata e, perciò, non necessaria in
una società democratica.
Non sembra, tuttavia, che tali censure relative ad un modello, quello inglese, paradigmatico
della “schedatura di massa”, possano attagliarsi alla disciplina della banca dati italiana che tipizza i
canali di alimentazione e prevede tempi definiti di conservazione dei profili e del materiale
biologico; semmai, si può discutere della ragionevolezza dei tempi di conservazione previsti.
Occorre una lettura delle disposizioni legislative coordinata con le previsioni tecniche del
regolamento di attuazione. Quest’ultimo distingue due aspetti: i tempi di conservazione dei
campioni biologici e dei profili del DNA; la cancellazione dei profili e la distruzione dei campioni
biologici.
Con riferimento alla conservazione dei campioni biologici, si sottolinea la novità della
previsione contenuta nell’art. 24 dello schema di regolamento secondo il quale, dopo la sua
completa tipizzazione, il DNA estratto dai campioni biologici deve essere distrutto; le relative
operazioni devono essere verbalizzate da parte del personale del laboratorio operante. La parte di
campione biologico non utilizzata e il secondo campione di riserva sono conservati per otto anni
12
Trasmesso,
decorsi i quali, dovranno essere distrutti da parte del personale in servizio presso il Laboratorio
centrale, previa verbalizzazione delle operazioni.
Relativamente alla conservazione dei profili di DNA, la disciplina tende a tutelare
l’ordinamento giuridico rispetto all’eventuale recidiva del condannato in ossequio al principio della
“non eccedenza dello strumento rispetto al fine perseguito”. Così, il regolamento di attuazione,
adempiendo alla prescrizione dell’art. 13 comma 4 l. n. 85 del 2009 che, individuato il termine
massimo di quaranta anni dall’ultima circostanza che ha portato all’inserimento del profilo, rinvia,
ai tempi di conservazione stabiliti nel regolamento di attuazione, delinea un termine di regola più
breve. Infatti, l’art. 25 del regolamento prevede che i profili ottenuti dal prelievo istituzionale
sono conservati di regola trenta anni decorrenti dalla data dell’ultima registrazione. Tuttavia, il
periodo di conservazione si dilata fino a quaranta anni in casi, tassativamente previsti, riferibili alla
gravità reato e alla ritenuta maggiore pericolosità, in astratto, del condannato: più precisamente, si
tratta dei casi in cui il profilo del DNA si riferisce a persone condannate con sentenza irrevocabile
per uno o più reati per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza, o per taluno dei
gravi reati di cui all’art. 407 comma 2 lett. a c.p.p., ovvero nel caso in cui sia stata ritenuta la
recidiva in sede di emissione della sentenza di condanna.
Infine, è finalizzata ad evitare la conservazione nella Banca dati e nel Laboratorio centrale di
più profili di DNA e più campioni biologici relativi allo stesso soggetto, il già citato art. 25 comma
4 reg. att.: in caso di riscontro positivo tra profilo del DNA ottenuto da reperto e quello ottenuto da
un campione, che sia conservato solo quest’ultimo profilo genetico per la durata massima,
dall’ultima registrazione, da trenta a quaranta anni secondo quanto previsto dai commi precedenti.
Con riferimento alla cancellazione dei profili di DNA e alla distruzione dei campioni
biologici, il regolamento articola la disciplina in quattro disposizioni (artt. 29-32) relative ai vari
casi contemplati dall’art. 13 l. n. 85 del 2009. In proposito si osserva che il legislatore italiano ha
disciplinato espressamente, secondo vari moduli temporali, la cancellazione dei profili genetici
dalla banca dati e la distruzione dei relativi campioni biologici contenuti nel Laboratorio centrale
ovvero conservati presso laboratori diversi. Ne risulta un sistema articolato che pare improntato ad
una sorta di criterio dell’utilità in concreto ossia legato alla cessazione della causa del prelievo nella
prospettiva di un bilanciamento tra gli opposti interessi della repressione del reato e della
riservatezza dell’individuo.
Innanzitutto, è disciplinata la sorte dei dati genetici e del materiale biologico riferibili ai
soggetti ristretti nella libertà personale; sono stabilite diverse cause di epurazione della Banca dati e
del Laboratorio centrale legate alla violazione delle disposizioni sul prelievo o alla definizione del
procedimento penale che vede coinvolti tali soggetti oppure, infine, in relazione al probabile
periodo di tempo entro il quale il soggetto potrebbe commettere altri reati.
In secondo luogo, il legislatore del 2009 ha previsto la cancellazione d’ufficio dei profili
genetici e la distruzione dei relativi campioni, a seguito di identificazione del cadavere o di resti
cadaverici nonché del ritrovamento di persona scomparsa (art. 13 comma 2). In questa evenienza,
le operazioni in questione sono effettuate dal personale del laboratorio delle Forze di polizia che ha
proceduto all’identificazione del cadavere oppure al ritrovamento di resti cadaverici o della persona
scomparsa (art. 30 reg. att.). Peraltro i consanguinei che abbiano consentito al prelievo e alla
tipizzazione del DNA per la ricerca di una persona scomparsa possono sempre chiedere alla
Direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell’interno la cancellazione dalla Banca
dati del proprio profilo genetico (art. 33 reg. att.).
E’ opportuno ricordare che nei tre casi di cancellazione dei dati finora considerati viene
redatto verbale delle operazioni; inoltre, il personale in servizio presso il Laboratorio centrale (o
presso il laboratorio delle forze di polizia oppure altro laboratorio di elevata specializzazione) deve
comunicare il codice prelievo all’AFIS a fini di aggiornamento del dato.
Infine, l’art. 32 reg. att. disciplina la cancellazione dalla Banca dati dei profili di DNA e la
conseguente distruzione dei campioni biologici di cui all’art. 13 comma 4 della legge, alla scadenza
del periodo di conservazione di trenta o quaranta anni determinato dall’art. 25 con riguardo ai soli
13
Trasmesso,
profili genetici da prelievo istituzionale: il profilo del DNA è cancellato dalla Banca dati mediante
una specifica applicazione informatica. Successivamente la Banca dati comunica per via telematica
il codice prelievo sia al sistema AFIS, per consentire l’aggiornamento del dato, sia al Laboratorio
centrale affinchè provveda alla distruzione dei relativi campioni biologici.
Tuttavia, la rubrica dell’art. 32 reg. att., ponendo in relazione le attività di cancellazione dei
profili e di distruzione dei campioni con l’art. 13 comma 4 della legge, induce una riflessione
ulteriore. La disposizione legislativa, infatti, si apre con il richiamo ai casi diversi da quelli previsti
nei commi precedenti ai quali, come accennato, fanno riferimento gli artt. 29, 30 e 31 reg. att.
Ritenendo che nei casi “altri” possano rientrare i profili di DNA ignoti, tipizzati da reperti in
procedimenti penali, si può sostenere che l’art. 32 trovi applicazione in tutti i casi di decorso dei
termini di conservazione, a prescindere dal fatto che la tipizzazione dei profili sia avvenuta da un
campione biologico o, durante un procedimento penale, da un reperto.
Una considerazione conclusiva va alla norma transitoria in base alla quale i profili di DNA
ricavati da reperti biologici e da campioni biologici che al momento del prelievo rientravano nelle
previsioni dell’art. 9 della legge n. 85 del 2009, acquisiti nel corso di procedimenti penali
anteriormente alla data di entrata in funzione della Banca dati, devono essere inseriti nella stessa, al
primo livello (profili con un numero di loci pari almeno a sette) o al secondo livello (profili con un
numero di loci uguale o superiore a dieci). Tuttavia, occorre notare che a differenza di quanto
previsto in relazione alla qualità dei profili da inserire dopo l’entrata in funzione della Banca dati ai
sensi dell’art. 10 reg. att., solo i profili di DNA destinati al secondo livello della banca dati devono
essere ottenuti da laboratori accreditati a norma UNI CEI EN ISO7IEC 17025. Si precisa inoltre che
fino al completamento delle attività di trasferimento nella Banca dati, i profili conservati dalle Forze
di polizia presso i rispettivi laboratori specializzati possono essere utilizzati ai fini investigativi in
ambito nazionale previo nulla osta dell’autorità giudiziaria (art. 35 reg. att.).
Si delinea un canale provvisorio di approvvigionamento della Banca dati, senza sciogliere
quel nodo problematico della materia sul quale neanche la l. n. 85 del 2009 ha inciso. In proposito si
può ancora sostenere quanto già osservato in passato: anche dopo l’entrata in funzione della Banca
dati a seguito dell’emanazione della regolamento di attuazione, potranno continuare ad operare altri
archivi “non nazionali”, rispetto ai quali il Garante per la protezione di dati personali, al fine di
controllare la congruità rispetto alle disposizioni del d.lgs. n. 196 del 2003, può effettuare solo attività
ispettive. Viceversa, sarebbe auspicabile che le banche dati diverse da quella nazionale adottassero
almeno le misure di sicurezza minime previste dal codice della privacy. Tuttavia, a fronte della
condivisibile preoccupazione dell’Autorità Garante di tutelare efficacemente la riservatezza delle
persone, occorre ricordare una sentenza della Suprema Corte (Cass., Sez. V, 5 febbraio 2007,
Vulicevic e altro, in CED 235969) secondo la quale la procedura di archiviazione di dati genetici
non infrange alcun divieto di legge. Infatti si evidenzia che le norme attinenti all’istituzione e al
funzionamento delle banche dati contenute nel Codice della privacy hanno natura amministrativa e
non rappresentano espressi divieti, né prevedono sanzioni, limitandosi a delineare, semmai, le
procedure per una corretta gestione dei dati.
In definitiva, a causa dell’interpretazione della Suprema Corte sulla legittimità di banche dati
non disciplinate dalla legge e al perdurare del silenzio legislativo e regolamentare sulla sorte degli
archivi genetici “altri” rispetto alla banca dati nazionale, si è persa l’occasione, con la legge del 2009
prima e con il regolamento di attuazione poi, di chiarire la sorte degli archivi e delle banche dati attivi
presso le forze di polizia o laboratori specializzati incaricati dalla magistratura. Per avere contezza
della situazione problematica si ricorda che attualmente i profili del DNA tipizzati da reperti sulla
scena del crimine o da indagati ammontano a circa cinquantamila e sono conservati presso i Gabinetti
di polizia scientifica della Polizia di Stato (Roma, Napoli e Palermo) e presso i Reparti di
Investigazioni scientifiche dell’Arma dei Carabinieri di Roma, Parma, Messina, Cagliari: peraltro i
due sistemi non comunicano tra loro poiché impiegano sistemi di gestione dei profili diversi e non
interconnessi. Restano perplessità sulla coesistenza di differenti banche dati: la frammentazione degli
archivi non sembra possa giovare alla lotta contro la criminalità nazionale e internazionale.
14
Trasmesso,
6. Le altre banche dati europee.
La prospettiva di un’ampia utilizzazione dei profili genetici delle persone sia a fini
identificativi, sia per individuare l’autore del reato, rende opportuna qualche osservazione sui
differenti modelli di banche dati emergenti in ambito internazionale.
L’utilità dell’analisi comparatistica costituisce per lo studioso del diritto una consapevolezza
acquisita: dalla riflessione sui sistemi giuridici stranieri possono emergere aspetti significativi, utili
al legislatore per delineare una disciplina moderna la quale, ormai, deve fondarsi anche in soluzioni
omogenee a livello internazionale. Tuttavia non si deve scordare che i profili di disciplina di altri
ordinamenti sono il portato di scelte espressive del contesto socioculturale, ancor prima che di
quello giuridico.
Sembra dunque opportuno individuare, senza pretesa di completezza, gli schemi
rappresentativi delle opzioni legislative straniere con riferimento ai modelli di banche dati.
L’analisi delle scelte concrete operate dagli ordinamenti giuridici stranieri in ordine alla
creazione e alla gestione di banche di dati genetici ha portato la dottrina a teorizzare tre differenti
modelli. Si tratta di schemi rappresentativi dell’esperienza internazionale che si sviluppano con
differenti modulazioni in riferimento a due poli, relativi al diritto alla riservatezza: la creazione di
sistemi di controllo sempre più evoluti (modello c.d. universale) e l’esaltazione delle libertà
individuali (modello c.d. emergenziale). In posizione mediana si colloca uno schema teorico che
cerca di contemperare le differenti esigenze (modello c.d. intermedio).
Il primo modello, elaborato nelle esperienze anglosassoni, può essere definito universale (o
pangenetico): ispirato ad un criterio di massima efficienza delle indagini e della raccolta di
informazioni, si fonda sull’idea della schedatura di massa. In altri termini è uno schema
organizzativo e gestionale delle informazioni genetiche che va nella direzione di un penetrante
controllo delle persone al prezzo di incidere in maniera pesante, pur legittimamente, sulla libertà
personale e sulla riservatezza. Le garanzie per l’individuo, si nota, si concentrano in un momento
successivo alla coattiva memorizzazione dei dati genetici, riguardando la sicurezza, l’accessibilità e
l’informativa.
Un esempio concreto del modello ora riferito è costituito dal database inglese che si
presenta come il più grande archivio genetico ad uso forense nel mondo. Istituito dal Criminal
Justice and Public Order 1994 è stato emendato nel 2001 e più recentemente integrato dal Criminal
Justice Act 2003.
Il NDNAD (National DNA Database) è a disposizione delle forze di polizia del Galles e
dell’Inghilterra: l’attuale assetto normativo di tale banca dati è tale che vi possono essere inseriti i
dati genetici di persone condannate per determinati reati; di persone sospettate di un reato; di
persone arrestate o sospettate di essere coinvolte in un reato di particolare gravità. In particolare,
dopo l’entrata in vigore del CJA 2003 un cittadino inglese, qualora sia sospettato di aver commesso
un reato, vedrà archiviata la propria impronta genetica nel database anche se poi non verrà
processato: inoltre, neanche potrà chiederne la cancellazione, indipendentemente dal fatto che sia
stato successivamente scagionato. Ciò che più sorprende, si sottolinea, è la conservazione
dell’impronta genetica a tempo indefinito sul presupposto dell’arresto di una persona per una
violazione penale che rientri tra quelle indicate come recordable: è evidente un progressivo
irrobustimento del NDNAD nella prospettiva di un potenziamento del controllo sugli individui
coinvolti in indagini penali. Si evidenzia che in base alla s. 81 CJPA 2001 chi decide di collaborare,
prestando il consenso al prelievo di materiale biologico, può rendere un ulteriore consenso, scritto e
informato, con cui autorizza l’inserimento del proprio profilo genetico nel database nazionale. Il
primo consenso è finalizzato all’esclusione dalle indagini in corso; il secondo, invece, si riferisce
all’inserimento nel database del profilo ricavato dal campione biologico, in vista di future
comparazioni.
15
Trasmesso,
Occorre ricordare che, recentemente, si è tentata un’inversione di tendenza, con l’obiettivo
di ottemperare ai dettami della sentenza Marper del 2008 che aveva censurato la indefinita e
indeterminata conservazione di campioni biologici nella banca dati inglese in violazione dell’art. 8
Cedu.. Così nel 2010 è stato approvato il Crime and Security Act in emendamento alla sezione 65
del PACE e relativo alla cancellazione dopo sei anni dall’acquisizione, di impronte digitali e dati
genetici di adulti: il provvedimento non è mai entrato in vigore a causa dei cambiamenti di governo
nel frattempo intervenuti. Nel 2012 altri emendamenti sono stati oggetto del Protection of Freedom
Act che cercava di estendere all’Inghilterra il sistema scozzese: i campioni prelevati da adulti
arrestati ma non condannati, possono essere detenuti in banca dati solo qualora l’arresto fosse
avvenuto per reati a sfondo sessuale o di natura violenta. Anche questa legge non è entrata in
vigore: rimane dunque vigente la disciplina delineata, con i vari emendamenti che si sono
susseguiti nel tempo, del PACE del 1994.
Esprime una netta opzione verso l’esaltazione dell’individuo il modello di banca dati
definibile di tipo emergenziale (o per frammenti). Tale sistema si concretizza in una raccolta di
dati limitata a situazioni di emergenza ossia con riferimento a particolari indagini relative spesso a
reati di elevata gravità, con precisi termini di conservazione dei dati e particolari garanzie per
l’interessato. Così la conservazione ha ad oggetto i dati genetici di soggetti che siano stati
condannati ovvero di imputati: i tempi di conservazione sono definiti; possono, per esempio, essere
parametrati al termine di prescrizione del reato ovvero alla durata del processo o all’esecuzione
della pena.
Sembra concretizzare tale modello la disciplina della banca dati francese. A seguito
dell’istituzione del Fichier national automatisé con legge del 1998, ulteriori interventi legislativi
hanno modificato il Code de procédure pénale inserendo il titolo ventesimo espressamente dedicato
alla banca dati nazionale delle impronte genetiche (l. n. 2001-1062 del 15 novembre 2001).
Successivamente sono stati modificati alcuni articoli del testo codicistico con l. n. 2003-239 del 18
marzo 2003. In particolare il già ricordato art. 706-54 definisce la finalità dell’archivio nazionale
che è destinato a contenere le impronte genetiche tratte da tracce biologiche, oltre alle impronte dei
condannati per una delle gravi infrazioni previste dall’art. 70655 quali l’omicidio volontario di un
minore con violenza sessuale o tortura, la violenza sessuale, la corruzione di minorenni, le molestie
sessuali senza violenza.
Nell’archivio informatico sono contenuti, inoltre, i profili genetici delle persone nei cui
confronti esistano indizi gravi e concordanti i quali facciano ritenere verosimile che abbiano
commesso uno dei suddetti fatti illeciti: questi ultimi dati vengono inseriti e conservati su iniziativa
di un ufficiale di polizia giudiziaria ex officio, ovvero su richiesta del procuratore della repubblica o
del giudice istruttore.
Il procuratore della repubblica, d’ufficio o su richiesta dell’interessato, può disporre la
cancellazione delle impronte genetiche quando non sia più necessario conservarle tenendo conto
della finalità della banca dati. La disposizione in esame, inoltre, prevede espressamente la facoltà
per gli ufficiali di polizia di propria iniziativa o su iniziativa del procuratore della Repubblica o del
giudice istruttore, di far effettuare un confronto tra i dati genetici contenuti nel fichier e il profilo
genetico di una persona gravemente indiziata di uno dei crimini sopra indicati.
In posizione mediana tra i due modelli cui abbiamo fatto cenno, in quanto espressivi del
dualismo sussistente tra tutela della sfera individuale ed evoluzione dei sistemi di controllo, si
colloca il modello intermedio (o proporzionale) che attua un bilanciamento tra le esigenze di
tutela sociale e libertà di autodeterminazione del singolo circa la raccolta dei propri dati genetici.
Così si dilatano i confini delle banche dati emergenziali raccogliendo i profili genetici di coloro che
sono stati coinvolti in un procedimento penale (come imputati, indagati o anche solo sospettati)
instaurato per crimini gravi o con alta probabilità di recidiva; anche i tempi di conservazione
risultano ampliati. In ogni caso risultano stemperati gli eccessi delle banche dati universali.
Un’esperienza concreta del genere ora esposto si rinviene in Germania dove la l. del 7
settembre 1998 ha previsto la creazione di una banca dati centrale nella quale sono inseriti i profili
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genetici di imputati e condannati per determinati tipi di reato; vengono inoltre conservati alcuni
risultati delle analisi genetiche, in vista di futuri procedimenti penali e future comparazioni (§ 81g
StPO). Il riferimento è ai reati sessuali, alle gravi lesioni personali, ai furti di rilevante entità ed alle
estorsioni, tutte le volte in cui le modalità dell’azione, la personalità dell’autore e altre circostanze
possano far ritenere sussistente il pericolo di recidiva. La legge 2 maggio 2005 ha completato
l’evoluzione legislativa con disposizioni dirette ad ampliare la categoria dei soggetti i cui profili e
campioni sono suscettibili di conservazione in banca dati e di successivo confronto con riferimento
agli indagati per delitti di indole sessuale o di natura particolarmente efferata al fine di arginare la
recidiva, nonché di persone giudicate ripetutamente per reati minori.
Il tempo di conservazione dei campioni biologici è legato alla finalità dell’analisi genetica:
una volta identificato il soggetto, non v’è più alcuna necessità di mantenere in archivio tali
elementi. Si ribadisce inoltre il divieto di utilizzare il campione biologico per scopi diversi
dall’accertamento penale (per esempio accertamenti sulla personalità del soggetto).
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